A partire da queste riflessioni di Marco Biagi nel suo Libro Bianco, lancio la domanda: Socializzare/Autogestire Aziende, oggi, è possibile???
III.2. Partecipazione
Si può senz’altro riconoscere che gli assetti regolativi dei sistemi di relazioni
industriali in Europa si siano crescentemente caratterizzati, nel corso dell’ ultimo
decennio, in termini sempre più collaborativi e partecipativi ed un ruolo di
rilievo è stato assunto dalle misure adottate a livello comunitario. Già nel corso
degli anni ’80 l’adattamento alle sfide della globalizzazione e
dell’internazionalizzazione dei mercati aveva registrato rilevanti successi
soprattutto in quei Paesi che per tradizione disponevano di un quadro
istituzionale decisamente partecipativo e collaborativo (Paesi scandinavi, Paesi
Bassi, Austria e Germania). Nel corso del decennio successivo questo modello
regolatorio ha continuato ad estendersi ad di là di ogni previsione anche ad altri
Paesi, con la sola esclusione di Francia e Regno Unito, soprattutto grazie
all’adozione di politiche concertative a livello macro-economico e la
stipulazione di patti sociali a livello nazionale, comunque in ragione
dell’emersione generalizzata di risposte di tipo partecipativo nella soluzione
delle tensioni provocate dalle crisi di sviluppo delle economie europee.
Come chiaramente indicato da primo Rapporto della Commissione europea sulle
relazioni industriali, in tutta Europa i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori
risultano oggi più partecipativi anche solo di un decennio fa e in ogni caso molto
meno conflittuali rispetto al passato, visto che il numero di scioperi si è
drasticamente ridotto. La ricerca di soluzioni partecipative è comunque delineata
ora dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata nel
84
dicembre 2000 a Nizza che all’ art. 27 sancisce il diritto dei lavoratori all’
informazione e alla consultazione nell’ ambito della impresa (“Ai lavoratori ed
ai loro rappresentanti devono essere garantite, ai livelli appropriati,
l’informazione e la consultazione in tempo utile nei casi e alle condizioni
previsti dal diritto comunitario e dalle legislazioni e prassi nazionali”).
Il Governo italiano condivide l’ispirazione della politica comunitaria in
tema di relazioni industriali e saluta con favore questa evoluzione così
caratterizzante del modello sociale europeo, auspicando che anche in Italia i
rapporti tra le parti sociali si sviluppino in senso sempre più partecipativo.
Pur nel massimo rispetto di un tema che, al pari di quello relativo agli assetti
contrattuali, è di primaria responsabilità e competenza delle parti sociali, è
opportuno creare le condizioni favorevoli allo sviluppo di intese partecipative fra
le stesse, nella convinzione che ciò possa contribuire ad accrescere la
competitività del nostro sistema economico. La partecipazione dei lavoratori e
dei loro rappresentanti nel quadro di un sistema di relazioni industriali, tanto a
livello macroeconomico quanto su scala micro, contribuisce ad elevare la qualità
del lavoro, accrescendo le potenzialità di sviluppo professionale e di carriera dei
dipendenti, incidendo positivamente sulla loro motivazione, nella ricerca di un
ambiente lavorativo fondato sul riconoscimento delle capacità personali e sulla
valorizzazione delle aspettative individuali e collettive.
L’esperienza comparata insegna che i sistemi di relazioni industriali più
partecipativi riescono a conferire maggiore competitività al sistema produttivo,
pure nella grande varietà dei modelli adottati, sia che la legge assuma un ruolo
centrale (Germania), sia che la partecipazione si fondi sulla prassi e la
consuetudine senza alcuna interferenza di carattere regolatorio (Giappone). Si
ottengono risultati incoraggianti sul piano del miglioramento dell’efficienza
organizzativa, riducendo le resistenze alle innovazioni tecnologiche,
supportando le decisioni manageriali con una maggiore legittimazione e
coinvolgendo i rappresentanti dei lavoratori in una logica di confronto che non
esclude certo la possibilità di ricorrere al conflitto ma privilegia la ricerca di
soluzioni condivise in quanto hanno più facilità di essere implementate con
successo. La partecipazione è dunque un elemento costitutivo di un sistema di
relazioni industriali basato sulla qualità, contribuendo positivamente a sostenere
e qualificare lo sviluppo di un sistema economico nel suo insieme e delle singole
imprese.
