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  1. #11
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    a questa tarda ora della notte, vorrei solo dare uno spunto brevissimo iniziale ad un pensiero più complesso che svilupperemo nei prossimi gionri.

    Il punto di partenza della mia visione "antropocentrica" ( che sarebbe ancor meglio definire di "distinzione ontologica dell'uomo rispetto alla natura non umana") è il fatto che l'uomo ha posto fine all'evoluzionismo darwiniano per ciò che riguarda sè stesso.
    In che maniera?
    be, semplicemente essendo dotato dell'amore razionale e non solo istintuale verso il prossimo, che lo conduce a salvare il debole, a permettere al malato di vivere a lungo e in buone condizioni, bloccando dunque il processo evoluzionistico di tipo selettivo presente invece nel mondo animale.
    Nel genere umano ha smesso di funzionare quella che è la caratteristica fondamentale della natura: il fatto che l'ente più adatto ha più probabilità di riprodursi e dunque di perpetuare sè stesso, generando simili più forti della media, in un continuo fattore di adattamento all'ambiente tramite selezione genetica.
    L'uomo sta del tutto al di fuori di questo meccanismo, poichè nel genere umano, raggiunto l'odierno livello della tecnica, della medicina, unito alla nostra vocazione solidaristica razionale, il debole geneticamente parlando è sempre più in grado di riprodurre sè stesso, e di mettere al mondo figli non adatti all'ambiente in forma ideale, ma in grado di perpetuare a loro volta loro stessi in virtù della cura che tali individui ricevono in vita.

    Se l'uomo vive al di fuori del meccanismo di selezione della specie, vuole dire che è giunto ad un punto di potenziale quiete evoluzionistica. L'evoluzionismo ha prodotto l'uomo, ma con esso si è fermato. e ciò dimostra il fatto che l'uomo è un essere ontologicamente distinto perchè ormai estraneo, proprio in virtù dell'amore curativo che prova per il prossimo in maniera razionale( come dote solidaristica potenziale ed universale innata, ), proprio in nome di questo, è estraneo alla logica del progresso di specie.
    In tal senso ritengo l'uomo un essere diverso dal resto della natura non solo perchè ha caratteristiche fisiche e psichiche diverse, ma sopratutto perchè è dotato di una visione universale che lo porta a mettere in salvo il debole ed a perpetuarlo ( alla faccia del farnetichio eugenetico, primo nemico dell'uomo).
    A domani il seguito.............

  2. #12
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    Citazione Originariamente Scritto da terraeamore Visualizza Messaggio
    a questa tarda ora della notte, vorrei solo dare uno spunto brevissimo iniziale ad un pensiero più complesso che svilupperemo nei prossimi gionri.

    Il punto di partenza della mia visione "antropocentrica" ( che sarebbe ancor meglio definire di "distinzione ontologica dell'uomo rispetto alla natura non umana") è il fatto che l'uomo ha posto fine all'evoluzionismo darwiniano per ciò che riguarda sè stesso.
    In che maniera?
    be, semplicemente essendo dotato dell'amore razionale e non solo istintuale verso il prossimo, che lo conduce a salvare il debole, a permettere al malato di vivere a lungo e in buone condizioni, bloccando dunque il processo evoluzionistico di tipo selettivo presente invece nel mondo animale.
    Nel genere umano ha smesso di funzionare quella che è la caratteristica fondamentale della natura: il fatto che l'ente più adatto ha più probabilità di riprodursi e dunque di perpetuare sè stesso, generando simili più forti della media, in un continuo fattore di adattamento all'ambiente tramite selezione genetica.
    L'uomo sta del tutto al di fuori di questo meccanismo, poichè nel genere umano, raggiunto l'odierno livello della tecnica, della medicina, unito alla nostra vocazione solidaristica razionale, il debole geneticamente parlando è sempre più in grado di riprodurre sè stesso, e di mettere al mondo figli non adatti all'ambiente in forma ideale, ma in grado di perpetuare a loro volta loro stessi in virtù della cura che tali individui ricevono in vita.

