vi prego di leggere con massima attenzione questo articolo pubblicato sul giornale online l'altra voce.

http://www.altravoce.net/2007/06/30/controllori.html

La lingua e il sistema dei controllori:
tagliato a misura sui mediocri,
non lascia spazio alle voci del dissenso
di Mimmo Bua

Nel suo puntuale, esatto, esauriente e competentissimo intervento a proposito dei “Cococò della limba” Marinella Lőrinczi ci regala un saggio sul come si ragiona sulle cose, anzichè disperdersi negli anfratti o arrampicarsi sugli specchi.

Quel che denuncia nella sostanza, a proposito della gestione, riguarda soprattutto l'assenza di ogni progettualità, la bieca strumentalizzazione delle giovani intelligenze, la totale assenza di interesse, da parte degli addetti ai lavori, a far progredire realmente la causa della lingua e delle lingue isolane. E l'evidente interesse a utilizzarla solo ed esclusivamente, da parte di soliti noti più qualche parvenu, come occasione di procurarsi sinecure, argent de poche e quelle passerelle di prestigio di cui i palloni gonfiati non possono fare a meno per alimentare le gonfiature.

Ovviamente la linguista scienziata si guarda bene dall'usare un linguaggio che è da imputare soltanto alla traduzione dello scettico. Ma sapendola dotata di un senso dell'umorismo d'alta scuola, ritengo che non si stupirà se definisco la sua proposta di rimedio semplicemente inaudita.

Inaudita nel senso del “non ascoltata e non ascoltabile”. Lei infatti propone, addirittura, di dare voce agli scettici e ai dissenzienti, cosa che sa bene essere esclusa o di fatto impraticabile per principio in tutte le forme non solo di “socialismo” ma anche di “democrazia” reale.

Così come i socialismi reali niente avevano a che fare con i socialismi auspicati, neppure le democrazie reali niente hanno a che fare o a che vedere con la democrazia intesa nel senso originario della parola. Trattasi nel migliore dei casi di oligarchie allargate o, come ormai si sta facendo chiarezza anche nel caso del paese italico, di cui l'isola è un'appendice, di caste che gestiscono un sistema molto vicino alla cleptocrazia o alla legittimazione del malaffare.

Vero è che, a differenza degli stati totalitari dell'Est, nelle cosiddette democrazie occidentali per le caste al potere è stato meno agevole (a partire dalla fine della seconda guerra mondiale) soffocare o mettere a tacere il dissenso. Per cui hanno dovuto procedere mediante il controllo capillare dei cosiddetti media, incentrando la comunicazione, oltre che sull'assordante pubblicità dei consumi, sulla sistematica, scientifica, capillare diffusione della falsità e della menzogna.

Certo semplificando, è questa, in definitiva, la caratteristica saliente delle democrazie mediatiche. Che in qualche modo funzionano finchè prevale la falsificazione dell'impossibilità di inventarsi o di realizzare qualcosa di meglio. Pur essendo chiaro alle minoranze del dissenso che l'alternativa sta proprio nella democrazia effettiva, cioè nella democrazia che si definisce partecipativa.

La democrazia partecipativa sembra essere la sola alternativa a quei processi di decisione-manipolazione sia dall'alto che dal basso che Marinella Lőrinczi individua e descrive così bene a proposito della gestione “istituzionale” della questione della lingua.

E non mi pare un caso che il solo organo di informazione “di massa” che in Sardegna abbia reso possibile un dibattito non drogato sulla questione della lingua sia proprio questo giornale del dissenso, la cui testata è non a caso “l'Altra Voce”. Che oltre a dare voce agli esperti e ai più direttamente interessati alla faccenda, ha dato e continua a dar voce anche agli scettici e ai non allineati di cui parla la professoressa Lőrinczi nella sua proposta dei rimedi.

Allora. Le voci del dissenso in questo angolo di mondo - se continueranno ad avere un po' di spazio - dovranno soprattutto impegnarsi in una inflessibile operazione preliminare: quella dello scovamento dei mediocri. Ovvero in un rigoroso impegno teso a sgombrare il campo dalla pochezza e dall'insipienza.

Nell'ambito della politica della lingua, bisogna innanzitutto individuare e scovare (mettere fuori dai covi in cui si annidano) quelli che potremmo definire i coccodè. Trattasi di individui facilmente individuabili per la loro vistosa inconsistenza, non soltanto linguistica in senso stretto, ma culturale in senso ampio. La sola arte nella quale sono diventati esperti è infatti quella ben nota dell'intrallazzo. Costoro si accovacciano nelle pieghe e negli anfratti dell'amministrazione, e da lì fanno le cernite, decidono ammissioni e promozioni sulla base della loro unica competenza: quella dell'intrallazzo, appunto. Li si potrebbe anche definire i burocrati della lingua, ma credo che anche le loro presunte conoscenze burocratiche (delle leggi, dei decreti e dei regolamenti) risultino alla fine come minimo lacunose.

Nel suo intervento, Marinella Lőrinczi mette il dito nella piaga quando osserva: «Se prendiamo alcuni dei bandi attraverso i quali si vuole assumere (temporaneamente) personale per i cosiddetti sportelli linguistici, troviamo tra i requisiti non soltanto la laurea (di tipo umanistico), ma la documentata competenza professionale nelle materie “lingua sarda, sua diffusione, promozione e valorizzazione”, nonché la perfetta conoscenza, parlata e scritta, di una certa variante (che non nomino), eventuali titoli scientifici, traduzioni in sardo, ecc.» (sottolineature nostre).

Chi è chiamato o nominato a verificare tali requisiti?

«Tali competenze verranno verificate non soltanto attraverso il curriculum del candidato, ma anche (a me risulta soprattutto) durante un colloquio, del quale non si dice in che lingua si svolgerà. Vorrei anche vedere come si svolge la verifica della competenza scritta durante un colloquio: con un dettato improvvisato? e secondo quali norme ortografiche? se il candidato intende scrivere diversamente dal commissario - perché no? - prevale il sistema del commissario?».

Domande fondamentali. Direi anche ineludibili.

Ho le informazioni e le prove testimoniali per poter rassicurare la professoressa Lőrinczi che il tutto funziona esclusivamente secondo il “sistema del commissario”. E che tale sistema finisce per essere addirittura inappellabile. O incontrollabile. Basterebbe allora verificare e mettere a punto meglio il sistema dei concorsi? Può essere. Ma bisogna partire dalla serena consapevolezza che quel sistema è stato pensato e congegnato ad arte proprio per venire incontro alle attese e alle pretese dei “controllori” (o dei bigliettai) della lingua sarda.