In un invaso del vercellese le scorie d'Italia
Il Piemonte e la piscina radioattiva
Nella regione il 75% dei rifiuti liquidi radioattivi. Ora inizia il trasloco. E la falda è inquinata
SALUGGIA (VERCELLI) — Visto dall'esterno, l'Eurex sembra una fabbrica qualunque: cancelli, capannoni, reti. Qui, quando l'Italia non aveva ancora deciso di abbandonare il nucleare, si sarebbe dovuto smaltire il combustibile radioattivo delle centrali. Ed è proprio nel Vercellese, in un raggio di meno di venti chilometri, tra le risaie e la Dora Baltea, che è rimasta l'eredità più scomoda della storia che il referendum del 1987 ha chiuso, ma che in realtà richiederà ancora soldi e lavoro fino al 2024. Qui, vent'anni dopo, si concentra ancora il 75% dei rifiuti radioattivi liquidi, i più pericolosi e difficili da smaltire, le barre che si sbriciolavano e che quindi sono state sciolte nell'acido e ora devono essere ricoperte sotto una cappa di cemento. E una buona quota di quelli solidi, arrivati un po' da tutta Italia.
Qui, negli ultimi mesi, sono cominciati i «traslochi», con le barre protette da pesanti coperture di acciaio: la vecchia piscina in cemento dell'Eurex «perde », quella dell'Avogadro è più efficiente, ma nei prossimi tre anni tutto dovrà comunque andarsene verso la Francia. E sempre qui, in questi giorni, otto lavoratori sono stati contaminati, come la stessa Sogin, l'azienda pubblica nata per smantellare il nucleare italiano, ha comunicato a sindacati e media. Ed è ripartita un'antica paura, che il referendum aveva dato l'illusione di aver cancellato per sempre. «Qui non fabbrichiamo il cioccolato, sappiamo che certe cose possono succedere, eppure non dovrebbe accadere più — dice Massimo Paiola, uno dei rappresentanti sindacali —. Invece, quasi tutti i lavoratori dell'Eurex (44 persone, ndr), prima o poi sono stati contaminati». Alessandra Zaramella, anche lei sindacalista, aggiunge: «Abbiamo visto e rivisto insieme le procedure di sicurezza. Sembra impossibile, ma c'è sempre qualcosa che sfugge...».
Gli ambientalisti, che protestano giorno dopo giorno da anni («Qui c'è un susseguirsi di piccoli incidenti che sembrano dimostrare che non c'è un pieno controllo sulla sicurezza — accusa Gian Piero Godio di Legambiente, in prima fila nella protesta —, questi impianti vanno chiusi al più presto»), lo hanno definito «il paradiso del nucleare»: oltre all'Eurex, a pochi metri c'è l'impianto «Avogadro », privato, nato quando la ricerca in questo campo appariva promettente, e più in là la vecchia centrale di Trino con i suoi due grandi camini. Che a vederli fanno più paura delle recinzioni dell'Eurex, anche se per ora danno meno grattacapi agli ingegneri, i primi ad ammettere il ritardo: «Chiudere degli impianti nucleari non è come spegnere la luce in un appartamento. Per anni, ci si è limitati a sorvegliare i siti ormai dismessi e solo da pochissimo si è iniziato un vero programma di decomissioning, cioè di dismissione completa, che significa anche costruire nuovi edifici, soprattutto per mettere in sicurezza i liquidi », spiegano i responsabili di Saluggia. Il neosindaco Marco Pasteris (An) è decisamente più polemico: «Stiamo collaborando con l'azienda e siamo certi che la salute dei lavoratori Eurex è ben tutelata. Ma non siamo d'accordo, e lo abbiamo detto dall'inizio, sul trasloco delle barre all'Avogadro ».
La paura principale, da queste parti, è l'acqua: quella della falda acquifera superficiale, contaminata da dosi sia pure basse di stronzio 90, quella dei pozzi dell'acquedotto che serve cento comuni, vicinissimi agli impianti. Ma soprattutto quella del fiume, la Dora Baltea, che passa accanto all'Eurex e poi scende giù per la pianura. Dopo che l'alluvione del 2000 aveva fatto temere il peggio, all'Eurex hanno costruito un argine, alto 4 metri e profondo 15. Ma all'Avogadro l'argine non c'è: «In quell'area lavorano 1.500 persone, devo tutelarle tutte. È urgente costruire un deposito nazionale dove trasportare tutto. Martedì i sindaci dei Comuni che ospitano rifiuti nucleari andranno a Roma a ricordarlo, e a chiedere le compensazioni previste dalla legge. Con quei soldi voglio realizzare un'indagine epidemiologica per smentire o confermare l'allarme della gente per l'aumento nella zona di tumori che potrebbero essere collegati alla radioattività: i medici di base ne parlano molto ». La Sogin replica, chiarendo che sia le contaminazioni dell'acqua sia quelle dei dipendenti sono molto basse, largamente al di sotto della soglia di rischio stabilita dalla legge. «La nostra è una politica di sicurezza e di trasparenza, sia reale sia percepita — spiega Massimo Romano, amministratore delegato dal febbraio scorso —. Vogliamo creare un nuovo rapporto di fiducia con l'opinione pubblica e far comprendere il nostro lavoro, che non è quello di "fare la guardia" ai vecchi impianti, ma di dismetterli nei tempi e con i costi previsti. Siamo in ritardo, fino ad ora abbiamo realizzato l'8% delle attività previste e speso il 18% di un budget totale di 4.300 milioni di euro». È probabile che oltre al ritardo nei tempi anche i fondi stanziati per riportare gli impianti a «prato verde», come si dice nel gergo degli esperti per indicare il passaggio da un sito nucleare a uno che non lo è più, si riveleranno insufficienti.
L'ultima spesa? Quella per assegnare alla francese Areva il trattamento dei rifiuti solidi per i prossimi 25 anni, 250 milioni di euro. Non è facile smontare il nucleare, e nemmeno le paure. Alla Sorin, l'industria biomedica accanto all'Eurex, c'è chi si mette in ferie ogni lunedì dopo che le barre hanno viaggiato nel weekend: «Non si sa mai, meglio aspettare che l'aria torni pulita».
Vera Schiavazzi
14 luglio 2007