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    Predefinito 20 - Clima : Non allarmiamoci !

    COME SI DIVENTA CLIMATOLOGI FAMOSI, RACCONTATO DA UNO DI LORO
    Da : www.svipop.org

    Come si diventa climatologi famosi? Lo spiegava nel 1982, in questo articolo che ripubblichiamo, Vincenzo Ferrara, ovvero l'uomo di fiducia che il ministro Pecoraro Scanio ha voluto per coordinare la Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici svoltasi la settimana scorsa. L'articolo è stato pubblicato sulla "Rivista di Meteorologia Aeronautica" (Volume XLII n. 1, Gen-Mar 1982). E' un documento eccezionale perché l'allora giovane scienziato Vincenzo Ferrara spiegava perfettamente - contestandolo - il meccanismo che porta gli scienziati del clima alla fama. Ancora pochi anni e anche per Ferrara è iniziata la scalata al successo, evidentemente seguendo la strada disprezzata solo pochi anni prima: all'inizio degli anni '90 è stato inserito nella delegazione italiana che ha partecipato ai negoziati internazionali sul clima; poi dal 1992 al 2006 è stato il Focal Point nazionale dell'IPCC, l'organismo dell'ONU che monitora i cambiamenti climatici. Entrato all'ENEA, è diventato direttore del Progetto speciale sul clima globale, e fa anche parte del Comitato scientifico del WWF.

    Come prevedere il clima del secolo prossimo
    Vincenzo Ferrara
    Se io fossi un climatologo a contatto con il pubblico, mi comporterei esattamente come il medico di fronte ad un malato più o meno immaginario. Questi malati, infatti, sanno tutto di medicina dai più remoti sintomi alle più catastrofiche prognosi perché seguono freneticamente tutte le rubriche televisive del tipo: “Curatevi da soli con lo zabaglione”, comprano puntualmente tutte le grandi enciclopedie illustrate a fascicoli settimanali della serie: "Tutta la salute minuto per minuto”, leggono insaziabilmente libri e riviste di medicina della collana: “Tutto quello che dovete sapere dalla cefalea al cancro fulminante” e, infine, tanto per sgranchirsi il cervello, imparano a memoria il nome di qualche migliaio di medicine al giorno dal prontuario in 78 volumi delle “Specialità medicinali nazionali ed internazionali”.

    Un tipo di questo genere, quando sta male e va dal medico, già sa la diagnosi e prevede le possibili cure, compreso il nome di qualche centinaio di medicine adatte al caso. Ebbene, se il medico con il solito linguaggio incomprensibile gli sciorina, traducendo in termini terra-terra, la stessa diagnosi che lui aveva formulato, proponendogli una parte delle medicine che lui stesso aveva pensato, quel medico diventa subito il più grande scienziato di tutti i tempi, un nobel della medicina. Ma se, viceversa, il medico dice qualcosa di diverso da quello che lui pensava, quel medico diventa subito antipatico, incapace e presuntuoso, le sue cure risultano inefficaci, anzi nocive, finché alla fine quel medico viene senza mezzi termini classificato come uno che ha preso la laurea in medicina solo per far soldi perché in realtà non capisce un beneamato tubo di medicina.

    Ebbene, per il climatologo succede la stessa cosa. La gente ormai sa tutto sul clima e sul tempo (clima e tempo sono spesso sinonimi), perché ha già letto qualche decina di manuali sul tempo (atmosferico) del passato, presente e futuro, a partire dal big bang iniziale e fino alla fine dell’espansione dell’universo (se ci sarà una fine); conosce a memoria l’enciclopedia a fumetti del "Fatti da solo il tempo che vuoi”, anzi si è già costruito in casa un bel temporale in miniatura con relativi fulmini e trombe d’aria, e poi, cosa più importante di tutte, ha divorato avidamente migliaia di pagine scientifiche dai quotidiani e periodici vari ove si parla addirittura dell’utilità della meteorologia nelle danze della pioggia in Patagonia.

