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Discussione: Tibet prima di Mao

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    Tibet prima di Mao

    www.resistenze.org - popoli resistenti - cina - 21-11-05

    da http://www.michaelparenti.org/Tibet.html


    Feudalesimo amichevole: il mito del Tibet



    Da un capo all’altro dei secoli è prevalsa una dolorosa simbiosi fra religione e violenza. Le storie della cristianità, del giudaismo, dell’induismo e dell’islamismo sono pesantemente legate a vendette micidiali e distruttive, persecuzioni e guerre. Più volte, gli appartenenti ad una confessione religiosa hanno rivendicato e vantato un mandato divino per terrorizzare e massacrare eretici, infedeli ed altri peccatori.



    Alcuni hanno obiettato che il buddismo è diverso, che occupa una posizione antitetica rispetto alla violenza cronica delle altre confessioni religiose. In verità, così com’è praticato da molti negli Stati Uniti, il buddismo è più una disciplina “spirituale” e psicologica che non una teologia nel senso consueto del termine. Esso offre tecniche meditative e auto-terapie che si ritiene favoriscano l’ “illuminazione” e l’armonia dell’interiorità. Ma, come ogni altro sistema di valori, di convinzioni, il buddismo deve essere valutato non soltanto dalle sue dottrine, ma dall’effettivo comportamento dei suoi seguaci.



    Eccezionalità del buddismo?



    Un colpo d’occhio alla storia rivela che le organizzazioni buddiste non fanno eccezione alle persecuzioni violente che hanno così caratterizzato i gruppi religiosi nel corso delle epoche storiche. In Tibet, dall’inizio del diciassettesimo secolo e sino al secolo successivo inoltrato, sette buddiste in conflitto si impegnarono in ostilità armate ed esecuzioni sommarie. (1) Nel ventesimo secolo, dalla Thailandia alla Birmania alla Corea al Giappone, i buddisti si sono scontrati fra loro e con i non buddisti. In Sri Lanka, enormi battaglie in nome del buddismo sono parte integrante della storia cingalese. (2)



    Soltanto pochi anni fa, in Corea del Sud, migliaia di monaci dell’ordine buddista Chogye – che, secondo l’opinione generale erano dedicati ad una ricerca meditativa alla ricerca dell’illuminazione spirituale – si combatterono con pugni, pietre, bombe incendiarie, e randelli, in battaglie campali che continuavano per settimane. Stavano rivaleggiando per il controllo dell’ordine monastico, il maggiore della Corea del Sud, con il suo budget annuo di 9.2 milioni di dollari, i suoi milioni di dollari aggiuntivi in proprietà, e il privilegio di nominare 1700 monaci per mansioni varie. Le risse distrussero in parte i principali santuari buddisti e lasciarono dozzine di monaci feriti, alcuni dei quali in maniera seria.



    Entrambe le fazioni che lottavano per la supremazia ricercavano il sostegno della nazione. In effetti, i cittadini coreani sembravano disdegnare entrambe le parti, essendo dell’opinione che non aveva importanza quale consorteria avrebbe preso controllo di un ordine, poiché avrebbe comunque impiegato le donazioni dei fedeli per accumulare ricchezze, comprese case ed auto costose. Secondo un notiziario di cronaca, la confusione all’interno dell’ordine buddista Chogye (molta della quale portata sugli schermi televisivi coreani) : “ha mandato in frantumi l’immagine dell’Illuminismo Buddista”. (3)



    Ma molti buddisti odierni negli Stati Uniti farebbero obiezione, affermando che nulla di ciò si applicherebbe al caso del Dalai Lama e del Tibet da lui presieduto prima della spaccatura cinese del 1959. Il Tibet in cui credono, quello del Dalai Lama, era un mondo orientato verso un orizzonte spirituale, scevro da stili di vita egoistici, libero dal vuoto materialismo, da inutili ricerche e dai vizi corrotti che assediano la società moderna industrializzata. I media occidentali, insieme a uno stuolo di libri di viaggi, romanzi e film di Hollywood hanno dipinto la teocrazia tibetana come una vera Shangri-La e il Dalai Lama come un santo saggio, “il più grande essere umano vivente”, come lo ha descritto con grandissimo entusiasmo l’attore Richard Gere. (4)



    Lo stesso Dalai Lama ha dato adito a tali immagini idealizzate sul Tibet, mediante affermazioni come: “La civiltà tibetana ha una ricca e lunga storia. L’influenza persuasiva del buddismo e le asperità di una vita fra gli ampi spazi aperti di un ambiente incorrotto, ha avuto come risultato una società dedicata alla pace e all’armonia. Provavamo diletto nella libertà e nella contentezza, nell’essere paghi.” (5)



    Mala storia del Tibet appare un po’ diversa. Nel tredicesimo secolo, l’imperatore Kublai Khan creò il primo Grande Lama, che avrebbe dovuto presiedere tutti gli altri Lama, così come farebbe un papa con i suoi vescovi. Parecchi secoli dopo, l’imperatore della Cina inviò un esercito in Tibet per sostenere il Grande Lama, un’ ambizioso venticinquenne che si autoconferì il titolo di Dalai (Oceano) Lama, signore di tutto il Tibet. Ecco un’ironia storica: il primo Dalai Lama fu investito della propria carica da un esercito cinese. Per elevare la sua autorità oltre la sfida mondana, temporale, il primo Dalai Lama confiscò monasteri che non appartenevano alla sua setta, e si crede anche che abbia distrutto scritti buddisti contrastanti con la sua pretesa di divinità.



    Il Dalai Lama che gli successe ricercò una vita sibaritica ( ndt: termine che indica un eccesso di lusso e mollezza, “degno di un sibarita”), da individuo raffinato e dedito ai piaceri, godendo di molte concubine, organizzando feste, scrivendo poesie erotiche e comportandosi in altri modi, che dovrebbero sembrare sconvenienti per una incarnazione degli dei.



    Per questo la sua figura, in seguito è stata "oscurata" dai suoi monaci. In 170 anni, malgrado il loro stato riconosciuto come dei, cinque Lama di Dalai sono stato assassinati dai loro gran sacerdoti o da loro altri cortigiani non violenti buddistici. 7



    Shangri-La (per signori e Lama)



    Le religioni hanno sempre avuto una stretta correlazione non soltanto con la violenza, ma anche con lo sfruttamento economico. In realtà, è spesso la strumentalizzazione economica che conduce necessariamente alla violenza. Tale è stato il caso della teocrazia tibetana. Fino al 1959, quando il Dalai Lama presiedette l’ultima volta il Tibet, la maggior parte della terra arabile era ancora organizzata attorno a proprietà feudali religiose o secolari lavorate da servi della gleba. Addirittura uno scrittore come Pradyumna Karan, solidale con il vecchio ordine, riconosce che “una grande quantità di proprietà apparteneva ai monasteri, la maggioranza di essi accumulava notevoli ricchezze….Inoltre, monaci e Lama riuscirono ad ammassare individualmente notevoli ricchezze tramite la partecipazione attiva negli affari, nel commercio e nell’usura.” (8)



    Il monastero di Drepung era uno delle più estese proprietà terrestri del mondo, con i suoi 185 feudi, 25.000 servi della gleba, 300 grandi pascoli e 16.000 guardiani di gregge. La ricchezza dei monasteri andava ai Lama di più alto rango, molti dei quali rampolli di famiglie aristocratiche, mentre invece la maggior parte del clero più basso era povero come la classe contadina dalla quale discendeva. Questa disuguaglianza economica classista all’interno del clero tibetano, è strettamente paragonabile a quella del clero cristiano dell’Europa medievale. Insieme al clero superiore, i leaders secolari facevano la loro parte. Un esempio considerevole fu il comandante in capo dell’esercito tibetano, che possedeva 4.000 chilometri quadrati di terra e 3.500 servi. Egli era anche un membro del Consiglio terriero del Dalai Lama. (9)



