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  1. #1
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito La Proto-Iliade, il volto "arcaico" della Grecia e l'Irlanda

    Mesi fa avevo segnalato in Bibliografia un saggio molto importante del prof. Sergent, allievo di Dumezil :



    Riporto ora le introduzioni (del curatore italiano, e poi quella dell'autore) di questo saggio molto importante. Esso apre delle stimolanti piste di ricerca confluenti verso quella Origine europea alla quale noi tutti tendiamo; la sua conoscenza dovrebbe essere diffusa il + possibile.

  2. #2
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

    Nel secolo scorso le ricerche di mitologia comparata delle culture
    indoeuropee hanno conosciuto uno sviluppo decisivo ad opera di
    Georges Dumézil, l'illustre studioso scomparso nel 1986. Con la sua
    opera paziente ed il suo genio linguistico - conosceva più di trenta
    lingue ed era in grado di assimilare grammatica e sintassi di un idioma
    in poche settimane - egli riuscì a rinnovare globalmente le prospettive
    d'indagine, anticipando lo strutturalismo di Lévi-Strauss, il
    quale non mancò di riconoscere il proprio debito nei confronti del
    collega parigino, proprio in occasione del discorso di accoglimento di
    Dumézil all'Accademia di Francia.
    Questa breve premessa era necessaria, perché qualsiasi ricerca ulteriore
    di mitologia comparata indo-europea non può prescindere dal riferimento
    esplicito a questo grande maestro, che è stato tra l'altro uno dei
    massimi storici delle religioni. Tra i suoi allievi diretti, Bernard Sergent
    è uno dei più produttivi e rigorosi. Nel corso della sua attività ultratrentennale,
    Sergent si è occupato soprattutto di studi comparativi centrati sul mondo greco:
    in ciò colmando una lacuna lasciata dallo stesso Dumézil.
    Per il vero, Dumezil, negli Annni Venti dello scorso secolo,
    aveva iniziato i suoi lavori privilegiando proprio la Grecia arcaica,
    attraverso una serie di ricerche che vedevano l'India come principale
    termine di raffronto. Tuttavia Dumézil aveva abbandonato questo tipo
    di studi, perché proprio nel mondo greco l'apporto di civiltà non indoeuropee,
    soprattutto di area mediterranea (Egeo-anatolici, Fenici, Egizi etc.)
    appariva tale da oscurare l' heritage indoeuropeo. Dumézil era un
    ammiratore del miracolo greco ma, pur amando l'Ellade, non vi
    aveva trovato risposte sufficienti per i suoi studi (egli usava dire che "i Greci sono amanti ingrati"). Ben più produttiva fu invece, a partire dal
    1938 e fino alla morte, la sua esplorazione del mondo dei Romani, che
    pur non amava.


    Sergent non si è occupato quasi per nulla del mondo romano: ha
    invece ripreso, con alacre perseveranza, a dissodare il terreno greco,
    riuscendo alfine ad ottenere molti di quei frutti che Dumezil aveva
    inutilmente cercato. In questo senso è da segnalare la sua ampia ricerca
    sulle tre funzioni indoeuropee in Grecia antica, tuttora in corso e che,
    come campo d'interesse, lo aveva occupato fin dalla fine degli Anni
    Settanta (come è noto, il "trifunzionalismo", scoperto da Dumézil, è
    fondato sull'idea che la primordiale cultura indo-europea fosse orientata
    in base a tre direttrici simboliche, ordinatrici di ogni aspetto della
    realtà anche nei popoli che si diramarono dal ceppo originario: direttrici
    che si esprimono secondo le idee, gerarchizzate ma anche organicamente
    connesse, di "sovranità", "forza" e "fertilità-fecondità"). Ora, in
    questo campo, Sergent è andato ben oltre, non limitandosi a riconsiderare
    i temi mitici in parte già trattati da Dumezil, ma soprattutto scoprendo
    le stratificazioni storico-culturali che avevano potuto dissimulare,
    o occultare, questi e altri temi nel passaggio dalla civiltà micenea
    a quella omerica, fino alla stagione delle città-stato: del tutto originale,
    la sua individuazione di tracce trifunzionali nella poesia post-omerica,
    in autori dorici come Tirteo, Alcmane e Teognide, ionici come Senofane
    e Simonide, tebani come Pindaro e ateniesi come i tre tragici.
    All'intemo di questo reticolo strutturale così solidamente recuperato
    anche per la Grecia, Sergent ha avuto agio di riprendere gli studi di
    mitologia comparata: ma, edotto dagl'insuccessi di Dumézil, ha "invertito"
    la cultura di riferimento, passando dall ' estremo orientale dell ' area
    di diffusione indo-europea (l'India) all'estremo occidentale (il mondo
    celtico). Questo libro sintetizza e rielabora ricerche condotte dalla fine
    degli Anni Ottanta e raccolte sotto la sigla di "Celto-Hellenica".
    Confronti minuziosi, di continuo sottoposti a verifica, hanno evidenziato
    un'affinità morfologica fra la figura e le gesta dell'eroe celtico-insulare
    Cùchuiainn e tre eroi greci: Achille, Bellerofonte e il leggendario re
    ateniese Melanthos.
    L'aspetto più significativo della comparazione "celto-ellenica" consiste
    nel fatto di raggiungere un parallelismo così concordante da permettere
    una "comparazione fra insiemi" (e non più fra singoli eroi):
    dunque, di avvicinare l'epopea celtica Tain Bo Cualnge all'Iliade;
    al punto di poter supporre l'esistenza di una "pre-Iliade", l'eroe della
    quale, antenato sia di Achille sia di Cùchulainn, fosse già il personaggio
    principale. In questo senso il mito raggiunge il livello dell'epopea (un
    po' come Dumézil notò per il racconto "storificato" dalle origini di
    Roma) e, per conseguenza, la mitologia comparata sfocia nella poetica
    comparata.

    A questo titolo, come si può parlare di circolazione di temi
    mitici nei vari distretti indoeuropei, adattati ai rispettivi "campi ideologici"
    (secondo la suggestiva osservazione di Dumézil), così ora è possibile
    avanzare l'ipotesi dell'esistenza di "scuole indo-europee di poesia".
    L'intreccio fra la materia mitologica e la materia poetica costituisce
    uno dei problemi più coinvolgenti per il futuro. Nel libro Sergent
    si sofferma su due esempi significativi: per un verso, è proprio l'esistenza
    di antichi "poeti" indo-europei (aedi, rapsodi, filid, scaldi, ecc.)
    a suggerire la formazione del parallelismo fra Cùchuiainn e Achille,
    nonché le operazioni di accostamento per incastro, in una stessa figura
    eroica, di tratti propri di un Melanthos, di un Bellerofonte, di un
    Achille; ma, al tempo stesso, la presenza poetica è indice di risalenza a
    un prototipo comune. Per altro verso i paralleli "celto-ellenici" suggeriscono
    sfondi nei quali la mitologia, stavolta per opera di tradizioni
    sacerdotali e non poetiche, si ancora alla teologia politeistica (e non
    all'epica). È il caso delle storie dell'eroe celtico Celtchar e del greco
    Kephalos: esse non costituiscono un'eredità di tipo "letterario", suscettibile
    d'esser convertita in poesia, bensì un patrimonio mitologico di
    cui la comparazione restituisce lo spessore religioso. L'analisi con-
    giunta dei miti di Celtchar e di Kephalos permette di svelare "un formidabile
    mito cosmico, l'eroe (del mito) non essendo altro che una
    umanizzazione (più esattamente, una eroizzazione) di un grande Dio
    manipolatore del sole, equivalente al Savitr indiano".

    È significativo che nelle sue analisi Sergent utilizzi anche i contributi
    di una studiosa come Marija Gimbutas (per lungo tempo "antagonista" di Dumezil,
    che ha dimostrato l'esistenza di apporti di culture pre-indoeuropee
    nella formazione della civiltà della "Vecchia Europa"
    (com'ella definiva la pianura del Volga e l'antica Sarmazia), smentendo
    così l'idea che le migrazioni indo-europee (Völkenwanderungen) fossero
    avvenute per ondate d'assalto sommergenti, di chiara impostazione ideologica
    romantica, a favore di più plausibili, lente e progressive azioni di
    parziale mescolanza e di sovrapposizione dei popoli indoeuropei nelle loro aree di espansione.

