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  1. #1
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    Predefinito Paramenti di Don Gelmini

    Ciao. In internet ho trovato queste foto di Don Gelmini:

    http://www.repubblica.it/2007/08/sez...6820_38140.jpg

    http://www.repubblica.it/2007/08/sez...5013_27110.jpg


    ed ho notato che indossa paramenti tipicamente orientali-ortodossi (da notare il copricapo).
    Qualcuno sa il motivo? Per caso Don Gelmini celebra col rito greco-cattolico?

  2. #2
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    Don Pierino Gelmini, Sacerdote cattolico della Diocesi di Grosseto, è stato nominato, con documento del 2 dicembre 1987, Esarca Mitrato del Patriarcato di Antiochia e tutto l'Oriente, nella Chiesa greco-melkita cattolica.

    Il 17 gennaio 1988, Don Pierino venne insignito, a Mulino Silla, del titolo di Esarca Mitrato della Chiesa cattolica greco-melkita, dallo stesso Patriarca di Antiochia, Gerusalemme, Alessandria e tutto l'Oriente, S.B. Maximos V. Questa investitura gli aprì le porte del Medio Oriente dove presto sorsero sedi di accoglienza a Beiruth (Libano), ad Aleppo (in Siria), nella Valle della Bekaa.

  3. #3
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    Ciò sarebbe vietato dal codice di diritto canonico, in quanto don Gelmini è incardinato nella chiesa di rito latino.

  4. #4
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    Non entro nel merito dei fatti, ma solo nelle stramberie liturgiche.
    E' vero che p. Piero Gelòmini fu creato Archimandita-Esarca Mitrato del Patriarcato Greco-cattolico di Antiochia il che - è probabilissimo che comportò anche un cambio di rito (con dispensa papale, che ebbi anch'io per quel breve periodo che fui prete uniate) e che si ottiene senza cambiare incardinazione. Io infatti, giunto ik decreto dovetti dichiarare solennemente in Presenza del Vicario Generale della Diocesi e di due testimoni che abbandonavo il rito latino definitivamente per assumerne un altro. Il Verbale viene poi annotato a margine dell'atto di battesimo. Perchè penso che bbia avuto il cambiamento di rito e non un semblice biritualismo che tanti preti latini hanno (permesso di celebrare in altro rito ove occorra pur conservando il proprio e la disciplina del proprio Diritto Canonico)? Perchè un Esarca ha, anche se non è vescovo, vera potestas jurisdictionis sul territorio di cui è mfatto esarca sui fedeli di quel rito. Ovverosia si direbbe nel rito latino è un "prelato ordinario" o un "abate territoriale", per questo la mitria ed il pastorale che gli altri archimandriti non portano nell'uso greco come in quello antiocheno.
    Ma quel che vedo di buffo in quelle foto è che lui è vestito di paramenti latini con sopra la Croce di Archimandrita ed in una un epitrachilio (stola) sopra una casula latina. Questo è solo un grande pasticcio. O celebra nel suo rito interamente la funzione, o concelebra a latere in altro rito "con i paramenti del suo rito" e, se per dignità tiene il "primo posto" in realtà chi celebra come primo è il prete alla sia destra.
    Oppure Assiste, solennemente (ossia con Mantia, pastorale e croce da Trono o dal Faldistorio, alla Liturgia da altri celebrata, magari facendo la predica e ricevendo (per primo) la comunione.
    L'anello è soltanto una stranezza sua: dagli orientali non si usa.

    Permettetemi un commento: chi fa questi pasticci liturgici di solito ha una mente particolare perchè essi sono rivelativi di alcuni aspetti della personalità.
    Non dimentico di avere fatto lo psicanalista: è indizio di personalità narcisista.

  5. #5
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    Don Gelmini si manifesta come un vescovo, pur non essendolo, ad esempio usando l'anello e la croce pettorale, che nel rito latino sono di prerogativa dei vescovi. Inoltre l'uso dell'anello gli sarebbe proibito dal rito melkita.

    Il titolo di esarca è una onerificenza, essendo don Gelmini incardinato nella diocesi latina di Grosseto e, pertanto, gli è proibito indossare tutti i paramenti sacri melkiti al di fuori della diocesi patriarcale melkita che gliela ha conferita. Don Gelmini potrebbe indossare quei paramenti solo in Libano.

    Ricordo infine che don Gelmini fu sospeso a divinis negli anni '70 perché si faceva chiamare monsignore senza esserlo.

