A Mantova, al Castello di San Giorgio, una mostra ricostruisce la carriera di Lucio Fontana scultore. Settanta opere documentano l'estro visionario del maestro dei "concetti spaziali"


Mantova - Dalla Camera degli Sposi, dove le meraviglie di quel genio rinascimentale di Mantegna si dispiegano lungo tutte le pareti, compreso il soffitto con la vertigine del sublime finto oculo da cui si affacciano briosi Amorini, alla camera dei "concetti spaziali" di Lucio Fontana, dove tutto riverbera di una luce lattiginosa e sinistra, mimando l'idea di spazio dinamico. Il passo è paradossalmente breve. Le separa giusto un piano. Perché proprio nell'ampio salone incastonato nei restaurati sotterranei del Castello di San Giorgio, sotto la famigerata stanza affrescata per i Gonzaga, ecco incontrare l'Ambiente spaziale a luce nera che l'illustre maestro della stagione informale italiana, colui che ha firmato il manifesto dello "spazialismo", rivoluzionando il concetto di spazio nell'arte con i suoi "sconcertanti" tagli e buchi, costruì per la famosa esposizione alla Galleria del Naviglio di Milano nel 1949.


Perduto l'originale, arriva a Mantova il modello realizzato nel 1976 da Andrea Franchi, come chicca della mostra "Lucio Fontana scultore" che si inaugura il 5 settembre sotto la cura di Filippo Trevisani, soprintendente per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico di Brescia, Cremona e Mantova, e che punta a ricostruire l'attività di Fontana all'insegna del plasticismo e della materia. Lo fa attraverso una settantina di opere, dove spicca visionaria e suggestiva l'installazione ambientale "interattiva" dove il visitatore viene "iniziato" ad un'esperienza fisica ed emotiva - nell'ottica di Fontana, esistenziale - della percezione dello spazio plastico. Un luogo dove vivere lo spazio nella sua mutevole e sfuggente natura, dove la sua definizione reale appare strettamente vincolata alla dimensione estetica mai statica, mai prevedibile. Una stanza tutta nera, dove il pubblico stimola il confronto serrato con una sorta di sospesa figura antropomorfa, che si esprime attraverso tentacoli colorati di luce fluorescente.


Una spettacolarizzazione del "concetto spaziale", che diventa l'apice di un percorso dettagliato e certosino che rievoca l'epopea creatica di Lucio Fontana, formatosi sotto l'insegnamento di Adolfo Wildt all'Accademia di Brera a Milano, dove giovanissimo, tra il 1927 e saltuariamente sino al 1929 ha puntato a misurarsi con gli strumenti e la tradizione del marmista, del plastificatore, del mosaicista, guardando idealmente anche al plasticismo minimale ed emotivo di Brancusi. Ma se la sua velleità "artigianale" viene maturata tra la bottega acquisita nell'impresa edile del padre e dello zio Geronzio, geometra, e l'esperienza di stuccatore e gessatore, a Rosario de Santa Fé, il suo debutto artistico viene collaudato tra la manifattura di Giuseppe Mazzotti ad Albisola e a Sevres. La mostra ripercorre le sue prime sperimentazioni, all'alba degli anni Trenta, dominati da quella portentosa ambizione di sintesi con cui Fontana s'impadroniva della natura, di uomini e cose, dove i volumi si sublimavano in una stilizzazione raffinata, e dove la plasticità inseguiva già una figurazione primitiva, con il gusto della deformazione emotiva, che lentamente prenderà il suo corso, spianando la strada al passaggio da una figuratività dinamica all'astrazione.


Una intenzionalità astratta, quella di Fontana, che, tra le mostre alla Galleria Il Milione di Milano, le trasferte a Torino e Parigi, si scontrò subito col giudizio negativo della critica, basti pensare, come rievoca Trevisani, che Leonardo Borgese scriveva sul "L'Italia Letteraria" del 15 maggio 1935 che le sculture di Fontana "starebbero benissimo nelle vetrine di qualche elegante bottega di mode, per esempio in funzione di appoggi per stoffe di lusso. Ma il vero gusto in arte è non apparire di buon gusto". Uno stile ostico non accattivante, che prima di essere universalmente compreso da tutta la critica, sarebbe stato intercettato dalla giovane scultura italiana, come un giovanissimo Mirko Basaldella che ne sarebbe stato irresistibilmente attratto.