    Ciò che più colpisce, è il fervore che anima questo cantiere di studi.
    Troppo frettolosamente la critica che si era esercitata contro Dumézil
    aveva decretato che la sua morte avrebbe segnato l'estinzione del filone
    dì studi da lui inaugurato. Per parlare solo di Sergent (ma numerosa è
    la schiera degli allievi ancora attivi, a dieci anni dalla morte del Maestro),
    la sua ricerca è affiancata da una serie di indagini altrettanto promettenti,
    come quella di C. Vielle, che compara cicli osseti e indiani ai
    cicli di Eracle e di Achille; o di C. Rose, che riconsidera alla luce dei
    nuovi risultati la vecchia comparazione dumeziliana India-Grecia;
    od, ancora, di altri esegeti della religione celtica apertisi al comparativismo,
    come M. Dillon, D. Binchy, B. e A. Rees, ecc. Il fatto, ripetiamo,
    colpisce tanto più se si considerano gli attacchi che Dumezil subì in vita,
    soprattutto a livello politico, non solo da parvenus del mondo accademico,
    ma anche da figure di spicco, come Arnaldo Momigliano: il quale (forse intenzionalmente)
    confondeva indoeuropei con "ariani" per mettere in imbarazzo il suo interlocutore...
    Furono molte le Cassandre che dopo Dumézil pronosticarono la cessazione
    degli studi sul comparativismo indoeuropeo. I risultati che sta ottenendo
    Sergent (ma anche altri allievi diretti da Dumezil come Dubuisson, Guyonvarc'h,
    Le Roux, ecc.) smentiscono decisamente il previsto declino.
    Concludiamo con due avvertenze per il lettore. Anzitutto, non si
    lasci condizionare dal livello scientifico dell'analisi: il libro è di agevole
    lettura e maschera lo sforzo interpretativo dietro una veste letteraria
    scorrevole e accattivante. In secondo luogo, si guardi dal doppio
    rischio di considerare "romanzesche" delle considerazioni che sono
    rigorosamente storiche (nel 1992, Sergent fu costretto a scrivere un articolo
    in cui ribadiva che "gli Indo-europei sono esistiti!"), nonché di
    giustificare la propria curiosità sulla base delle strumentalizzazioni "di
    bassa lega" che folclorizzano il mondo celtico, eventualmente contrapponendolo
    alla civiltà romana. La comparazione avvicina fra loro le culture indo-europee,
    senza minimamente manifestare la superiorità dell'una rispetto all'altra (ma semmai,
    una "specificità" del modello genetico).
    Il tempo degli "ariani" e degli "indo-germani" è definitivamente tramontato.


    ENRICO MONTANARI
    Università di Roma "La Sapienza"

  3. #3
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    INTRODUZIONE

    Il presente studio è incentrato sulle analogie esistenti tra alcuni eroi
    greci ed irlandesi, questi ultimi noti grazie ai testi irlandesi medievali.
    In ambito greco, essi sono Eracle, Achille e Bellerofonte, nonché i
    meno celebri Cefalo e Melantio. Gli eroi irlandesi sono Cùchuiainn,
    Celtchar e Brian.
    Come si vedrà, le parentele mitiche e teologiche fra antichi Greci e
    Celti di epoca precristana sono strette, numerose e sorprendenti per la
    loro precisione.
    Le ho trovate "per caso", nel senso che scoperte di questo genere
    avvengono in maniera per così dire ovvia, in funzione di una cono-
    scenza sempre più approfondita di un dato ambito - e in questo caso, di
    due ambiti.
    Tuttavia, la prima e decisiva constatazione, che esporrò più avanti,
    sorse all'improvviso: leggendo la prima riga del titolo, particolareg-
    giato, di un articolo scritto dalla grande celtista Francoise Le Roux, "De
    la lance dangereuse, de la femme infìdèle et du chien infernal"
    ... [La
    lancia pericolosa, la moglie infedele ed il cane infernale...], per quanto
    ciò sembrasse insolito, pensai subito che si facesse riferimento alla
    mitologia greca, dato che gli elementi enumerati nel titolo ricordavano
    un particolare mito ellenico, quello dell'eroe Cefalo e della sua sposa,
    Procri... La lettura della seconda riga tolse ogni dubbio, poiché preci-
    sava che nell'articolo in questione si commentava un racconto irlan-
    dese: si trattava dunque di mitologia celtica. La "coincidenza" così rile-
    vata tra gli elementi principali di un racconto irlandese e quelli di un
    racconto greco successivamente implicò lo studio e l'approfondimento
    di tale intuizione "celto-ellenica".
    Altre constatazioni sono state meno improvvise: leggendo i racconti
    incentrati sul più celebre degli eroi irlandesi, Cùchulainn, rilevai un ben
    più consistente numero di affinità con Achille, l'eore dell'Iliade, piuttosto
    che con Eracle, cui solitamente viene paragonato dai celtisti.
    Venne infine il giorno in cui mi sembrò opportuno riunire il tutto in un
    dossier che il professore Claude Sterckx, di Bruxelles, mi invitò a pre-
    sentare in una delle conferenze annuali della "Société belge d'études
    celtiques", e che poi fece pubblicare.
    Tuttavia altri dati avvicinavano il medesimo Cùchulainn ora al leggendario
    guerriero greco Bellerofonte, ora all'eroe di una avventura ateniese, Melantio.
    Da parte sua, l'incontro tra Brian ed Eracle rappresenta un terzo percorso
    di scoperta: quando lessi i Textes mythologiques irlandais, tradotti
    e pubblicati da Christian Guyonvarc'h nel 1980, non notai i punti
    in comune tra le prove imposte a Brian e ai suoi fratelli da Lug, desi-
    deroso di vendicare suo padre, e le celeberrime Fatiche di Eracle. In
    realtà, avevo letto troppo rapidamente quei testi. Solo in un secondo
    momento, riscoprendo l'avventura di Brian in un articolo che la men-
    zionava, tale analogia balenò nella mia mente; tornai a leggere i testi,
    ed essa rivelò il massimo di completezza possibile per due racconti, di
    cui manifestamente l'uno non costituiva la fonte diretta di ispirazione
    dell'altro.
    Altri studi di tipo analogo sono stati svolti sugli Dèi: Lug, appena
    menzionato, è straordinariamente similie ad Apollo nelle caratteristiche,
    negli attributi e nei miti; a sua volta, un altro Dio ellenico, Ermes, trova
    un esatto corrispondente nella tradizione irlandese in un personaggio di
    nome Oengus; infine - per limitarsi solo agli esempi più soprendenti -
    la comparazione tra Achille e Cùchulainn comporta quella tra Atena e
    la Dea celtica della guerra (1), così come l'accostamento tra Ermes ed
    Oengus svela, sullo sfondo dei loro miti rispettivi, una divinità irlan-
    dese equivalente ad Era (2), per non parlare dell'analogia tra Demetra
    e la grande Dea celtica, patrona, tra l'altro, della fecondità (3).
    Una volta riunito, l'insieme avrebbe rappresentato un volume
    enorme - diverse centinaia di pagine già scritte... e gli ultimi dossier di
    cui sopra non ancora sviluppati nella dovuta completezza. Per tale
    motivo, desiderando riunire tali studi a beneficio del maggior numero
    possibile di persone potenzialmente interessate - studiosi in ambito
    ellenico, celtico, indoeuropeo, nonché tutti i curiosi di antichità e di
    temi mitologici - ho ritenuto opportuno scindere tutta la vasta materia
    in due volumi: il presente, che si incentra sulle relazioni tra eroi celtici
    e greci, e un secondo volume, destinato a trattare argomenti relativi al
    piano teologico, che si intitolerà Il libro degli Dèi.

