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    Predefinito Faye, "Il sistema per uccidere i popoli"

    Anche se Faye proviene dalla Nouvelle Droite il testo in questione non è classificabile come fascista, ma come un qualsiasi testo "antisistema". Analizza la struttura del Sistema, l'avanzare della globalizzazione etc (è del 1981)... Mi ha colpito molto. Qualcuno qui l'ha letto?

  2. #2
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    A me non interessa quello che scrive Faye. Ad ogni modo, se proprio vuoi parlarne, almeno inserisci qualcosa su cui discutere...

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da Outis Visualizza Messaggio
    A me non interessa quello che scrive Faye. Ad ogni modo, se proprio vuoi parlarne, almeno inserisci qualcosa su cui discutere...

  4. #4
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    Scusate la lunghezza


    Il complesso economico-culturale

    La sottocultura mondiale e le strutture economiche internazionali dell’Occidente mercantilistico funzionano in effetti di pari passo, formando la vera armatura del Sistema.

    L’omogeneizzazione si spande quindi secondo la logica di un complesso economico-culturale: economia e diffusione culturale fanno lega e sono utilizzate secondo strategie parallele.

    Questa omogeneizzazione, che costituisce decisamente il fatto dominante della nostra epoca, tocca innanzitutto i costumi, cioè, nel nostro regime economico, le scelte di consumo. Nelle società industriali, infatti, i comportamenti culturali — leggere, vestirsi, mangiare, assistere a un dato spettacolo etc. — corrispondono ad acquisti, a preferenze economiche. La cultura quotidiana, molto più che un tempo, ricalca i comportamenti economici degli agenti individuali. Il Sistema va dunque a beneficiare di grandi facilitazioni economiche per imporre la propria cultura, e di importanti agevolazioni culturali per sviluppare la sua influenza economica.

    Il modo di vestire dei teen-agers, i prodotti alimentari, i programmi audiovisivi, la musica di consumo costituiscono al tempo stesso elementi culturali e mercati economici internazionali. Le imprese occidentali, trust alimentari o chimici, aziende elettroniche, industrie pesanti etc. — siano esse giapponesi, americane o europee — mirano a creare mercati e reti di scambi internazionali. Per far ciò, è loro necessario unificare le abitudini di vita (e quindi di consumo) distruggendo progressivamente i costumi specifici che sarebbero d’ostacolo all’incarcerazione delle popolazioni nel sistema mercantilistico planetario in costruzione. Si tratterà dunque di trasformare l’ambiente, familiare ai gruppi che si vuole guadagnare ai costumi occidentali, da un lato disabituandoli agli «oggetti» della loro cultura, dall’altro distruggendo i simboli legati alla loro cornice tradizionale.

    L’imposizione del «sistema di oggetti» occidentale suppone l’adozione di simboli culturali molto più semplicistici, orientati verso l’attrazione bruta per il comfort materiale, il che induce un’involuzione ed un impoverimento psichico. In tutte le culture, infatti, la musica, l’abbigliamento, l’uso di determinati oggetti, i riti gastronomici, assumono un significato religioso o sociale. A partire dal momento in cui arrivano i jeans, la disco-music, le radioline a transistor e i cheeseburger, gli oggetti e i riti del proprio quotidiano si allineano sul modello mondiale, e soprattutto non rinviano più che a sensazioni e desideri elementari, prefabbricati, individuali, atomizzati, strettamente materiali.

    Per preparare la popolazione a questi tipi omogenei di consumi, bisogna innanzitutto macinarla mentalmente. È questo il ruolo delle strategie pubblicitarie. Esse fungono da propaganda culturale modificando le strutture mentali nel senso di un’acculturazione ai costumi dell’homo consumans internazionale. Il sistema economico utilizza dunque la cultura, più esattamente una tattica culturale, al servizio dell’estensione dei suoi mercati. Ma fa anche l’inverso: incorpora cioè la sua cultura nelle merci. Dal momento in cui una popolazione consuma i prodotti del Sistema, dal momento in cui americanizza e occidentalizza i suoi consumi e la sua cornice di oggetti, l’impregnazione culturale — e ideologica — da parte del Sistema si rinforza, per un effetto di retroazione positiva. Film, gadgets, cassette, televisione, automobili, vestiti sono carichi di un’impronta culturale. Lungi dall’essere neutri, questi oggetti veicolano valori e agiscono sullo psichismo di coloro che li consumano e li utilizzano (26).

