Ha sicuramente ragione Maurizio Blondet. La guerra contro l’Islam, attraverso la quale – così ci era stato detto – l’Occidente avrebbe difeso la propria identità contro l’avanzata della cultura araba, mancava dell’elemento costitutivo: un’identità occidentale superstite da difendere e per cui lottare. Siamo andati in Iraq e in Afghanistan armati fino ai denti, ma senza avere idea di chi o cosa siamo. Praticamente disarmati. E’ per questo che stiamo perdendo la guerra e la perderemo (oso dire: grazie a dio) in modo disastroso.
Quale sarebbe l’”identità occidentale” in difesa della quale stiamo sterminando milioni di persone al servizio di USA e Israele? Quali sono i valori morali e la tradizione culturale in nome dei quali ci viene ordinato di marciare, armi in spalla, contro l’orda degli infedeli? Provo a dare un’occhiata ai giornali, anzi, al giornale per eccellenza, quella Repubblica divenuta ormai simbolo e quintessenza dell’intero panorama dell’informazione e della cultura nel nostro paese.
Una settimana fa, Repubblica ha pubblicato nel suo inserto glamour-modaiolo, Velvet – già di per sé un bell’esempio di identità occidentale – un servizio in cui alle redattrici (sconosciute, precarie e probabilmente disposte a tutto pur di tenersi il posto di lavoro) veniva richiesto di descrivere i propri culi. L’interessante reportage è stato pubblicato a pag. 178 dell’inserto. Un contributo decisivo all’epistemologia dell’etica europea, oltre che, naturalmente, un caratteristico esempio di ciò che Repubblica intende per “informazione”.
In un altro articolo che compare sull’edizione online del giornale (spiacente, ma ormai mi rifiuto di spendere anche solo pochi centesimi per leggere la versione cartacea) si parla delle consuete mattanze vacanziere sulle strade. L’ultimo grido è il fenomeno dei “folli” che si lanciano contromano, a tutta velocità, sulle corsie autostradali. La fotografia mostra l’immagine familiare di un serpentone di automobili imbottigliato sotto il solleone, anelante ad una spiaggia che verrà raggiunta chissà se, chissà quando, chissà in quali condizioni d’integrità fisica. L’articolo evoca immagini di pazzia suicida, di cupio dissolvi, d’immobilismo disperato, di anelito a poche micragnose ore di svago omologato pagate con sacrifici incommensurabili e a volte con la vita. Una rappresentazione perfetta della società occidentale e della sua “way of life” che ci viene richiesto di proteggere a suon di pallettoni dall’invasione dei barbari. Chi ha voglia di difendere questa roba si accomodi pure. Io, se mi resta qualche lira, preferisco andarmene in montagna. Tutti i ribelli ci vanno, prima o poi.
Altro articolo, altro valore dell’Occidente: la cocaina, autentica istituzione patriottica che alcuni malvagi extracomunitari hanno osato profanare mescolandola con atropina e altre sostanze non previste dalla ricetta classica. Per fortuna i malvagi sono stati arrestati e i valori dell’Occidente sono salvi. I nostri figli possono tornare a imbottirsi serenamente narici e cervello di questo caposaldo dello stile di vita europeo, che una volta liberato dall’atropina torna ad essere, come lascia immaginare l’articolo, un benefico e salutare passatempo per ogni giovane patriota.
Si potrebbe andare avanti per interi volumi, ma direi che basta così. Questo letame, questa disperazione, questo rimbecillimento chimico collettivo è ciò che rimane di una tradizione culturale millenaria. Un detrito, un immondo sedimento fecale di un cammino scientifico, letterario, filosofico durato secoli e oggi morto e marcito lasciando dietro di sé il proprio cadavere infetto. Questa cosiddetta “identità occidentale” è così sterile da rendere impossibile anche la semplice attribuzione di senso alla vita di un singolo individuo. Figuriamoci se è pensabile farne uno stendardo con cui vincere una guerra di civiltà. Mi chiedo: perché siamo morti? Chi o che cosa ci ha ridotti così e da quando? Chi ci ha resi incapaci di combattere una guerra di civiltà per manifesto decesso del secondo termine?
