Rolando Rivi nacque il 7 gennaio 1931 nella casa detta del Poggiolo a San Valentino, un piccolo borgo vicino a Castellarano in provincia di Reggio Emilia, da Roberto e Albertina Canovi.Il padre di Rolando, Roberto, militante dell’allora gloriosa Azione Cattolica, era anch’egli molto religioso, assiduo alla santa Messa, che frequentava con devozione particolare secondo l’invito del santo Pontefice Pio X.
Rolando era un bambino sano ed esuberante.
Proprio questa sua vivacità metteva talvolta in ansia i genitori e la nonna, che meglio di altri ne aveva intuito il temperamento, ed era solita dire: «Rolando, o diventerà un mascalzone o un santo! Non può percorrere una via di mezzo...»
Quando assisteva alla Messa, il piccolo non perdeva un gesto del sacerdote e seppure molto piccolo cominciò a fare il chierichetto.Don Olinto era un prete vero: passava lunghe ore in preghiera davanti al Santissimo, curava meticolosamente il catechismo dei fanciulli, istruiva i chierichetti per il servizio all’altare e aveva messo su un coro per dare solennità alla liturgia.
Fu anche attraverso di lui che Rolando imparò ad amare Gesù e a scoprire che abitava, vivo, nel tabernacolo.Rolando fu ammesso a ricevere l’Eucaristia subito, a giugno, perché era tra i fanciulli che si erano preparati meglio e più in fretta.
Ne provò una grande gioia e il 16 giugno 1938, festa del Corpus Domini, ricevette per la prima volta Gesù.
Le testimonianze concordano sul fatto che dopo la prima Comunione Rolando era cambiato.
Pur rimanendo un ragazzo vivace, i familiari notarono in lui una maturazione profonda, che si accentuò dopo aver ricevuto la Cresima, il 24 giugno 1940.
Entrò nel Seminario di Marola nell'autunno del 1942 e come si usava a quei tempi vestì subito l’abito talare.
Ne era fiero e fu anche questo amore per l’abito talare a segnare la sua fine...
Quando nel 1944 i tedeschi occupano il seminario di Marola, tutti i ragazzi dovettero rientrare alle loro case, portando con sé i libri per poter continuare a studiare.
Rolando continuò a sentirsi seminarista: oltre a studiare, frequentava quotidianamente la Messa e la Comunione, recitava il rosario, pregava, faceva visita al Santissimo Sacramento.
Nonostante fosse stato consigliato diversamente, non smise mai di portare il suo abito religioso: i genitori, infatti, gli dicevano: «Togliti la veste nera. Non portarla per ora ...».
Ma Rolando rispondeva: «Ma perché? Che male faccio a portarla? Non ho motivo di togliermela». Gli fecero notare che forse era conveniente farlo in quei momenti, così insicuri.
Replicò Rolando: «Io studio da prete e la veste è il segno che io sono di Gesù».Un atto d’amore che pagherà con la vita.Il 10 aprile, martedì dopo la domenica in Albis, al mattino presto, il ragazzo era già in chiesa: si celebrava la Messa cantata in onore di san Vincenzo Ferreri e Rolando vi partecipò, suonando l’organo.
Terminato il rito, prima di uscire, prese accordi con i cantori, per «cantare Messa» anche il giorno seguente.
Uscito di chiesa, mentre i suoi genitori si recarono a lavorare nei campi, Rolando, con i libri sottobraccio, si diresse come al solito a studiare nel boschetto a pochi passi da casa.
Indossava, come sempre, la sua talare nera.
A mezzogiorno i suoi genitori l’attesero invano per pranzo.
Preoccupati l’andarono a cercare.
Tra i libri sull’erba trovarono un biglietto: «Non cercatelo. Viene un momento con noi. I partigiani».Venne spogliato della veste talare che li irritava, insultato, percosso con la cinghia sulle gambe e schiaffeggiato.
Rimase per tre giorni nelle mani dei suoi aguzzini, ascoltando bestemmie contro Cristo, insulti contro la Chiesa e contro il sacerdozio.
Secondo alcuni testimoni sarebbe stato frustato e avrebbe subito altre indicibili violenze.
Tra i rapitori pare che qualcuno si commosse, proponendo di lasciarlo andare.
Ma altri si rifiutarono, minacciando di morte chi aveva fatto la proposta del rilascio.
Prevalse l’odio per la Chiesa, per il sacerdote, per l’abito che lo rappresenta e che quel ragazzino non si era mai voluto togliere.
Decisero di ammazzarlo: «Avremo domani un prete in meno».
Lo portarono, sanguinante, in un bosco presso Piane di Monchio (in provincia di Modena), dove c’era una fossa già scavata.
Rolando capì che stava per morire, pianse, chiedendo di essere risparmiato.
Con un calcio lo scaraventarono a terra.
Allora chiese di pregare un’ultima volta.
Si inginocchiò, poi due scariche di rivoltella lo fecero rotolare nella buca.
Venne coperto con poche palate di terra e di foglie secche.
La veste del «pretino» divenne un pallone da calciare; poi sarà appesa, come trofeo di guerra, sotto il porticato di una casa vicina.
Era venerdì 13 aprile 1945, ricorrenza del martirio del giovane sant’Ermenegildo (585 dopo Cristo). Rolando aveva quattordici anni e tre mesi.
Per tre giorni i genitori e don Camellini lo cercarono lungo tutto quel tratto del crinale appenninico, finché alcuni partigiani li indirizzarono a Piane di Monchio.
Qui incontrarono un capo partigiano comunista, cui chiesero: «Dov’è il seminarista Rivi?»
Quello rispose: «È stato ucciso qui, l’ho ucciso io, ma sono perfettamente tranquillo».
E indicò il luogo dove il giovanetto era stato sepolto il giorno prima.
Don Camellini domandò ancora al partigiano: «Ha sofferto molto?».
Quello, mostrandogli la sua rivoltella, replicò beffardo: «Con questa non si soffre molto. Non si sbaglia».
Era la sera di sabato 14 aprile 1945.
Quando il 25 maggio del 1945 il suo corpo era stato tumulato nel cimitero di San Valentino, le parole del suo parroco, don Olinto Marzocchini, erano state brevi ed intense: «Non bastano le nostre lacrime a piangere Rolando… Ma guardate a Cristo che è la resurrezione e la vita. Lui asciughi le lacrime dai nostri occhi».
Questa la fede semplice di chi per essa era disposto a dare la vita, di chi in Cristo ci credeva davvero.
«Era stato lui - è scritto in un libro distribuito in fondo alla chiesa dal "Comitato amici di Rolando Rivi" - a preparare quel trionfo al figlio prediletto, a quel ragazzo aspirante al sacerdozio, caduto innocente sotto il piombo di uomini empi, come i ragazzi e i giovani cattolici martiri in Russia, in Messico e in Spagna, nelle recenti persecuzioni sotto l’odio massonico e comunista».