'IO HAMAS, TU FATAH', IL GIOCO DEI BIMBI A GAZAdi Safwat al-Kahlout e di Carlo Bollino
GAZA/GERUSALEMME - Fra la polvere e la sabbia nella infuocata periferia della città di Gaza, i piccoli palestinesi giocano alla guerra. Ma non a una guerra lontana, come fanno milioni di altri bambini del mondo, ma alla guerra vera, proprio quella che ogni giorno si combatte davanti alle loro case. Così invece che a "indiani e cow boy", qui da qualche settimana si gioca ad "Hamas e Fatah". Il sanguinoso scontro fra le due fazioni rivali ha ispirato a Gaza un nuovo gioco di gruppo: da una parte i baby miliziani di Fatah, con le tradizionali bandiere gialle, dall'altra quelli di Hamas, con le altrettanto celebri bandiere verdi. Poi, imbracciando sagome di fucili in legno e calzando passamontagna neri sul volto, i combattenti in erba si sfidano secondo precise regole di battaglia. "Vince che uccide il nemico", riassume il piccolo Mustafà, 9 anni.
"Se noi catturiamo un giocatore di Hamas - aggiunge Ahmed, 11 anni, che nella battaglia indossa le uniformi di Fatah - possiamo decidere di picchiarlo, oppure ucciderlo subito. Ma se l'altra squadra ha fatto uno di noi prigioniero, allora scambiamo i due giocatori, e torniamo alla pari". La squadra di Hamas è appena riuscita a scoprire il nascondiglio di tre miliziani di Fatah: come a mosca cieca, basta toccarli perché in questa finzione si considerino presi. Hamas adesso non ha nessuno dei propri giocatori da liberare, e così sfrutta il vantaggio. I tre giocatori avversari vengono fatti inginocchiare, urlano "aiuto, aiuto" ma secondo un copione visto mille volte, vengono fucilati senza esitazione. "Boom, boom, boom" scandisce il bambino tenendo puntato il fucile di legno. Poi si ricomincia, con tre punti di vantaggio.
Non c'é da stupirsi che i morti ammazzati, per questi piccoli palestinesi, diventino graduatoria. Sono cresciuti in mezzo alla guerra e hanno sentito ripetere ovunque che morire da martiri è un modo per conquistarsi la vittoria eterna. Ciascuno di loro ha un padre, un fratello, o un cugino ucciso in battaglia, da traditore oppure da eroe. La morte costituisce anche nella loro vita quindi, non solo nel gioco, un parametro per capire chi ha vinto e chi ha perso. I bambini di Gaza giocano ad ammazzarsi fra fazioni rivali dopo aver visto morire in televisione anche il loro beniamino, il Topolino-Farfour, ucciso alla fine di giugno in diretta tv dai pugni (in quel caso finti) di un altro protagonista, che impersonava un poliziotto israeliano. Una scena ideata dagli autori del programma, trasmesso dall'emittente ufficiale di Hamas che usava Farfour per fare propaganda politica, e che hanno inventato questo macabro espediente per fare uscire dalla storia il pupazzo e così risolvere la controversia con la Walt Disney che protestava per l'uso improprio che si stava facendo del proprio personaggio. Ma per migliaia di bambini di Gaza assistere dal vivo alla morte del loro eroe di peluche, è stato ugualmente un trauma.
Ora al posto di Farfour la stessa emittente ha proposto un nuovo pupazzo che per mostrare come vengono trattati i palestinesi nelle prigioni israeliane, fa roteare nell'aria un gatto (vero) reggendolo per la coda, sotto gli occhi terrorizzati dei piccoli ospiti presenti in studio. Oppure lancia sassi e tira bastonate al vecchio leone rinchiuso dietro le sbarre dello zoo di Gaza. Rispetto alla realtà, insomma, il gioco fra i finti miliziani appare addirittura istruttivo perché conclusa la gara qui almeno i morti resuscitano, le bandiere vengono ripiegate, gli avversari tornano amici e, ormai stanchi e sudati, rientrano a casa tutti insieme. La guerra per gioco ogni giorno finisce mentre sono i grandi, intorno a loro, a non stancarsi mai di quella vera.
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