Dopo il successo della direttiva comunitaria sui Comitati Aziendali Europei
(CAE), con l’affermazione di un ruolo premiale della contrattazione collettiva in
funzione partecipativa, incentivata al punto da poter derogare interamente
rispetto a disposizioni minime di legge, sta per concludersi il pluridecennale
processo decisionale che porterà entro breve tempo alla normativa comunitaria
sulla costituzione della Società Europea (SE). Dopo l’accordo di Nizza, il
Consiglio ha approvato un testo che è attualmente in lettura al Parlamento
europeo. Appare pertanto opportuno, alla vigilia dell’approvazione definitiva di
questo provvedimento, così a lungo atteso, che il Governo sottolinei
l’importanza di una riflessione sui temi della partecipazione, in vista di
un’impegnativa fase di trasposizione che dovrà avvenire nell’arco di questa
legislatura.
85
La disciplina giuridica della Società Europea, sia nel regolamento sia nella
direttiva, si fonda sul riconoscimento del carattere fisiologico della
partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti. Non sono mancate, in
passato, direttive comunitarie che hanno affermato diritti di informazione e
consultazione in presenza di situazioni di crisi aziendali (licenziamenti collettivi,
trasferimento di azienda) dando luogo ad atti di recepimento che anche
nell’ordinamento giuridico italiano hanno fondato diritti di informazione e
consultazione. Tuttavia è con la direttiva CAE, peraltro limitata alle relazioni
industriali che caratterizzano le imprese di dimensione trasnazionale, che si è
affermata una tendenza regolatoria a promuovere la partecipazione anche in cicli
economici favorevoli nella vita delle imprese, quindi non soltanto su base
eccezionale ma anche in una prospettiva permanente. La direttiva sulla SE
prosegue in questa direzione, anche se la parte riguardante la partecipazione
potrà (in omaggio al compromesso politico che ha consentito a Nizza di superare
le ultime resistenze della Spagna) essere oggetto di opting out da parte dei
singoli Stati membri ai quali sarà quindi consentito non procedere alla
trasposizione di questa parte delle disposizioni comunitarie.
Il Governo italiano invita fin d’ora le parti sociali ad avviare un confronto
sui modi di trasposizione della direttiva, anche per quanto riguarda le
disposizioni riguardanti il coinvolgimento dei lavoratori e dei loro
rappresentanti. E’ di grande interesse infatti che la direttiva stessa, riprendendo il
modello CAE, affermi che il regime di partecipazione della SE dovrebbe essere
definito a seguito di un’intesa da stipularsi ad opera delle parti interessate o, in
mancanza di essa, con l’ applicazione delle norme accessorie che ogni Stato
membro dovrà darsi nell’adempimento dell’obbligo traspositivo.
Può essere senz’ altro condivisa la tecnica, sempre mutuata dal modello CAE,
che consente alle parti sociali di regolare interamente la materia partecipatoria
nella singola SE prescrivendo tuttavia che l’accordo regolamenti
obbligatoriamente un certo numero di materie (ad es. il campo di applicazione
del medesimo accordo, le attribuzioni e la procedura prevista per l’ informazione
e la consultazione dell’organismo di rappresentanza, le risorse finanziarie e
materiali da attribuire all’organo di rappresentanza, ecc.). Si tatta di un modello
che il Governo ritiene debba essere attentamente seguito nell’opera traspositoria,
ed in tal senso confida che anche le parti sociali lo apprezzino ugualmente
sperimentandolo nel loro dialogo.