    Se l'uomo vive al di fuori del meccanismo di selezione della specie, vuole dire che è giunto ad un punto di potenziale quiete evoluzionistica. L'evoluzionismo ha prodotto l'uomo, ma con esso si è fermato. e ciò dimostra il fatto che l'uomo è un essere ontologicamente distinto perchè ormai estraneo, proprio in virtù dell'amore curativo che prova per il prossimo in maniera razionale( come dote solidaristica potenziale ed universale innata, ), proprio in nome di questo, è estraneo alla logica del progresso di specie.
    In tal senso ritengo l'uomo un essere diverso dal resto della natura non solo perchè ha caratteristiche fisiche e psichiche diverse, ma sopratutto perchè è dotato di una visione universale che lo porta a mettere in salvo il debole ed a perpetuarlo ( alla faccia del farnetichio eugenetico, primo nemico dell'uomo).
    A domani il seguito.............
    In fondo sono d'accordo con Terraeamore ; in fondo lui connota 'umanisticamente' la grande 'fede' dell' uomo occidentale, fede che presuppone una certa configurazione delle 'cose' ( nel senso più ampio di quest'ultima parola ) : la disponibilità delle cose al desiderio, che si possa cioè desiderare la loro trasformazione e in qualche caso ottenerla. Quando l' Occidente pensa (fin dall' inizio) le cose come essenti - nella loro oscillazione tra l'essere ed il nulla - li pone anche come disponibili alla potenza ...Gli abitatori delle terra del tramonto possono 'sacrificare' perchè hanno fede nella disponibilità degli essenti alla potenza....

  3. #13
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    Citazione Originariamente Scritto da LEONIDA Visualizza Messaggio
    In fondo sono d'accordo con Terraeamore ; in fondo lui connota 'umanisticamente' la grande 'fede' dell' uomo occidentale, fede che presuppone una certa configurazione delle 'cose' ( nel senso più ampio di quest'ultima parola ) : la disponibilità delle cose al desiderio, che si possa cioè desiderare la loro trasformazione e in qualche caso ottenerla. Quando l' Occidente pensa (fin dall' inizio) le cose come essenti - nella loro oscillazione tra l'essere ed il nulla - li pone anche come disponibili alla potenza ...Gli abitatori delle terra del tramonto possono 'sacrificare' perchè hanno fede nella disponibilità degli essenti alla potenza....
    dici qualcosa che sento appartenere in maniera nettissima al mio pensiero.
    Hai colto davvero il centro.
    Tuttavia dall'uomo occidentale sarei propenso a passare all'umanità. So che il salto è difficile, e vorrei che ciò non fosse preso come occidentalocentrismo.
    In ogni caso la tua osservazione resta un valido punto di partenza.

    Più tardi, se trovo tempo, vorrei aggiungere qualcosa sul dibattito in corso...

  4. #14
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    Citazione Originariamente Scritto da Outis Visualizza Messaggio
    Mettere al centro l'uomo e non l'ecosistema (o, se preferisci, "la natura") significa porre l'uomo su un piedistallo rispetto al resto del creato,
    Hai parlato di creato, suppongo quindi che tu abbia la concezione di un divino personale o no?

  5. #15
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    Citazione Originariamente Scritto da terraeamore Visualizza Messaggio
    a questa tarda ora della notte, vorrei solo dare uno spunto brevissimo iniziale ad un pensiero più complesso che svilupperemo nei prossimi gionri.

    Il punto di partenza della mia visione "antropocentrica" ( che sarebbe ancor meglio definire di "distinzione ontologica dell'uomo rispetto alla natura non umana") è il fatto che l'uomo ha posto fine all'evoluzionismo darwiniano per ciò che riguarda sè stesso.
    In che maniera?
    be, semplicemente essendo dotato dell'amore razionale e non solo istintuale verso il prossimo, che lo conduce a salvare il debole, a permettere al malato di vivere a lungo e in buone condizioni, bloccando dunque il processo evoluzionistico di tipo selettivo presente invece nel mondo animale.
    Nel genere umano ha smesso di funzionare quella che è la caratteristica fondamentale della natura: il fatto che l'ente più adatto ha più probabilità di riprodursi e dunque di perpetuare sè stesso, generando simili più forti della media, in un continuo fattore di adattamento all'ambiente tramite selezione genetica.
    L'uomo sta del tutto al di fuori di questo meccanismo, poichè nel genere umano, raggiunto l'odierno livello della tecnica, della medicina, unito alla nostra vocazione solidaristica razionale, il debole geneticamente parlando è sempre più in grado di riprodurre sè stesso, e di mettere al mondo figli non adatti all'ambiente in forma ideale, ma in grado di perpetuare a loro volta loro stessi in virtù della cura che tali individui ricevono in vita.