    In questo senso, nello stesso modo in cui il Sistema utilizza una tattica culturale a fini economici, parimenti impiega una tattica economica a fini culturali. La cultura — reificata, ovvero all’occorrenza incorporata in merci — e l’economia — «culturalizzata» — funzionano come veicoli l’una dell’altra. Gli effetti di ritorno sono permanenti; questa doppia tattica può paragonarsi a un processo cibernetico che funzioni, è il caso di dirlo, come un «sistema» su scala internazionale.

    L’economia e la sottocultura del Sistema si costituiscono così in un insieme reciproco che può permettersi di fare a meno largamente di tutte le forme tradizionali di propaganda politica o ideologica. Quest’insieme, che possiamo definire complesso veicolare economico-culturale, è il mezzo chiave, la tattica prioritaria di invasione dei popoli da parte del Sistema.

    L’efficacia di questa tattica può essere verificata in tutte le culture. In Africa come nei paesi dell’Est, il modello occidentale affascina. È la fase «pubblicitaria» della tattica del Sistema. Poi, dacché i costumi mercantilistici si sono instaurati, l’impregnazione culturale si rinforza: la radio, la televisione, ma ancor più la musica, i film, gli oggetti usuali, incitano ad entrare ancor più nell’universo mentale del consumismo.

    Le fasi culturali di entrata nel Sistema sono, a quanto sembra, tre.

    Innanzitutto le popolazioni ancora radicate nella propria specificità sono messe in presenza del modello americano-occidentale, chiamate a consumare e a condividere le aspirazioni della nuova cultura mondiale. Ma i tradizionali modi di vivere si oppongono alla diffusione del Sistema economico. Entra allora in opera la deculturazione, a livello linguistico, vestimentale, alimentare, professionale, ricreativo, eccetera. Essa non tocca all’inizio che le élites e le classi dirigenti. Il popolo resta affascinato, ma non accede che alle briciole del nuovo modo di vita. La cultura d’origine perde ogni credito: è «arretrata». È questa la situazione della maggior parte dell’Africa; così come, ancora pochi anni fa, di numerose regioni europee. In Europa, la deculturazione è stata tanto più rapida in quanto esisteva una parentela — ma non certo una analogia — tra la civilizzazione occidentale e la cultura europea.

    Seconda fase: si tratta ora di conquistare le masse, di eliminare le scorie culturali che si oppongono ancora ad uno standard di vita unico — per dirla altrimenti, di normalizzare i costumi. Le élites collaborano già col Sistema, quale che sia la loro contingente collocazione politica. Per cancellare le ultime zone, mentali e geografiche, di resistenza culturale, la tattica si fa a questo punto tecnoeconomica. Per «eliminare la povertà», assimilata ai modi di vivere tradizionali, si promuove l’innalzamento del potere d’acquisto, il che non significa affatto la scomparsa della povertà reale che spesso si è in precedenza contribuito a creare (27). Non restano allora accessibili che merci e servizi carichi di «valori» occidentali. Sono in questa fase i paesi detti a «reddito medio» del Terzo Mondo, dove la società dei consumi, come una febbre, caccia le mentalità locali con l’attrazione per la novità. La Malesia, il sud-est asiatico, l’America andina rientrano nella categoria.

    Per condurre le zone dalla prima alla seconda fase, la mitologia umanitaria dell’aiuto al Terzo Mondo è frequentemente utilizzata. Recentemente gli Stati Uniti si sono visti concedere da tutta l’Europa il semimonopolio della gestione degli aiuti sanitari all’Africa nera: eccellente mezzo di precipitare il processo di reclutamento di questo continente nel Sistema occidentale. «Le concezioni americane [in materia di politica degli aiuti sanitari] sono potentemente riprese dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità» scrive Claire Brisset (28). Gli organismi internazionali sono infatti strumento della diffusione del Sistema; questa non è necessariamente apparentata ad una espansione nazionale di cui gli U.S.A. sarebbero i protagonisti diretti ed unici.