    L’Antico Tibet è stato rappresentato da alcuni dei suoi ammiratori occidentali come “una nazione che non necessitava forze di polizia perché il suo popolo osservava spontaneamente le leggi del karma.” (10) In realtà era dotato di un esercito professionale, sebbene di piccole dimensioni, che era al servizio dei proprietari terrieri come gendarmeria, con l’incarico di mantenere l’ordine e catturare i servi della gleba fuggitivi. (11)



    I ragazzini tibetani venivano regolarmente sottratti alle loro famiglie e condotti nei monasteri per essere educati come monaci. Una volta laggiù, erano vincolati per tutta la vita. Tashì-Tsering, un monaco, riferisce che era pratica comune per i bambini contadini essere abusati sessualmente nei monasteri. Egli stesso fu vittima di ripetute violenze sessuali perpetrate durante l’infanzia, non molto tempo dopo che fu introdotto nel monastero, all’età di nove anni. (12)



    Nell’Antico Tibet vi era un piccolo numero di agricoltori il cui stato sociale era una sorta di contadino libero, e forse un numero aggiuntivo di 10.000 persone, le quali costituivano la “classe media”, famiglie di mercanti, bottegai e piccoli commercianti. Migliaia di altri erano mendicanti. Una piccola minoranza erano poi schiavi, di solito servi domestici, che non possedevano nulla. La loro prole nasceva già in condizioni di schiavitù. (13)



    Nel 1953, la maggioranza della popolazione rurale – circa 700.000 su una popolazione totale stimata 1.250.000 – era composta da servi della gleba. Vincolati alla terra, veniva loro assegnata soltanto una piccola parcella fondiaria per poter coltivare il cibo atto al sostentamento. I servi della gleba e il resto dei contadini dovevano in genere fare a meno dell’istruzione e dalle cure mediche. Trascorrevano la maggioranza del loro tempo sgobbando per i monasteri e per i singoli Lama di alto rango, e per un’aristocrazia secolare, laica, che non contava più di 200 famiglie. Essi erano in effetti proprietà dei loro signori, che gli comandavano quali prodotti della terra coltivare e quali animali allevare. Non si potevano sposare senza il consenso del loro signore o Lama. Se il suo signore lo avesse inviato in un luogo di lavoro lontano, un servo avrebbe potuto essere facilmente separato dalla sua famiglia. I servi potevano essere venduti dai loro padroni, o sottoposti a tortura e morte. (14)



    Se dobbiamo dar credito al racconto di una donna ventiduenne, ella stessa serva fuggiasca, il signore tibetano era solito selezionare fra il meglio della popolazione femminile di servitù della gleba: “Tutte le ragazze graziose della servitù erano solitamente prese dal proprietario come domestiche e trattate come lui desiderava.” Esse “erano soltanto schiave senza alcun diritto.” (15) La servitù necessitava di un permesso per recarsi ovunque. I proprietari terrieri avevano l’autorità legale di catturare e impiegare metodi coercitivi, sino alla violenza, nei confronti di quelli che tentavano di fuggire, obbligandoli a tornare indietro. Un servo di ventiquattro anni, anch’egli fuggiasco, intervistato da Anna Louise Strong, accoglieva con favore l’intervento cinese come una “liberazione”. Nel corso del suo periodo di servitù sostiene di non avere ricevuto un trattamento molto diverso da un animale da traino, sottoposto a un incessante lavoro, fame e freddo, incapace di leggere o scrivere, senza conoscere nulla, né sapere nulla. Egli racconta il suo tentativo di fuga: la prima volta che [gli uomini del padrone] mi agguantarono mentre stavo cercando di sfuggire, ero molto piccolo, e mi diedero soltanto un buffetto imprecando contro di me. La seconda volta mi picchiarono. La terza volta avevo già quindici anni e mi diedero quindici frustate pesanti, violente, con due uomini seduti sopra di me, uno sulla mia testa e uno sui miei piedi. Il sangue mi uscì allora dal naso e dalla bocca. Il sorvegliante disse: “Questo è soltanto sangue dal naso; forse prenderai bastonate più forti, e perderai sangue dal cervello.” Mi picchiarono poi con bastonate più intense, versando alcool e acqua con soda caustica sulle ferite, per aumentare il dolore. Persi i sensi per due ore…” (16)



    Oltre a ritrovarsi in un vincolo lavorativo che li obbligava a lavorare la terra del signore – oppure quella del monastero - per tutta la durata della vita e senza salario, i servi della gleba erano costretti a riparare le case del signore, trasportarne la messe e raccoglierne la legna da ardere. Si esigeva anche che provvedessero a trasportare gli animali e al trasporto su richiesta, a seconda delle pretese del padrone. “Era un efficiente sistema di sfruttamento economico, che assicurava alle élites laiche e religiose del paese una forza lavoro sicura e permanente per coltivare i loro appezzamenti di terreno, che li esonerava dall’accollarsi qualsiasi responsabilità quotidiana diretta circa la sussistenza del servo, e senza la necessità di competere per la manodopera in un contesto di mercato.” (17)



    La gente comune sgobbava sotto il doppio fardello della corvée (lavoro forzato non retribuito in favore del padrone) e delle decime onerose. Ogni aspetto della vita era gravato da tributi: il matrimonio, la nascita di ogni figlio, ogni morte in famiglia. Erano soggetti a imposta per aver piantato un nuovo albero nel loro cortile, per tenere animali domestici o dell’aia, per il possesso di un vaso di fiori, o per l’aver messo un campanello ad un animale. C’erano tasse per le festività religiose, per cantare, ballare, far rullare il tamburo e suonare il campanello. La gente veniva tassata per quando veniva mandata in prigione e quando la si rilasciava. Addirittura i mendicanti erano soggetti alla pressione fiscale. Quelli che non riuscivano a trovare lavoro erano tassati a causa della loro disoccupazione, e se si spostavano in un altro villaggio nella loro ricerca di un’occupazione, pagavano una tassa di transito. Quando la gente non poteva pagare, i monasteri prestavano loro denaro ad un interesse oscillante fra il 20% e il 50%. Alcuni debiti venivano tramandati di padre in figlio sino al nipote. I debitori che non potevano evadere i loro debiti, rischiavano la riduzione in schiavitù per un periodo di tempo stabilito dal monastero, a volte per il resto delle loro vite. (18)



    Le dottrine pedagogiche della teocrazia ne appoggiarono e rafforzarono l’ordine sociale classista. Si insegnava ai poveri e agli afflitti che i propri guai erano su di loro a causa del loro comportamento sciocco e immorale nel corso delle loro vite precedenti. Dovevano quindi accettare l a miseria della loro esistenza presente come un’espiazione e in anticipo, solo così il loro destino, la loro sorte sarebbero migliorati se fossero rinati, se si fossero reincarnati. I ricchi e potenti consideravano naturalmente la loro buona fortuna come una ricompensa e una dimostrazione tangibile di virtù nelle vite passate e presenti.



