Originariamente Scritto da
Myrddin-Merlino
«Patti per la sicurezza» o razzismo di sinistra?
di Stefano Galieni *
su Il Manifesto del 27/06/2007
Sul sito del ministero dell'Interno, alla voce «sicurezza», si trova il testo di un accordo stipulato fra il ministro dell'Interno Giuliano Amato e il presidente dell'Anci, Leonardo Domenici, il 20 marzo scorso.
Si prevede la definizione entro 60 giorni, di «Patti per la sicurezza» con ogni città e, nello stesso tempo di un gruppo di lavoro congiunto, governo-città metropolitane, «per innovazioni legislative e normative che possano sostenere queste intese e consentire nuovi strumenti per contrastare il disagio e il degrado nelle aree urbane». I primi patti sono stati firmati a Milano e a Roma, seguiti da Torino, Napoli, Catania e Cagliari, ma si vanno estendendo a tutto il territorio nazionale.
Vengono definiti strumenti di «solidarietà» fra stato e enti locali, si traducono nel fatto che, indipendentemente dai bilanci approvati, anche le istituzioni contigue - regioni e province - sono chiamate a collaborare finanziariamente per rendere la vita nei capoluoghi più sicura. Soprattutto a Roma, Milano a Torino, le cause accampate per arrivare a scelte così drastiche, sono risolte nell'equazione criminalità = immigrazione. Poco conta se le amministrazioni sono di centrodestra o di centrosinistra, anzi, il securitarismo più ottuso sembra aver trovato spazi proprio nelle città progressiste.Come se il morbo di Poverini - l'autore della ormai celebre lettera a Repubblica - «Oddio sono di sinistra ma sto diventando razzista» si fosse esteso già come una piaga di medievale memoria.
In realtà è difficile individuare un unico autore del contagio: una politica degna di questo nome avrebbe già trovato gli anticorpi, anzi avrebbe diagnosticato il male e trovato i giusti rimedi.
Per i vari Veltroni, Chiamparino, Moratti & company, il male è rappresentato dall'allarme sociale causato dal disagio e dalla marginalità di cui una parte dei cittadini stranieri, in particolar modo i rom, costituiscono la base principale.
Vita nei campi, o marginalità causata da lavoro nero, assenza di un alloggio idoneo, portano inevitabilmente, per gli amministratori, alla devianza, che a volte si traduce in piccola criminalità. Sembra questo il vero allarme metropolitano, più che la criminalità organizzata, più che la speculazione edilizia, più che il proliferare e l'accrescersi di patrimoni immobiliari che fanno lievitare in maniera assurda il costo di un alloggio. Si invocano «bonifiche» per le aree adibite a vere e proprie baraccopoli e nel contempo si lasciano a marcire interi palazzi sfitti, caserme abbandonate, spazi che prefetti e sindaci con un po' di coraggio potrebbero legalmente e, almeno temporaneamente, requisire, per risolvere vere e proprie emergenze. Ma non si tratta solo di casa: ha ragione don Roberto Sardelli, l'indomabile sacerdote della scuola 725 di Roma, a dire che «non si vuole combattere la povertà e le sue cause ma i poveri, buoni quando vivono in Africa, fastidiosi quando stanno sotto casa».
Predomina la logica dell'esclusione che a Roma si tradurrà in quattro campi attrezzati lontani dalla città che i buontemponi hanno avuto il coraggio di chiamare «villaggi della solidarietà».
Un intervento realizzato senza neanche consultare il consiglio comunale, che permetterà di deportare circa seimila persone - in maggioranza bambini - e che libererà altre aree alla speculazione immobiliare. Una sinistra credibile ha il dovere di dire e di dimostrare con i fatti che un problema sicurezza nella città esiste ma che è quello causato dal lavoro precario, dall'assenza di alloggi e di politiche per l'inclusione sociale, dall'assenza di reti solidali per chi vuole costruirsi un percorso positivo, dall'impoverimento di un pezzo consistente di società autoctona e migrante.
A Roma, una rete di associazioni e di forze sociali e politiche ci sta provando, sfidando anche l'impopolarità dell'egemonia culturale di un modello imperante introdotto da un sindaco imperatore.
Forse è ora che le esperienze di resistenza che nascono anche in altre città trovino modo di interagire e di raggiungere anche momenti forti, ampi e significativi di mobilitazione politica.
E forse è anche ora che si inizi a pensare, dal basso alle città in cui vogliamo vivere, immaginandole come città di tutte e di tutti.
*Dip. Immigrazione Prc nazionale