    Claire Brisset aggiunge: «Fare degli Stati Uniti i capofila di questo tipo di azione in Africa (...) significa non soltanto contestare agli africani la capacità di gestire i propri affari in questo campo, vuol dire anche rischiare di rimettere in causa una vasta azione culturale, tecnica e linguistica francese». Come per caso, significa pure aprire agli U.S.A. il mercato farmaceutico dai sieri e dei vaccini in Africa. Diffusione culturale, pretesti umanitari e mercantilismo si sorreggono l’un l’altro.

    La Brisset conclude: «A guardare la cosa da vicino, si constata che le somme in questione sono adibite principalmente al funzionamento delle équipes di esperti americani, al loro mantenimento sul posto e a rendere loro possibile il controllo dei processi decisionali, ben più che ad azioni concrete di sviluppo sanitario. In altri termini, le autorità africane rischiano di vedere intaccare, in tal modo, un elemento essenziale della loro indipendenza».

    La prima fase di penetrazione degli standard del Sistema era culturale e «pubblicitaria»; la seconda fase, quella della normalizzazione, non mira solo ad affascinare con immagini che fanno appello al mimetismo di massa, ma soprattutto all’istituzionalizzazione di abitudini economiche, fatti di consumo (che siano film, motociclette, transistor o medicine), di cui non ci si potrà più in seguito disfare. Come vedremo più in là, il progetto è moralmente garantito, legittimato, inattaccabile: non si tratta forse di «soddisfare i bisogni», di portare a termine «azioni umanitarie»? La trappola si chiude: una volta ottenuta l’assuefazione di massa ai bisogni consumistici, le merci e i servizi proposti garantiranno la permanenza delle strutture mentali occidentali. La Grecia, la Spagna, il Marocco vivono attualmente la fine di questa seconda fase di penetrazione. Ma esiste una terza fase, quella del consolidamento, che è oggi in corso nell’Europa industrializzata. Il Sistema intende rafforzare le sue conquiste, evitando le ribellioni, la rinascita delle culture specifiche.

    La moda costituisce il principale strumento tattico di questo consolidamento: la cultura dominante è completamente incorporata nell’economia.

    Non un libro «di cui si parla» che non sia il supporto di un buon affare, appoggiato dal collegamento dei media incaricati di presentare e vendere la mercanzia; non un movimento culturale, una moda gergale, un nuovo stile di condotta che non abbiano per finalità ed origine una strategia di profitto e di conquista di mercati. Mercanti di abbigliamento, di elettronica, di cibo, di stampa, di film tirano i fili di ciò che viene ancora chiamata la «vita culturale».

    Inversamente, ogni prodotto, dallo skate-board all’automobile, passando per l’impianto hi-fi e la bottiglia di ketchup, porta in sé una carica semantica, simbolica e culturale, accuratamente calcolata.

    Le merci, private — come ha ben visto Jean Baudrillard — del loro valore d’uso (29), non sono utilitarie, ma veicolano referenze simboliche, desideri e tentazioni. D’altra parte, mode di massa e movimenti di consumo mantengono un’illusione di novità che contrasta il tedio provocato da un modo di vita omogeneo: una propaganda pubblicitaria a forte connotazione ideologica lancia degli «stili», come un tempo il new look così oggi il rétro. Una gamma estremamente variata di prodotti da consumare viene ad innestarsi sul nuovo stile culturale, dall’arredamento ai gusti musicali, passando per il maquillage. Queste mode di massa, in generale effimere (da quattro a cinque anni in media), prendono le veci di abitudini culturali. La spersonalizzazione individuale si coniuga con la superficializzazione generale degli stili di vita, perché questi non si giustificano più in base ad una tradizione individuante, ma in base a desideri controllati e programmati dagli uomini del marketing.

    La cultura, totalmente asservita alle strutture economiche, può ben permettersi di essere «consumatrice»: il Sistema non se ne cura, poiché neutralizza ogni ideologia politica svuotandola del suo significato.

