Originariamente Scritto da
terraeamore
mettendo per un momento da parte il discorso lanciato da leonida su occidente e oriente, di cui intuisco l'importanza, ma del quale non ho sufficiente competenza per poter parlare, seguendo l'invito di Outis, vorrei tornare a parlare dell'argomento centrale, riaprtendo dall'obiezione che outis ha mosso alla mia ultima argomentazione sulla "fine dell'evoluzione di specie" per il genere umano.
Vedi, outis, tu affermi che non per questo si può ritenere l'uomo un essere superiore, poichè è, ad esempio, allo stesso tempo, massacratore dei propri simili.
In effetti non parlerei di superiorità: qui non si tratta di stabilire una gerarchia verticale, si tratta però di stabilire una distinzione irrinunciabile che rende l'uomo essere specifico distinto in maniera netta dal resto della natura: resto della natura molto più omogeneo in termini di ferree leggi del movimento evoluzionistico.
La natura tutta, eccezion fatta per l'uomo, è accomunata dalla legge della selezione darwiniana del più forte: l'uomo non più.
Questo rende l'uomo un essere distinto, non necessariamente superiore in senso qualitativo ( non è qui il punto), ma distinto in maniera cruciale.
Detto ciò, ritengo che la stessa specificità dell'uomo risieda proprio nel libero arbitrio di fronte alla scelta del bene o del male, laddove tale arbitrio non è solo arbitrio personale del singolo, ma diviene arbitrio universale di genere. L'uomo è l'unico essere, che per quanto malvagio e corrotto, cova in sè le potenzialità per una prospettiva universale della propria esistenza di genere: una scimmia, un elefante, un coniglio, una quercia non potranno mai avere percezione universale di sè, ma soltanto tensione alla salvaguardia della propria speicifica individualità.
A mio avviso questa resta la distinzione fondamentale, e tale distinzione deriva dalla capacità innata nell'uomo di scegliere il proprio cammino indipendentemente dalla propria mera sopravvivenza, in un'ottica universale.
Il fatto che l'uomo faccia pessimo uso della propria libertà arrogandosi il diritto di ammazzare propri simili e distruggere il mondo è un discorso diverso: è forse la ragione per cui passiamo le giornate a occuparci di politica, di filosofia, di pensiero, e ci sforziamo di donare agli uomini discernimento attraverso l'amore.
ma, a ben vedere, è un discorso ulteriore, ed è il discorso per il quale ci battiamo ogni giorno della nostra vita.
Ma il presupposto resta il nostro libero arbitrio personale ed universale insieme.
Con ciò non c' è nessun giudizio di disprezzo nei confronti del mondo animale o vegetale.
Anzi, la consapevolezza della distinzione, mi porta a poter parlare ad esempio di diritto animale in senso oggettivo:
riguardo a ciò, una pntualizzazione:
non posso che riferirmi al concetto di diritto animale da un punto di vista antropocentrico, poichè sono proprio io, uomo, in comunità con altri uomini disposti a manifestare la stessa sensibilità ad attribuire all'animale un diritto alla vita o al non sfruttamento industriale, o al non abuso.
Il fatto che ci sia un'etica fortissima nel rapporti tra uomo e natura è oggi del tutto dimenticato nella società del progresso tecnologico infinito, ma è un punto essenziale nel nostro rapporti con il mondo esterno, extra-umano.
Ma questa etica ce la diamo noi come comunità umana, e non viene rivendicata dagli animali come soggetti attivi: dunque il diritto che atrtribuiamo all'animale non può che essere oggettivo, cioè proveniente da una considerazione esterna al soggetto di diritto, il quale, per struttura, non rivendica alcun diritto a partecipare attivamente alla comunità umana.
E'inevitabile adottare un punto di vista antropocentrico in questa questione: a mio avviso ogni tentativo opposto rischia di essere artificio teorico a posteriori e dunque anch'esso antropocentrico anche se nolente.