Originariamente Scritto da
SergioA.
Il 16 gennaio 1916, la squadriglia di idrovolanti di Grado deve compiere una missione su Trieste; d’Annunzio vola, in qualità di ufficiale operatore, sull’apparecchio pilotato dal tenente Luigi Bologna. Gli eventi di quel giorno sono raccontati nel diario di Renata, figlia del poeta: “Egli mi racconta che a Caorle avevano ammarato per riparare un piccolo guasto, ma il luccichio del sole sull’acqua aveva ingannato l’occhio del pilota che non aveva potuto misurare bene la distanza, e così l’apparecchio, urtando violentemente sull’acqua, era rimbalzato nell’aria con tale forza, che se egli non fosse stato legato al seggiolino, sarebbe caduto in mare”. Dopo aver subito quel violentissimo contraccolpo, d’Annunzio resta semicieco per qualche ora, poi si riprende, ma solo in parte, continuando ad accusare dolori e disturbi alla vista. All’inizio vede “come una piccola onda”, poi la situazione va lentamente peggiorando. Egli è costretto a costatare che il proprio campo visivo si sta restringendo paurosamente, tanto da non consentirgli neanche di guardarsi allo specchio. Decisosi a farsi visitare, la diagnosi risulta essere durissima: distacco della retina e della coroide dell’occhio destro con versamento retroretinico; ad essa si accompagna, all’occhio sinistro, un’infiammazione derivata dal trauma dell’altro lato; in sostanza il poeta ha ormai quasi certamente perso l’occhio destro e rischia di perdere anche il sinistro. I medici impongono a d’Annunzio cure drastiche e tassative: dovrà restare bendato e immobile per circa due mesi; inoltre gli viene prescritto di parlare pochissimo e sottovoce. Nonostante le cure amorevoli di Renata, l’occhio destro è perso definitivamente ma il sinistro è salvo.
Durante questo periodo di cecità, d’Annunzio riesce però a continuare a scrivere, mediante un’invenzione poco meno che geniale: egli aveva pensato di farsi preparare dalla figlia migliaia di sottili striscioline di carta, i cosiddetti “cartigli”, che gli permettessero di scrivere senza rischiare di sovrapporre le righe. (È importante notare che, secondo il suo stile, l’autore non si accontenta affatto di sfruttare i vantaggi pratici della propria straordinaria invenzione, ma pensa bene di renderla di pubblico dominio). Quando alla fine di novembre del 1921, sarebbe finalmente uscito, il Notturno era già famoso da cinque anni.