    Tutta la cultura pop degli anni sessanta, fonte di favolosi mercati nel settore dei teen-agers di una trentina di paesi occidentali, si fondava essenzialmente sulla «contestazione» di ciò che veniva considerata l’ideologia occidentale. Persino le parole delle canzoni dei Beatles che si indirizzavano al mercato della gioventù «assennata» delle classi medie veicolavano una contestazione ideologica.

    Il discorso contestatario è non soltanto recuperato, ma per di più freddamente «smantellato»: il significante, cioè lo stile, scioccante e brutale, serve ad attirare il giovane consumatore, avido di spirito critico. O meglio: il significato (cioè il messaggio contestatario) è trasformato in significante (cioè utilizzato come aggancio). I messaggi sono presi ed usati come imballaggi. Questi movimenti di mode sono essenziali al mantenimento del Sistema in quanto creano passioni artificiali, stornano l’energia dei popoli dal politico, dal sociale, dallo storico e li lanciano verso mobilitazioni infra-artistiche che non sono in fondo che un uso «frenetico» del tempo libero (cfr. a questo proposito le isterie collettive provocate dalle rock star).

    I movimenti di mode si propagano utilizzando ciò che viene chiamato «prodotti collegati» e offensive congiunte su due o più mercati di consumo differenti. Un film può, ad esempio, lanciare in tutto il Sistema occidentale una moda infraculturale (come lo stile rock-disco-rétro di Travolta, inaugurato da La febbre del sabato sera e da Grease etc.) Seguono le mode nel campo dell’abbigliamento, i dischi, i fumetti, i cosmetici, le hit-parade, i telefilm. Si assiste alla nascita di configurazioni pluridimensionali, in cui prodotti ad alto contenuto culturale (dischi, libri, film) sono associati a prodotti semiculturali (distintivi e adesivi, posters, riproduzioni) e a prodotti di puro consumo (indumenti, cibi, bevande, tipi di locali di ritrovo). La moda ska, sottoprodotto dello stile disco, associa ad esempio la frequentazione dei fast-food all’americana, la lettura di una certa stampa, la ricerca di un modo di vestire che costituisce un particolare riadattamento della moda degli anni cinquanta eccetera.

    L’utilizzazione dello skate-board è stata accompagnata e appoggiata da una produzione cinematografica e televisiva. Si associano così dei «prodotti-innesti»: equipaggiamenti, immagini, accessori eccetera. Una serie televisiva di successo è seguita o preceduta da libri, dischi, giocattoli, articoli di consumo, concorsi e gadgets che ricreano il clima vissuto dallo spettatore.

    L’insieme del mondo occidentale vive allo stesso ritmo questi movimenti di mode, pianificati su scala planetaria. La cultura meccanica così creata, fonte di considerevoli redditi per le società private e pubbliche, ha perduto ogni densità, ogni significato spirituale.

  5. #5
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    Il Sistema, la cui coerenza interna governa le strategie commerciali, burocratiche, industriali o cinematografiche, non fa, in ogni modo, funzione di disegno politico d’insieme? In realtà esso non è niente del genere, perché chi dice politica dice volontà di trasformazione, modificazione permanente dei fattori in gioco, ridistribuzione delle carte su grande scala. Ora, e ritorneremo ancora su questo concetto, il Sistema intende evacuare ogni virus storico che tenda a perturbare l’ordine di cose generale. Le forze economiche, come le istituzioni internazionali, come le molteplici procedure di negoziato, cui i paesi dell’Est partecipano tanto quanto gli altri, soffocano «sistematicamente» ogni rischio di disordini geopolitici, ogni fermento di grandi confronti strategici. Le guerre sono oggi locali e circoscritte, raramente arrivano a costituire serie turbative per il Sistema. O, per lo meno, le due superpotenze e i loro complici tentano di fare in modo che sia così. Le politiche sono di conseguenza strettamente delimitate al di qua di una certa soglia di tolleranza. La sola politica tollerata dai governi occidentali — ma essa non merita il nome nobile di politica — è quella che, secondo l’espressione di Claus Offe, «degenera in un’attività che non obbedisce altro che a “imperativi di schivata”» (44). Evitare che qualcosa si muova, evitare gli scontri, le tensioni sociali, i conflitti. Nel Sistema, la politica non soltanto è degenerata in gestione, ma altresì in manovre antiscelta. Tutta la scienza dei politologi moderni non consiste più nel dire come governare, ma come evitare (d’agire), come procedere tecnicamente per sedare, appianare, conciliare, arbitrare. I governi non decidono più di cambiare a loro vantaggio l’ordine del mondo, ma operano e manovrano per evitare che i cambiamenti nell’ordine mondiale — su cui essi non hanno più alcuna incidenza — non destabilizzino la particella della ragnatela occidentale di cui essi sono i manager responsabili.