    Torture e mutilazioni in Shangri-La





    Nel Tibet del Dalai Lama, la tortura e la mutilazione – comprese l’asportazione dell’occhio e della lingua, l’azzoppamento e l’amputazione delle braccia e delle gambe – erano le punizioni principali inflitte ai ladri, ai servi fuggiaschi, e ad altri “criminali”. Viaggiando attraverso il Tibet negli anni ’60, Stuart e Roma Gelder ebbero un colloquio con un antico servo, Tsereh Wang Tuei, che aveva rubato due pecore che appartenevano ad un monastero. Per questo ebbe entrambi gli occhi strappati e le mani mutilate. Spiega che non è più un buddista: “Quando un sacro Lama disse loro di accecarmi, pensai che non c’era alcun bene nella religione.” (19)



    Alcuni visitatori occidentali nell’Antico Tibet hanno fatto notare l’elevato numero di amputati. Dato che è contro la dottrina buddista sottrarre la vita, alcuni delinquenti furono severamente frustati e poi “abbandonati a Dio” nella gelida notte a morire. “I paralleli fra il Tibet e l’Europa medievale sono impressionanti,” conclude Tom Grunfeld nel suo libro sul Tibet. (20)



    Alcuni monasteri avevano le proprie prigioni private, riporta Anna Louise Strong. Nel 1959, visitò una mostra di apparecchiature da tortura che erano state impiegate dai signori feudatari tibetani. C’erano manette di tutte le taglie, comprese quelle di piccola misura per bambini, e strumenti per mozzare nasi e orecchie, e spezzare mani. Per strappare gli occhi, c’era uno speciale copricapo di pietra, provvisto di due fori, che veniva premuto sul capo, così che gli occhi potessero gonfiarsi e deformarsi fuoriuscendo dalle orbite, facilitandone l’asportazione. C’erano congegni per tagliare le rotule e i talloni, o per azzoppare. C’erano tizzoni ardenti, scudisci e strumenti speciali per sventrare. (21)



    L’esposizione presentava fotografie e testimonianze di vittime che erano state accecate o storpiate o che avevano patito amputazioni per furto. C’era il pastore il cui padrone vantava un debito nei suoi confronti in denaro e grano, ma che si rifiutava di pagare. Così il pastore si impossessò di una delle mucche del padrone; e per questo gli furono troncate le mani. Ad un altro guardiano di gregge, che si opponeva al dover concedere la moglie al suo signore, furono staccate le mani. C’erano fotografie di attivisti comunisti dai nasi e dalle labbra superiori troncati, e una donna che era stata violentata e che poi ebbe il naso mozzato. (22)



    Il dispotismo teocratico era stato per anni il principio informatore. Nel 1895, un visitatore inglese in Tibet, il dr. A. L. Waddell scrisse che i tibetani erano assoggettati all’ “intollerabile tirannia dei monaci” e alle superstizioni diaboliche che essi avevano modellato al fine di terrorizzare le persone. Perceval Landon descrisse nel 1904 la regola del Dalai Lama come una “macchina da sopraffazione” e un “ostacolo ad ogni progresso umano.” Più o meno a quel tempo, un altro viaggiatore inglese, il Capitano W.F.T. O’Connor notava che “ i grandi proprietari terrieri e i sacerdoti… esercitano ciascuno all’interno del proprio dominio un potere dispotico dal quale non c’è appello,” mentre il popolo è “oppresso dalla più mostruosa crescita di monachesimo e clericalismo che il mondo abbia mai visto.” I governatori tibetani, come quelli europei durante il medioevo, “forgiarono innumerevoli armi per asservire il popolo, inventarono leggende umilianti e stimolarono uno spirito di superstizione” fra la gente comune. (23)



    Nel 1937, un altro visitatore, Spencer Chapman, scrisse: “…il monaco buddista tibetano non trascorre il proprio tempo provvedendo alle persone o ad istruirle, e nemmeno i laici prendono parte ai servizi dei monasteri o li frequentano. Il mendicante sul ciglio della strada non è nulla per il monaco. La conoscenza è una prerogativa dei monasteri custodita gelosamente, ed è strumentalizzata per aumentare la loro influenza e ricchezza...” (24)



    Occupazione e rivolta



    I comunisti cinesi occuparono il Tibet nel 1951, rivendicando la sovranità sul paese. Il trattato del 1951 stabiliva un apparente autogoverno sotto l’autorità del Dalai Lama, ma conferiva di fatto alla Cina il controllo militare e il diritto esclusivo di condurre le relazioni estere. Si rilasciava anche ai cinesi un ruolo diretto nell’amministrazione interna “per promuovere le riforme sociali.” Inizialmente, procedevano cautamente facendo affidamento per lo più sulla persuasione, tentando di attuare processi di cambiamento. Tra le prime riforme varate ci fu quella che riduceva i tassi d’interesse da usuraio, e costruirono alcuni ospedali e strade.



    Mao Tze Tung e i suoi quadri comunisti non intendevano semplicemente occupare il Tibet. Desideravano la cooperazione del Dalai Lama nel trasformare l’economia feudale del Tibet in conformità con gli obiettivi socialisti. Perfino Melvyn Goldstein, che è solidale con il Dalai Lama e con la causa dell’indipendenza tibetana, ammette che “contrariamente all’opinione corrente in Occidente”, i cinesi “perseguivano una politica moderata. Avevano cura di mostrare rispetto per la cultura e la religione tibetane” e “permettevano ai vecchi sistemi monastico e feudali di continuare immutati. Fra il 1951 e il 1959, non solo non venne confiscata alcuna proprietà aristocratica o monastica,ma venne permesso ai signori feudali di esercitare una continua autorità giudiziaria nei confronti dei contadini a loro vincolati ereditariamente.” (25)



    Non più tardi del 1957, Mao Tze Tung cercò ancora di rafforzare una politica progressiva. Ridusse il numero di quadri cinesi e delle truppe in Tibet, e promise al Dalai Lama che la Cina non avrebbe portare a termine riforme terriere in Tibet per i sei anni successivi e oltre, se le condizioni non fossero ancora maturate. (26)





    Nondimeno però, l’autorità cinese in Tibet arrecava grandi disagi ai signori e ai Lama. Ciò che li infastdiva più di ogni altra cosa non era che gli intrusi fossero cinesi. Nel corso dei secoli avevano visto cinesi andare e venire, godendo di buone relazioni con il Generalissimo e il regime reazionario del Kuomintang in Cina. (27) Effettivamente, l’approvazione del governo reazionario del Kuomintang era necessaria, per ratificare la scelta dell’attuale Dalai Lama e del Lama Panchen. Quando il giovane Dalai Lama fu investito della sua carica a Lhasa, ciò avvenne con un scorta armata di truppe di Chiang Kaishek e di un ministro cinese in carica, in conformità con una tradizione secolare. (28) Quel che preoccupava i signori tibetani e i Lama era che questi cinesi recenti erano comunisti. Si sarebbe trattato soltanto di una questione di tempo, ne erano certi, poi i comunisti avrebbero iniziato ad imporre le loro soluzioni ugualitarie e collettiviste sulla loro teocrazia altamente privilegiata.



    Nel 1956-57 bande armate tibetane tesero un’imboscata al convoglio dell’Esercito di Liberazione del Popolo cinese (EPL). La sommossa ricevette il sostegno esteso e materiale della CIA,comprendente armi, provviste e l'addestramento militare per le unità di commando del Tibetan. È ormai di conoscenza pubblica che fu la CIA a impiantare le basi di sostegno in Nepal, compiendo numerosi ponti aerei per le operazioni di guerriglia condotte all’interno del Tibet. (29)



    Nel frattempo negli Stati Uniti, la Societá Americana per un'Asia Libera, un ramo della CIA, propagandava in modo dispiegato la causa di resistenza del Tibetan. Il fratello maggiore del Dalai Lama, Thubtan Norbu, ha giocato un notevole ruolo in questo gruppo. Molti dei commando del Tibetan e gli agenti che la CIA aveva paracadutato nel paese, erano dei capi di clan aristocratici o i figli dei capi. Il novanta per cento di loro non li conosceva nessuno nel paese, secondo una relazione della CIA . (30)



    La ridotta guarnigione dell’EPL in Tibet non avrebbe mai potuto catturare tutti loro, se non avesse ricevuto il sostegno dei tibetani che non sostennero la rivolta. Questo dimostra che la resistenza ha avuto una base piuttosto stretta dentro il Tibet. "Molti Lama e molti membri laici dell'elite e molti dell'esercito del Tibetan hanno sostenuto la rivolta, ma la maggioranza della popolazione non l’ha fatto e questo ha sancito il suo fallimento," scrisse Hugh Deane. (31)



    Nel loro libro sul Tibet, Ginsburg e Mathos raggiungono una conclusione simile: "Gli insorti del Tibetan non sono mai riusciti a raccogliere nei loro ranghi anche solo una consistente parte della popolazione, per non dire niente della maggioranza di essa. Per quanto può essere constatato, la gran parte della popolazione di Lhasa e della campagna contigua, non aderirono nonostante il tentativo di unirle nella lotta contro il cinese..." (32)



    Alla fine la resistenza si sgretolò.





