Lettera al Direttore del Presidente di Confindustria
Montezemolo: «La vera emergenza è il fisco»
«Basta con lo stato predatore. Il taglio del cuneo? Un investimento, non un regalo. Servono principi»
Caro direttore,
l'intervista a Walter Veltroni pubblicata ieri sul vostro giornale è una tappa importante in una fase di grande dibattito politico, che vede protagonisti partiti e coalizioni. In questo dibattito penso meriterebbero maggiore attenzione le grandi questioni da cui può dipendere il futuro economico del Paese. Appare peraltro ormai chiaro che il tema fisco dominerà il confronto sulla finanziaria 2008 e che è finalmente sotto i riflettori il problema della pressione fiscale sulle imprese.
È l'obiettivo che Confindustria si è posta all'assemblea di maggio, quando richiamai l'attenzione sul divario che si sta creando tra il peso delle tasse sulla produzione in Italia e quanto sta avvenendo nella vecchia Europa. Il termine emergenza non è fuori luogo, perché i Paesi che sono i nostri più diretti concorrenti si stanno muovendo con grande rapidità e decisione verso tagli significativi e nei paesi dell'ex Europa dell'Est — così vicina e così competitiva per la localizzazione di attività produttive — si sta consolidando la politica della flat tax. Gli investimenti esteri in Italia sono ormai ridotti al lumicino: attiriamo solo il 2,2% contro l'8% del Regno Unito, il 5,9 della Francia e il 5 della Germania. In questa condizione la logica della «tregua fiscale » è da considerare in generale un impegno minimo e per le imprese si deve accompagnare a una riduzione delle imposte in cambio di meno incentivi. Stare fermi mentre gli altri rendono le loro aziende più competitive e i loro territori più attraenti significa andare indietro, perdere posizioni. E questo l'Italia non può accettarlo. Cresciamo meno degli altri, questo è chiaro. È colpa del destino o di qualche sortilegio? Quest'anno dovremo impegnarci per crescere non più al 2% ma all'1,7%: meno della media europea, quasi due punti in meno di un Paese dinamico come la Spagna. Un punto in meno della Germania, che crescerà al 2,6%, che non discute di come cambiare lo staff leasing o rendere più difficili i contratti a termine come qualcuno vorrebbe ancora fare da noi, e che da gennaio abbasserà le tasse sulle imprese di ben nove punti. Abbiamo dunque pochi mesi di tempo per compiere scelte responsabili. Sono solo le imprese che possono creare maggiore crescita e più benefici per tutti, a cominciare da chi nelle aziende lavora. Per questo non c'è nulla di più demagogico e falso che spacciare la riduzione delle tasse sulle imprese come un regalo ai «ricchi», così come non si è trattato di una concessione ma di un investimento in competitività il taglio del cuneo fiscale. Regole fiscali e contributive che consentano alle aziende di essere più concorrenziali, a cominciare da quella straordinaria realtà che è il nostro sistema di piccole e medie imprese, vuol dire investire nell'interesse del Paese, delle famiglie, dei giovani. Certo, la questione fiscale ha più sfaccettature. Primo: la lotta all'evasione, una pratica ignobile che scarica sulle imprese e sui cittadini onesti l'insopportabile fardello dei furbi. È dal 2004 che ribadisco l'impegno di Confindustria contro evasione e sommerso. E sono convinto che la lotta all'evasione sarebbe certamente favorita se si alleggerisse un peso fiscale eccessivo. Penso a un patto, esplicito e formale: ogni euro recuperato all'evasione sia destinato a una equivalente riduzione della pressione fiscale su imprese e cittadini. Si attuerebbe così la formula forse semplicistica ma vera del «pagare tutti per pagare un po' meno» e si sottrarrebbe alla politica lo stucchevole esercizio di fantasia a cui assistiamo ogni volta che le notizie sulle entrate lasciano intravedere delle disponibilità aggiuntive, vere o presunte.