  6. #6
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    In realtà, continuano ad esserci delle scelte all’interno del Sistema; ma la loro natura è un po’ particolare. Mentre i neomarxisti — Marcuse od Habermas, ad esempio — ritengono che sotto la regolazione tecnocratica della società si camuffino scelte autoritarie e politiche, è lecito porsi la domanda se queste scelte invece non siano semplicemente proprio quelle della mancanza di scelta (35). Per dirla altrimenti, ciò che si sceglie non è di utilizzare una regolazione tecnica e «morbida» per mascherare disegni politici, ma più tragicamente di fuggire le scelte, di rimettersi alla mitologia consolatrice del determinismo deresponsabilizzante, al cieco confidare nel management tecnico a breve termine. Non c’è un interesse storico «capitalista» da difendere che si nasconderebbe dietro le pratiche dei gruppi bancari più o meno nazionalizzati: semplicemente si confida, ci si abbandona a una «logica mondiale». Non «politica mascherata», ma assenza significante e reale del politico.

  7. #7
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    Ma che ci dovremmo fare con Faye? Incartarci le uova? Avete proprio rotto con questo continuo inserire discussioni (tra l'altro doppione di innumerevoli altre) su gente che con la politica e la filosofia centra come i cavoli a merenda. Io di parlare di un pornoattore che parla di schiavizzare il terzo mondo e di avanguardia spirituale proprio non ho intenzione. Fosse per me questa discussione sarebbe già stata chiusa.

    A luta continua

  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da Sandinista Visualizza Messaggio
    Ma che ci dovremmo fare con Faye? Incartarci le uova? Avete proprio rotto con questo continuo inserire discussioni (tra l'altro doppione di innumerevoli altre) su gente che con la politica e la filosofia centra come i cavoli a merenda. Io di parlare di un pornoattore che parla di schiavizzare il terzo mondo e di avanguardia spirituale proprio non ho intenzione. Fosse per me questa discussione sarebbe già stata chiusa.

    A luta continua
    Prevedevo una risposta del genere da parte tua
    Che ci fossero discussioni simili non lo sapevo, qua ho postato molto raramente.
    Comunque in questo libro parla di tutto meno che di schiavizzare il mondo, tu probabilmente ti sarai fatto questa idea leggendo qualcosa da "Archeofuturismo" che con questo non c'entra niente (infatti è venuto 20 anni dopo)

  9. #9
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    Citazione Originariamente Scritto da Rasputin! Visualizza Messaggio
    Prevedevo una risposta del genere da parte tua
    Che ci fossero discussioni simili non lo sapevo, qua ho postato molto raramente.
    Comunque in questo libro parla di tutto meno che di schiavizzare il mondo, tu probabilmente ti sarai fatto questa idea leggendo qualcosa da "Archeofuturismo" che con questo non c'entra niente (infatti è venuto 20 anni dopo)
    Continuo a chiedermi il senso di venire qui dentro a postare sta roba che tra l'altro è presa a risate in faccia pure dalla stragrande maggioranza della destra radicale. Il che è tutto dire...

    A luta continua

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da Sandinista Visualizza Messaggio
    Continuo a chiedermi il senso di venire qui dentro a postare sta roba che tra l'altro è presa a risate in faccia pure dalla stragrande maggioranza della destra radicale. Il che è tutto dire...

    A luta continua
    Boh, cosa ti devo dire, prova a leggere quello che ho postato.
    Quelli che ridono di questa roba nella destra radicale sono in genere i filoislamici con l'ossessione del complotto demo-pluto-giudaico-massonico e la convinzione che Faye ne sia un esponente. Proprio il fior fiore della destra radicale.

 

 
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