    Se l'uomo vive al di fuori del meccanismo di selezione della specie, vuole dire che è giunto ad un punto di potenziale quiete evoluzionistica. L'evoluzionismo ha prodotto l'uomo, ma con esso si è fermato. e ciò dimostra il fatto che l'uomo è un essere ontologicamente distinto perchè ormai estraneo, proprio in virtù dell'amore curativo che prova per il prossimo in maniera razionale( come dote solidaristica potenziale ed universale innata, ), proprio in nome di questo, è estraneo alla logica del progresso di specie.
    In tal senso ritengo l'uomo un essere diverso dal resto della natura non solo perchè ha caratteristiche fisiche e psichiche diverse, ma sopratutto perchè è dotato di una visione universale che lo porta a mettere in salvo il debole ed a perpetuarlo ( alla faccia del farnetichio eugenetico, primo nemico dell'uomo).
    A domani il seguito.............
    L'uomo è, in effetti, a tutti gli effetti, un essere universale. La questione si apre su una infinità di altri temi.
    Anche il fattore "evolutivo" è, a tutt'oggi, tutto da scoprire, considerando che l'idea stessa di "anelli mancanti" avoca a sé l'inquietudine riguardo alle nozioni scientifiche ritenute ormai assodate.
    Infatti natura non facit saltus (nb: latino improvvisato).
    Quindi?

    Per ora resta la certezza che la distinzione tra umani e mondo animale non si colloca sul piano, o "asse", dell'intelligenza, ma sull'asse della coscienza.
    Gli animali sono infatti intelligenti: e, a parte il fatto che lo stesso non può sempre dirsi per gli umani(scherzo), nessuno può negare l'intelligenze degli "animali".
    Forme di intelligenza emergono oggi persino nello studio dei vegetali.

    L'uomo ha la capacità di trascendere i confini della propria sopravvivenza, la capacità di proiettare sé stesso al di là dei suoi limiti biologici, al di là della sua "egoità".
    Ma questo non implica il negare la capacità "intelligente" ed "affettiva" delle altre creature terrestri, ciò che usualmente releghiamo nel mondo "animale".
    Le "differenze" tra le specie sicuramente esistono, ed esistono a maggior ragione con l'uomo, che non può essere fatto rientrare in toto nella sfera "animale" (tendenza invece tipica della tecnocrazia, che si accompagna ad una regressione psichica verso la ferinità, al fine di controllare l'uomo usando i suoi stessi iper-tropizzati impulsi elementari).

    Benedettto il giorno in cui si potrà fare a meno delle proteine animali (ora essenziali nella fase dello sviluppo infantile), in cui almeno non sarà necessario uccidere un animale per nutrirsi.
    Ma certo, finchè sussiste il problema globale della fame diffusa, non si può pensare di affrontare questa ennesima, grande sfida dell'evoluzione umana.
    Evoluzione che ha senso pieno, e sicuro, quando si riferisce non ai termini biologici o meramente "tecnologici", quanto piuttosto a quelli inerenti proprio l'asse della coscienza.
    Si potrebbe dire "un passo alla volta". Ma la questione prioritaria è data dal fatto che ad oggi l'umanità è stata messa in cammino nella direzione sbagliata.
    Cosa mai dovrà accadere, ancora!, perchè gli uomini capiscano di essere un'unica famiglia, che abita un'unica, assai delicata, casa?
    PRO SA REPUBRICA DEMOCRATICA SARDA
    FINTZAS A SA BINCHIDA, SEMPER!

