Salvate il Pdl: la sua crisi infetta la democrazia
di Antonio Polito
Il Riformista del 4 marzo 2010
I partiti sono come le mamme: si rimpiangono quando non ci sono più. E i fatti ci dicono che ben presto potremmo essere costretti a rimpiangere il Pdl.
Insomma, qui non si tratta solo di teoremi giornalistici, ci sono gli ipse dixit. C'è Fini che dichiara, come in Natale in casa Cupiello, che il presepe non gli piace. C'è Berlusconi che fa dire ogni giorno sui giornali che lo vuole sciogliere, rifondare, costruirsene uno nuovo, tutto tranne che tenersi questo; e che qualche giorno fa ha affidato a un'inusuale e solenne nota il suo atto di accusa: un partito dilaniato da «giochi di potere».
Ma, ciò che più conta, oltre alle parole ci sono i fatti. L'intero processo elettorale rischia di uscire sconvolto da errori, irregolarità, omissioni, volute o inconsapevoli, preparate nelle cucine del Pdl. Vedremo se i giudici amministrativi si prenderanno la terribile responsabilità di confermare il niet della Corte d'Appello alla candidatura di Formigoni, facendo fuori in un solo colpo il Pdl in Lombardia, la sua roccaforte, la regione dove è maggioranza assoluta. Ma se accadesse ci sarebbe davvero poco da festeggiare, perché si sarebbe determinata una grave menomazione del sistema democratico: forse il prodromo di una fine prematura, stavolta nel caos, della Seconda Repubblica.
E poi c'è una candidata governatrice (la povera Polverini) cui imbrogliano le liste last-minute, e le fanno perdere l'aereo per l'elezione. E c'è un candidato governatore (il buon Caldoro), il quale dice che i nomi delle liste apparentate lui non li ha visti, che gli impresentabili gliel'hanno infilati dentro nottetempo, «infiltrazioni fraudolente». E c'è un senatore come Di Girolamo di cui non si sa da dove venga e a chi appartenga, ma si è purtroppo capito con che voti è stato eletto.
Il panorama, che fino a qualche giorno fa era desolante, si è fatto allarmante, perché si ribalta sul funzionamento delle istituzioni e dello stesso sistema democratico. La decadenza del Pdl ha questo di particolare: è endogena. Non proviene cioè da una crisi di consensi o del rapporto di fiducia con l'elettorato. Il popolo c'è sempre, là fuori, e anzi guarda stupefatto a quanto avviene. E questo apparente paradosso richiama le cause profonde e remote della crisi del Pdl.
Quando nacque, Berlusconi dubitò a lungo se chiamarlo Partito o Popolo. Scelse Popolo. Il risultato ce l'abbiamo davanti agli occhi. Il partito non esiste. Le quote di potere sono fissate a tavolino, con formule matematiche; i finanziamenti pubblici sono divisi davanti al notaio; dovunque ci sia da firmare un atto qualsiasi (per esempio quando si presentano le liste) i responsabili del Pdl si presentano in coppia, come i carabinieri, per marcarsi l'un l'altro. Le correnti (o fondazioni, oggi si chiamano così) si contano a decine, come in un sistema di cacicchi. Nello stesso vertice nazionale non c'è solo il conflitto aperto tra Berlusconi e Fini. C'è anche una evidente mancanza di solidarietà: in un editoriale, il maggior giornale italiano ha appena scritto che tra gli uomini più vicini al premier è in corso una congiura per preparare il dopo.
I partiti non sono solo professionismo. Non servono solo a presentare le liste elettorali, anche se, visti i tempi, non sembra poi compito da poco. I partiti reggono la vita delle istituzioni, dal Parlamento ai consigli circoscrizionali; selezionano la classe dirigente, non se la fanno scegliere da qualche faccendiere; assicurano una cinghia di trasmissione con l'elettorato, lo frequentano e lo consultano. Per fare tutto questo un popolo non basta. Ci vuole un partito per rappresentarlo. Non esiste esempio al mondo di democrazia senza partiti. Quando ci si prova, vengono fuori Chavez e Putin. Si dice l'America: in Usa i partiti sono sì diversi, ma esistono anche più nel profondo che da noi, gli elettori si dichiarano pubblicamente democratici o repubblicani, lo sono per generazioni.
Né si può pensare di rinchiudere la lotta politica nell'azione di governo, come se un governo del fare potesse sostituire il ronfare del partito. Non funziona. E infatti da mesi, da quando è paralizzato il Pdl, anche il Governo sembra aver perso smalto, è fermo, in stand by, aspettando elezioni che per debolezza del partito rischia di perdere senza nemmeno esserselo meritato.
Dobbiamo quindi augurarci che il Pdl non defunga anzitempo? Sì, dobbiamo. Come dovemmo augurarci che il Pd, un altro partito nato con l'illusione di essere popolo (popolo delle primarie) e nient'altro, non sprofondasse nell'anarchia e nel caos. Il Pd si è dato una regolata, per dirla alla Bersani. Anche perché è un tipo di partito che può reggere a un cambio di leadership. Il Pdl questa regolata non se l'è ancora data perché vive di un solo leader, ma non può più rinviarla. Se morisse prematuramente, la Terza Repubblica non sarebbe necessariamente meglio. Così come la crisi del Pd rimpinguò Di Pietro, quella del Pdl può trasformarlo in una grande Lega, meno nazionale e responsabile. E la regolata gliela può dare solo Berlusconi: accettando, paradossalmente, di cominciare a costruire quello che verrà dopo di lui, e di aprire la strada a una classe dirigente che possa fare senza di lui.
Salvate il Pdl: la sua crisi infetta la democrazia | Miradouro