Immigrazione e clandestinità: quando la famiglia non conta
Inserito il 12 marzo 2010
Immigrazione e clandestinità: quando la famiglia non conta|Libertiamo.it
Immigrazione e clandestinità: quando la famiglia non conta

- La sentenza della Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso del signore albanese di Busto Arsizio, privo di diritto di soggiorno in Italia e sposato con una donna in attesa di cittadinanza italiana, che chiedeva la temporanea permanenza in Italia nell’interesse dei figli minori in età scolastica, è purtroppo comprensibile, stante l’attuale legislazione. E’ molto meno accettabile una politica che si accontenta di questa legislazione restrittiva, discriminatoria, certamente non adeguata ai tempi.
Una buona discussione dovrebbe anzitutto fare chiarezza sull’oggetto del dibattito, guardando ai fatti. Tutti comprendiamo come possa esistere – e vada evitato – l’uso dei minori come lasciapassare o salvacondotto da parte dei clandestini, ma il caso in questione è molto diverso. Non stiamo parlando dell’immigrato clandestino appena arrivato in Italia con un barcone ed un figlio minore per mano. Qui si tratta di una famiglia ben integrata, o in via di piena integrazione, nel tessuto sociale italiano, che si trova a vivere il disagio di un genitore regolarmente residente in Italia e di un altro privo di diritto al soggiorno.
Il problema, allora, non è la Cassazione, dalla quale non possiamo aspettarci una supplenza legislativa che colmi le incertezze della politica e alla quale non è utile rivolgere accuse di contraddittorietà rispetto a giudizi passati (spetterà comunque alle Sezioni Unite dirimere la questione). Il nodo da sciogliere è una legislazione che non sa affrontare in modo diverso casi molto diversi, che non riconosce il diritto naturale al ricongiungimento se non nello schema ‘classico’ del genitore che lavora e che si fa raggiungere in Italia dal figlio lontano.
Più in generale, in una fase congiunturale così difficile, sempre più immigrati perdono il lavoro ed il diritto al soggiorno. E si trovano a fare i conti con la realtà di una famiglia ‘più italiana’ e ‘meno rimpatriabile’ di quanto la legge riconosca. Ed è a situazioni come queste che le politiche per l’integrazione – anzi, le politiche per la famiglia – dovrebbero guardare.
E’ un peccato che alcuni, nel PdL, abbiano avuto il riflesso (quasi condizionato) di commentare con soddisfazione la sentenza avendo in testa il barcone e non la famiglia. E’ la tutela della famiglia, invece, che dovrebbe spingerci a riconsiderare nel profondo il nostro approccio ai temi dell’immigrazione e della cittadinanza.

Share
Inserito da:

Benedetto Della Vedova