  6. #16
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    Citazione Originariamente Scritto da Shardana Ruju Visualizza Messaggio
    Per ora resta la certezza che la distinzione tra umani e mondo animale non si colloca sul piano, o "asse", dell'intelligenza, ma sull'asse della coscienza.
    Esattamente, aggiungerei soltanto che la reale distinzione tra uomo e animale sta nella "coscienza di se", di cui l'animale è sprovvisto.

  7. #17
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    Citazione Originariamente Scritto da My War Visualizza Messaggio
    Esattamente, aggiungerei soltanto che la reale distinzione tra uomo e animale sta nella "coscienza di se", di cui l'animale è sprovvisto.
    ..direi anche e sopra tutto "coscienza della morte" ; l' uomo è l'unico "animale" che sa che dovrà morire, e non è un dettaglio.....

  8. #18
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    Citazione Originariamente Scritto da My War Visualizza Messaggio
    Esattamente, aggiungerei soltanto che la reale distinzione tra uomo e animale sta nella "coscienza di se", di cui l'animale è sprovvisto.

    Uso "coscienza" in relazione alle coordinate "spazio/tempo-intelligenza-coscienza", ed alla percezione che delle stesse pare avere l'inconscio secondo la ricerca basata sulla pnl (programmazione neurolinguistica).
    L'asse della coscienza si manifesta, nei soggetti "ricettivi" delle sedute di ipnosi regressiva, come non determinato dall'asse del tempo, cosa che invece pare essere tipica per l'asse dell'intelligenza.
    Ergo, l'asse della coscienza non riconosce il fattore "tempo", che come ben saprai è esso stesso "relativo", poichè posto in "relazione" con la struttura quantica del nostro universo (nei "buchi neri" il tempo, semplicemente, non esiste).
    Questa "coscienza" è qualcosa di più di un pur basilare "io sono": è "percezione" di una esistenza che non si limita al vissuto contingente.
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  9. #19
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    Citazione Originariamente Scritto da terraeamore Visualizza Messaggio
    dici qualcosa che sento appartenere in maniera nettissima al mio pensiero.
    Hai colto davvero il centro.
    Tuttavia dall'uomo occidentale sarei propenso a passare all'umanità. So che il salto è difficile, e vorrei che ciò non fosse preso come occidentalocentrismo.
    In ogni caso la tua osservazione resta un valido punto di partenza.

    Più tardi, se trovo tempo, vorrei aggiungere qualcosa sul dibattito in corso...
    Il passaggio dall' uomo occidentale all' umanità - a mio parere e senza esprimere con questo un giudizio di valore - avverrà, con l'occidentalizzazione del mondo. Nel mio intervento precedente volevo sottolineare quella che è la 'peculiarità' dell' occidente : il luogo in cui viene indicata per la prima volta e in modo irripetibile ( e in questo sta forse un tracciare un destino...) l' opposizione tra essere e niente. I Greci, con Parmenide, hanno indicato in forma nitida l' irriducibile differenza tra l' essere e il non essere, ma da Platone in poi, hanno anche individuato la possibilità di oscillazione tra questi due estremi, attraverso la nozione del divenire. La novità greca del concetto di divenire consiste nel credere che "ciò che è" possa "non essere" ; in tal senso la morte ha assunto le sembianze della perdita estrema, poichè ha acquisito il significato del cadere irreversibilmente nel nulla.L'evocazione di questa angoscia ha indotto l' abitatore delle terre del Tramonto a ricercare forme del rimedio non illusorie, come parevano ormai quelle costruite sul mito, portandole verso la definizione dell'essere assoluto indiveniente e del sapere veritativo ( e qui che dissento con Preve) indubitabile che ne dimostri l'esistenza. L' episteme greca ha inteso controllare il divenire del mondo basando ogni ragionamento sull' indubitabilità della verità ( fino in fondo a Hegel). E' con Platone che il mondo inteso come la "casa delle cose", ossia come ciò che oscillante tra l'essere e in niente, che l' uomo istituisce il senso del guadagno e della perdita in funzione della "potenza di produrre cose" e di mantenerle, ossia di trattenerle dal loro cadere nel nulla. Il nulla inteso come ciò che divora l' essere, il poere sulle cose è la capacità di resistere a tale azone corrosiva ; il valore è la misura della potenza di difendere l' essere dal non essere, in quanto l' essere è la potenza, ossia la capacità di dominare sul nulla. Pur nella distanza incommensurabile dei due campi di senso, i 'sacrifici' sugli altari agli dei e le sperimentazioni per le quali oggi si "consumano" le vite delle cavie nei laboratori fanno parte della stessa corsa dell' uomo occidentale da quel processo innescato da lui stesso. Per questo l'occidente è tale.