L’Unione Europea non impone al nostro sistema di relazioni industriali alcun
modello predeterminato, ma crea le condizioni di quadro istituzionale affinché le
parti sociali trovino intese per esercitare i diritti di informazione e consultazione
negoziando intese ovvero, in difetto di queste, utilizzando una disciplina di base
che dovrà essere realizzata in sede traspositiva. E’ questo il senso di un’altra
direttiva che sta per essere approvata (anche in questo caso è stato raggiunto in
Consiglio l’ accordo politico e si attende la lettura del Parlamento europeo),
quella che riguarda l’ esercizio dei diritti di informazione e consultazione nelle
imprese nazionali. Essa intende valorizzare il principio secondo cui
l’informazione e la consultazione in tempo utile può rappresentare una
condizione preliminare ed imprescindibile per il buon esito di processi di
ristrutturazione e di adattamento delle imprese alle nuove condizioni indotte
dalla globalizzazione dell’ economia, in particolare mediante lo sviluppo di
86
nuove procedure di organizzazione del lavoro. Attualmente, come già accennato,
il quadro giuridico in materia di informazione e consultazione è orientato, tanto a
livello comunitario quanto su scala nazionale, soprattutto in funzione del
trattamento ex post dei processi di cambiamento.
In vista di questi prossimi appuntamenti traspositivi il Governo sollecita le
parti sociali ad una riflessione che consenta di migliorare la qualità delle
nostre relazioni industriali rendendole maggiormente partecipative, secondo
formule liberamente concordate ed in relazione alle quali l’intervento legislativo
dovrà limitarsi a garantire la funzione premiale della contrattazione collettiva
unitamente all’esigibilità di condizione minime di esercizio dei diritti di
informazione e consultazione. In particolare il Governo ritiene auspicabile
che il dialogo sociale individui le sedi e le altre modalità per regolare
convenientemente i diritti di informazione e consultazione, affinché
l’esercizio delle prerogative manageriali sia ispirato da una logica di
trasparenza e di fiducia tra le parti.
III.3. Democrazia economica
Sul tema della partecipazione finanziaria dei lavoratori la Commissione europea
ha recentemente avviato una nuova iniziativa sottoponendo agli Stati membri un
documento di riflessioni al quale anche il Governo italiano risponderà (Financial
participation of employees in the European Union, 27 luglio 2001, SEC(2001)
1308). Si tratta, infatti, di una prospettiva della tematica partecipativa che deve
essere tenuta in considerazione ed a proposito della quale è necessario svolgere
una attività di stimolo, in quanto anche nel nostro Paese è riscontrabile quello
che nel documento comunitario appena richiamato viene definito “problema
culturale” ovvero di “deficit culturale”, nel senso che i dipendenti ed i loro
rappresentanti si sentono estranei ad una prassi di coinvolgimento di tipo
finanziario nell’impresa in cui sono occupati.
Lo stesso legislatore del resto ha recentemente contribuito a rilanciare l’idea di
un più esteso ricorso all’azionariato dei dipendenti. Il nuovo testo dell’art. 48, 2à
comma, del Testo Unico Imposte sui redditi, come modificato dall’art. 3, 1°
comma, del d. lgs. 314/1997, ha introdotto una disciplina di particolare favore
sotto il profilo fiscale per le società che emettono nuove azioni a favore dei
propri dipendenti. Successivamente, attraverso l’esercizio della delega sulla
riforma dei mercati finanziari e delle società quotate (d.lgs. 58/1998) è stata
confermata questa opzione di favore verso l’ accesso dei dipendenti al capitale
azionario, introducendo una disciplina di sostegno per le società aventi azioni
quotate, al fine di favorire i cd. piani di stock options e cioè l’ attribuzione del
diritto a sottoscrivere azioni da parte dei lavoratori.
