Tregua nella terra dimenticata dagli Dei e dagli Uomini: il Darfur

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Sudan, Bashir a Roma «Tregua nel Darfur»
Il presidente sudanese in visita in Italia annuncia un cessate il fuoco per l'inizio dei negoziati con i ribelli, previsti alla fine di ottobre in Libia
Stefano Liberti

«Siamo pronti a proclamare una tregua con l'inizio dei negoziati per creare un clima positivo». L'annuncio del presidente sudanese Omar al Bashir, al termine dell'incontro con il premier italiano Romano Prodi, aggiunge un elemento nuovo all'intricata vicenda del Darfur, la regione nord-occidentale del Sudan teatro da quattro anni e mezzo di un conflitto che ha causato più di 200mila vittime e due milioni e mezzo di sfollati.
Arrivato a Roma con un'ampia delegazione di ministri (fra cui il responsabile degli esteri Lam Akol) per il primo viaggio ufficiale in una capitale occidentale da diverso tempo a questa parte, Bashir ha incontrato ieri Prodi, il presidente della repubblica Giorgio Napolitano e il papa Benedetto XVI a Castelgandolfo. Alcune organizzazioni non governative - prima fra tutte Amnesty International - hanno espresso dubbi sull'accoglienza riservata a Bashir a Roma. Prima della visita, un gruppo di europarlamentari guidati dal britannico Glenys Kinnock aveva scritto una lettera a Prodi dichiarandosi «sorpreso e preoccupato di vederlo ricevere il principale responsabile dei massacri in Darfur». Una lettera a cui Prodi ha risposto, condividendo le preoccupazioni per la situazione in Sudan, ma sottolineando «alcuni recenti sviluppi, come l'adozione all'unanimità il 31 luglio scorso della Risoluzione 1769 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che istituisce la missione congiunta Nazioni unite-Unione africana».
Al termine dell'incontro con il premier, Bashir ha confermato la tenuta dei negoziati per il Darfur il 27 ottobre prossimo a Tripoli. Ha assicurato che la situazione sul terreno sta migliorando. E ha chiesto a Prodi «di fare pressioni sui paesi europei che ospitano i ribelli che non intendono partecipare ai negoziati, perché aderiscano al processo di pace». Il riferimento è Abdel Wahed Mohamed el-Nur, leader del Sudan Liberation Movement (Slm), rifugiato in Francia e particolarmente influente in Darfur perché membro dell'etnia fur, maggioritaria nella regione.
Nur già non ha partecipato all'incontro fra i vari gruppi ribelli, tenutosi all'inizio di agosto ad Arusha (in Tanzania), con cui i movimenti attivi nella regione - molto frammentati tra loro - hanno stabilito una «piattaforma comune». Ha poi annunciato che non parteciperà ai colloqui di Tripoli, «a meno che non cessino prima le ostilità». Per convincerlo a cambiare idea e sedersi al tavolo dei negoziati è volato a Parigi il vice-presidente del Sud Sudan Riek Machar. Fondamentale per la reale riuscita e l'implementazione di un eventuale accordo, l'adesione di Nur è tutt'altro che scontata.
Sul terreno, proseguono intanto gli scontri: solo cinque giorni fa, le forze sudanesi hanno lanciato un attacco violento nel Nord Darfur contro postazioni del Justice and Equality Movement (Jem), uno dei gruppi di combattenti darfurini. Molti dubbi permangono anche sulla possibilità di schierare effettivamente i 26mila uomini della missione congiunta Onu-Ua stabiliti dalla risoluzione 1769. Come ha sottolineato lo stesso segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon, di ritorno da un viaggio nella regione, «nessuna missione di peacekeeping può riuscire là dove non c'è una pace da mantenere». Detto in altri termini, prima di mandare i caschi blu ci deve essere una soluzione politica. E la soluzione politica non è proprio dietro l'angolo.

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano...007/art38.html

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E' imbarazzante questo assordante silenzio della comunità internazionale.

Per Giove, quando cesseranno le ostilità? Quando li avranno seccati tutti quanti?