    I Comunisti rovesciano il Feudalesimo



    Qualunque presunta ingiustizia e qualunque presunta nuova oppressione furono introdotte dai cinesi in Tibet dopo 1959, essi di fatto hanno abolito la schiavitù ed il sistema di servi della gleba e l’utilizzo di mano d'opera non pagata. Hanno eliminato il sistema delle tasse, creato piani di nuovi lavoro, ridotto in gran parte la disoccupazione e la miseria. Hanno costruito i soli ospedali che esistono nel paese, e un nuovo sistema educativo, rompendo perciò il monopolio educativo dei monasteri. Hanno costruito i sistemi d’irrigazione per l'acqua e portato l’energia elettrica in Lhasa.Abolito il sistema delle flagellazioni pubbliche, le mutilazioni e le amputazioni come criminali forme di punizione. (33)



    Il governo cinese ha espropriato anche le proprietà terriere e ha riorganizzato i contadini in centinaia di comuni. Heinrich Harrer ha scritto un libro di successo delle sue esperienze in Tibet che è diventato un film di Hollywood. ( Solo dopo si è saputo che Harrer era stato un sergente nazista sotto Hitler. ( 34)



    Egli narra che i tibetani resisterono orgogliosamente contro i cinesi e "che hanno difeso nobilmente la loro indipendenza. . . Erano predominantemente i nobili, i proprietari ed i Lama; sono poi stati puniti utilizzandoli per eseguire i lavori più bassi, come lavorare alla costruzione di strade e ponti. Furono poi ulteriormente umiliati, essendo usati per la pulizia delle città prima dell’arrivo dei turisti..." Dovevano anche vivere in un accampamento originalmente abitato da mendicanti e vagabondi. (35)





    Dal 1961 centinaia di migliaia di acri precedentemente posseduti dai signori e dai Lama furono distribuiti agli affittuarii ed ai contadini senza terra. Nelle zone pastorali, le greggi che erano state possedute una volta dai nobili furono date alle comuni dei poveri e dei pastori. Miglioramenti ed investimenti furono apportati nell'allevamento del bestiame e per le nuove coltivazioni di verdure e di frumento e orzo, che furono introdotti per la prima volta; fu pianificato il sistema di irrigazione, che hanno portato ad un notevole incremento della produzione contadina. (36)



    Molti rimasero religiosi come sempre, e liberi di dare le elemosine al clero. Ma la gente non fu più costretta a omaggiare o fare regali obbligati ai monasteri ed ai signori. I molti monaci che erano stati costretti negli ordini religiosi da bambini senza poter scegliere ora erano liberi di rinunciare alla vita monastica e così migliaia di essi, particolarmente quelli più giovani, tornarono alla vita civile. Il clero restante può vivere contando su minimi stipendi governativi ed un reddito supplementare guadagnato officiando ai servizi di nozze ed ai funerali. (37)



    Le denunce fatte dal Dalai Lama circa le sterilizzazioni di massa e la deportazione forzata dei tibetani, fatte dai cinesi non hanno mai trovato conferme da alcuna prova.



    Sia il Dalai Lama che il suo fratello più giovane e consigliere, Tendzin Choegyal, hanno sostenuto che "più di 1.2 milione tibetani sarebbero morti come conseguenza dell’”occupazione cinese”.(38)



    Ad essi non importa come spesso nelle loro dichiarazioni, che i numeri dati siano sconcertanti e lasciano completamente perplessi.



    Il censimento ufficiale del 1953 sei anni prima dell’arrivo dei cinesi, aveva registrato l'intera popolazione del Tibet, stabilendo la cifra di 1.274.000 abitanti.



    Altre valutazioni avevano conteggiato circa due milioni di tibetani abitanti il paese. (39)



    Se i cinesi avessero ucciso 1.2 milioni, città intere dell'inizio degli anni 60 e parti enormi della campagna, effettivamente quasi tutto il Tibet, sarebbe stato spopolato, trasformato in un enorme campo di concentramento, pieno di fosse comuni e cimiteri, di cui però non abbiamo trovato prove. La forza militare cinese nel Tibet non era abbastanza grande come numero, non avrebbe potuto sterminare materialmente tutta quella gente anche se avesse speso tutto il proprio tempo e attività, senza fare nient’altro. Le autorità cinesi ammettono



    " errori" nel passato, specialmente durante la rivoluzione culturale 1966-76 quando le persecuzioni religiose raggiunsero un'alto livello sia in Cina che nel Tibet. Dopo la rivolta verso la fine degli anni 50, furono migliaia i tibetani incarcerati. Durante il “grande balzo in avanti”, la collettivizzazione dell’agricoltura, la coltivazione forzata del grano furono imposte ai contadini, a volte con effetti disastrosi. Verso la fine degli anni 70, la Cina aveva ottenuto la completa pacificazione della situazione nel Tibet "ed ha provato a modificare e correggere alcuni errori commessi durante i due decenni precedenti." (40)



    Nel 1980 il governo cinese iniziava una serie di riforme destinate ad assegnare al Tibet un grado sempre più grande di autonomia e del auto amministrazione. Ai tibetani venne permesso coltivare propri appezzamenti di terra, vendere le eccedenze della raccolta, scegliere le coltivazioni più adatte al proprio sostentamento e per mantenere il bestiame e le pecore. Vennero ripristinate le comunicazione con il mondo esterno ed i controlli di frontiera furono facilitati per permettere ai tibetani di visitare i parenti in India e Nepal. (41)





    Le Elites, gli Emigrati ed il denaro della CIA



    Per i Lama dell’alta società tibetana ed i signori, l'intervento comunista fu una calamità. La maggior parte di loro fuggirono all'estero, come il Dalai Lama, che scappò in un operazione organizzata direttamente dalla CIA. Alcuni scoprirono con orrore che avrebbero dovuto lavorare per vivere. Quelle elite feudali che rimasero in Tibet e decisero di cooperare col nuovo regime, si trovarono davanti a nuove situazioni di vita non certo facili.



    Eccone alcuni esempi: nel 1959, la giornalista Anna Louise Strong visitò l'Istituto Centrale delle Minoranze Nazionali a Pechino, che addestrava le varie minoranze etniche per il servizio civile o preparava per l'entrata nelle scuole agricole e mediche. Dei 900 studenti del Tibetan presenti, la maggior parte erano il servi in fuga e ex schiavi. Ma circa 100 erano di famiglie agiate del Tibetan, inviate dai loro genitori in modo che avrebbero potuto ottenere posti favorevoli nella nuova amministrazione. Il divario di classe che divideva tra questi due gruppi di studenti era fin troppo evidente. Una nota di direttore dell'istituto diceva: “ Quelli provenienti dalle famiglie nobili ritengono che in tutte le cose essi sono superiori. Si risentono di dover portare le proprie valige, fare i propri letti, badare alla propria stanza. Questo, pensano, è un incarico da schiavi; si ritengono insultati perché pretendiamo che facciano questo. Alcuni non l'accettano e tornano a casa; altri alla fine l'accettano.