    Pertanto appena il tempo fa le bizze e le temperature appena un po’ più fredde del normale, coloro che tutto sanno si agitano furiosamente come morsi dalla tarantola, chiedono notizie e informazioni, telefonano al Servizio Meteorologico e perfino alla Protezione Civile, i giornali e la televisione ne parlano, le interviste si sprecano e la ricerca del “freddo che più freddo non si può” dilaga. In queste condizioni anche i più ignoranti e trogloditi sanno farsi una diagnosi e una prognosi sul clima e sulla lampante variazione climatica, e, come nel caso del malato di cui sopra, si interpella l’esperto climatologo con la frase di rito: ‘Il clima sta cambiando?’.
    Orbene, se voi siete climatologo e contemporaneamente desiderate sopravvivere come un climatologo, accrescendo magari la vostra fama, non avete che da comportarvi come il medico, fornendo proprio la diagnosi e la prognosi che la gente si aspetta. Guai a rispondere: “Ma no, è tutto normale”, oppure: “Sono tutte balle montate dai giornali e dalla televisione” o peggio ancora: “Ogni volta che il tempo cambia ci state a rompere le scatole con queste variazioni climatiche”, perché la gente vi guarda prima sbigottita, poi con antipatia e infine conclude all’unanimità che voi meritate il confino in Siberia perché non capite un accidente né di tempo, né di clima. Sarebbe la fine della vostra carriera e vi converrebbe mettervi in pensione prima che vi buttino fuori a calci nel sedere.

    L’unica risposta sensata alla domanda: “Il clima sta cambiando?” è: “Ma certo che sta cambiando! E’ ormai una cosa nota, scientificamente accertata e fuori discussione”. A questo punto prevedete per il futuro e per il prossimo secolo un clima esattamente uguale al tempo atmosferico presente, esaltando magari il fenomeno fino alle estreme conseguenze. Così, se fa freddo prevedete “glaciazioni”, se fa caldo prevedete una “era torrida”, e se vi sono condizioni di forte variabilità prevedete “estremi climatici” a breve termine e clima più o meno immutato a lungo termine (secolare).
    Ma, direte voi, come fa un climatologo serio a fornire previsioni climatiche, attualmente impossibili, e per giunta previsioni, o meglio predizioni, così opposte senza sentirsi un buffone? Non temete c’è la scienza che vi sorregge, perché la scienza in questo campo ha pensato a tutto e fornisce la soluzione per ogni caso, anche per quelli più disperati.

    Perciò, se fa freddo, il discorso scientifico da fare è il seguente: “Il clima sta cambiando e ci avviamo verso una nuova glaciazione. Questo fatto è già stato accertato perché a partire dal 1940, la temperatura media dell’emisfero nord è diminuita di circa 0,4°C, a causa probabilmente della minor trasparenza dell’atmosfera intorbidita dal sempre maggior inquinamento dell’aria. Il raffreddamento dell’aria provoca una maggiore estensione dei ghiacciai e dei mantelli nevosi, i quali essendo altamente riflettenti (albedo elevata) per la radiazione solare provocano a loro volta un successivo raffreddamento e quindi nuovi e più vasti ghiacciai, e così via in una spirale che porterà ad una nuova glaciazione nel giro di un secolo e forse meno”.

    Già, ma se fa caldo come si fa a giustificare una previsione di era torrida con questi dati di fatto sul raffreddamento? State calmi. Basta affrontare il problema da un altro punto di vista altrettanto scientifico. In questo caso il discorso è: “Il clima sta cambiando e ci avviamo verso un’era torrida. Tutto ciò è stato già scientificamente accertato perché a partire dal 1850 il contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera è andato progressivamente aumentando e solo in questi ultimi venti anni si è passati da 315 a 334 parti per milione. Ciò significa che nel 2020 l’accumulo di anidride carbonica sarà più che raddoppiato se si tiene anche conto dei sempre crescenti consumi di energia e di utilizzo dei combustibili fossili. L’aumento di anidride carbonica riduce le perdite di radiazione ad onda lunga dalla terra verso lo spazio (effetto serra) e nel giro di meno di mezzo secolo la temperatura media dell’aria aumenterà di circa 2 o 3°C; ci sarà scioglimento dei ghiacci polari ed un aumento medio del livello del mare che sommergerà parecchie località costiere”.

