“A futura memoria (se la memoria ha un futuro)”.
L. Sciascia
LA PESTE ITALIANA
Dopo la rovina del Ventennio fascista
il Sessantennio partitocratico di metamorfosi del Male
Una storia di distruzione
dello Stato di diritto e della Democrazia
e di (re)instaurazione di un regime (neo)totalitario
‘‘Nei Paesi democratici, la scienza dell’associazione è la scienza-madre; il progresso di tutte le altre dipende dal progresso di quella”.
“Una nazione che non domanda al suo Governo altro che il mantenimento dell’ordine è già schiava nel fondo del cuore”.
A. de Tocqueville
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’.
C.L. Montesquieu
A cura di:
Gruppo di Iniziativa di Satyagraha 2009
per lo Stato di diritto e la Democrazia cancellati in Italia
coordinato da Antonella Casu e Marco Cappato
Introduzione
Dal primo gennaio 1948, nel momento stesso della sua entrata in vigore, inizia immediatamente il processo di snaturamento e svuotamento della Costituzione; da qui i partiti cominciano a impadronirsi del sistema politico e a cancellare lo Stato di diritto; da qui parte la negazione dei fondamentali diritti civili e politici dei cittadini italiani.
Il “partito plurale”, naturale prosecutore ed erede del “partito singolare” fascista, governa sapientemente, alla Costituente, l’afflato radicalmente riformatore, democratico, antifascista scaturito dalla sconfitta del nazifascismo nella guerra del 1939-45. La nascente partitocrazia veste l’abito della democrazia e ne assume il lessico, come armi utili a salvare l’essenziale: il proprio “libero arbitrio” non sorretto da alcun ordinamento e non sottoposto ad alcuna legge. Questo “Partito della Prima Repubblica” agisce da subito, nella sua organizzazione, contro la funzione costituzionale fissata dall’articolo 49 della Carta fondamentale.
Per quasi un quarto di secolo, gli italiani sono privati di due dei tre principali strumenti istituzionali che la Costituzione aveva previsto per l’esercizio della sovranità popolare. Tanto la scheda referendaria quanto quella per le elezioni politiche regionali sono sottratte, fino al 1970, alla vita democratica della Repubblica.
La Costituzione assegna ai cittadini il potere di partecipare all’attività legislativa principalmente attraverso tre tipi di voto: quello elettorale nazionale, per scegliere i membri delle due Camere; quello elettorale regionale, per le 20 assemblee legislative in base alla nuova suddivisione territoriale dello Stato; infine quello referendario, per vagliare ed eventualmente correggere, mediante l’abrogazione totale o parziale, le leggi varate dal Parlamento.
Questi tre voti, nel loro insieme, rappresentano la straordinaria intuizione innovativa dei Costituenti, che storicamente hanno vissuto l’esperienza dei regimi totalitari, e che quindi decidono di fondare il nuovo sistema democratico su questi tre pilastri. Alla tradizionale istituzione parlamentare essi aggiungono altri due strumenti di esercizio della sovranità popolare.
In queste pagine, è descritta una lunga e continuata strage di leggi, di diritto, di principi costituzionali, di norme e di regole che avrebbero dovuto governare la convivenza civile della democrazia italiana.
Con un’avvertenza: la strage di legalità ha sempre per corollario, nella storia, la strage di persone.
Da 60 anni, in Italia, al regime fascista del Partito-Stato ha fatto seguito il regime “sfascista” dello Stato dei Partiti. Da 60 anni, una puntuale e sistematica violazione della Costituzione viene dolosamente consumata contro il popolo italiano, quel “demos” che vive deprivato delle condizioni minime di conoscenza e legalità, necessarie per esercitare il potere sovrano in forma legittima. In Italia non c’è democrazia, ma partitocrazia, oligarchia, vuoto di potere, arroganza del potere, prepotenza e impotenza. Non esiste Stato di diritto, ma arbitrio di regime.
L’ultimo arrivato Silvio Berlusconi e i suoi detrattori e accusatori sono in realtà l’espressione (finale?) di una identica vicenda politica. Sono affratellati da un comune destino, per ora illegale e drammatico, domani probabilmente anche violento e tragico. Lo sbocco è quasi obbligato.
Il nostro tentativo, la nostra lotta, sono tutti racchiusi in quel “quasi”. La nostra speranza è di rappresentare una speranza: l’alternativa radicale possibile di una democrazia fondata sulla libertà di associazione e partecipazione, sulla libertà di informazione e conoscenza, sulla libertà della persona. Soprattutto sul rispetto del diritto e della legge, come fonte suprema di legittimità delle istituzioni.