    Il servo all’inizio ha paura degli altri e non può sedere con facilità nella stessa stanza con essi. In periodi successivi prossimo cominciano ad avere meno paura ma tuttavia continuano a sentire differenze e non riescono a mescolarsi.



    Soltanto con il tempo e la discussione continua raggiungono il momento in cui si mescolano facilmente e si sentono come studenti e persone, criticandosi o aiutandosi l'un l'altro, con normalità. (42)



    Intanto un nauseante patto fu fatto dagli emigrati tibetani con l’Occidente ed il sostegno sostanzioso di agenzie americane per il mantenimento di un mondo fondato sulla disuguaglianza economica. Dall’inizio del 1960 la comunità tibetana in esilio ha intascato segretamente 1,7 milioni di dollari all'anno dalla CIA, come accertato dalla documentazione rilasciata dal Ministero degli Affari Esteri USA nel 1998. Quando questo fatto è stato pubblicizzato, l'organizzazione del Dalai Lama ha emesso un comunicato ammettendo che aveva ricevuto alcuni milioni di dollari dalla CIA durante gli anni 1960 per inviare squadre armate di esiliati in Tibet per



    contrastare la rivoluzione maoista. Il Dalai Lama riceveva per sé 186.000 dollari, rendendolo così di fatto un agente ufficiale pagato dalla CIA. Anche i servizi segreti indiani l'hanno finanziato e anche altri esiliati tibetani. (43)



    Egli si è sempre rifiutato di dire se egli o suoi fratelli hanno lavorato per la CIA. Anche l'agenzia si è rifiutata di commentare. (44)



    Nonostante ha sempre presentato sé stesso come il difensore di diritti umani, e per questo vinse il Premio Nobel per la pace nel 1989, il Dalai Lama ha sempre continuato a frequentare e avuto come consiglieri l'émigrazione aristocratica ed ogni altro reazionario, durante il suo esilio. Nel 1995, il Raleigh, il N.C. News e Observer ha messo in prima pagina una fotografia a colori del Dalai Lama mentre abbracciava il famoso reazionario senatore Repubblicano Jesse Helms, sotto il titolo : "Buddista Affascina l'Eroe della Destra Religiosa." (45)



    Nel mese di aprile del 1999, con Margaret Thatcher, il papa Giovanni Paolo II ed il primo George Bush, il Dalai Lama ha fatto appello al governo britannico per liberare Augusto Pinochet, l'ex dittatore fascista del Cile e un cliente da molto tempo della CIA arrestato mentre visitava l'Inghilterra. Ha sollecitato che a Pinochet sia permesso ritornare alla sua patria e non costringerlo ad andare è in Spagna dove era ricercato dai giudici spagnoli per crimini contro umanità.



    Oggi, principalmente attraverso il “Fondo per lo sviluppo della democrazia” ed altri canali che sono rami della CIA, il Congresso degli Stati Uniti continua ad assegnare i 2 milioni di dollari annuali per i tibetani in India, con altri milioni supplementari per "le attività di democrazia" all'interno della Comunità tibetana in esilio. Il Dalai Lama inoltre ottiene i soldi dal finanziere George Soros, che sovvenziona la creatura della CIA Radio Free Europa/ Radio Liberty e altri istituti. (46)



    La questione culturale



    Ci è stato detto che quando il Dalai Lama governava il Tibet, la gente viveva in simbiosi armoniosa con i loro signori monastici e secolari, in un ordine sociale costituito da una cultura profondamente spirituale e nonviolenta. La relazione profonda del contadino al sistema di credenza sacra avrebbe loro dato una tranquilla stabilità, ispirata da insegnamenti religiosi umanitari e pacifici. Uno di questi è paragonato, nell’immagine idealizzata dell’Europa feudale, come presentato dai cattolici conservatori quali G. K. Chesterton e Hilaire Belloc. Per loro, la cristianità medioevale era un mondo di contadini contenti che vivono nel legame profondo dello spirito con la loro chiesa, sotto la protezione del loro signori. (47)



    Siamo invitati ancora ad accettare una cultura particolare relativemente alle proprie condizioni, che significa accettarla come presentata dalle classi dominanti, da coloro che da essa ne traggono i maggiori profitti.



    L'immagine della Shangri-La del Tibet non ha nessuna rassomiglianza con la realtà storica, poi trasformata in un immagine romanticizzata dell’Europa medioevale. Si potrebbe dire che come cittadini del mondo moderno non possiamo afferrare le equazioni di felicità e dolore, contentezza ed abitudini, che caratterizzano di più "lo spirituale" e le società "tradizionali". Ciò può essere comprensibile e può spiegare perchè alcuni di noi idealizzano tali società. Ma ancora, un occhio sgorbiato è un occhio sgorbiato; una fustigazione è una fustigazione; e lo sfruttamento opprimente dei servi e degli schiavi è ancora una brutale ingiustizia di classe qualunque abbellimento culturale si tenti. C’è una differenza fra un legame spirituale e la schiavitù umana, anche quando entrambi esistono parallelamente.



    Sicuramente ci sono molte cose da deplorare circa l’intervento cinese. Negli anni 90, l’etnia Han, il più grande gruppo etnico che rappresenta oltre il 95 per cento della popolazione generale della Cina, ha cominciato a muoversi in numero notevole verso il Tibet e varie province occidentali. (48)



    Questi riassestamenti demografici hanno avuto sicuramente effetti sulle culture indigene della Cina e del Tibet occidentali….Alcuni dirigenti cinesi nel Tibet hanno assunto troppo spesso un atteggiamento di superiorità verso la popolazione indigena. Alcuni osservano i loro vicini tibetani come retrogradi e pigri, necessitanti di sviluppo economico e "educazione patriottica."



    …Durante gli anni 90 diversi tibetani secondo molte informazioni sono stati arrestati, per attività separatiste e legami con la "sovversione politica."...(49)



    …. Nel frattempo, la storia, la cultura e la religione tibetane sono trascurate nelle scuole. I materiali didattici, sono comunque ancora in tibetano, anche se molto è indirizzato verso la storia cinese e le sue culture…(50)



    Il nuovo ordine ha molti sostenitori.



    Un’articolo del Washington Post del 1999 scriveva che il Dalai Lama continua ad essere riverito nel Tibet, ma. . . pochi tibetani accoglierebbero favorevolmente un ritorno dei clan aristocratici corrotti che sono fuggiti con lui nel 1959 e che compongono la massa dei suoi consiglieri. Molti contadini tibetani, per esempio, non hanno interesse nella cessione della terra che avevano ottenuto durante la riforma fondiaria della Cina, espropriata ai clan aristocratici feudali. Gli ex schiavi del Tibet dicono anche, che non desiderano che i loro precedenti padroni tornino al potere.



    "Già ho vissuto una volta quella vita prima," ha detto Wangchuk, un ex schiavo di 67 anni con indosso i suoi vestiti migliori per il suo pellegrinaggio annuale a Shigatse, uno dei luoghi più sacri del buddismo tibetano. Ha detto che adorava il Dalai Lama, ma ha aggiunto, "non posso essere libero sotto comunismo cinese, ma la mia vita è migliore di quando ero uno schiavo."(51) Nel sostenere il rovesciamento cinese della teocrazia feudale del Dalai Lama non devo approvare ogni cosa fatta circa il ruolo cinese nel Tibet. Questo punto è capito raramente dagli odierni aderenti della Shangri-La nell'occidente.



    Il contrario è inoltre allineare. Criticare l'invasione cinese non significa che dobbiamo romanticizzare il regime feudale precedente. Una protesta comune fra i seguaci buddisti nell'ovest è che la cultura religiosa del Tibet sta per essere distrutta dalle autorità cinesi. Questo potrebbe essere.