    Tutto ciò sarà bello e scientifico, ma se a voi climatologi non va di essere così drastici oppure se le oscillazioni del tempo non sono tali da far presupporre che l’opinione pubblica preveda ere torride o glaciazioni, come comportarsi? Anche in questo caso la soluzione è semplice. Basta impostare il discorso in quest’altro modo: “Il clima sta cambiando, ma con rapide fluttuazioni e su periodi brevi. E’ vero che la temperatura è diminuita dal 1940 ad oggi, ma è anche vero che dal 1880 al 1940 è aumentata in media di 0,6°C. E’ vero che l’anidride carbonica aumenta, ma è anche vero che buona parte della radiazione solare ad onda lunga viene assorbita dagli oceani riducendo l’effetto serra e la rimanente parte viene perduta verso lo spazio a causa di contemporanee variazioni dell’ozono stratosferico. Insomma, episodi a breve termine di insolito clima sono soltanto fluttuazioni di un sistema che già di per se stesso è fortemente variabile. Se si considera il clima su periodi secolari o plurisecolari, si nota che è rimasto del tutto invariato e non vi sono attualmente indizi tali da giustificare una variazione climatica a lungo termine e quindi nel prossimo secolo”.

    E con ciò è sistemata anche questa previsione. In definitiva queste ricette sono uguali a quelle del medico di cui sopra: curano tutti i malati autodidatti del tempo e li rendono felici, accrescendo contemporaneamente la vostra bravura di scienziato, perché se vi chiedono: “Il clima sta cambiando?” in fondo già credono che il clima è cambiato e aspettano solo la conferma dell’esperto per sentirsi in pace, appagati dal proprio infallibile genio e della propria ineccepibile diagnosi, anche se frutto dei dotti consigli propinati al pubblico mediante ‘fascisoli settimanali’, con omaggio di un altro fascicolo e della copertina del dizionario del “So tutto io”.

  2. #2
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    Cuffaro, forte con la mafia, debole con i Verdi

    di Corrado Salemi*

    On. Presidente,

    Le scrive un cittadino del Val di Noto residente in quel "gioiello"
    tardo-barocco che è la città di Noto. A scanso di equivoci premetto che non sono un suo elettore. Sto seguendo, come molti miei concittadini (la maggioranza?), in silenzio, le vicende legate alla richiesta di trivellazioni in questa terra e che Lei Presidente conosce bene. Ho assistito, in questi ultimi anni, a si-tin, scampagnate, comizi, ho letto interviste, articoli, appelli ecc..ecc...

    E' stato tutto un vociare di una minoranza rumorosa che però ha trovato compiacenze in larghi settori della stampa e anche nel mondo politico a destra come a manca e anche a centro. Ho assistito a una incontrollabile produzione di articoli a mezzo di altri articoli: se ne fa uno e su quello si monta la polemica. Su questa vicenda delle trivellazioni, molti parlano di cose che non conoscono neanche: dunque prescindendo dai fatti e soprattutto dalla verità.

    Ho deciso di rivolgermi a Lei perché, da recenti dichiarazioni apparse sulla stampa, pare che si appresterebbe a emanare un provvedimento che metta la parola fine alle trivellazioni. Questo mi preoccupa assai e come me preoccupa la maggior parte dei cittadini che ancora non hanno portato, per fortuna, il cervello all'ammasso. Credo che sia arrivato il momento di dirci "la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità".

    E' vero o non è vero che questa zona da decenni è oggetto di trivellazioni gas-petrolifere senza per questo minacciare l'ambiente? E' vero o non è vero che la Panther Gas ha scelto due zone non sottoposte al vincolo per perforare pozzi "esplorativi"? E' vero o non
    è vero che da più di 10 anni l'ENI estrae gas da un pozzo a pochi Km dal centro storico di Noto?

    Ho letto la lettera che il nostro Sindaco Avv. Corrado Valvo Le ha scritto all'indomani della sentenza del TAR e ho pure letto la Sua risposta. Le anticipo subito che della risposta che Lei ha dato al Sindaco della città di Noto ne condivido il tono ma non la sostanza. Da Lei, politico navigato, democristiano di lungo corso, mi sarei aspettato altro. In poche parole mi è sembrato pavido, timoroso - come un qualunque politicante - di perdere il consenso e quindi pronto a fare marcia indietro di fronte al vociare dei fondamentalisti verdi. Questo modo di fare lo lasci al nostro Sindaco. Lei non si può piegare per..una manciata di voti. Lei che in tutti questi anni non si è piegato ai professionisti dell'antimafia si lascia, forse, intimidire e
    condizionare da una minoranza di fondamentalisti dell'ambiente?. Suvvia!

    Non ho sinceramente capito perché le trivellazioni" devastano l'ambiente" e perché "sono incompatibili con la vocazione turistica del Val di Noto e della Sicilia". C' è qualcosa, in questi allarmismi e in questo terrorismo mediatico che denuncia devastazioni ambientali ,che non mi convince se è vero come è vero che in Emila-Romagna si concentra la maggior parte delle perforazioni
    esplorative (14 permessi di ricerca), che nelle Marche ci sono ben 17 permessi di estrazione, ecc..ecc... Le risulta che i turisti stanno disertando la coste emiliane romagnole o le coste marchigiane? A me sembra proprio di no.