    I capitoli della presente opera sono quindi costituiti dalla raccolta
    degli articoli, pubblicati nel corso degli ultimi anni, che riguardano la
    comparazione mitica tra Grecia e mondo celtico, effettuata su diversi
    soggetti.
    Il primo capitolo si sofferma sulla mia iniziale scoperta. Sollecitato
    nel 1986 a partecipare ai Mélanges che l'università di Besancon stava
    preparando in onore del professore Pierre Leveque, che con il suo inse-
    gnamento e i suoi libri è stato maestro di intere generazioni di studiosi,
    e conoscendo l'enorme vastità d'interessi di questo erudito, che si è
    dedicato alla storia politica della Grecia, alle fluttuazioni monetarie
    nell'Impero romano, all'evoluzione religiosa tra paleolitico e mondo
    classico e persino alla religione giapponese (4), scelsi di sviluppare il
    piccolo dossier di comparazione celto-greca, che avevo già in mente da
    anni ma che per diversi motivi non avevo ancora messo per iscritto. Nel
    1988, quindi, sono apparsi Celto-Hellenica I. Celtchar et Képhalos nel
    tomo I dei Mélanges Pierre Leveque.
    In quello stesso periodo Claude Sterckx, professore di civiltà celtica
    alla Libera Università di Bruxelles e fondatore della "Société belge
    d'études celtiques"
    , informato del nostro modo di affrontare gli studi
    celtici, basato sul principio di omologia, mi propose di partecipare agli
    Incontri annuali della citata "Société". Accettai volentieri, e l'impor-
    tanza di queste giornate, nelle quali il mondo celtico era l'oggetto di
    studi non solamente intemi - grazie alla partecipazione di archeologi e
    di filologi - ma anche comparativi - in virtù del contributo di linguisti
    e studiosi di mitologia, dei quali ho l'onore di far parte - mi parve tal-
    mente rilevante da prendere l'abitudine di partecipare tutti gli anni agli
    incontri di Bruxelles, almeno inviando una comunicazione. Parecchie
    di tali comunicazioni, lette o inviate, sono andate a far parte dei Celto-
    Hellenica, e formano la maggioranza degli scritti qui riuniti.
    La "Société belge d'études celtiques" pubblica un bollettino chiamato
    "Ollodagos", termine - un titolo divino: "L'Eccellente" - che
    ricorre su alcuni vasi di epoca gallo-romana scoperti nel nord della
    Francia e nel sud del Belgio. In questa rivista sono stati pubblicati
    diversi miei lavori, alcuni dei quali sono stati inseriti nel presente
    volume.
    Infine, un altro Congresso, organizzato nel 1991 da Alain Moreau
    (5) a Montpellier ed incentrato sull'iniziazione, mi diede l'occasione di
    esporre un interessante esempio di astuzia connesso direttamente con le
    prove iniziatiche, comune tanto alla Grecia quanto all'antica Irlanda.
    Esso, naturalmente, venne pubblicato negli Actes del Simposio, prege-
    volmente curati dal professor Moreau nel 1992.
    Eccetto il lavoro iniziale, che forma un insieme chiuso e quindi iso-
    labile da ciò che segue, non mi è parso appropriato presentare i vari
    studi nel loro ordine di pubblicazione. La comparazione tra le "fatiche"
    di Brian e le Fatiche di Eracle, pubblicata nel 1993, costituisce un argo-
    mento completo in se stesso, e forma il secondo capitolo. La materia
    relativa ad Achille e a Cùchulainn è stata riunita: inizialmente il lavoro
    principale sui due, talmente ricco da comportare l'aggiunta di ulteriori
    dati dopo la prima pubblicazione; quindi, le ulteriori comparazioni tra
    il medesimo Cùchulainn e due eroi, uno argivo e l'altro ateniese.
    Si noterà la natura della documentazione: per l'ambito celtico, essa
    è interamente irlandese: Ciò non mancherà di stupire... diciamo pure,
    almeno metà dei celtisti e di coloro che nel loro interesse per i Celti
    dipendono dagli studi di questi ultimi.

  4. #4
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    A questo punto è necessario un chiarimento.
    Gli studi celtici rappresentano in Francia, grosso modo, e
    semplificando per meglio sottolineare le rispettive caratteristiche, due
    correnti, molto diverse nella sensibilità e nell'approccio al problema.
    Quale problema ? Quello della cultura degli antichi Celti, anteriormente
    alla loro distruzione da parte delle diverse forze che nell'antichità
    hanno progressivamente ridotto il loro dominio: Daci, Germani, Carta-
    ginesi e, per gran parte di loro, soprattutto Romani. Come ricostruirla,
    come ricomporre i frammenti di cui disponiamo, visto che la loro cultura
    è conosciuta solo in maniera frammentaria mediante l'archeologia,
    alcune allusioni di autori greci e romani e rare epigrafi, per la maggior
    parte d'interpretazione assai ardua (6)?
    Una prima "corrente", sicuramente maggioritaria poiché raggruppa
    gran parte degli archeologi, degli storici, dei filologi, si attiene ad una
    constatazione fondamentalmente negativa: il mondo celtico è scomparso,
    e il nostro progresso nella sua conoscenza dipende dalla scoperta di nuove
    epigrafi e di nuovi siti archeologici. Con questi strumenti, la
    comprensione di un mito - il metodo migliore per accedere al sistema
    di valori che presiede all'organizzazione di una società - è una scom-
    messa: ne le epigrafi, ne i siti ne hanno mai fatto conoscere uno, e l'An-
    tichità classica non ne ha tramandati - o meglio, deformati! - che uno
    o due, concementi la fondazione (gallica) di Lione o la nascita della dea
    Epona (7).
    Come si vede, tale concezione è storica in senso stretto, in quanto
    ritiene che la conoscenza di una società e del suo sistema di valori sia
    collegata ai documenti appartenenti alla medesima epoca che si vuole
    comprendere: se non si conoscono siti archeologici attribuibili ai Celti
    e risalenti, ad esempio, al VII secolo, non si conoscerà nulla dei Celti
    di quel periodo.

    L'altra corrente - alla quale senza dubbio appartengono la mia
    riflessione ed i miei lavori - è quella di celtisti meno numerosi, ma
    sicuramente di primo piano: Henri d'Arbois de Jubainville, Joseph
    Loth, Marie-Louise Sjoestedt, Francoise Le Roux, Christian Guyonvarc'h
    e Claude Sterckx. Laddove nei suoi studi tocca temi celtici, Georges Dumezil
    vi si ricollega incontestabilmente. Per tutti costoro, la storia –
    non meno importante che per gli studiosi dell'altra corrente, ma
    diversamente orientata, se così si può dire - msegna un'altra cosa: il
    carattere estremamente conservatore della materia mitica messa per
    iscritto in Irlanda a partire dall’VIII secolo della nostra era.
    É una concezione antropologica della storia: poiché una società
    definisce se stessa, ovvero acquisisce una sua coerenza mediante l'ela-
    borazione di un sistema di valori, tale sistema può perdurare per secoli,
    indipendentemente dalle variazioni di stile che permettono agli archeo-
    logi di fissare una cronologia, indipendentemente dalle modificazioni
    fonetiche che appassionano gli specialisti delle differenti lingue cel-
    tiche e indipendentemente, infine, dall'eventuale esistenza di città e
    dalle loro dimensioni. Secondo tale prospettiva, quei Celti che alcuni
    secoli prima della nostra era avviano la fortificazione delle sommità
    delle alture allo scopo di edificare una sorta di città (che definiamo
    oppida), coloro che non lo fanno, coloro che sono definiti halstattiani
    (secondo un sito eponimo: Halstatt, in Austria) per lo stile del loro
    vasellame, delle decorazioni e della tecnologia delle armi, e coloro che,
    diversi secoli dopo, loro malgrado affrontano le armate romane, e sono
    ormai definiti lateniani (da un altro sito eponimo: La Tene, in Svizzera)
    in quanto i loro stili artistici si sono evoluti, hanno tutti fondamental-
    mente il medesimo sistema di pensiero, gli stessi Dèi e sicuramente gli
    stessi miti. Spesso ciò che si comprende o non si comprende sul piano
    archeologico non dipende da un cambiamento del sistema di valori, e
    tanto meno da una modifica della lingua o della teologia.
    In questa prospettiva, il problema fondamentale concerne la conser-
    vazione del medesimo materiale ideologico fino alla nostra era.
    Nell'ambito dell'Impero romano, le cose paiono chiare alla mag-
    gioranza degli autori - e tuttavia non lo sono affatto. Tiberio e Claudio
    misero al bando i druidi: essi erano i sacerdoti delle società celtiche e
    l'anima della resistenza alla romanizzazione (8). Non essendovi più
    druidi, quindi, non vi furono più riti, né insegnamento della lingua let-
    teraria (9), ne trasmissione dei miti. La Gallia si convertì al culto impe-
    riale, e da quel momento gli Dèi celtici apparvero come disarticolati in
    una folla di figure, definite per lo più mediante un nome romano (Mars,
    Iuppiter, Apollon) seguito da un qualificativo celtico (Mars Camulos, o
    Latobius, Apollon Belenos, o Grannos, e così via). Tutto questo non
    lascia più alcuno spazio ad un pantheon nazionale.

