COME SAUDITI E IRANIANI HANNO CONQUISTATO L'AFRICA
di Amir Taheri, editorialista, scrittore, autore di The unknown life of the Shah, Hutchinson, 1991. Tratto da African-geopolitics Riduzione di PdL.
«L’Africa è il campo di battaglia principale», dice Ali-Muhammad Taskhiri, consigliere della « Guida suprema » sui temi della « Esportazione » della rivoluzione khomeynista. « In Africa l’equilibrio globale delle forze in campo potrà volgersi in favore dell’islam, nella sua guerra contro l’arroganza mondiale » (Nameh Farhang, Teheran, 22 Aprile 2001).
Il mullah basa la sua analisi su diversi dati.
(…) Intanto l’attesa « esplosione » di conversioni all’islam nelle vecchie repubbliche dell’Unione Sovietica non c’è stata. Anzi, se c’è stata un’evoluzione, è andata in senso inverso, con la conversione di un numero crescente di musulmani in Tatarstan, Bachkortostan e Kazakhstan alle diverse chiese cristiano evangeliche predicate da missioni ricche in dollari, provenienti dagli Stati Uniti. [simile quadro in america latina, dove le chiese evangeliche hanno ogni anno un incremento di fedeli pari a tre volte la crescita del PIL cinese, ndr]
L’Asia è considerata difficile da conquistare, in ragione delle tradizioni e dei valori profondamente radicati nei fedeli induisti, buddisti e shintoisti. Alcuni rapporti islamici dimostrano che il tasso di conversioni all’islam in Asia è declinato costantemente dalla metà degli anni 1990 (rapporto pubblicato dal ministero iraniano della Cultura islamica, dipartimento relazioni internazionali, il 14 gennaio 2001).
Nel sottocontinente indiano e in una vasta parte dell’Asia del sud, specialmente in Indonesia e Filippine [ma anche in Tailandia], la comparsa di gruppi islamici radicali, per lo più terroristi, ha nuociuto al proselitismo dei non musulmani. Tutto ciò contribuisce a rendere l’Africa il campo di battaglia più promettente per gli islamici radicali..
L’interesse dell’Iran per l’Africa nera data da prima della rivoluzione komeinista del 1979. L’offensiva diplomatica aveva preso l’avvio dalla fine degli anni 1960: all’inizio del decennio successivo, l’Iran aveva stabilito relazioni diplomatiche e ambasciate in una trentina di paesi africani. In Africa occidentale, il Senegal era diventato un alleato di riguardo, in ragione del rapporto personale che il presidente Léopold Sedar Senghor aveva sviluppato con lo Sciah. In Africa orientale, il primo riferimento per l’Iran fu il Kenya. A metà anni 1970, l’Iran aveva relazioni « speciali » con molti altri paesi, in particolare l’Africa del Sud, la Somalia e il Sudan. (…) Truppe iraniane aiutavano l’esercito marocchino contro il Polisario nel Sahara occidentale, altre aiutavano a Ogaden i ribelli etiopi anticomunisti. L’interesse comune per il petrolio aveva condotto l’Iran a legarsi con Nigeria e Gabon, due paesi che hanno fatto parte dell’OPEC, grazie anche all’aiuto di Téhéran. A questo si aggiungeva il fatto che lo Sciah aveva individuato nel Gabon la fonte di uranio per la sua industria nucleare nascente.
(...) Lo Sciah era preoccupato di dimostrare una distanza dai regimi islamici, tanto che diventò un sostegno importante nella rivolta del Biafra contro i musulmani nigeriani, il che fu un importante argomento della propaganda condotta contro di lui dai mullah radicali. (…)
I mullah sciiti
Quando i mullah presero il potere a Teheran, nel 1979, ereditarono una rete di relazioni diplomatiche, economiche e militari con numerosi paesi dell’Africa nera. …I mullah cercarono di trasformarla da strumento di interessi nazionali a mezzo per diffondere la loro rivoluzione. Le missioni diplomatiche in Africa passarono da 11 nel 1979 a 32 nel 1989 (nel 1970 l’Iran aveva nell’Africa nera una sola ambasciata permanente: Addis-Abeba). Questa crescita rifletteva largamente l’interesse dell’Iran in favore dei regimi orientati a sinistra, come la Guinea di Sekou-Touré, lo Zimbawe, il Mozambico, l’Angola et l’Etiopia, prima della caduta di Mengistu Haile-Mariam. Nel 1989 la presa di potere in Sudan da parte di militari islamici ha aggiunto questo paese alla lista degli « interessi speciali » dell’Iran in Africa nera. Il Sudan è ben presto diventato il centro dell’interventismo iraniano. Nel 1990, l’Iran beneficiava di un « attracco privilegiato » a Port-Sudan, dove la marina iraniana aveva una presenza quasi permanente e conduceva una missione militare di 400 persone, che aveva lo scopo di addestrare l’esercito sudanese nella sua guerra contro i secessionisti del sud. Teheran ha successivamente commutato un prestito di 189 milioni di dollari contratto dal Sudan nel periodo dello sciah, con un programma di aiuti che includeva la fornitura di petrolio a prezzo ridotto e la consegna di armi per 130 milioni di dollari (…Nel 1993 l’Iran ha aiutato il Sudan nell’acquisto di armi cinesi, costruendo nel frattempo aereoporti e ospedali militari per l’esercito sudanese). Per sottolineare la relazione speciale tra I due paesi, il presidente Ali-Akbar Hashemi Rafsanjani fece due visite di Stato a Khartum…
L’incursione dei mullah in Africa nera non ha avuto sempre successo. Nel 1986, Ali Hassani Khameneï, allora presidente e oggi « guida suprema », si recò in visita a Harare, capitale dello Zimbawe. Rifiutò di stringere la mano alla moglie del presidente Robert Mugabe e non partecipò a una colazione di Stato offerta in suo onore perché Mugabe aveva ammesso la presenza di donne. Di conseguenza venne obbligato a rientrare nella sua ambasciata, interruppe la visita e rientrò a Teheran il giorno successivo. (da Holy Terror: Inside the World of Islamic Terrorism, London 1988).
