Libero, 13 febbraio 2007
di Antonio Martino
Il numero dei commenti al disegno di legge di iniziativa governativa sui diritti dei conviventi è assolutamente spropositato e questo sia perché fra il dire ed il fare c’è di mezzo il Parlamento (e non si vede perché il governo non abbia lasciato ad esso l’iniziativa), sia perché il numero di persone da esso interessate è, credo, molto piccolo. Premetto che del provvedimento so solo quanto hanno scritto i giornali, il che non equivale a dire che sono informato: come sosteneva Mark Twain, se non leggi i giornali non sei informato, ma se li leggi sei disinformato. Malgrado ciò, corro il rischio di contribuire all’inflazione di commenti sul tema aggiungendo il mio personalissimo parere.
Premetto che da quasi 40 anni pratico il matrimonio indissolubile e sono stato e sono felicissimo di questa mia scelta. Tuttavia, non mi è mai venuto in mente non dico di imporre ad altri la stessa opzione, ma nemmeno di predicarne la bontà. A me è andata benissimo, ma non è scritto da nessuna parte che ciò che va bene per me debba valere anche per altri. Sono fermamente convinto che ognuno di noi abbia, per usare le parole della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti, un inalienabile diritto, non solo alla vita ed alla libertà, ma anche alla ricerca della felicità. Ognuno di noi compie le sue scelte in base alle proprie preferenze ed ha il diritto di farlo in piena libertà ma non ovviamente quello di imporle ad altri o di predicarne la superiore, assoluta bontà.
Provo un certo fastidio nei confronti di quanti predicano con fervore illimitato il valore assoluto e generale della famiglia fondata sul matrimonio, specie quando i predicatori conducono una vita dedita al libertinaggio e pullulata di mogli abbandonate. Delle tre possibili categorie di cattolici – il cattolico liberale (pratica il cattolicesimo ma non ha la pretesa di imporlo agli altri), il cattolico integralista (che lo pratica e vuole imporlo agli altri), il cattolico libertino (non lo pratica ma vuole imporlo agli altri) – è quest’ultimo che maggiormente detesto.
Detto questo, non vedo proprio perché tutti i casi possibili di non-matrimonio debbano essere regolamentati per legge in base ad un unico modello. Ritengo, invece, che queste situazioni, tutte quelle possibili e che non ricadono certo sotto un’unica fattispecie, debbano essere affidate a quello che è uno dei principi fondamentali del liberalismo, la libertà di contratto. In un magistrale articolo apparso sul Corriere della sera e poi ripreso dal Foglio del lunedì, Magdi Allam ci ha spiegato come nel mondo islamico il matrimonio sia semplicemente un contratto, redatto in fronte ad un notaio, le cui clausole sono stabilite dai contraenti in base alle proprie esigenze. In questo caso (e, temo, solo in questo) credo che dovremmo imitare il mondo islamico: non si vede perché le convivenze non-matrimoniali non possano essere regolate in base a quanto decidono le parti interessate. Se si seguisse questo elementare principio di civiltà liberale, sono certo che le regole adottate dai conviventi sarebbero molto diverse a seconda dei casi. Perché, invece, abbiamo la luciferina presunzione di imporre a tutti un vestito della stessa taglia? Perché non lasciamo che a decidere in base a quali regole convivere siano gli stessi interessati, che conoscono meglio di chiunque altro cosa sia meglio adottare nel loro interesse?
La libertà di contratto è pre-condizione necessaria di moltissime libertà fondamentali. Se due adulti consenzienti vogliono stipulare un contratto su qualcosa che riguarda soltanto loro, che diritto ha lo Stato di impedirglielo? Solo nel caso in cui un accordo ha implicazioni per soggetti terzi esiste, in generale, lo spazio per una disciplina legislativa. Ma se l’accordo riguarda soltanto i due contraenti non si vede proprio perché politici e burocrati debbano interferire. Se potessi, aggiungerei un 140° articolo alla nostra Costituzione: la legge non impedisca atti di capitalismo fra adulti consenzienti.
Infine, quanto alla giaculatoria ripetuta fino alla nausea dai sinistri secondo cui con questa iniziativa vengono introdotti nuovi diritti, prescindendo dalla ridicola presunzione che i politici abbiano un potere illimitato di creare diritti (a costo zero?), si tratta solo del camuffamento di un vecchissimo vizietto dei sinistri: estendere senza limiti l’ambito dell’assistenzialismo di Stato, con le conseguenze arcinote per le nostre tasche e per la nostra libertà. Siamo passati da un assistenzialismo statale che andava “dalla culla alla tomba” ad uno in cui, se li lasciamo fare, andrà “dall’erezione alla resurrezione”!