    Mi richiamo alle conclusioni del vescovo Silvano, che condivido.

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da antonio Visualizza Messaggio
    ah, questa della sospensione a divinis mi era sfuggita.
    Comunque era un "personaggio" gia' allora, evidentemente, se vantava titoli mai posseduti.
    Il problema, aldila' delle manie di protagonismo di alcuni, e' stabilire dei criteri oggettivi per la valutazione dell'efficacia delle comunità di recupero.
    Criteri oggettivi? Credo non ci sia bisogno di molta scienza pe dire che dipende dal soggett, per alcuni tossici sono la salvezza, per altri inutili.
    Se sono state la salvezza anche solo per poche centinaia di drogati, allora non esistono inutilmente.
    Against all odds

  7. #7
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    Dimenticavo che don Gelmini non può ordinare preti, ovviamentee, ma pare che nella sua comunità ci siano giovani canoddati a diventare sacerdoti...del rito melkita.

  8. #8
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    Non credo che nel Rito Melchita il itoo di Esarca sia un puro titolo onorifico. Può esserlo quello di Archimandrita, che - come nel caso - non è superiore di un Monastero (questo vuol dire alla lettera archimandrita=arcimandriano). Ma l'Esarca è un inviato della Sinodo per esercitare giurisdizione in nome della Stessa Sinodo e/o del Patriarca in zone ove non vi sono le caratteristiche e le condizioni per poter fondare una diocesi.

  9. #9
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    Citazione Originariamente Scritto da silvano Visualizza Messaggio
    Non credo che nel Rito Melchita il itoo di Esarca sia un puro titolo onorifico. Può esserlo quello di Archimandrita, che - come nel caso - non è superiore di un Monastero (questo vuol dire alla lettera archimandrita=arcimandriano). Ma l'Esarca è un inviato della Sinodo per esercitare giurisdizione in nome della Stessa Sinodo e/o del Patriarca in zone ove non vi sono le caratteristiche e le condizioni per poter fondare una diocesi.
    E' quindi, mi corregga se sbaglio, l'equivalente nella Chiesa Latina di una prelatura personale Pontificia e il titolo di Esarca=Prelato.

    Io torno ora da una conferenza a Tromso, nell'estremo nord della Norvegia, e lì non c'è una diocesi cattolica ma una prelatura il cui prelato (Prelato di Tromso) esercita giurisdizione per conto del Pontefice. Diversamente Oslo e Bergen, rispettivamente nel sud e nel centrosud norvegese, sono vere e proprie diocesi.

    Ora mi sfugge, un prelato od un esarca possono ordinare sacerdoti per conto del Pontefice o del Patriarca?
    UT UNUM SINT!

  10. #10
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    Comprendo che per voi possa avere importanza disquisire sui paramenti indossati. Non è mia intenzione emettere giudizi sui recenti fatti che riguardano don Gelmini, anche per lui, vale il presupposto di innocenza, ma ritengo sia doveroso non omettere i fatti incontestabili relativi al suo passato.
    Pertanto ecco una piccola biografia del don Pierino.
    La vera storia di don Pierino
    "Quattro anni passati in carcere"Francesco Grignetti su La Stampa ricostruisce il passato del prete in lotta contro la droga che in giardino aveva una Jaguar: per due volte finì dietro le sbarre con accuse di truffa e bancarotta fraudolenta


    Milano, 5 agosto 2007 - C’è stato un altro don Pierino prima di don Pierino. Un prete che ha sempre sfidato le convenzioni, ma che di guai con la giustizia ne ha avuti tanti, ed è pure finito in carcere un paio di volte. A un certo punto è stato anche sospeso «a divinis», salvo poi essere perdonato da Santa Romana Chiesa.




    E’ il don Gelmini che non figura nelle biografie ufficiali. I fatti accadono tra il 1969 e il 1977, quando don Pierino era ancora considerato un «fratello di». Una figura minore che viveva di luce riflessa rispetto al più esuberante padre Eligio, confessore di calciatori, amico di Gianni Rivera, frequentatore di feste, fondatore delle comunità antidroga «Mondo X» e del Telefono Amico.




    Anni che furono in salita per don Pierino e che non vengono mai citati nelle pubblicazioni di Comunità Incontro. Per forza. Era il 13 novembre 1969 quando i carabinieri lo arrestarono per la prima volta, nella sua villa all’Infernetto, zona Casal Palocco, alla periferia di Roma. E già all’epoca fece scalpore che questo sacerdote avesse una Jaguar in giardino.


