«A Margherita Sarfatti, l’amante del Duce, avrei voluto dire: io non sono una vinta»
Pubblichiamo un brano dalle «Memorie» in cui Amelia Rosselli, alla stazione di Milano, rivede Margherita Sarfatti, figlia di amici veneziani e poi frequentatrice del suo salotto prima del fascismo.
«Vidi una piccola folla di gente davanti allo scompartimento attiguo, che faceva corona intorno a una figura femminile, con accenti e gesti di commiato ossequiosi. Era Margherita Sarfatti, allora nel pieno fulgore della sua carriera politica e... sentimentale. Non potei fare a meno di fare un rapido raffronto fra questi due destini - il mio e il suo - così diversi (...). Ella circondata e ossequiata da quella turba di gente che aspettava, o aveva ricevuto da lei quanto la sua altissima influenza poteva aver dato o avrebbe concesso: io madre di un prigioniero politico, di un criminale , tenuto alla larga in quei giorni da tutti, che non fossero gli amici più intimi, per paura di essere compromessi, che avevo preso quel treno per andare a far la mia prima visita a mio figlio in carcere: quel medesimo treno che ella pure prendeva, per avviarsi a qualche trionfale ricevimento in suo onore. Qualcuno accanto a lei le bisbigliò qualcosa sommessamente: doveva essere qualcuno che mi conosceva, forse, di vista. Margherita Sarfatti volse rapidamente il capo e mi guardò. I nostri sguardi s’incrociarono. Non ci salutammo. Ella poi salì rapidamente nello scompartimento, il treno si mosse, si partì, fra l’ossequioso salutare della piccola folla. Ero come ossessionata da quella vicinanza. Mi prendeva un desiderio puerile di alzarmi, di passare nello scompartimento attiguo, di fermarmi davanti a lei, e dirle: «Ebbene, pensi ch’io oggi sia una vinta della vita? Una fallita? Apparentemente sì. Ma interiormente sono più grande io di te...».
Così è la vita. Così sono i destini, a fianco a fianco in uno stesso treno che va, che fugge verso mete così diverse e opposte per ognuno che c’è dentro .
Corriere della Sera
11 dicembre 2001