    Ora la comparazione tra un materiale anteriore (il brano di Cesare,
    nel De bello gallico. concernente la religione gallica) e uno posteriore
    (vale a dire irlandese) permette di distinguere in tale dispersione i
    lineamenti di un ordine, nonché il riferimento delle innumerevoli figure
    locali alle grandi divinità del pantheon celtico, confusamente romanizzate
    (10).
    Inoltre le cose non furono così semplici: l'interdizione dei druidi
    non li fece scomparire ipso facto, e vi furono certamente delle fasi e dei
    luoghi in cui si attuò una trasmissione clandestina della conoscenza mitica.
    A questo punto si apre l'immensa questione, che qui non sarà affrontata,
    riguardante il passaggio dall’antica tradizione celtica al materiale tradizionale
    francese ed occidentale (11).
    Essa, del resto, dipende precisamente dall’esame preliminare degli
    altri dati del "dossier" celtico: chiarire la teologia, la mitologia e l’ as-
    siologia permette semmai di riconoscerne la sopravvivenza nel rac-
    conto, nella tradizione agiografìca o nel testo di età medievale.
    É l’enucleazione delle grandi figure del paganesimo celtico, grazie al
    materiale irlandese, a consentire l’individuazione del retaggio celtico nel
    patrimonio leggendario francese, e non certo le innumerevoli figure e
    denominazioni locali della Gallia celto-romana.
    In altre parole, bisogna uscire dalla Gallia e dall’Impero romano per
    accedere a documenti che possano portare maggiore chiarezza nel pròblema.
    Come è noto, l’Irlanda sfuggì alla conquista romana: gli eserciti
    romani di Britannia (vale a dire della Gran Bretagna) furono impegnati
    esclusivamente nell'assoggettamento delle popolazioni dell'isola,
    soprattutto in quello che sarebbe divenuto il Galles, e dovettero dedi-
    care tutte le loro energie per spingere sempre più a nord le loro fron-
    tiere verso la Caledonia. Non ebbero le risorse necessarie per un’ ulteriore
    conquista oltremarina - mentre passarono precocemente sulla
    difensiva, poiché dal III secolo i pirati irlandesi iniziarono a saccheggiare
    le coste della Gran Bretagna. L’Irlanda, pertanto, mantenne la sua
    indipendenza fino alle invasioni normanne.
    Prima di esse, tuttavia, l’isola conobbe un rivolgimento – che comunque non
    fu oppressivo, né sradicò il suo antico sistema di valori nel modo subito
    dai Celti continentali ad opera dei Romani. Si tratta della cristianizzazione,
    realizzata con ogni evidenza senza massacro di uomini ed eliminazione di elite.
    Al contrario, essa fu realizzata “dall’alto”, da parte dei re, che del resto non
    Intendevano cambiare in nulla il loro comportamento... Essa si attua nella
    prima metà del V secolo, ed il suo protagonista è tradizionalmente noto con
    il nome di San Patrizio.
    Qui non si affronteranno i problemi specifici di questa
    vicenda, e non si cercherà di capire se Patrizio sia stato il primo, e l'uni-
    co evangelizzatore dell'Irlanda, o se sia davvero esistito. Ciò che
    invece riveste maggiore importanza, è che la conversione fu conse-
    guenza di un ampio e fondamentale negoziato - condensato, nella tra-
    dizione, nel tema delle discussioni che avrebbero avuto luogo tra
    Patrizio e i druidi d'Irlanda nell’assembela di Druim Ceta. I termini di
    questo accordo sono riferiti dai testi: l’insieme della popolazione
    avrebbe adottato il cristianesimo, mentre i druidi avrebbero abbando-
    nato le loro attività sacerdotali. a meno di non farsi preti. I "poeti" o
    filid - vale a dire una categoria di druidi (12) – avrebbero invece man-
    tenuto la loro funzione: quella, d'immensa importanza in queste società
    prive di scrittura, di memorialisti delle corti reali, di eruditi, di inse-
    gnanti, di specialisti della mitologia, la quale, trasformata con la cri-
    stianizzazione, potè sopravvivere nella letteratura orale. Lo studio del-
    l'Irlanda pre-vichinga dell'Alto Medioevo dimostra che il cristianesimo non
    apportò modifiche sostanziali al comportamento dei principi
    e dei guerrieri (13). Se tanto il popolo quanto la nobiltà adottano (gra-
    dualmente, come dappertutto) la nuova religione, tutti vi trasferiscono
    la propria sensibilità e la loro concezione del mondo: la passione con la
    quale il cristianesimo è stato vissuto in Irlanda è tale da far sospettare,
    come per la Francia, un puro e semplice spostamento della mistica celtica
    su un nuovo oggetto di fede.
    La più antica letteratura irlandese è essenzialmente agiografica, ed è
    in lingua latina: in quell'epoca l'Irlanda, risparmiata dalle invasioni
    barbariche, fu una delle aree occidentali che custodirono la tradizione
    culturale dell'antichità.
    Successivamente, a partire dall’ VIII secolo (a quanto si può dedurre
    da diversi raffronti, considerando che i manoscritti sono di epoca poste-
    riore) (14) i monaci - ovvero gli unici che potevano farlo nell'Irlanda
    di allora - misero per iscritto quelli che noi chiamiamo racconti mito-
    logici irlandesi.
    Essi talvolta furono cristianizzati – piuttosto superficialmente.
    Gli Dèi vennero antropomorfìzzati, e l'antico termine "dio" per designare
    questi personaggi ricorre solo come una sorta di lapsus. Così facendo,
    i monaci salvarono integralmente i racconti, trasmettendo uno straordi-
    nario tesoro mitico.
    Non vi sono dubbi sulle fonti di questi tesori: se si considera che i
    Fìlid erano stati autorizzati a proseguire il loro mestiere, che i re irlan-
    desi avevano bisogno di loro e che comunque la tradizione orale era
    ancora viva nell'Irlanda di allora, con i suoi specialisti, i seanchai, è ad
    essi che i monaci - spesso loro figli - dovettero rivolgersi allorché vollero
    mettere per iscritto la letteratura precristiana del loro paese.
    Perché lo fecero?
    Le motivazioni non sono ben chiare - constatare un fatto è una cosa,
    e spiegarlo un'altra. Probabilmente la concorrenza anglosassone dovette
    svolgere un suo ruolo, e nel nascente conflitto con Roma (il clero
    irlandese, infatti, praticava riti parzialmente diversi da quelli della curia
    romana) i monaci vollero dimostrare che essi non erano inferiori in ricchezza
    culturale agli Anglosassoni, favoriti da Roma per il loro allineamento in
    materia liturgica.
    H. d'Arbois de Jubainville, introduttore in Francia delle ricerche
    sull'Irlanda con la sua grande opera in otto volumi del Cours de litté- rature celtique, ha avuto il duplice merito di aver riconosciuto nella
    civiltà che s’intravede nei testi mitologici irlandesi la traccia di una
    situazione culturale assai arcaica, che egli disse propria dell’Età del
    Ferro, poiché la comparazione con la civiltà greca dei poemi omerici si
    rivelò particolarmente appropriata. Il tomo VI della sua opera “La civi- lisation des Celtes et celle de l'epopèe homérique”, è il precursore
    diretto degli attuali "Celto-Hellenica". L'altro suo merito è quello di aver
    intuito che i personaggi principali dei racconti di uno dei cicli isolati
    dalla filologia del XIX secolo nell'immensa mole dei manoscritti irlan-
    desi - quello definito precisamente "ciclo mitologico" per distinguerlo
    dai racconti incentrati sulle monarchie ("ciclo dei re”), nonché da quelli
    riguardanti le avventure, in larga parte di carattere magico, di un gruppo
    di cacciatori ("ciclo di Ossian", o "del Leinster") -, personaggi rag-
    gruppati nella "tribù" detta dei Tuatha De Danann (irlandese tuath,
    "tribù"), sono altrettante antropomorfizzazioni degli antichi Dèi, nei
    quali egli vide gli equivalenti degli Dèi gallici appartenenti al pantheon
    tratteggiato rapidamente da Gaio Giulio Cesare. Tale principio
    costituisce la base di tutti gli studi sulla teologia celtica - quanto meno di
    quelli che rientrano nella seconda delle correnti precedentemente
    segnalate.
    Studi ulteriori hanno confermato l'estrema antichità dei racconti tra-
    scritti nell'Irlanda medievale, ponendo a confronto, per esempio, gli
    oggetti materiali con quelli dell'archeologia, il materiale mitico con
    quello degli altri popoli indoeuropei - lavoro, questo, nel quale spic-
    cano principalmente Georges Dumézil ed i fratelli Alwvin e Brinley
    Rees (15) - o ancora effettuando la comparazione con le raffigurazioni,
    le monete celtiche, le stele gallo-romane (16), e infine osservando la
    stretta somiglianza tra le pratiche segnalate dagli autori dell'Antichità e
    quelle descritte nei testi tradizionali irlandesi (17).