    Lui, don Pierino, nella sua autobiografia scrive che lì, nella villa dell’Infernetto, dopo un primissimo incontro-choc con un drogato, tale Alfredo, nel 1963, cominciò a interessarsi agli eroinomani. In tanti bussavano alla sua porta. «Ed è là che, ospitando, ancora senza tempi o criteri precisi, ragazzi che si rivolgono a lui, curando la loro assistenza legale e visitandoli in carcere, mette progressivamente a punto uno stile di vita e delle regole che costituiranno l’ossatura della Comunità Incontro».




    All’epoca, Gelmini aveva un certo ruolo nella Curia. Segretario di un cardinale, Luis Copello, arcivescovo di Buenos Aires. Ma aveva scoperto la nuova vocazione. «Rinunciai alla carriera per salire su una corriera di balordi», la sua battuta preferita.




    I freddi resoconti di giustizia dicono in verità che fu inquisito per bancarotta fraudolenta, emissione di assegni a vuoto, e truffa. Lo accusarono di avere sfruttato l’incarico di segretario del cardinale per organizzare un’ambigua ditta di import-export con l’America Latina. E restò impigliato in una storia poco chiara legata a una cooperativa edilizia collegata con le Acli che dovrebbe costruire palazzine all’Eur. La cooperativa fallì mentre lui rispondeva della cassa. Il giudice fallimentare fu quasi costretto a spiccare un mandato di cattura.



    Don Pierino, che amava farsi chiamare «monsignore», e per questo motivo si era beccato anche una diffida della Curia, sparì dalla circolazione. Si saprà poi che era finito nel cattolicissimo Vietnam del Sud dove era entrato in contatto con l’arcivescovo della cittadina di Hué. Ma la storia finì di nuovo male: sua eminenza Dihn-Thuc, e anche la signora Nhu, vedova del Presidente Diem, lo denunciarono per appropriazione indebita. Ci fecero i titoloni sui giornali: «Chi è il monsignore che raggirò la vedova di Presidente vietnamita».




    Dovette rientrare in Italia. Però l’aspettavano al varco. Si legge su un ingiallito ritaglio del Messaggero: «Gli danno quattro anni di carcere, nel luglio del ‘71. Li sconta tutti. Come detenuto, non è esattamente un modello e spesso costringe il direttore a isolarlo per evitare “promiscuità” con gli altri reclusi». Cattiverie.




    Fatto sta che le biografie ufficiali sorvolano su questi episodi. Non così i giornali dell’epoca. Anche perché nel 1976, quando queste vicende sembravano ormai morte e sepolte, e don Pierino aveva scontato la sua condanna, nonché trascorso un periodo di purgatorio ecclesiale in Maremma, lo arrestarono di nuovo.




    Questa volta finì in carcere assieme al fratello, ad Alessandria, per un giro di presunte bustarelle legate all’importazione clandestina di latte e di burro destinati all’Africa. Si vide poi che era un’accusa infondata. Ma nel frattempo, nessuna testata aveva rinunciato a raccontare le spericolate vite parallele dei due Gelmini. Ci fu anche chi esagerò. Sul conto di padre Eligio, si scrisse che non aveva rinunciato al lusso neppure in cella.




    Passata quest’ennesima bufera, comunque, don Pierino tornò all’Infernetto. Sulla Stampa la descrivevano così: «Due piani, mattoni rossi, largo muro di cinta con ringhiera di ferro battuto, giardino, piscina e due cani: un pastore maremmano e un lupo. A servirlo sono in tre: un autista, una cuoca di colore e una cameriera».




    Tre anni dopo, nel 1979, sbarcava con un pugno di seguaci, e alcuni tossicodipendenti che stravedevano per lui, ad Amelia, nel cuore di un’Umbria che nel frattempo si è spopolata. Adocchiò un rudere in una valletta che lì chiamavano delle Streghe, e lo ottenne dal Comune in concessione quarantennale. Era un casale diroccato. Diventerà il Mulino Silla, casa-madre di un movimento impetuoso di comunità.




    Gli riesce insomma quello che non era riuscito al fratello, che aveva anche lui ottenuto in concessione (dal proprietario, il conte Ludovico Gallarati Scotti, nel 1974) un rudere, il castello di Cozzo Lomellina, e l’aveva trasformato, grazie al lavoro duro di tanti volontari e tossicodipendenti, in uno splendido maniero. Ma ormai la parabola di padre Eligio era discendente. Don Pierino, invece, stava diventando don Pierino.

 

 
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