Qui di seguito, raccontiamo quella illegalità e questa battaglia. E’ il nostro contributo alla ricostruzione della verità. E’ una storia diversa dalla “storia ufficiale”. E’ una lettura diversa di fatti ed eventi certi, documentabili e precisamente documentati, e proprio per questo pressoché sconosciuti, ignorati, nascosti.
La nostra azione è diretta e nonviolenta, di dialogo. Lottiamo per scongiurare la violenza tremenda e tragica che vediamo inesorabilmente avanzare.
Portiamo al petto una stella gialla, con umiltà e con dolore, come toccò in sorte agli ebrei europei poco più di 60 anni or sono. La nostra stella gialla è un’esclamazione e un richiamo, affinché quel “segno” non sia nuovamente premonitore e anticipatore della umiliazione e della condanna di milioni di esseri umani. Già una volta, nel 1938, la democrazia europea morì a Monaco. Poco dopo perirono non “solo” 6 milioni di ebrei, ma 60 milioni di uomini, donne, vecchi e bambini di tutta Europa.
Questo non è un libro. E’ un “Satyagraha”, cioè la ricerca della verità. E la sua forza.
La storia scritta in queste pagine è anche la nostra storia, ma è soprattutto la “vostra” storia.
E’ la nostra “lettura”. Coraggio, e buona lettura.
Capitolo 1
FATTA LA COSTITUZIONE NE INIZIA LA DISAPPLICAZIONE
Da subito i partiti che nell’Assemblea Costituente hanno elaborato e votato la Costituzione, si adoperano per svuotarla, vanificarla, impedirne l’attuazione: le regole democratiche che i deputati costituenti hanno posto alla base della Carta fondamentale dello Stato sono, da subito ed ampiamente, disattese. E' così che parte la prima cancellazione dello stato di diritto . Coloro che con calore si proclamano custodi della Costituzione e che la dichiarano intoccabile, dimenticano di confrontarsi con essa e di ricordare tutte le violazioni che la Carta fondamentale ha subito fin dalla sua entrata in vigore il 1° gennaio 1948.
1.1 La mancata abrogazione della legislazione fascista
Da quella data, 1° gennaio 1948 e per molti anni ancora, coesistono una Carta fondamentale con intenti democratici e, di fronte ad essa, tutta la legislazione ordinaria, approvata durante il fascismo, ampiamente incostituzionale. Inutilmente si chiede, da parte del Partito d’Azione oltre che di pensatori e studiosi, l’abrogazione della legislazione fascista e la modifica, per gradi della preesistente legislazione dello stato liberale. Questo ritardo genera in molti casi la “assuefazione” alla logica che ispira le leggi del regime: ne è un esempio la riforma della legge sulla stampa del 1963 che, istituendo l’Ordine, ribadisce e ulteriormente irrigidisce l'esistenza e le regole dell'Albo dei giornalisti, istituito nel 1923 da Mussolini per controllare la stampa e impedirne la libertà.
1.2. La tardiva e parziale attuazione dell’ordinamento costituzionale
L'Ordinamento dello Stato delineato nella Costituzione non è stato attuato prontamente in tutti gli organi previsti. In particolare i ritardi nell’attuazione della Costituzione hanno riguardato proprio gli istituti pensati dal costituente come correttivi alla forma di governo parlamentare, in quanto limiti strutturali al potere della maggioranza: il controllo di costituzionalità delle leggi e sui conflitti tra poteri dello Stato (la Corte costituzionale), l’autonomia dell'ordine giudiziario nell'esercizio della giurisdizione (il Consiglio superiore della magistratura), le autonomie territoriali con potestà legislativa (le Regioni), il controllo popolare sulle scelte legislative di maggioranza (il referendum abrogativo).