Più ci penso, più mi viene in mente una data precisa: 1945, fine del secondo conflitto mondiale, poco più di 60 anni fa. L’Europa è stata assassinata, maciullata, bombardata a tappeto, sconfitta e umiliata dalla ferocia di una nazione straniera priva di onore e di pietà. Si sono proclamati nostri “liberatori” mentre ci strappavano via la memoria storica e il rispetto di noi stessi. Ci hanno imposto i loro costumi, il loro cibo, il loro spaventoso modello di vita e hanno preteso che li ringraziassimo. Hanno sopraffatto la violenza e la barbarie del nazismo – che era orribile, ma era nostra – per portarci la loro violenza e la loro barbarie, mille volte più spaventosa. Ci hanno resi servi, imponendoci i loro governi fantoccio e seminando stragi quando l’emergere di un barlume di consapevolezza politica rischiava di rovesciarli. Da sessant’anni ci tengono in pugno, ricattandoci col senso di colpa che è il segreto di ogni potere, piccolo e grande. E’ a questo che servono la menzogna dell’olocausto e il mito dello sterminio ebraico. “Io chiamo discorso di potere”, scriveva Roland Barthes, “ogni discorso che genera la colpa, e di conseguenza la colpevolezza di chi lo riceve”. E’ col senso di colpa che il carceriere tiene in pugno il carcerato, il padrone l’operaio, il vincitore il nemico sconfitto. Colpevole perché sconfitto. Niente provoca di più il potere del rifiuto dei “colpevoli” di accettare la propria indegnità e la conseguente sottomissione. Chi si libera della colpa cessa di essere vittima, rifiuta di farsi definire dagli altri, recupera forza, dignità e – soprattutto – l’identità di cui la dipendenza dalla definizione altrui lo aveva privato.
E’ per questo che ho deciso di rifiutarmi, da adesso in poi, di maledire il fascismo e il nazismo. Questi movimenti non sono stati, come continuano a ripeterci i nostri carcerieri, “il male assoluto”. Sono stati eventi storici, con le loro luci e le loro ombre, non peggiori né migliori di tanti altri eventi che hanno caratterizzato la storia di qualsiasi paese europeo o extraeuropeo. Nel bene e nel male sono parte della nostra storia e della nostra identità culturale. E’ la rimozione coatta del loro significato e dei loro veri lineamenti che ci ha resi il nulla che siamo. Ci hanno costretto ad esorcizzarli, a pensarli come eventi separati dal resto della storia europea, un po’ come quando pensiamo al diavolo come entità vivente per convincerci che il male sia qualcosa di esterno a noi, indipendente, dotato di volontà propria ed estraneo alla nostra natura. Chi ci ha provato lo sa bene: riconoscere il male che è in noi rende più forti, semplicemente perché ci restituisce quella parte di identità – quella parte di noi - che ci era stata sottratta.
Mi rifiuto, da oggi in avanti, di condannare il nazismo. Mi rifiuto di esorcizzarlo. Mi rifiuto di celebrare la “giornata della memoria” dell’olocausto, quand’anche l’olocausto fosse stato qualcosa di più di un’invenzione. Voglio studiare il nazismo. Voglio conoscerlo. Voglio sapere cosa è stato in realtà, quali poteri REALMENTE lo sostenevano, quali furono le sue vere origini, i suoi veri progetti, le sue vere basi ideologiche, andando oltre le mille e mille menzogne pazzesche, ridicole, irricevibili che la propaganda israelo-americana ci ha ammannito per oltre mezzo secolo. Voglio imparare ad amare il nazismo, non certo per amare l’orgia di potere e di sangue che scatenò sull’Europa, ma perché il nazismo, che lo si voglia o no, è il nostro passato ed è parte di noi. Non mi va di scambiarlo con la propaganda degli invasori stranieri, non m’interessa la patente di bontà rilasciata da un imperatore sanguinario in cambio dell’abiura a una parte di me stesso. Prendi il tuo senso di colpa, caro imperatore di Sion, e ficcatelo dove il tacere è bello.
E che nessuno tocchi i revisionisti, questi coraggiosi psichiatri della memoria collettiva che ci stanno aiutando a far riaffiorare dal subconscio le esperienze rimosse e ad accettarne il ricordo. Chiamateli pure negazionisti. Chiamateli nazisti e antisemiti. Chiamateli come cazzo vi pare, ma non vi permettete di toccarli mai più. Loro sono l’unica via di fuga dal tunnel in cui l’identità occidentale sta morendo per asfissia. Una via di fuga da difendere a costo della vita.
http://www.cpeurasia.org/art-maipiucolpevoli.htm