I mullah iraniani scoprirono che potevano utilizzare la potente ed estesa rete sciita presente in Africa. Vi sono infatti molte comunità sciite di origine siriana o libanese, in quasi tutte le capitali dell’Africa nera. Nell’Africa occidentale hanno in mano buona parte del mondo degli affari, da Nouakchott a Luanda passando da Freetown e Brazzaville. Favorendo le comunità sciite i mullah iraniani raccolsero una grande simpatia, anche se le comunità erano ormai secolarizzate da decenni. (…)
Il risveglio dei Sauditi.
(…) Negli anni ‘80, i Sauditi capirono che la loro pretesa di essere i soli rappresentanti del mondo musulmano veniva messa in discussione dai mullah iraniani. Fu l’ayatollah Ruhallah Khomeyni a definire il regime saudita come « colportore dell’islam americano », chiamando alla « liberazione » di La Mecca e Medina dal controllo degli Al-Saud. Di sicuro i Saud avevano più denaro degli iraniani, ma mancavano di uomini per condurre una controoffensiva. Cercarono di rimediare alleandosi col generale Muhammad Zia ul-Haq, capo fondamentalista del Pakistan. L’alleanza aveva il sostegno americano a causa della campagna in corso contro l’occupazione sovietica in Afghanistan.
Negli anni 1980 l’Africa, senza avere i titoli delle prime pagine dei giornali del mondo, diventò un campo di battaglia della guerra ideologica, diplomatica, missionaria e militare condotta dai sauditi. L’Arabia in dieci anni aprì quaranta nuove missioni diplomatiche nel continente. Cominciò anche a finanziare iniziative sociali islamiche : moschee, scuole coraniche e organizzazioni missionarie.
Gran parte delle risorse impiegate dai wahabiti in Africa proviene da ricchi dignitari di corte. Nel 1997, si è valutato che l’entità degli investimenti era di 150 milioni di dollari all’anno (Cfr. Arab News, Jeddah, 12 March 2000). La somma equivale a ciò che L’Iran spende ogni anno per promuovere la sua concezione di Islam in Africa nera. Malgrado la rivalità, l’Iran e l’Arabia sembrano spesso alleati. In Senegal per esempio i due paesi offrono ricompense in denaro alle famiglie che obbligano i propri bambini a ricoprire il proprio ventre e che portano lo « hijab » (o velo islamico) . Prima del 1979, nessuna donna portava lo hijab in Sénégal. Oggi, si stima che circa il 45 %, delle donne abbia « scelto » questa usanza islamica.
A Zanzibar, che fa parte della federazione della Tanzania, l’Iran e l’Arabia finanziano tutti e due i gruppi islamici ribelli che combattono per la secessione.
(…) In molte regioni del continente wahabiti e sciiti sono riusciti a presentare il cristianesimo come la religione delle potenze coloniali e imperialiste, colpevoli della instabilità e della povertà dell’Africa. Dichiarano che i valori islamici hanno molto in comune con la tradizione africana – come il predominio della proprietà « comune », la distinzione tra uomini e donne, la tolleranza verso la poligamia. I missionari islamici affermano che il cristianesimo è la religione dei ricchi, ed è straniera alla maggior parte degli africani… è interessante notare che molti cristiani africani condividono questo punto di vista.
Iraniani e sauditi predicano che la democrazia è un concetto occidentale, tendente a perpetuare l’influsso coloniale. Il fatto che l’esperienza della democrazia è stata quasi sempre devastante… offre il destro a queste asserzioni. L’Islam diventa così un potente mezzo di espressione della collera africana contro il ricco occidente governato dagli Stati Uniti.
Successo in Nigeria.