Le Regioni e la loro mancata attuazione costituiscono la clamorosa inadempienza del dettato degli articoli 114-133. I più illuminati costituzionalisti e docenti insistono affinché le elezioni per i consigli regionali si tengano contemporaneamente a quelle per il primo Parlamento repubblicano. E’ invece approvata la VIII disposizione transitoria, la quale stabilisce che le elezioni regionali siano “indette” entro un anno dalla entrata in vigore della Costituzione, cioè il 1° gennaio 1949. Si giunge però al mese di dicembre 1948 senza nessuna novità in proposito. Si hanno in quel mese due iniziative: la prima è di rinvio - unica ipotesi a quel punto possibile – contenuta nel disegno di legge costituzionale presentato dal repubblicano Giulio Bergmann al Senato, che intende prorogare all’8 ottobre 1949 il termine stabilito dalla VIII disposizione; la seconda, del Governo, che presenta due disegni di legge il 10 dicembre, firmati dal Presidente del Consiglio. Uno intende dettare “Norme per la elezione dei consigli regionali e degli organi elettivi delle amministrazioni provinciali”, viene accompagnato dalla procedura d’urgenza. L’altro ha come scopo quello di provvedere alla normativa per la costituzione e il funzionamento delle Regioni”. Sui due testi inizia in Commissione un dibattito inconcludente e contraddittorio.
In questo clima viene presentata alla Camera, il 16 luglio 1949, dal democristiano Roberto Lucifredi, la proposta di legge (n. 699) “Proroga del termine per l’effettuazione delle elezioni dei consigli regionali e degli organi elettivi delle amministrazioni provinciali”. Tra rinvii e dimenticanze solo dopo 22 anni di ritardo vengono eletti i consigli delle Regioni ordinarie, che si aggiungono a un ordinamento già esistente, con un danno mai più recuperato per la architettura ordinamentale disegnata dai costituenti.
Il Senato, previsto nel dibattito in seno alla Commissione dei 75 e nelle sue successive articolazioni come la Camera delle autonomie, si riduce nella composizione e nelle funzioni a una copia della Camera dei deputati. Nell'art. 60 della Costituzione ha una durata diversa: sei anni invece di cinque. Ma l’elezione delle due Camere per la seconda legislatura repubblicana si svolge contemporaneamente il 7 giugno 1953: l'artificio è quello dello scioglimento anticipato del Senato. Si introduce di fatto una rilevante modifica istituzionale senza neppure darle la dignità di un’apposita legge costituzionale preceduta da un dibattito parlamentare. Solo nel febbraio 1958 (alla vigilia delle elezioni per la terza legislatura) dopo un improduttivo dibattito sulle diverse proposte di riforma della seconda Camera, si approva la legge 64 del 27 febbraio 1958 che stabilisce in cinque anni la durata del Senato, cancellando ulteriormente la diversificazione tra le due Camere.
Il Referendum popolare abrogativo è un istituto previsto e fortemente sostenuto da grande parte dei costituenti, ma per la legge applicativa si dovrà aspettare fino al 1970. Il voto referendario si affianca con pari dignità a quello elettivo nello schema di Costituzione che il presidente della Costituente, Meuccio Ruini, presenta alla Commissione dei 75 in seduta plenaria il 28 novembre 1946, a conclusione dei lavori delle sottocommissioni. Si legge infatti, in quello schema sotto il titolo III sui “Diritti politici”: diritto di voto; di referendum; di iniziativa legislativa; di petizione”.
Il testo della Costituzione inserisce l’istituto referendario nella sezione che riguarda “La formazione delle leggi”, viene quindi riconosciuto al popolo - soggetto cui appartiene la sovranità ex art. 1 - di partecipare al potere legislativo attraverso la possibilità di abrogare in tutto o in parte le leggi approvate dal Parlamento.
L'art. 75, circostanziato e preciso, stabilisce - comma secondo - le leggi sulle quali non è possibile chiedere il referendum, sancendo così che su tutto il resto il ricorso a questo istituto è ammissibile. Il quinto e ultimo comma dell'art. 75 recita: “La legge determina le modalità di attuazione del referendum”. Dunque sono solo le modalità di attuazione sulle quali deve intervenire la legge ordinaria. L'unico controllo che il legislatore costituente affida alla magistratura riguarda la regolarità delle firme e delle procedure di raccolta e, nel merito, che il contenuto delle leggi sottoposte a referendum abrogativo non sia compreso nelle tre fattispecie di legge (solo tre) stabilite nel secondo comma dell'art. 75. E' noto come le diverse leggi per così dire attuative dell'art. 75 che si sono susseguite nel tempo (sempre più restrittive fino a quella che consente al ministro “competente” di chiedere la sospensione degli effetti abrogativi del referendum per sei mesi, confondendo così oltretutto il potere esecutivo con quello legislativo) abbiano calpestato il diritto, l'impegno civile e politico e la volontà di milioni di elettori.