    Ma ciò che tratto qui è la presunta natura spirituale, ammirevole e primitiva di quella cultura pre-invasione. In breve, possiamo sostenere la libertà e l'indipendenza religiose per il Tibet senza dovere abbracciare la mitologia di un paradiso perduto. Per concludere, vorreisottolineare che la critica proposta qui non è intesa come attacco personale al Dalai Lama. Egli appare sempre come un individuo abbastanza piacevole, che parla spesso di pace, di amore e di nonviolenza. Nel 1994, in un'intervista con Melvyn Goldstein, ha voluto ricordare che fin da giovane egli era sempre stato per la costruzione di scuole, "macchine" e strade nel suo paese. Sostenne che aveva pensato che gli obblighi e le tasse imposti ai contadini "siano stati estremamente difettosi." Ed ha provato antipatia per il fatto che la gente era stata strozzata con i vecchi debiti, a volte passati di generazione in generazione. (52)



    Inoltre ha creato "un governo in esilio" con una Costituzione scritta, un assemblea rappresentativa ed altri aspetti democratici. (53)



    Come molti sovrani di un tempo, il Dalai Lama dà l’impressione di essere più più preparato a parlare di potere invece che di esercitarlo. Se si tiene conto che ci ha messo quarant’anni di esilio, un ‘occupazione cinese per arrivare a proporre la democrazia per il Tibet e a criticare l’autocrazia feudale di cui lui stesso era la massima apoteosi.



    Ma la sua critica del vecchio ordine arriva troppo in ritardo per convincere i tibetani. Molti di loro desiderano che possa tornare nel paese, ma sembra che relativamente pochi desiderino un ritorno all'ordine sociale che lui ha rappresentato.



    In un libro pubblicato nel 1996, il Dalai Lama profferì una clamorosa dichiarazione che fece venire i brividi alla Comunità dell’esilio. Si legge in un capitolo: di tutte le teorie economiche moderne, il sistema economico marxista è fondato su principi morali, mentre il capitalismo è interessato soltanto al guadagno e al profitto. Il marxismo è indirizzato alla distribuzione della ricchezza su una base uguale e alla giusta utilizzazione dei mezzi di produzione. Inoltre esso è anche concepito sugli interessi della classe lavoratrice che è la maggioranza della popolazione, così come per il destino degli sfruttati e di quelli che hanno più bisogno, inoltre si preoccupa del destino di chi non è privilegiato e per le vittime dello sfruttamento imposto dalla minoranza. Per questi motivi il sistema fa appello a me e mi sembra giusto. . .. Per questo motivo penso a me come mezzo marxista e mezzo buddista. (54)



    E più recentemente nel 2001, mentre visitava la California, ha sottolineato che "il Tibet, è materialmente molto, molto indietro. Spiritualmente è abbastanza ricco. Ma la spiritualità non può riempire i nostri stomaci."



    Questo è un messaggio a cui dovrebbero fare attenzione i ricchi e benestanti proseliti occidentali del buddismo che ritengono che esso non può essere confuso con considerazioni materiali, mentre romanticizzano il Tibet feudale. Al di là del buddismo e del Dalai Lama, quello che ho provato a sfidare è il mito del Tibet, l'immagine di un paradiso perduto, un ordine sociale che era poco più di un teocrazia dispotica e retrograda, fondata sulla schiavitù e sulla povertà, danneggiando così lo spirito dell’uomo, dove le più grandi ricchezze sono state accumulate da pochi potenti che vivevano al di sopra degli altri, approfittando del lavoro, del sangue e del sudore della maggioranza.



    Per a maggior parte degli aristocratici tibetani in esilio, quello è il mondo a cui vorrebbero ardentemente ritornare.



    Esso è molto lontano dallo Shangri-La.



    M. Parenti




    Traduzione di Enrico Vigna




    Note:

    1. Melvyn C. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon: China, Tibet, and the Dalai Lama (Berkeley: University of
    California Press, 1995), 6-16.

    2. Mark Juergensmeyer, Terror in the Mind of God, (Berkeley: University of California Press, 2000), 113.

    3. Kyong-Hwa Seok, "Korean monk gangs battle for temple turf," San Francisco Examiner, December 3, 1998.

    4. Gere quoted in "Our Little Secret," CounterPunch, 1-15 November 1997.

    5. Dalai Lama quoted in Donald Lopez Jr., Prisoners of Shangri-La: Tibetan Buddhism and the West (Chicago and
    London: Chicago University Press, 1998), 205.

    6. Stuart Gelder and Roma Gelder, The Timely Rain: Travels in New Tibet (New York: Monthly Review Press, 1964), 119.

    7. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 123.

    8. Pradyumna P. Karan, The Changing Face of Tibet: The Impact of Chinese Communist Ideology on the Landscape
    (Lexington, Kentucky: University Press of Kentucky, 1976), 64.

    9. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 62 and 174.

    10. As skeptically noted by Lopez, Prisoners of Shangri-La, 9.

    11. See the testimony of one serf who himself had been hunted down by Tibetan soldiers and returned to his master: Anna
    Louise Strong, Tibetan Interviews (Peking: New World Press, 1929), 29-30 90.

    12. Melvyn Goldstein, William Siebenschuh, and Tashì-Tsering, The Struggle for Modern Tibet: The Autobiography of
    Tashì-Tsering (Armonk, N.Y.: M.E. Sharpe, 1997).

    13. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 110.

    14. Strong, Tibetan Interviews, 15, 19-21, 24.

    15. Quoted in Strong, Tibetan Interviews, 25.

    16. Strong, Tibetan Interviews, 31.

    17. Melvyn C. Goldstein, A History of Modern Tibet 1913-1951 (Berkeley: University of California Press, 1989), 5.

    18. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 175-176; and Strong, Tibetan Interviews, 25-26.

    19. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 113.

    20. A. Tom Grunfeld, The Making of Modern Tibet rev. ed. (Armonk, N.Y. and London: 1996), 9 and 7-33 for a general
    discussion of feudal Tibet; see also Felix Greene, A Curtain of Ignorance (Garden City, N.Y.: Doubleday, 1961), 241-249;
    Goldstein, A History of Modern Tibet 1913-1951, 3-5; and Lopez, Prisoners of Shangri-La, passim.

    21. Strong, Tibetan Interviews, 91-92.

    22. Strong, Tibetan Interviews, 92-96.

    23. Waddell, Landon, and O'Connor are quoted in Gelder and Gelder, The Timely Rain, 123-125.

    24. Quoted in Gelder and Gelder, The Timely Rain, 125.

    25. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 52.

    26. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 54.

    27. Heinrich Harrer, Return to Tibet (New York: Schocken, 1985), 29.

    28. Strong, Tibetan Interview, 73.

    29. See Kenneth Conboy and James Morrison, The CIA's Secret War in Tibet (Lawrence, Kansas: University of Kansas
    Press, 2002); and William Leary, "Secret Mission to Tibet," Air & Space, December 1997/January 1998.

    30. Leary, "Secret Mission to Tibet."

    31. Hugh Deane, "The Cold War in Tibet," CovertAction Quarterly (Winter 1987).

    32. George Ginsburg and Michael Mathos Communist China and Tibet (1964), quoted in Deane, "The Cold War in Tibet."
    Deane notes that author Bina Roy reached a similar conclusion.

    33. See Greene, A Curtain of Ignorance, 248 and passim; and Grunfeld, The Making of Modern Tibet, passim.

    34. Los Angeles Times, 18 August 1997.

    35. Harrer, Return to Tibet, 54.

    36. Karan, The Changing Face of Tibet, 36-38, 41, 57-58; London Times, 4 July 1966.

    37. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 29 and 47-48.

    38. Tendzin Choegyal, "The Truth about Tibet," Imprimis (publication of Hillsdale College, Michigan), April 1999.

    39. Karan, The Changing Face of Tibet, 52-53.

    40. Elaine Kurtenbach, Associate Press report, San Francisco Chronicle, 12 February 1998.

    41. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 47-48.