E’ sin qui mancata tuttavia una disciplina organica che, sulla scorta di quanto da
tempo sollecitato in sede comunitaria, conducesse ad una regolamentazione di
sostegno in grado di sciogliere i nodi principali di una materia tanto controversa
quanto complessa. Non può quindi sorprendere che nel nostro Paese lo sviluppo
dell’azionariato dei dipendenti si sia fin qui manifestato in modo frammentario e
lacunoso (soprattutto a margine di singoli processi di privatizzazione di aziende
pubbliche), privo com’ è di una moderna base normativa di supporto e
incentivazione comparabile con quella presente in numerosi altri ordinamenti.
Le sfide della new economy, della società dell’informazione e delle nuove
tecnologie impongono ora di esplorare con più determinazione anche questa
strada per una modernizzazione delle nostre relazioni industriali.
Si possono in materia proporre alcuni spunti utili per aprire una riflessione ed un
confronto. Importanti esperienze di altri paesi dell’Unione Europea (Regno
Unito, Francia, Germania, Belgio ed Irlanda) dimostrano l’utilità di subordinare
ad esempio la concessione delle agevolazioni fiscali alla condizione che per le
azioni oggetto del piano di partecipazione finanziaria sia prevista, con apposita
deliberazione dell’assemblea ordinaria, la loro inalienabilità per un certo numero
di anni successivamente alla effettiva cessione. Previa intesa con le
rappresentanze dei lavoratori i piani di partecipazione finanziaria potrebbero
eventualmente prevedere un periodo maggiore di inalienabilità delle azioni. Un
intervento anche di natura legislativa potrebbe precisare, valorizzando in
proposito il ruolo della contrattazione collettiva, le modalità di sottoscrizione o
acquisto di azioni nell’ambito di un piano di partecipazione finanziaria,
prevedendo anticipazioni sul trattamento di fine rapporto, l’impiego di quote o
elementi della retribuzione, il ricorso al credito eventualmente attraverso
l’intervento dei fondi pensione in deroga a quanto disposto dal d. lgs. 124/1993.
E’ vero tuttavia che, in una prospettiva de jure condendo, la vera questione da
affrontare è quella dell’alternativa tra azionariato collettivo e azionariato
individuale: sembra questo il nodo politico più difficile da sciogliere per quanto
attiene alla partecipazione finanziaria dei lavoratori a livello di impresa.
Potrebbe essere utile un intervento legislativo che aprisse ulteriori possibilità di
azione al confronto tra le parti sociali, anche per facilitare i processi di
privatizzazione, rafforzando la posizione dei dipendenti azionisti e rendendo più
equilibrato il rapporto assunzione del rischio-potere di controllo insito nella
adesione ad un piano di partecipazione azionaria.
Il tema della partecipazione azionaria si lega evidentemente con quello
dell’utilizzazione del trattamento di fine rapporto (TFR) per la costituzione dei
fondi pensione, salvaguardando ben s’intende il principio di assoluta
volontarietà. Tuttavia, occorre aver sempre a mente la necessaria
sperimentazione che soluzioni di questa natura devono avere, nonché
l’inevitabile differenziazione della relativa disciplina. E’ la contrattazione
aziendale a potere produrre le applicazioni sperimentali più utili ed è pertanto in
questa sede che converrebbe, anzitutto, avviare un confronto costruttivo.
Il Governo ritiene utile verificare modalità di partecipazione finanziaria
finalizzate ad esaltare la fidelizzazione di figure apicali o comunque chiave
nell’ambito dell’organizzazione del lavoro di piccole e piccolissime imprese,
inclusi esercizi turistico-commerciali ed unità artigiane. A tal fine è
necessario ristabilire un uso corretto del contratto di associazione in
partecipazione, ovvero ricorrere ad altre forme di partecipazione agli utili,
sostenendo questi strumenti anche con opportuni incentivi di carattere
economico e fiscale.