Secondo: dove vanno a finire le nostre tasse. Paghiamo più degli altri Paesi in cambio di servizi inferiori alla media europea e si alimenta una spesa pubblica che gli ultimi governi non sono riusciti a ridurre. La politica del «tassa e spendi» praticata negli anni a livello centrale e locale, è ormai inaccettabile. Penso alle faraoniche spese per consulenti di ogni genere e tipo che si consentono le amministrazioni centrali e soprattutto quelle locali; ai 17.500 consiglieri d'amministrazione, lautamente retribuiti, di quelle società pubbliche che soprattutto a livello locale sono diventate delle discariche di politici trombati; alle 180.000 persone elette e remunerate che in Italia vivono di politica.
Terzo: il disagio crescente della parte sana del Paese, quei cittadini che vedono infrastrutture importanti rinviate sine die, cantieri aperti e bloccati da diritti di veto di ogni tipo che moltiplicano i costi, i tempi e le dissipazioni. Così non ci sono risorse per gli investimenti pubblici in infrastrutture, scuola, servizi sociali, ricerca, persino per la sicurezza. E si consolida l'immagine di uno Stato «predatore» che negli ultimi anni, soprattutto a livello locale, ha aumentato a dismisura il peso del pubblico in economia, ha alimentato privilegi e attività improduttive mangiando risorse che andrebbero investite sul futuro. A cominciare dalla riduzione del debito pubblico che ogni anno costa agli italiani quasi 70 miliardi di euro e che negli ultimi anni, a livello di amministrazioni locali è addirittura cresciuto. E sono cresciute quelle tasse occulte che gravano con extracosti sulle imprese italiane che a causa di una concorrenza scarsa o inesistente pagano molti servizi più cari e versano centinaia di miliardi di euro per i costi della burocrazia.
È venuto il momento di innescare il circuito virtuoso meno tasse, meno spesa pubblica, più investimenti. Quando richiamo i costi della politica non penso solo ai piccoli privilegi di un numero di parlamentari o di rappresentanti locali certamente spropositato. Penso alla scarsa qualità dei servizi, al baloccarsi del dibattito politico su temi lontani dai problemi della gente, alla scarsa capacità di assumere decisioni che guardino non al consenso di breve periodo ma al bene collettivo. Per questo da tempo abbiamo indicato come prioritaria una riforma della macchina dello Stato che riduca la burocrazia, semplifichi e renda più efficiente l'amministrazione, razionalizzi i livelli decisionali, attui il federalismo fiscale. Una riforma che metta in condizione chi vince le elezioni di governare davvero, superando una situazione dove i voti, anche quando le maggioranze sono nette, non bastano per imprimere cambiamenti sostanziali. Serve anche una riforma elettorale che ripristini il confronto tra candidati ed eviti ai cittadini di dover semplicemente ratificare le scelte degli apparati di partito.
Il merito e la concorrenza sono due temi che da tempo abbiamo voluto porre in modo importante al centro dell'attenzione. È curioso che il licenziamento di qualche presunto fannullone occupi le prime pagine dei giornali, come fosse qualcosa di incredibile. Ma è il segno che forse qualcosa si muove. Noi vogliamo che ovunque siano premiati i migliori, quelli che si impegnano e fanno bene il loro mestiere. Per questo abbiamo insistito per quote crescenti di salario legato ai risultati e per rendere più conveniente lo straordinario alle imprese e ai lavoratori. Pensiamo che liberalizzare e smontare i monopoli pubblici locali vada nell'interesse dei cittadini, soprattutto dei meno abbienti: grazie alla concorrenza pagheranno meno molti servizi essenziali. Vogliamo insomma realizzare un grande disegno di modernità. Per questo la politica, quella vera, deve tornare al potere, coinvolgere i cittadini, essere vicina ai problemi e soprattutto decidere. Bisogna ripristinare l'azione dello Stato e della politica mettendo al centro principi forti: lavoro, merito, autorità, ordine, rispetto, mercato, concorrenza, education, spirito di sacrificio e ricompensa. Bisogna spezzare la spirale dell'impotenza politica e del fatalismo che da troppi anni vede l'Italia prigioniera di una transizione che non accenna a finire. Serve una politica alta, capace di indicare al Paese non la somma delle tutele corporative ma un progetto Paese di bene comune.
Luca Cordero di Montezemolo
Presidente di Confindustria
29 agosto 2007
http://www.corriere.it/Primo_Piano/P...veltroni.shtml