    42. Strong, Tibetan Interviews, 15-16.

    43. Jim Mann, "CIA Gave Aid to Tibetan Exiles in '60s, Files Show," Los Angeles Times, 15 September 1998; and New
    York Times, 1 October, 1998.

    44. Reuters report, San Francisco Chronicle, 27 January 1997.

    45. News & Observer, 6 September 1995, cited in Lopez, Prisoners of Shangri-La, 3.

    46. Heather Cottin, "George Soros, Imperial Wizard," CovertAction Quarterly no. 74 (Fall 2002).

    47. The Gelders draw this comparison, The Timely Rain, 64.

    48. The Han have also moved into Xinjiang, a large northwest province about the size of Tibet, populated by Uighurs; see Peter
    Hessler, "The Middleman," New Yorker, 14 & 21 October 2002.

    49. Report by the International Committee of Lawyers for Tibet, A Generation in Peril (Berkeley Calif.: 2001), passim.

    50. International Committee of Lawyers for Tibet, A Generation in Peril, 66-68, 98.

    51. John Pomfret, "Tibet Caught in China's Web," Washington Post, 23 July 1999.

    52. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 51.

    53. Tendzin Choegyal, "The Truth about Tibet."

    54. The Dalai Lama in Marianne Dresser (ed.), Beyond Dogma: Dialogues and Discourses (Berkeley, Calif.: North Atlantic
    Books, 1996).

  2. #2
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    bell'articolo di merda

    come se durante l'occupazione giapponese fossimo stati qua a dire che i cattivi resistenti cinesi volevano tornare al regno dell'imperatrice cixi...

    ridicolo

  3. #3
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    Dalai Lama and Bush meet 'like old friends'

    May 23, 2001 Posted: 2 p.m. EDT (0352 GMT)
    The Dalai Lama speaks to reporters after meeting with Bush at the White House on Wednesday

    WASHINGTON (CNN) -- The Dalai Lama has described a meeting in Washington with U.S. President George W. Bush as "excellent," much like "when two old friends" get together for a reunion.
    "I very much appreciate his human warmth," Tibet's exiled spiritual leader told CNN's Wolf Blitzer.
    The meeting with Bush was held despite angry complaints from China. China sees the Dalai Lama as a supporter of independence for Tibet, which it regards as Chinese territory.
    The Dalai Lama said he told President Bush that "China is a great nation, very important nation. Therefore, China should not isolate."
    He emphasized that "I am not seeking independence, I am seeking genuine autonomy."
    He told the president that the next time Bush meets with Chinese officials, "he can show to the Chinese leaders, I am not seeking independence."


    VIDEO Tibetan leader calls first meeting with U.S. President Bush 'excellent'. CNN's Wolf Blitzer chats with the Dalai Lama (May 23)

    Play video
    (QuickTime, Real or Windows Media) The Dalai Lama spoke to the press after his meeting with Bush (part 1) (May 23)

    Play video
    (QuickTime, Real or Windows Media) The Dalai Lama spoke to the press after his meeting with Bush (part 2) (May 23)

    Play video
    (QuickTime, Real or Windows Media) MESSAGE BOARD Discuss China-U.S. relations

    IN-DEPTH The Dalai Lama: A spiritual leader in exile
    ALSOThe Dalai Lama also said China is "in the process of changing. Therefore, I am optimistic."
    "China proper -- no matter how powerful a nation -- is still part of the world. So China sooner or later has to go according to the global trend," he said. "So that's democracy, openness ... freedom."
    Asked if he planned to return to Tibet, the exiled leader smiled broadly. "Oh, yes," he replied. "When, I don't know."
    No ordinary religious figure

    The White House said Bush received the Dalai Lama as a religious leader, not a political one. Chinese Foreign Ministry representative Zhu Bangzao, however, said Tuesday that "the Dalai Lama is no ordinary religious figure."
    "He's a political exile engaged in separatist activities," Zhu said. "China has long opposed his visit to the United States and any official meetings and contacts between him and the U.S. administration."
    Zhu called the Bush administration's agreeing to meet with the Dalai Lama -- and an unrelated stopover in New York City by Chen Shui-Bian, the president of Taiwan, also regarded by the Chinese as separatist -- "rude interference" in China's domestic affairs.
    Wednesday's meeting took place in Bush's White House residence, avoiding -- as did his predecessor, Bill Clinton -- meeting the spiritual leader in official White House offices.
    But officials noted the meeting was more formal than any of Clinton's meetings with the Dalai Lama.
    "The president reiterated the strong commitment of the United States to support the preservation of Tibet's unique religious, cultural and linguistic identity and the protection of the human rights of all Tibetans," the White House said in a statement released after the morning meeting.
    The statement also said Bush told the Dalai Lama he would support the spiritual leader's efforts to begin a dialogue with Chinese leaders "and expressed his hope that the Chinese government would respond favorably."
    The Dalai Lama met Tuesday with U.S. Secretary of State Colin Powell, who he said "listened very keenly" to his ideas about promoting human and religious rights.
    The Dalai Lama's visit to Washington coincides with Beijing marking the 50th anniversary of the treaty between Tibet and China that made the Himalayan nation part of China. Beijing refers to the event as the "peaceful liberation" of Tibet.




    http://archives.cnn.com/2001/WORLD/a....02/index.html

  4. #4
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    ESTERI

    IL MATRIMONIO È UNA DELLE VIE ALLA FELICITA’

    Il Dalai Lama: dico no all’omosessualità.
    Il sesso è procreazione


    «Uccidere Bin Laden significa creare altro odio. Guerra sbagliata in Iraq, però Bush mi piace»

    3/4/2006


    Il Dalai Lama, leader
    spirituale (in esilio)
    dei buddhisti tibetani
    e di milioni di altre
    persone nel mondoA Dharamsala, vecchio avamposto britannico nel Nord dell’India, migliaia di tibetani esiliati cercano rifugio presso il loro leader, il Dalai Lama. Qui arrivano anche centinaia di occidentali, con la loro guida Lonely Planet, per dare un’occhiata al guru. Un’ereditiera australiana sovrappeso di nome Heidi Gudrun si lamenta: «Per quindici anni ho cercato di perdere peso. Ho perso due mariti, mi hanno cucito lo stomaco. Il Dalai Lama è la mia ultima speranza». Il destino peculiare del Dalai Lama è di fare da guru tanto per le ereditiere australiane sovrappeso quanto per dieci milioni di buddhisti tibetani perseguitati. Il suo status di divinità risale all’età di due anni: i monaci che lo trovarono a giocare in una fattoria nel Nord Est del Tibet lo portarono nella capitale Lhasa, dove fu riconosciuto come reincarnazione del Buddha dopo aver individuato la tazza per bere e la dentiera del precedente Dalai Lama nel palazzo di Potala.

    Pur essendo vissuto da monaco per tutta la vita, il Dalai Lama vede nel matrimonio una delle vie maestre per la felicità. «Troppe persone in Occidente hanno rinunciato al matrimonio - dice -. Non si rendono conto che si tratta di sviluppare reciproca ammirazione, profondo rispetto, fiducia, e consapevolezza dei bisogni di un altro essere umano. Le relazioni che vanno e vengono con facilità rendono più liberi ma meno appagati».

    Pur essendo noto per i suoi punti di vista umani e tolleranti, il Dalai Lama è sorprendentemente critico nei confronti dell’omosessualità. È male, dice, per un buddhista. «No assoluto. Senza sfumature. Una coppia gay mi è venuta a trovare, cercando il mio appoggio e la mia benedizione. Ho dovuto spiegar loro i nostri insegnamenti. Una donna mi ha presentato un’altra donna come sua moglie: sconcertante. Al pari dell’uso di certe pratiche sessuali fra marito e moglie. Usare gli altri due buchi è sbagliato». A questo punto il Dalai Lama si volge al suo interprete per assicurarsi di aver utilizzato le parole inglesi corrette per discutere di questa delicata materia. L’interprete annuisce in maniera appena percettibile.