    In base a ciò, per tutta la "corrente" esegetica summenzionata, i testi
    medievali irlandesi costituiscono la chiave fondamentale per interpre-
    tare e comprendere i documenti del restante mondo celtico. Le fonti
    irlandesi permettono di leggere le immagini di certe monete, di certe
    stele, di unificare concettualmente le frammentarie documentazioni
    archeologiche delle figure gallo-romane quali Epona o il Cavaliere con
    l'anguipede. Il confronto con queste fonti, inoltre, consente d'indivi-
    duare ciò che nel materiale leggendario francese è di origine celtica antica.
    Infine, se comparate al materiale medievale gallese trascritto nei
    racconti chiamati Mabinogion e in alcuni altri, esse permettono di scoprire
    che non si tratta di opere d'immaginazione ma di autentico materiale
    mitologico romanzato (18).
    Appare quindi in tutta la sua chiarezza la fertilità di una simile pro-
    spettiva, e si resta confusi leggendo, in un libro sulla religione dei Celti,
    basato unicamente sulla documentazione antica e pubblicato nel 1948
    dal maestro della filologia celtica in lingua francese di allora, Joseph
    Vendryes, fondatore e direttore della rivista “Ètudes celtiques”, la
    seguente conclusione, inevitabile, predeterminata: "Man mano che si
    procede nello studio della religione dei Celti, si ha l'impressione di
    inseguire un oggetto che continuamente si allontana sottraendosi ad
    ogni comprensione. Oppure, se accade che si riesca ad afferrare qual-
    cosa, tra le mani non si ha che un vuoto involucro, il cui contenuto è
    irrimediabilmente fuggito via" (19). Il libro era di otto anni posteriore
    a quello di Marie Loujse Sjoested, che affermava esattamente il contrario,
    e nello stesso periodo Pierre Le Roux fondava - a sue spese -
    con un gruppo di celtisti bretoni la rivista “Ogam”, che nel ventennio suc-
    cessivo avrebbe fornito tutta una serie di traduzioni dei principali testi
    del ciclo dell'Ulster curate da Christian Guyonvarc'h, nonché gli studi
    di quest'ultimo, di Francoise Le Roux, di J.R.F. Piette, di Jean Gricourt,
    di Roger Vaillant, che portarono alla comprensione in profondità del-
    l'assiologia, della mitologia e della teologia delle società celtiche ante-
    riormente alla romanizzazione e alla cristianizzazione (20). I lavori di
    questi grandi celtisti, nonché quelli di G. Dumezil, costituiscono precisamente
    la base di quelli che qui si presentano.
    Pertanto, ciò di cui implicitamente si tratta è un incontro preistorico
    tra Greci e Celti: la precisione delle corrispondenze, l'importanza dei
    dati comuni, persino alcune curiose corrispondenze fonetiche stanno a
    dimostrarlo. Sul momento e sul luogo di tale incontro si tornerà nel
    corso dell'opera (21). Per ora diciamo solo che l’unico luogo e l'unico
    momento in cui ciò potè verificarsi vanno individuati nel corso del III
    millennio a.C. da qualche parte tra l'Ucraina ed il Danubio: in quell’ epoca,
    Protocelti, e successivamente Protogreci, avendo lasciato quello che
    è attualmente considerato dalla maggior parte degli specialisti come
    il focolare da cui si mossero i popoli di lingua indoeuropea, ovvero
    la Russia meridionale, avviarono il movimento migratorio che li
    avrebbe progessivamente condotti verso le loro sedi storiche, in un
    primo tempo l'Europa centrale per i primi, ed il Sud della penisola bal-
    canica per i secondi (22).
    Comunicazioni e scambi furono assai intensi: al punto che bisogna
    supporre delle celebrazioni religiose comuni, intensi contatti tra i sacer-
    doti degli uni e degli altri, l'elaborazione di un pantheon in gran parte
    condiviso e di diversi cicli eroici. Le rispettive culture e lingue dovet-
    tero essere molto simili.
    Nell'ambito della contiguità in epoca antica tra la cultura celtica e
    quella greca, essendo prima di tutto un grecista sono sempre rimasto
    colpito dal fatto che la cultura celtica sembra fornire un’immagine di
    ciò che potè essere la cultura greca nella sua fase più arcaica.
    Dimostrerò tale constatazione, fornendo alcune indicazioni in un rapido excursus di "antropologia comparata".

  5. #5
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    Ai Greci di epoca storica ripugnava la pratica della decapitazione dei
    nemici uccisi: coloro che lo fecero si attirarono la condanna generale.
    Al contrario, nella mitologia la decapitazione viene spesso effettuata da parte di personaggi assolutamente positivi: Achille, Perseo, Eracle, gli Dèi Ermes e Atena... Per quanto riguarda i Celti, essi sono unanimemente ritenuti dagli autori greco-latini come inveterati tagliatori di teste.
    Tale asserzione riceve piena conferma dalla scoperta di santuari nel
    sud della Francia che presentano delle teste tagliate esposte, nonché,
    nel nord, da resti di corpi umani privi di testa (23); del resto, nella let-
    teratura irlandese la decapitazione dell'avversario vinto costituisce un
    vero e proprio leitmotiv (24).
    Gli autori greci e latini hanno messo in evidenza, con grande stupore,
    gli immensi banchetti ai quali i sovrani celtici, ad es. Ariamnes, re galata,
    o Luernos, re degli Alverni - il padre di Vercingetorige - invitavano migliaia
    di ospiti (25). Ciò non accadeva più presso di loro. Ma nella tradizione greca
    si fa menzione di banchetti reali. Soprattutto, un documento degli archivi reali micenei, proveniente dal palazzo di Tebe, in Beozia, ci informa di un banchetto in cui gli invitati furono circa mille (26): in tal senso, un rito reale praticato in Grecia nel XIII secolo prima della nostra era esisteva ancora poco più di un millennio dopo, presso i Celti.

    La Grecia di epoca storica non pratica l'ordalia: essa è stata sosti-
    tuita con la procedura giuridica della discussione delle argomentazioni
    tra avversari, che costituisce una delle più importanti conquiste del-
    l'umanità in quella fase. Ciononostante, un grande grecista come
    Gustave Glotz potè scrivere un intero libro, basato sul materiale leggendario concernente l’ordalia nella Grecia primitiva(27). Le nostre fonti greco-latine, che non affrontano la questione della giustizia presso gli antichi popoli celtici, conseguentemente non menzionano l'ordalia.
    Le leggi irlandesi medievali, invece, descrivono varie forme di ordalia,
    diverse da quelle, di origine germanica, praticate nel Medioevo dal
    resto dell'Europa occidentale: esse rappresentano quindi una tradizione
    autoctona e indipendente (28).
    Celti e Germani solitamente affidavano un adoloscente ad una famiglia
    diversa da quella in cui era nato, perchè ricevesse l’educazione; tale
    famiglia apparteneva preferibilmente al ramo materno (ricordiamo che
    tutti gli antichi popoli indoeuropei sono patrilineari e patrilaterali: in
    altre parole, la sposa dell'uomo proveniva sempre da un'altra famiglia).
    Dal corrispondente termine inglese, tale prassi prende il nome di fostérage,
    o “affidamento”. In epoca storica la Grecia non praticava l'affidamento.
    Tuttavia, un autore particolarmente attento ai dati antropologici e agli indici
    delle consuetudini sociali presenti e passate, Louis Gernet, ha potuto dedicare un importante articolo al problema “affidamento e leggenda in Grecia (29); come la decapitazione, esso è attestato nella tradizione, la quale conserva sempre le tracce di pratiche scomparse.
    La Grecia, dunque, non praticava più l'ordalia ne la caccia alle teste,
    ma non mancava di giustiziare i condannati in vari modi. È possibile
    dimostrare che ad Atene l'eroe Teseo, fondatore della maggior parte
    delle istituzioni della città, "fondò" in senso mitico, anche le modalità
    di esecuzione capitale; nella leggenda che lo riguarda si racconta come
    egli abbia ucciso diversi "briganti" che incontrò lungo il cammino,
    dando loro la morte nel modo che essi stessi promettevano ai passanti.
    Ora, queste esecuzioni di carattere mitico ricordano assai da vicino le
    esecuzioni sacrificali praticate dai Celti e menzionate nelle testimonianze antiche (30).
    Nella storia di Eracle, i Greci raccontavano che una delle sue
    Fatiche consistette nella ricerca delle mele d'oro del paese delle Espe-
    ridi (31). Si tratta di tre o quattro giovinette (certamente mitiche) che
    custodivano alcune mele meravigliose in una terra occidentale. La tra-
    dizione medievale celtica conosce nel ciclo arturiano un'isola delle
    mele, Avallon, ove vivono nove fate, la più celebre delle quali è Mor-
    gana. Il nome Avallon deriva dal nome celtico della mela: mentre le
    mele d’oro delle Esperidi sono solo mitiche, le corrispondenti mele celtiche
    appartenevano ancora alla realtà religiosa e cultuale (32).
    Inoltre, l'Antichità rivela a più riprese l'esistenza di isole sacre nei
    paesi celtici, abitate da collegi sacerdotali femminili (33): in tal senso,
    il mito greco ha un corrispondente mitico celtico nel Medioevo, radi-
    cato a sua volta in un'antica pratica religiosa dei Celti pagani. Ancora
    una volta, questi ultimi conoscono in piena epoca storica, verso il I
    secolo della nostra era, una pratica religiosa che già in epoca protostorica
    i Greci avevano relegato nell'ambito leggendario.
    Infine, un altro caso interessante è quello dell'omosessualità. Gli
    autori dell' Antichità che parlano dei Celti ne hanno sottolineato la presenza, simile a quella greca quanto alla sua diffusione. Essi, tuttavia, la
    descrivono come guerriera, rozza, selvaggia, e ne sono scandalizzati,
    poiché appartengono a un'epoca, tra il primo secolo a.C. ed il primo
    d.C., nella quale la pederastia aveva conosciuto un'evoluzione, durata
    diversi secoli, nel senso dell'idealizzazione e della sublimazione: a partire
    dal V secolo a.C., nell'ambiente urbano ateniese in via di sviluppo,
    le pitture vascolari sostituiscono gli uomini nudi del secolo precedente
    con pudici amanti vestiti. Tale evoluzione è confermata ed accentuata
    da Platone e dalle varie correnti fìlosofìche. Ora, le forme delle pratiche
    anteriori, rilevabili nella documentazione del VII e del VI secolo, e a
    fortiori nelle tradizioni mitiche, sono agresti, guerriere, dirette, esatta-
    mente come quelle dei Celti, che scandalizzeranno gli autori di cinque
    secoli dopo (34).
    In tal senso, è come se “percorrendo a ritroso il passato greco”, ci
    si avvicini ad un modello sociale di cui le società celtiche, molto più
    conservatrici, mantenevano ancora le forme dopo secoli (nel caso della
    pederastia) o millenni, nel caso dei banchetti reali o della caccia alle
    teste).