La Corte costituzionale, l’organo fondamentale cui spetta il vaglio di legittimità costituzionale delle leggi e da cui avrebbe dovuto dipendere una rapida e manifesta soluzione di continuità con la legislazione del regime fascista, viene istituita solo nel 1956, otto anni dopo la promulgazione della Costituzione. Il Consiglio Nazionale dell’ Economia e del Lavoro (Cnel) entra in funzione nel 1957, il Consiglio Superiore della Magistratura nel 1958. L’interregno precedente all’attuazione di parti fondamentali della Costituzione repubblicana rischia di pregiudicare la natura e la tenuta democratica della giovane Repubblica, con il mantenimento in vigore dei codici e della legislazione fascista e la pericolosissima distinzione operata dalla Corte di Cassazione – nel suo interim di vicarietà fino all’istituzione della Corte costituzionale – nel distinguere tra norme costituzionali prescrittive e norme meramente programmatiche.
I partiti e i sindacati. Appena approvata, la Costituzione della Repubblica incontra nei partiti i suoi più fieri avversari. Il Parlamento dei partiti si caratterizza, per dolo od omissione, come principale organo anticostituente. I fondamenti formali della nuova Costituzione: sovranità popolare e Stato di diritto, sono soppiantati da quelli di fatto di “sovranità partitocratica” e “costituzione materiale”, gli unici, sin da subito e ancora oggi - dopo sessant’anni - vigenti. Dopo il Ventennio fascista si volta pagina, ma non vi è vera e propria soluzione di continuità. Accade solo che al partito unico del Fascio subentri il “fascio” unico dei partiti: tutti e subito consociati contro la volontà popolare e la legge scritta. Non è un caso che la “disattuazione attiva” di parti fondamentali della Costituzione operata dal Parlamento, che perdura tutt’oggi, riguardi anche e innanzitutto quelle relative alla disciplina dei partiti (articolo 49) oltre che dei sindacati (articolo 39). Per i partiti la Costituzione impone il “metodo democratico” come condizione essenziale per la loro esistenza, ma tale imperativo - in mancanza di una legge attuativa - è rovesciato in pratica nel suo contrario, per le mancate garanzie accordate, all’interno dei partiti, ai diritti fondamentali previsti dalla Costituzione stessa. Nel caso dei sindacati, si decide di non procedere alla loro registrazione in nome di una “intangibile” autonomia che si presume sarebbe violata dai controlli della Corte dei conti.
1.3 Il processo di ulteriore degenerazione partitocratica
Nei decenni successivi, questo processo degenerativo – che costituisce l’oggetto di questo documento - ha via via investito tutti gli organi e le istituzioni repubblicane.
Il Presidente della Repubblica, cui la Costituzione assegna il compito supremo di garanzia della Costituzione nei rapporti fra poteri dello Stato – un compito regolato dalla attribuzione di precisi poteri - si trasforma gradatamente, dopo la presidenza provvisoria di De Nicola e il primo settennato di Luigi Einaudi, in un organo di mediazione tra le forze politiche.
Il Parlamento, se si escludono fino agli anni 70 alcune lontane, importanti eccezioni (diritto di famiglia, statuto dei lavoratori), rinuncia ad affrontare le riforme e legifera soprattutto attraverso leggi di emergenza e il crescente ricorso dei governi ai decreti legge, mentre i parlamentari vedono limitare e subordinare alla disciplina di partito la loro funzione di rappresentanti della volontà popolare “senza vincoli di mandato”; l’obbligo di pubblicità dei lavori parlamentari rimane lettera morta fino all’avvio delle trasmissioni clandestine delle sedute a opera di Radio Radicale nel ‘76.
Per quanto riguarda i partiti, la mancata attuazione della norma costituzionale riguardante il loro funzionamento democratico viene aggravata dalla approvazione della legge sul finanziamento pubblico, concepita in modo da sottrarli a ogni controllo pubblico.
La stessa Corte costituzionale, dopo aver esercitato per un quindicennio un rigoroso sindacato di costituzionalità, viene sempre più condizionata dai partiti nella sua composizione e nella sua giurisprudenza, come dimostrano le decisioni contraddittorie prese in materia di ammissibilità dei referendum, nelle quali essa ampiamente travalica i compiti attribuiti dall’art.75 della Costituzione.
Lo stato della Giustizia, sia penale sia civile, fa sì che l’Italia sia il Paese più condannato dalla Corte europea dei diritti umani, in particolare per la durata dei suoi processi, e ha come conseguenza una sistematica impunità e incertezza del diritto.