Il personaggio è di quelli che scottano. Controverso e «fascista» per sua stessa ammissione. Ma capace, come accadde già nel 2005 (e lo stabilirono i giudici) di falsare una competizione elettorale. Così come, attraverso i suoi esposti, di far decollare l’inchiesta sulla spartizione dei fondi comunitari in Regione. O, ancora, di far sequestrare discariche pericolose nel Tigullio, e di far cadere con i suoi attacchi l’ex sindaco di Rapallo Ezio Armando Capurro. Andrea Pescino, 63 anni, imprenditore e militante dell’ultradestra, denuncia di aver venduto settemila firme a partiti «in difficoltà». Le sue dichiarazioni saranno vagliate nelle prossime ore dalla Digos.
L’incontro con Pescino avviene in due momenti diversi. Nel primo rivela di aver venduto le false certificazioni. E sentenzia: «L’estrema destra lo ha sempre fatto, in tutta Italia. È un modo per autofinanziarsi». Naturalmente senza esporsi in prima persona, ma con una serie di intermediazioni che convincono l’acquirente. Nel secondo confronto accetta di rispondere alle domande del Secolo XIX, I colloqui sono stati registrati.
La prima domanda: anche stavolta Pescino ha venduto, consegnato o fatto consegnare dati anagrafici per produrre firme false? Risponde senza esitazioni: «Certamente sì, credo che ormai sia una regola invalsa da tutte le parti. Sta diventando quasi una professione, questa». Secondo interrogativo: quante firme ha dato e a quali formazioni? La replica è di nuovo netta: «Sulle quattro province la distribuzione è di circa settemila sottoscrizioni. E però so che altri soggetti in grado di gestire elenchi precedenti, o derivati da situazioni diverse, hanno fatto la stessa cosa. I gruppi che sono legati al candidato oggi presidente (Claudio Burlando), cioè quelli di centrosinistra, ne hanno avuto tra le 4 mila e le 4 mila 200». Ovviamente, la sua azione è stata bipartisan. Così almeno assicura. «Per il centrodestra, per l’area che sostiene Sandro Biasotti, sono state un migliaio in meno. Poi bisogna considerare che una cosa sono le firme consegnate, un’altra quelle davvero utilizzate, perché qualcuno poteva già aver ricavato elenchi da altri».
Pescino rivela l’esistenza di un tariffario. «C’è una legge di mercato che governa queste cose, quindi è ovvio. Ci sono persone che fanno la “professione” dei candidati e compiono investimenti, per poi ricavarne dei benefici. E il prezzo è legato pure dall’interesse di chi le compra. L’esborso aumenta man mano che si avvicina il momento della presentazione delle liste». In questa tornata elettorale qual è stato, allora, il tornaconto economico? Pescino si ferma un attimo, riflette. Quindi chiarisce: «Intorno ai venti, venticinquemila euro, per quelle di cui sono a conoscenza io». L’altro quesito è relativo al modo in cui vengono recuperati i dati “sottobanco”. «Non è tanto difficile - prosegue -, le banche dati che conservino gli elementi fondamentali per una firma ce l’hanno i gestori di compagnie telefoniche e gli impiegati di alcuni uffici pubblici. E tutti quei soggetti che durante l’anno sono in giro a raccogliere firme per le più svariate ragioni, dalla casa di riposo di chissà chi, alla tutela del cane zoppo...
è un sistema che funziona così da quando è iniziato l’obbligo di raccogliere le firme».
Il racconto prosegue: «È ovvio che chi ha questi dati in mano si rende conto che li può utilizzare, che hanno un valore. Magari non sa che cosa farne ed è chiaro che si avvicini a chi sa come funzionano queste cose. Nel 2005 il caso esplose con grande risonanza mediatica, con alcuni nomi in evidenza tra cui il mio. Io so comunque dove recuperare gli elenchi e credo lo sappiano tanti altri. Poi c’è un profilo diverso, che emerse già nell’inchiesta di cinque anni fa». È relativo al “ritiro” delle liste dal mercato, un po’ come il sistema dei paparazzi e delle foto proibite: «Ci sono persone che comprano le liste perché non le utilizzino altri, per cassare dalla competizione concorrenti che potrebbero creare dei problemi. Quando all’epoca venne trasmesso un esposto nei miei confronti, per cui poi andai a giudizio, presentai denunce a carico di altri partiti che si erano mossi allo stesso modo».
Dietro il bluff delle false firme sfoderate in passato, Pescino vuole adombrare un motivo “ideale”. «Noi lo facemmo per creare scandalo, per dimostrare come la procedura fosse e rimanga assurda».
Sulla regolarità delle firme per Burlando il “presentatore”, Michele Bartolozzi, si dice «pronto a mettere la mano sul fuoco». La metterebbe per tutti gli altri partiti che sostengono la corsa dell’attuale governatore? «Io garantisco per le firme del Pd, ognuno si prende le sue responsabilità». Analoga la posizione di Roberto Levaggi, che ha consegnato le sottoscrizioni per il Pdl e Biasotti: «Io vengo dalla vecchia scuola Dc, che ci faceva raccogliere le firme in maniera militare. Su quelle del Popolo della Libertà non ho dubbi». E sulle altre formazioni del centrodestra? «Penso di sì, anche se ognuno risponde per se stesso».