    Indubbiamente tale dimostrazione non può essere univoca né assoluta:
    in realtà, affidamento, banchetti reali, caccia alle teste, ordalie,
    forme differenti di esecuzione capitale sono esistiti presso la maggior
    parte dei popoli indoeuropei conosciuti (Germani, Iranici, Sciti,
    Indiani), e si potrebbero effettuare studi analoghi di antropologia com-
    parata con popoli diversi da quello celtico. Di regola, tali studi appari-
    rebbero innovativi riguardo i diversi punti menzionati. La peculiarità
    della comparazione con le pratiche celtiche sembra solo un pò più consistente e sistematica. É un punto che merita di essere segnalato.

  6. #6
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    Gli studi che seguono si basano su due "cicli" leggendari irlandesi:
    il "ciclo dell'Ulster" per gran parte di essi, e il "ciclo mitologico" per
    gli altri.
    Nell' ambito del patrimonio irlandese, il ciclo dell’Ulster è il più
    ricco di leggende. Vi figurano il più celebre guerriero (Cùchulainn), il
    più celebre re (Conchobar), il più celebre druida (Cathbad), e contiene
    la più importante epopea irlandese, la Tàin Bó Cùalnge. Da quest'ul-
    timo testo proviene la maggior parte dei dati concementi Cùchulainn
    che qui verranno utilizzati. Esso, in origine, non era altro che uno dei
    diversi cicli reali, poiché ciascun regno irlandese (e ve n'erano
    parecchi!) aveva un proprio ciclo leggendario che lo poneva in primo
    piano. La sua importanza è dovuta al fatto che esso venne ipertrofìzzato
    dagli Ui Néill, dinastia di un modesto cantone dell'Irlanda del Nord
    (più piccolo dell'attuale Ulster), che nell'VIII secolo ambì alla supre-
    mazia sull'isola (35). Le comparazioni mitologiche che seguono fareb-
    bero pensare che gli Ui Néill, più che gonfiare dei sintetici dati leggen-
    dari, abbiano direttamente assorbito un materiale mitico. Del resto, è
    stata avanzata l'ipotesi (36) secondo la quale la divisione classica, in
    Irlanda, tra il “ciclo dei re”, il “ciclo dell’Ulster” ed il “ciclo di Ossian”
    non farebbe altro che riprendere un'antica ripartizione, implicita e
    voluta, della materia tradizionale in tre dominii, corrispondenti alle tre
    funzioni indoeuropee (37).
    Un altro testo utilizzato proviene dal "ciclo mitologico" nel quale,
    come si è detto, i principali personaggi, i Tuatha De Danann, sono di
    fatto gli antichi e grandi Dèi dell'Irlanda e del mondo celtico. Lug. il
    principale dei Tuatha De Danann, era il Dio maggiore, in Irlanda e
    altrove, come è testimoniato dalle numerose Lugdunum continentali ed
    insulari (Lione, Laon, Loudun, Carlisle, Liegnitz ...) (38).
    Per contro, pur avendo estese parentele insulari, Brian, avversario di
    Lug in quel testo, non s'identifica chiaramente con alcun personaggio
    mitico noto nell'Antichità celtica. Sebbene vi sia un nome proprio,
    Brennos, che designa alcuni capi gallici, nulla ne giustifica l'accosta-
    mento con Brian (39). La comparazione mitica esterna con la Grecia (e,
    come si vedrà, con il ben più lontano Iran) permette di accertare che
    nell'antico mondo celtico vi era sicuramente un Dio, o quanto meno un
    eroe, corrispondente al Brian irlandese.
    Gli studi di "Celto-Hellenica", pertanto, consentono di chiarire
    l’antica cultura celtica, le origini della civiltà greca e un aspetto dell’
    evoluzione dei popoli nati dalla diaspora indoeuropea.
    I lavori che vengono qui raccolti hanno beneficiato, in occasione dei
    colloqui o dei congressi nel corso dei quali erano stati presentati, delle
    osservazioni e delle integrazioni di Claude Sterckx, Frédéric Blaive,
    Christophe Vielle, Alain Moreau. Ringrazio tutti costoro, e con essi
    Pierre-Yves Lambert, direttore degli studi dell'"École pratique des
    hautes études", insegnante di lingue celtiche, che mi ha gentilmente
    proposto di rivedere le diverse traduzioni dall'irlandese o dal gallese,
    qui utilizzate. A Jean-Paul Leiu, infine, debbo preziosi riferimenti.
    Per le trascrizioni dall'irlandese, ho utilizzato preferibilmente le
    grafie in medio irlandese, del tipo Medb, Fergus, meno ostiche di quelle
    più recenti, Meadhbh, Fearghus - più esatte da un punto di vista fone-
    tico, per chi ha studiato la fonetica dell'irlandese (40) - e ho indicato
    all'inizio dei capitoli la pronuncia, necessariamente approssimata per
    termini di epoca medievale, che non corrispondono mai alla scrittura.
    Per le parole greche, ho mantenuto l'ortografia classica.