Documenti ufficiali dichiarano « una serie di successi per l’islam » in molti paesi africani. Un rapporto iraniano stima che circa l’80 % degli Africani neri sarà islamico nel 2020. Un esempio di questo successo è la Nigeria, dove la sharia, introdotta inizialmente nello Zamfara, piccolo Stato del nord, nel 1999, si è poi estesa a dodici stati fino a raggiungere nel 2002, un terzo dell’intera popolazione nigeriana, che conta 120 milioni di abitanti.
Ciò è successo mentre la Nigeria usciva da sedici anni di regime militare corrotto, ed subiva la presenza di una classe di ricchi parassiti di governo mentre la popolazione era impoverita. In queste condizioni l’esperienza di Zamfara colmava un vuoto. Pochi mesi dopo l’introduzione della Sharia – grazie all’amputazione degli arti nei confronti dei ladri- il tasso di criminalità era caduto al livello più basso della storia. Terrorizzate dai gruppi islamici militanti, le donne oggi indossano lo « hijab » divenuto obbligatorio mentre le scuole miste vengono chiuse. Chi commette adulterio viene impiccato o lapidato…
A Kano, capitale del nord Nigeria, la islamizzazione è stata sancita dalla più grande manifestazione mai vista nella città. I capi musulmani locali utilizzano la sharia per destabilizzare il governo del presidente Obasanjo, che è cristiano. In termini di violenze, il prezzo è stato alto. Tra il 1999 e il 2002, circa 5 000 nigeriani sono stati uccisi nel corso degli scontri tra islamici radicali contro cristiani e animisti.
« L’islam sta vincendo », dice il reverendo Benjamin Kwashi, vescovo anglicano di Jos, città del centro Nigeria. « …Anzi, ha già vinto ed avanza rapidamente. Per molti africani sembra logico ricusare i valori laici dell’america e dell’Europa, l’egoismo e l’esibizione del corpo femminile, così abbracciano la fede islamica » (Intervista a BBC news, 21 giugno 2000).
(Di recente il vescovo ha subito la morte di 500 persone, uccise nel corso di scontri coi musulmani di Jos, che avevano lanciato una campagna per la chiusura e distruzione delle chiese cristiane locali).
Nell’Africa orientale, in Kenya, Tanzania e Uganda, combattono almeno nove gruppi fondamentalisti. Tutti ottengono aiuti da Sauditi, iraniani e dal Sudan, che offre canali di comunicazione e rifugio. ... Nel Corno d’Africa questi stessi stati incoraggiano e finanziano l’imposizione della Sha’riah in Somalia, dove non c’è più uno Stato. In Sudan e Ciad, la scoperta di giacimenti di petrolio ha aggiunto una nuova carne al fuoco.
Nell’Africa occidentale, gli aiuti iraniani e sauditi sono confluiti soprattutto in Costa d’Avorio. Teheran e Ryad affermano che i musulmani sono già maggioranza nel paese. (…)
Anche nei paesi a maggioranza islamica, come il Niger e il Mali, confluisce l’attenzione dei missionari iraniani e sauditi. In Guinea e Senegal si sono formati dei gruppi islamici, costituiti come piattaforme permanenti di agitazione politica antigovernativa. In Sierra Leone, gli islamici hanno accelerato il ritorno al potere di Ahmad Tijan Kabba, dopo la sua deposizione da parte di ribelli cristiani e animisti (…)
Rivalità e cooperazione.
Nel 1997, il principe ereditario saudita Abdallah Ibn Abdel-Aziz si è recato a Teheran, riprendendo i primi contatti tra i due paesi dopo il 1978. L’Africa ha avuto un posto di riguardo nell’agenda delle discussioni col presidente Muhammad Khatami, un mullah che aveva condotto la «esportazione della rivoluzione » in tutti gli anni 1980.
I due uomini si sono accordati nel porre fine alle controversie e riunire gli sforzi contro le chiese cristiane d’Africa, ma anche contro i movimenti sufiti e laici presenti in diversi stati africani.
Nel frattempo la Libia, terzo grande attore islamico nel continente, si è trovata di fronte a una ribellione islamica interna, e ha scelto di evidenziare « valori africani », mai definiti per altro, piuttosto che predicare l’Islam. Facendosi paladino dell’idea degli Stati Uniti d’Africa, Gheddafi si è esposto alle critiche dei panislamisti iraniani e sauditi. L’islam radicale incontra ancora resistenza da parte delle religioni africane tradizionali e molte confraternite sufi considerano l’islamismo radicale, in ogni sua forma, come estraneo alla tradizione islamica e dannoso. Ma questi movimenti non hanno un appoggio da parte di un qualsiasi stato, mentre devono contrastare ideologie rivali foraggiate da due tra i più ricchi stati musulmani.
(…) « L’Africa è posto del mondo in cui l’islam può dimostrare la sua superiorità sul sistema occidentale corrotto », afferma Ali-Muhammad Taskhiri. « Questo sarà il secolo dello scontro tra le civiltà. E chi vincerà in Africa ha ottime possibilità di vincere nel mondo intero».