Capitalismo, il meglio di noi stessi
La nitida analisi di Hoppe spiega che a inquinarci invece è il troppo welfare. Una società puramente capitalistica deve fondarsi su valori tradizionali e su una società borghese
Piero Vernaglione, studioso di filosofia politica, aveva dimostrato nel 2003 di essere uno dei migliori esperti del pensiero libertario pubblicando un trattato ricco e completo sull’argomento (Il libertarismo. La teoria, gli autori, le politiche, Rubbettino, Soveria Mannelli, pp. 613, € 30,00). Ora ha pubblicato con lo stesso editore un altro studio, più agile e snello, che aggiorna e completa il suo precedente lavoro: Paleolibertarismo. Il pensiero di Hans-Hermann Hoppe (pp. 119, € 12,00).
Il paleolibertarianism (letteralmente, “libertarismo all’antica”) analizzato da Vernaglione è una corrente "di destra" del pensiero libertario americano che coniuga la difesa senza compromessi della proprietà privata e del libero mercato con un forte sostegno ai valori morali tradizionali. Il movimento paleolibertario nasce negli anni Novanta, su iniziativa di alcuni importanti esponenti del libertarianism come Murray N. Rothbard, Hans-Hermann Hoppe e Lew Rockwell, in polemica con la deriva troppo hippy e controculturale che aveva assunto il mondo libertario americano, soprattutto all’interno del Libertarian Party. La spiccata sensibilità conservatrice dei paleolibertari si contrappose così alla cultura progressista e relativista dei left-libertarian, i libertari “di sinistra” attenti soprattutto alle cosiddette libertà civili (analoghi per certi versi, ai nostri radicali).
Vernaglione si concentra in particolare sul pensiero filosofico e politico del più rilevante esponente attuale del paleolibertarismo, Hans-Hermann Hoppe, economista di scuola austriaca succeduto nella cattedra del suo maestro Murray N. Rothbard, scomparso nel 1995. Per Hoppe una società puramente capitalista, dove la proprietà privata e il libero mercato sono rigorosamente tutelati, si fonda necessariamente su un sostrato culturale in cui prevalgono i valori tradizionali e la moralità borghese. Per i paleolibertarians - spiega Vernaglione - l’ideale del governo limitato e del liberalismo economico può essere realizzato solo se a livello sociale predomina una cultura conservatrice che stigmatizza la mentalità parassitaria; che ripristina la centralità dello sforzo individuale; che rivaluta l’etica del lavoro, l’impegno, l’affidabilità, la previdenza, la disciplina, la prudenza; che respinge l’egualitarismo e accetta le differenze naturali fra le persone e i ruoli sociali che ne derivano, comprese le gerarchie; che preserva l’autonomia della famiglia e delle altre comunità intermedie; che recupera il patrimonio culturale dell’Occidente e gli standard morali scaturiti dalla tradizione giudaico-cristiana
La storia sembra confermare questa visione, perché le società più liberiste dell’Ottocento, come l’Inghilterra o l’America, non erano affatto licenziose o libertine. Il vecchio ordine capitalistico “vittoriano” non era gaudente o materialistico; non produceva permissivismo, ma un rigido ambiente di lavoro e risparmio. Chi non si atteneva agli standard richiesti veniva punito dal mercato o da severe sanzioni sociali. Per Hoppe gli aspetti culturali negativi che, a torto, vengono spesso addebitati al capitalismo, come l’edonismo o il consumismo, sono in realtà i prodotti dell’espansione dello Stato assistenziale.
Non è un caso che in Occidente la contestazione dei valori tradizionali sia cominciata con la rivoluzione culturale degli anni Sessanta, proprio mentre veniva ampliato a dismisura il sistema pubblico di welfare. Solo con l’espansione della redistribuzione statale si sono potuti diffondere a livello di massa gli stili di vita decadenti, dissoluti e consumistici. Lo Stato sociale infatti fornisce agli eterni adolescenti e ai contestatori delle norme tradizionali le basi materiali indispensabili per vivere una vita “liberata dalla repressione” (capitalistica, religiosa, sociale, famigliare, scolastica) scaricando i costi sui membri produttivi della società.
Sbagliano dunque quei conservatori populisti, come la nostra cosiddetta “destra sociale”, che difendono a spada tratta lo Stato sociale.
Mantenere le istituzioni centrali dell’attuale Stato assistenziale e pretendere il ritorno alle norme e condotte tradizionali, spiega Hoppe, sono obiettivi incompatibili. Si può avere l’uno (il socialismo del welfare) o l’altro (i valori tradizionali), ma non entrambi, perché i pilastri del corrente Stato sociale sono la causa delle anomalie sociali e culturali presenti nelle democrazie occidentali.
Per Hoppe il socialismo e la democrazia sono “gli dei che hanno fallito”, perché hanno favorito una crescita inarrestabile dello statalismo a danno della società civile e della libertà individuale. Contro questi idoli politici contemporanei Hoppe fa l’elogio delle monarchie tradizionali e dell’ordine pluricentrico del Medioevo: un’epoca storica, ancora indenne dai veleni dello Stato moderno, che egli sente molto vicina al suo ideale anarco-capitalista basato su molteplici agenzie di protezione in concorrenza tra loro.
Guglielmo Piombini
(Il Domenicale, 7 luglio 2007)