    Note


    (1) Vedi più avanti, p. 92, 96, 112, e B. Sergent, "Athèna et la Bodb", in Le livre des dieux, Celtes et Grecs, II, Payot, Parigi, 2004, p. 423-464. (2) B. Sergent, "Celto-Hellenica VI: Hermès et Oengus", in Comparatisme, mytho- logies, langages, en hommage a Claude Lévi-Strauss, a cura di C. Vielle, P. Swiggers e G. Jucquois, Peeters, Louvain-la-Neuve, 1994, p. 206. (3)/^.,p.202,n.42. (4) Nel bei libro intitolato Colere, sexe, rire. Le Japon des mythes anciens, Les Belles Lettres, Parigi, 1988. (5) Recentemente autore, tra l'altro, del volume Mythe de Jason et Médée. Le Va- nu-pieds et la Sorcière, Les Belles Lettres, Parigi, 1994. (6) Cfr. P.-Y. Lambert, La Langue gauloise, Éditions Errance, Parigi, 1994, e J.-P. Savignac, Les Gaulois. Leurs écrits retrouvés, La Différence, Parigi, 1994. (7) Rispettivamente, Ps. Plutarco, Parali., 20 (313a); e 29 (312e); I fiumi, VI, 4. Su questi dati cfr. R. Bloch, "Traditions celtiques dans l'histoire des premiers siècies de Rome", in Méìanges d'archeologie, d'épigraphie et d'histoire offerts a Jéróme Carco- pino, Hachette, Parigi, 1966, p. 125-139; F. Le Roux, "La religion des Celtes", in His- toire des religions. I: Religions antiques. Religions de salut (Inde et Extréme-Orient), a cura di A. Puech, Gallimard, Encyclopédie de la Plèiade, Parigi, 1970, p. 797, 819; C. Sterckx, Èléments de cosmogonie celtique, Éditions de l'université, faculté de philoso- phie et lettres, Bruxelles, 1986, p. 10, 53, 57-58; C. Vielle, "Matériaux mythiques gau- lois et annalistique romaine: éléments antiques d'une cycle héroique celtique", in Études celtiques, 1994. (8) Cfr. soprattutto F. Le Roux e C.-J. Guyonvarc'h, Les Druides, IV ed., Ouest- France, Rennes, 1986 [/ Druidi, Ecig, Genova, 1990]. (9) Insegnamento che è necessario presupporre per spiegare l'evidente omogeneità delle lingue celtiche dalla Galazia alla Gran Bretagna, Le epigrafi in determinati dia- letti (lepontico, celtibero) mostrano le notevoli differenze che potettero esistere tra gli idiomi di quei diversi popoli del gruppo celtico che si distaccarono precocemente dalla corrente principale. Tale gruppo, insisto, mostra una straordinaria affinità linguistica dall'Occidente alla Galazia. (10) Cfr., in particolare, F. Le Roux e C.-J. Guyonvarc'h, Mórrigan-Bodb-Macha. La Souveraineté guerrière de l'Irlande, in Celticum; 25, Rennes, 1983; e C. Sterckx, "Le Cavalier et l'Anguipède", parte I, in Ollodagos, e II, III, 1, 1991-1992, p. 1-107. (11) Cfr. J.-P. Leiu, "La Saint-Martin dans le calendrier", BSMF, 77, 1970, p. 72- 73; "La Beuffenie et son partenaire en Bourgogne", in Bulletìn de la Societé de mytho- logie francaise, 81, 1971, p. 90-105; C. Gaignebet, "Véronique ou l'image vraie", in Bulletin, 179, 1985, p. 91-104 e passim; J.-M. Hans, "Les céphalophores leuquois, saint Élophe et sainte Libaire, enfants de Baccius", in Bulletin, 143, 1986, p. 11-34; H. Fro- mage, "Sur les traces de Gargantua et de saint Gorgon", in Bulletìn, 137, 1985, p. 27- 38; "Lancelot, le roi des poissons?", in Bulletin, 156, 1989, p. 1-10: "Legende et pay- sage", La Legende, Casa de Velazquez/Editiorial Universidad Complutense, Madrid, 1989, p. 133-154; "ROCAMADOUR: qui est (A)madour?", in Bulletin, 161, 1991, p. 5-14; B. Sergent, "Observations sur l'origine du cycle des Narbonnais", Romania, 420, 1984, p. 462-491; "Les arbres de Faubouloin", in Bulletin, 157, 1990, p. 15-18; "Héor- tologie et origines de saint Véran", in Bulletin, 157, 1990, p. 19-35; "Les origines sacrées de Bavay", in Mythologie en Nord, a cura di B. Coussée, Beauvais, 1990, p. 247-261; "Saint Marcel et le castor", in Bulletin, 164, 1992, p. 5-8; C. Sterckx, "Les tétes coupées et le Graal", in Studia Celtica, 20-21, 1985-1986, p. 21; Èléments, p. 47; "Saint Gengoulph cocu et martyr: Lugus christianisé?", in Ètudes qffèrtes a Jacques Henri Michel, Bruxelles, 1991, p. 35-59; D. Laurent, "Lejuste milieu. Réflexion sur un rituel de circumambulation millénaire: la troménie de Locronan", in Tradition et histoi- re dans la culture populaire, Documentation d'etimologie regionale, 11, CARE, 1990, p. 255-292; e così via (vedi la bibliografia anteriore in C. Sterckx, "Débris mythologi- ques en Basse-Bretagne", in Bulletin de l'Amicale des Bretons de Belgique, 18, 1986- 1987, p. 76. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, la sopravvivenza del "druidismo" o più esattamente di idee religiose celtiche sfuggite alla romanizzazione, è ben attestata nel I secolo della nostra era (e quindi successivamente alle interdizioni imperiali) grazie a documenti in lingua gallica quali la tavoletta di Chamalieres o il Piombo di Larzac: cfr. P.Y. Lambert, La Langue gauloise, p. 150-172. ""(l^1) Cfr. F. Le Roux e C.-J. Guyonvarc'h, Les Druides, p. 37-44. (13) Cfr., ad esempio, R. Chauviré, Histoire de l'Irlande, Gallimard, Parigi, 1949, p. 16-30; R. Frechet, Histoire de l'Irlande, Gallimard, Parigi, 1970, p. 14-22; D. O'Corrain, Ireland Before thè Normans, Gill and Macmillan, Dublino, 1972; M. Dillon e N. Chadwick, Les Royaumes celtiques (Londra, 1967) [/ regni dei Celti, II Saggiatore, Milano, 1968], traduzione, con testi originali irlandesi e gallesi ed un capitolo supple- mentare sulla Gallia, di C.-J. Guyonvarc'h, Fayard, Parigi, 1974, p. 55-104; T. M.Charles-Edwards, "Thè Social Background to Irish Peregrinano", in Celtica, 11, 1976, p. 43-59; R. Sharpe, "Hibero-Latin Laicus, Irish làech and thè Devil's Men", in Eriu, 30, 1979, p. 75-92; K.R. McCone, "Hund, Wolf and Krieger bei den Indoger- manen", in Studien zum indogermanischen Wortschatz, a cura di W. Meid, Innsbrucken Beitràge zur Sprachwissenschaft, Innsbruck, 1987, p. 104-114. (14) Cfr. P.-Y. Lambert, Les Littératures celtiques, PUF, Parigi, 1981. (15) G. Dumézil, Jupiter-Mars-Quirinus I. Essai sur la conception indo-euro- péenne de la société et sur les origines de Rome, Gallimard, Parigi, 1941, p. 225-234; Servius et la Fortune, Gallimard, Parigi, 1943, p. 189-244; Mitra- Varuna. Essai sur deux représentations indo-européennes de la souveraineté, V ed., Gallimard, Parigi, 1948 (I ed., 1940),p. 169-187; Mytheet Epopèe, I, Gallimard, Parigi, 1968, p. 602-612; Heur et malheur du guerrier, PUF, Parigi, 1969; nuova edizione ampliata, Flammarion, Parigi, 1985 [Le sorti del guerriero, Adelphi, Milano, 1990], p. 130-133 (nuova edi- zione, 1985, p. 211-215); Mythe et Epopèe. II. Gallimard, Parigi. 1971, p. 329-353; Mythe et Epopèe, IH, Gallimard, Parigi. 1973. p. 21-87; "La quatrième branche du Mabinogi et la théologie des trois fonctions", in Rencontres de religions, a cura di P. Mac Canae M. Meslin. Les Belles Lettres. Parigi, p. 25-38; B. Rees. "Georges Dumézil et les traditions celtiques", in Georges Dumézil. Cahiers pour un temps, a cura di J. Bonnet et D. Pralon, ed. Pandora-Centre Georges Pompidou, Parigi, p. 271-282 (tra- dotto da H. Clermont). (16) M.-L. Sjoestedt, Dieux et héros des Celtes. Leroux, Parigi, 1940; nuova edi- zione, Terre des Brumcs, Rennes, 1993. p. 86. Vedi anche P.-M. Duval "Quatre mon- naies gauloises a sujets mythologiques, mieux décrites", in Académie des inscriptìons et belles lettres. Comptes rendus des séances. 1981. p. 57-72; "Observations sur la mythologie gauloise: les sources numismatiques", in Études celtiques. 1982. p. 19. 93- 105; C. Sterckx, "Images monétaires et mythes celtes". in Zeifsc hrift fùr Celtische Phi- lologie.^1. 1995,p. 1-17. (17) H. Hubert, Les Celtes depuis l'époque de La Tene et la civilisation celtique. La Renaissance du Livre, 1932; nuova edizione, aggiornata da R. Joffroy. Albin Michel, Parigi, 1974, p. 201-289; ed esempi appropriati in D. Poli, "La distribuzione nel banchetto celtico", in L'Uomo. Società tradizione sviluppo, 9, 1-2, 1985. p. 75-97, a proposito dei banchetti rituali. (18) Cfr. J. Gricourt. "Epona-Rhiannon-Macha". in Ogam. VI, 1954, p. 25-40. 75- 86, 137-138, 165-188; G. Dumézil, "La quatrième branche"; C. Sterckx. Éléments de cosmogonie celtique. (19) J. Vendryes, La Religion des Celtes, Leroux. coli. Mana. Parigi, 1948; edizione parzialmente nuova con identico titolo; prefazione, note e aggiornamenti bibliografici di P.-Y. Lambert, Coop Breizh. Spózet. 1997. p. 250. (20) Cfr. le sintesi di Le Roux e Guyonvarc'h, Mórrigan-Bodb-Macha. opera che costituisce il compimento di questo lavoro di esegesi. Ogam appare ancora occasional- mente... Ma la rivista che ormai la sostituisce, quanto ai lavori di esegesi mitologica, è Ollodagos. pubblicata a Bruxelles. (21)Cfr.^/ra,p.76.321. (22) B. Sergent. Les Indo-Europe e ns. Histoire, langues, mythes. Payot, Parigi. 1995,p.413-416. (23) Su questi ultimi, cfr. J.-L. Brunaux, "Les os humains dans les sanctuaires laté- niens. Présentation", in Les Nouvelles de l'archeologie. 35, p. 7-9; sui primi, i riferi- menti si trovano nell'opera citata alla nota seguente. (24) Studio complessivo sulla questione: C. Sterckx, La Téle et les Seins. La Muti- lation rituelle des ennemis et le Concepì de l'àme. Forschungen zur Anthr. und Religionsgeschichte, n. 6. Sarrebruck, 1981 (ried. Les mutilations des ennemis chez les celtes préchrétiens: la tòte, les seins, le Graal, L'Harmattan, Parigi. 2005). (25) Diodoro Siculo, Biblioteca storica, LIV, 23; Filarco. in Ateneo. IV, 34. 150 d-f. (26) C. Piteros, J. L. Melena e J.-P. Olivier. "Les inscriptions en Linéaire B des nodules de Thèbes (1982): la fouille. les documents. les possibilités d'interpretation", in Bulletin de correspondance hellénique. 114. 1990. p. 103-184. (27) G. Glotz. L'Ordalie dans la Grece primitive. Elude de droit et de mythologie. tesi, Parigi, 1904. (28) Sulle ordalie indoeuropee, cfr. B. Sergent. Les Indo-Europe e ns. p. 315-318. (29) !.. Gcrnet, "Fostérage et legende", in Droit et società dans la Grece ancienne. publication de droit romain de l'Université de Paris, n. XIII, Recueil Sirey. Parigi. 1955. p. 19-28; nuova edizione. 1964; sull'affidamento, vedi più avanti, p. 157. 166. (30) B. Sergent, "Initiations, ordalies, pénalités, marques de victoire dans le monde indo-européen", in Oilodagos, I. 4, 1990, p. 117-137. (31) Vedi più avanti, p. 93, 99, 101, 106. (32) Cfr. F. Le Roux e C.-J. Guyonvarc'h. Les Druides, p. 158-161; J.-L. Le Quellec e B. Sergent, La Pomme. contes et rites, Maison du conte-Societe de mytho- logie franc'aise, Chevilly-Larue-Parigi, 1995. (33) Cfr. Stradone. Geografìa, IV, 4, 6 (198); Pomponio Mela. Corografìa, III, 6; 9; Tacito. Annali. XIV. 30; Solino. XXII. 7. Su ciò vedi J. De Vries. La Religion des Celtes (traduzione francese di !.. Jospin), Payot. Parigi. 1963 {Keltische Religion, W. Kohihammer Verlag, Stoccarda, 1961) [/ Celti, Jaca Book. Milano, 1992]. Le Roux e Guyonvarc'h si mostrano assai critici nei confronti di questi dati. che ritengono mitici {Les Druides. p. 308-309): ma non ve n'è alcuna ragione, come osserva De Vries. Si concorderà con loro, invece, laddove distinguono accuratamente queste donne dai druidi, i cui attributi oltrepassano largamente i loro. Pertanto, si può parlare a rigore di "sacerdotesse" celtiche. ma sicuramentenon di "druidesse". (34) Cfr. B. Sergent. L'Homosexualité dans la mythologie grecque. Payot, Parigi, 1984. passim: L'Homosexualité initiatique dans l'Europe ancienne, Payot, Parigi. \9S6, passim: "Amours guerrières", in Artus, 1987, p. 25-26, 49-52. (35) P.Y. Lambert, Les Littératures celtiques. p. 30-31. 46. (36) B. Rees. articoli in Dictionnaire des mythologies. a cura di Y. Bonnefoy: "Cu Chuiainn, Conchobar: le héros guerrier dans la mythologie irlandaise", Parigi, 1981, p. 141. (37) Sulle tré funzioni, vedi più avanti, p. 74. 75. (38) Cfr. C.-J. Guyonvarc'h, "Note de toponymie gauloise. I. Le toponyme gau- lois DVNVM.2. Répertoire des toponymes en LVGDVDVM". in Celticum. 6, 1962. p.363-376. (39) Cfr. più avanti, p. 104. (40) L la scelta effettuata nelle opere di F. Le Roux e C.-J. Guyonvarc'h. Cfr., in particolare, C.-J. Guyonvarc'h. La Razzia des vaches de Cooley. traduzione dall'antico irlandese, con introduzione e note. Gallimard, Parigi, 1994, p. 46. Nella medesima opera, alle p. 48-49, si troveranno alcune indicazioni sulla fonetica dell'irlandese.