    «Un amico occidentale - riprende il Dalai Lama, infervorandosi - mi ha chiesto che male possa mai venire da due adulti consenzienti che fanno sesso orale, se a loro piace. Ma lo scopo del sesso è la riproduzione, secondo il buddhismo. Gli altri buchi non creano vita. Non posso condonare questo genere di pratiche». Si mette a ridere quando quando cambio argomento e gli parlo dei tentativi occidentali di accedere a una maggiore spiritualità attraverso lo yoga, i massaggi e l’agopuntura. «Queste sono solo attività fisiche - dice -. Per essere più felici bisogna passare meno tempo a pianificare la propria vita, e accettare di più quello che viene».

    Il Dalai Lama è stato criticato per essersi troppo concesso alle lusinghe dell’Occidente: frequenta troppo le celebrità, dicono i suoi detrattori, ed è troppo disponibile a farsi fotografare su riviste frivole accanto alla duchessa di York o personaggi del genere. «C’è chi mi trova una brava persona, e c’è chi crede che io sia un ciarlatano: ma sono solo un monaco» dice con un largo sorriso. «Non ho mai chiesto a persone come Richard Gere di venire a trovarmi, ma sarebbe assurdo fermarle. Ci vengono tibetani, indiani, malati di Aids, persone religiose, politici, attori e principesse. Il mio atteggiamento è dare a ognuno un po’ del mio tempo: se posso contribuire in qualche modo alla loro felicità, ne sono felice a mia volta». Molte donne occidentali che si mettono in fila per essere benedette gli dicono di non voler parlare con lui di niente di particolare. «Incontro donne che in passato hanno abortito perché pensavano che un figlio avrebbe rovinato le loro vite. Un bambino sembrava loro insopportabile, ma adesso sono diventate più vecchie e incapaci di concepire. Mi sento così triste per loro». Il Dalai Lama dice loro che hanno bisogno di riscoprire la forza interiore. «L’Occidente oggi è debole, non sa fronteggiare le avversità e ha poca compassione per gli altri. Ma le persone possono trovare la maniera per contrastare le forze negative. Se invece si sovraccaricano di responsabilità riguardo ai loro problemi personali, diventano sempre meno fiduciose». Il Dalai Lama non crede che si debba necessariamente essere religiosi per avere una vita ricca di significato. «Però bisogna avere una morale e puntare a sviluppare le qualità basilari dell’umanità. Io non voglio convertire la gente al buddhismo, tutte le grandi religioni, se interpretate correttamente, hanno lo stesso potenziale di bene»

    Tuttavia la religione si è fatta cattiva, ci sono fanatici che predicano l’odio... «Il fondamentalismo è terrificante perché è basato sull’emozione anziché sulla ragione. Impedisce alle persone di pensare da individui e di perseguire il bene del mondo. Questo nuovo terrorismo è stato provocato soprattutto da invidia e frustrazione nei confronti dell’Occidente, che in tv appare così sviluppato e di successo. Alcuni leader fuori dall’Occidente usano la religione per reagire a tutto questo». I terroristi, dice il dalai Lama, vanno trattati umanamente, «altrimenti il problema si aggraverà. Se c’è un Bin Laden oggi, presto ne avremo dieci. Terrificante. Uccidi dieci Bin Laden e l’odio si diffonderà».

    Che cosa pensa della guerra in Iraq? «Il metodo è stato violento. La violenza dà risultati imprevedibili, può produrre un’infinità di altri problemi» risponde il Dalai Lama, a cui la religione vieta di uccidere anche solo una zanzara.

    Benché non approvi la guerra in Iraq, il Dalai Lama ammira il presidente Bush. «È un uomo schietto - dice -. Nel nostro primo incontro mi trovai davanti a un vassoio pieno di biscotti. Il Presidente mi offrì immediatamente quelli che gli piacevano di più e da quel momento ci siamo intesi. Nella visita successiva Bush non se la prese quanto io fui perentorio riguardo alla guerra. E nella terza occasione, alla casa Bianca, fui sorpreso dalla sua conoscenza del buddhismo».
    Copyright The Daily Telegraph




    http://www.lastampa.it/redazione/cms...3820girata.asp

  5. #5
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    Statement by the Press Secretary
    Meeting with the Dalai Lama
    His Holiness, the XIV Dalai Lama, met at the White House this morning with the President and the National Security Advisor to discuss Tibet. The President commended the Dalai Lama's commitment to nonviolence and declared his strong support for the Dalai Lama's tireless efforts to initiate a dialogue with the Chinese government. The President said he would seek ways to encourage dialogue and expressed his hope that the Chinese government would respond favorably. The President also reiterated the strong commitment of the United States to support the preservation of Tibet's unique religious, cultural, and linguistic identity and the protection of the human rights of all Tibetans. The President and the Dalai Lama agreed on the importance of strong and constructive U.S.-China relations.




    http://www.whitehouse.gov/news/relea...0010523-3.html

  6. #6
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    Predefinito

    Dalai Lama's Letter To President Bush
    9-20-1

    Your Excellency, I am deeply shocked by the terrorist attacks that took place involving four apparently hijacked aircrafts and the immense devastation these caused. It is a terrible tragedy that so many innocent lives have been lost and it seems unbelievable that anyone would choose to target the world trade Center in New York City and the Pentagon in Washington D.C. We are deeply saddened. On behalf of the Tibetan people I would like to convey our deepest condolence and solidarity with the American people during this painful time. Our prayers go out to the many who have lost their lives, those who have been injured and the many more who have been traumatized by this senseless act of violence. I am attending a special prayer for the United States and it's people at our main temple today. I am confident that the United States as a great and powerful nation will be able to overcome this present tragedy. The American people have shown their resilience, courage and determination when faced with such difficult and sad situation. It may seem presumptuous on my part, but I personally believe we need to think seriously whether a violent action is the right thing to do and in the greater interest of the nation and people in the long run. I believe violence will only increase the cycle of violence. But how do we deal with hatred and anger, which are often the root causes of such senseless violence. This is a very difficult question, especially when it concerns a nation and we have certain fixed conceptions of how to deal with such attacks. I am sure that you will make the right decision. With my prayers and good wishes The Dalai Lamahttp://www.rense.com/general13/dalailama.htm

  7. #7
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    Se qualcuno non lo avesse ancora capito, a me il Dalai Lama sta un po' sulle balle.

    Dove sta scritto nel buddismo che ci voglia un Dalai Lama?

  8. #8
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    Predefinito

    Tenzin Gyatso (alias l'attuale Dalai Lama) ha dichiarato ufficialmente che, finché la Cina non concederà l'autonomia al Tibet, non si reincarnerà nella sua terra natia, e che al completamento della democratizzazione del governo tibetano in esilio il ruolo del Dalai Lama potrebbe diventare superfluo.


    Speriamo allora...

  9. #9
    anarchico
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    Citazione Originariamente Scritto da are(a)zione Visualizza Messaggio
    Se qualcuno non lo avesse ancora capito, a me il Dalai Lama sta un po' sulle balle.
    ...in questo forum siamo già in due

  10. #10
    are(a)zione
    Ospite

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    Credo anche di più.

    A sfatare il mito che i comunisti siano tutti frikkettoni sessantottini, che perdono le bave dietro il "vecchio saggio".

    Ma quando mai!

    Al limite, quelli sono i radicali od i social-democratici.

    Cosa pensa Bertinotti del Dalai Lama?

 

 
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