La mostra parte da tutto questo, dall'embrione dell'avanguardia storica tradotta in scultura, e da quello che è stato un supporto essenziale per l'arte di Fontana, come il disegno. Appunti su fogli comuni, anche dalla macchina da scrivere, dove annotava ricerche, idee, guizzi, elementi che precedevano e accompagnavano la creazione plastica. É il disegno il primo step per connettere intimamente l'immagine allo spazio, trasformandolo in concetto spaziale. Lungo le antiche sale che restituiscono, dopo un accurato intervento di restauro, i fasti di una corte segnata dalle personalità di spicco di Ludovico e Federico II Gonzaga, si ritrovano ora le monumentali sculture degli anni '30, tra cui Campione olimpionico, Il Fiocinatore, Paulette. Ed è visibile il passaggio dalla figura seppur sbozzata, all'astrazione, che si compie attraverso la materia, negli anni '40. Ecco i gessi, la creta, l'argilla, le ceramiche.

La materia si fa docile, di una purezza quasi ancestrale, di un senso più primitivo e genuino. Una tradizione "da vasaio", anche se Fontana si è sempre definito uno scultore e non un ceramista: "Io sono uno scultore e non un ceramista. Non ho mai girato al tornio un piatto né dipinto un vaso - dirà l'artista - ho in uggia merletti e sfumature. Soltanto nel 1936 iniziai nella fabbrica di Mazzotti di Albisola una vera e propria attività in questo campo con una cinquantina di pezzi: alghe, farfalle, fiori, coccodrilli, aragoste, tutto in acquario pietrificato e lucente. La materia era attraente; potevo modellare un fondo sottomarino una statua o un mazzo di capelli e imprimere un colore vergine e compatto che il fuoco amalgamava. Il fuoco era una specie di intermediario: perpetuava la forma e il colore".


Quello che ottenne Fontana, da quella materia povera e grezza, furono inestimabili oggetti astratti, né pittura né scultura, niente volumi ma profili. Diceva Argan "Le sculture astratte di Fontana non sono, sicuramente, sculture. Plasticamente, non hanno senso finito: non sono neppure un'esperienza di cultura, perché la contemporaneità con altre opere, profondamente diverse, le priva persino del significato di fase transitoria nella formazione dell'artista. Hanno, più verosimilmente, un valore sperimentale: sono sondaggi per determinare una nuova dimensione, indefinibile con le categorie consuete della profondità e del piano, e valida soltanto per l'identità, che postula, di segno e colore". Poi compaiono clamorosi e "sconcertanti" le sculture eseguite con le tessere di mosaico, quasi in un transito sospeso tra scultura e pittura, con l'uso esuberante dell'oro, e quei giochi cromatici increspati di scaglie che evocano corpi artefatti, sublimati dal gioco di un arabesco. Come la Testa di medusa, il Ritratto di Teresita e il bellissimo Gallo d'oro della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma.

Fino al traguardo portentoso dei buchi, tagli, le nature e le ultime meravigliose creazioni. Opere accolte, negli anni '50, con sospetto, plauso e sberleffo ma che scoprivano ora più che mai un'indole creativa intensionata a non tornare più all'ovile dell'ordine delle "belle statuine". "Fontana prima el faseia i büs, adesso el fa i tai, e adesso el rump i ball", ero lo scherno milanese su cui ride lo stesso artista. Più che "bal" le chiama Nature e Concetti spaziali: "Non li ho chiamati oggetti perché mi pareva troppo materialista, li ho chiamati Concetti perché era il concetto nuovo di vedere il fatto mentale". Eccoli dunque i suoi gesti di libertà, di un informale gestuale in cui Fontana scarnifica le regole dell'arte per varcare e superare la soglia comoda e confortevole della doppia dimensione. Per vibrare i suoi colpi rivoluzionari. Forse Fontana è stato solo scultore, anche i tagli e i buchi inferti al quadro non sono stati altro che l'elaborazione di un'ulteriore materia. Intercettando e dando sfogo ad una nuova dimensione, al di là del quadro.

di LAURA LARCAN

Notizie utili - "Lucio Fontana scultore", dal 5 settembre al 6 gennaio 2008, Mantova, Palazzo Ducale - Castello di San Giorgio. La mostra è curata da Filippo Trevisani.
Orari: da martedì a domenica 8.45 - 19.15. Lunedì chiuso. Durante le giornate del Festival della Letteratura, la mostra avrà un'apertura serale straordinaria fino alle 23.
Ingresso: intero: € 8 - ridotto: € 6.
Prenotazioni: tel. 041 2411897
Catalogo: Electa.


(28 agosto 2007) www.repubblica.it