  10. #20
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    Citazione Originariamente Scritto da terraeamore Visualizza Messaggio
    Il punto di partenza della mia visione "antropocentrica" ( che sarebbe ancor meglio definire di "distinzione ontologica dell'uomo rispetto alla natura non umana") è il fatto che l'uomo ha posto fine all'evoluzionismo darwiniano per ciò che riguarda sè stesso.
    In che maniera?
    be, semplicemente essendo dotato dell'amore razionale e non solo istintuale verso il prossimo, che lo conduce a salvare il debole, a permettere al malato di vivere a lungo e in buone condizioni, bloccando dunque il processo evoluzionistico di tipo selettivo presente invece nel mondo animale.
    Nel genere umano ha smesso di funzionare quella che è la caratteristica fondamentale della natura: il fatto che l'ente più adatto ha più probabilità di riprodursi e dunque di perpetuare sè stesso, generando simili più forti della media, in un continuo fattore di adattamento all'ambiente tramite selezione genetica.
    L'uomo sta del tutto al di fuori di questo meccanismo, poichè nel genere umano, raggiunto l'odierno livello della tecnica, della medicina, unito alla nostra vocazione solidaristica razionale, il debole geneticamente parlando è sempre più in grado di riprodurre sè stesso, e di mettere al mondo figli non adatti all'ambiente in forma ideale, ma in grado di perpetuare a loro volta loro stessi in virtù della cura che tali individui ricevono in vita.

    Se l'uomo vive al di fuori del meccanismo di selezione della specie, vuole dire che è giunto ad un punto di potenziale quiete evoluzionistica. L'evoluzionismo ha prodotto l'uomo, ma con esso si è fermato. e ciò dimostra il fatto che l'uomo è un essere ontologicamente distinto perchè ormai estraneo, proprio in virtù dell'amore curativo che prova per il prossimo in maniera razionale( come dote solidaristica potenziale ed universale innata, ), proprio in nome di questo, è estraneo alla logica del progresso di specie.
    In tal senso ritengo l'uomo un essere diverso dal resto della natura non solo perchè ha caratteristiche fisiche e psichiche diverse, ma sopratutto perchè è dotato di una visione universale che lo porta a mettere in salvo il debole ed a perpetuarlo ( alla faccia del farnetichio eugenetico, primo nemico dell'uomo).
    A domani il seguito.............
    Il concetto evoluzionistico che hai esposto porta a considerare l'uomo come il migliore delle creature, mettendolo sul piedistallo della scala gerarchica delle creature, così come cristianesimo insegna. Ora, posto e messo per inciso che mi trovo malissimo a discutere di "evoluzione" e di "creazione", non posso concordare con una visione antropocentrica, perché mette in pericolo - come infatti è - la biosfera in sé, dando la priorità ad una razza piuttosto che alle altre.
    In merito all'uomo come fine della catena evoluzionistica, posso darti ragione sul fatto che sia l'unico animale ad aver partorito l'amore razionale, ma questo non mi basta per farlo ritenere superiore, come fai tu e come fanno gli altri, ovvero non mi basta per dargli la precedenza sulla biosfera stessa. L'uomo è l'animale che più di ogni altro ammazza i suoi simili, sebbene abbia questo "amore razionale": ciò significa che, dal tuo punto di vista, è ancora peggiore degli altri animali, che hanno solo l'istinto.

 

 
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