  7. #7
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    Indubbiamente le riflessioni di Sergent sono talmente ricche da mettere, per noi, molta carne al fuoco.
    Per iniziare, comunque, mi pare che si possano individuare 3 snodi principali per le nostre considerazioni:

    Prototipi mitico-poetici comuni.
    Le somiglianze strutturali tra eroi greci e celtici, e tra interi poemi, mettono in luce l'esistenza di "schemi poetici" e "trame", "mitemi" che dovevano essere già propri dell'Urvolk indoeuropeo, ed in particolare della sua classe di poeti-vati.
    In particolare mi sembra interessante il caso dell'Iliade, sia perchè opera fondamentale per la grecità successiva, sia perchè ci eravamo già occupati delle nuove ipotesi sul poema e su Troia. Le intuizioni di Sergent gettano nuova luce anche sull'arcaicità del mondo omerico, sulla sua incubazione perlomeno in Europa continentale e non-mediterranea, e sembrano dunque sostenere indirettamente le intuizioni di F. Vinci, sebbene classicisti, archeologi, e classico-centrici vari siano restii ad abbandonare il Mediterraneo;

    L'altro volto dell'Ellade e la relatività del concetto di "barbarie".
    Proseguendo sulla stessa linea, gli studi comparativi mostrano anche un volto della Grecia al quale indubbiamente la cultura europea dominante è poco adusa, visto che generalmente essa ama ritrovare le proprie origini nella Grecia classica e razionale del VI-V sec. (la "culla dell'Occidente", il "miracolo greco").
    Ma, se perfino gli inventori del termine e del concetto di "barbarie", erano squisitamente barbari fino a pochi secoli prima di raggiungere le loro sedi storiche, si impone la relativizzazione e il superamento della dicotomia civiltà/barbari;

    Importanza dell'Irlanda per la tradizione celtica.

    Sergent, nel distinguere l'approccio peculiare della sua corrente rispetto a quella storico-archeologica, evidenzia anche l'importanza fondamentale delle fonti irlandesi per la conoscenza della tradizione celtica precristiana.
    In sostanza - aggiungo io - per motivi di vario ordine, l'Irlanda sembra aver svolto per la tradizione celtica la stessa funzione dell'Islanda per la tradizione nordica. Aree geograficamente periferiche, culturalmente conservatrici, sulla soglia della imminente cristianizzazione, hanno messo per iscritto qualcosa delle rispettive tradizioni, permettendo anche a noi di conoscerne frammenti.

    Non è dunque possibile, per chi si rifaccia alla tradizione celtica, prescindere dal riferimento all'Irlanda, ma anzi è doveroso, se si vuole conoscerne qualcosa nelle sue forme autonome, e non accontentarsi dei sincretismi gallo-romani. Sarebbe dunque assurdo stigmatizzare tale operazione e tale riferimento.

  8. #8
    email non funzionante
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    Un ottimo libro atteso che è da scremarvi la nota francocentricità di parte di uno scrittore francese.

    Valete,
    Frumentarivs
    Frumentarius
    "Punctim et Caesim ferire"

  9. #9
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    Citazione Originariamente Scritto da Apostata_tv83 Visualizza Messaggio
    Consiglio allora di leggere "la favola dell'indoeuropeo" di Semerano.
    Semerano ...uhmm... cioè quel linguista-giocoliere che, baloccandosi con le etimologie, pretendeva di semitizzare mezzo mondo ?

    "la favola dell'indoeuropeo"... cioè quel testo-manifesto para-ideologico che afferma che parlare di Indoeuropei "è razzismo" ???

    Per carità... Apostata, mi spieghi il tuo consiglio ?

  10. #10
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    Citazione Originariamente Scritto da Frumentarius Visualizza Messaggio
    Un ottimo libro atteso che è da scremarvi la nota francocentricità di parte di uno scrittore francese.

    Valete,
    Frumentarivs
    Non ho capito cosa intendi dire:
    1. Sergent, nello specifico, sarebbe "franco-centrico" (e cosa significherebbe, poi ?);
    2. ogni scrittore francese è - in quanto tale - "franco-centrico".



 

 
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