    Come mai in quei posti non si sentono minoranze rumorose come qui da noi? Forse che in quelle regioni i verdi e gli ambientalisti sono una categoria in estinzione? Per non parlare poi della provincia di Ragusa dove da decenni, agricoltura, turismo e arte convivono con i pozzi di petrolio.

    Perché tutto questo, mi scusi l'espressione, "casino" per delle perforazioni nella Val di Noto? Leggo sul Sole 24-ore di domenica 2 settembre che in Italia ci son ben "7 mila pozzi" "due dei quali a un passo dal Vaticano".

    Certo, se qualcuno avesse dato l'autorizzazione a perforare in pieno centro storico sarei stato il primo ad oppormi. Ma così non è. Perché, allora, questo no "senza se e senza ma" anche a prescindere che si tratta di zone non sottoposte a nessun vincolo? Oppure vogliamo mettere il vincolo a tutto il territorio siciliano? Sarebbe una follia. Leggo, intanto, sempre, sul Sole -24
    ore di domenica 9 settembre che "i costi del non fare pesano sull'energia per il 3% del PIL. E' il costo - protesta Fulvio Conti, amministratore dell'Enel - indotto dal no di sindaci e ministri a centrali elettriche, rigassificatori, trivellazioni, linee ad alta tensione". Chi protesta oggi a Noto è: no-global, no-triv, no-ponte, no-alta velocità, no-eolico, no-geotermico, no-inceneritori, no-termovalorizzatori, no,no,no...

    Anche Lei Signor Presidente si vuole unire a questo coro di no! Possiamo permetterci il lusso di pagare un così alto prezzo e continuare a comprare energia in Paesi che la producono con il nucleare e rinunciare alla ricchezza che abbiamo sotto i nostri piedi?

    Ha scritto Jacopo Giliberto sul Sole-24 ore del 2 settembre 2007 : "Le
    trivelle di perforazione forse fanno paura nell'immaginario collettivo. Fanno pensare al deserto arabico lumeggiato in lontananza dalle vampe rosse delle torce petrolifere. Ma soprattutto fanno molta paura agli uomini politici timorosi di perdere il consenso, e quindi pronti a denunciare nei comunicati stampa le devastazioni dell'ambiente fatte dalle perforatrici". Eppure in Italia - senza le devastazioni intraviste dai politici paurosi e senza l'insorgere
    della popolazione - sono stati perforati 6.918 pozzi alla ricerca di metano e greggio". Vogliamo dire no alle perforazioni in tutto il territorio italiano? Così come abbiamo detto no al nucleare e poi dipendere energeticamente da altri Paesi che il nucleare hanno scelto?. Anche Lei al pari del nostro Sindaco avv. Corrado Valvo ha "paura di perdere consensi"?

    Signor Presidente, prima di firmare o far approvare qualsiasi provvedimento per cacciare i texani dal nostro territorio venga qui a Noto, ascolti la popolazione che non è fatta solo di fondamentalisti verdi e soprattutto raccontiamoci la verità. Vedrà, al di là dell'accoglienza di minoranze rumorose e poco democratiche, il buon senso e la ragionevolezza prevarranno o almeno così spero io, da buon siciliano.

    Certo di una sua attenzione Le auguro un buon lavoro

    Noto, 11 settembre 2007

    Corrado Salemi

    http://www.svipop.org/sezioniTematic....php?idArt=250

  3. #3
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    Pecoraro come Ceausescu: cambiate le lampadine

    di Riccardo Rabazzi

    Ceausescu in Romania lo aveva fatto già trenta e più anni fa. Lampadine da 40 w in ogni casa e al problema dell’energia non ci si pensa più. Altro che nucleare, che per Nostradamus Scanio è opera “dello dimonio”.

    La soluzione ottimale nella testa del ministro è il ritorno al Medioevo, senza automobili, a lume di candela, al freddo e al gelo senza neppure il conforto della legna da ardere. Ecco così che la Commissione Ambiente della Camera ha presentato il 17 settembre alcune funamboliche proposte. Due in particolare sono degne di nota, la prima è così riassumibile: “Chi più risparmia meno paga”. E ci mancava pure che si inventassero una proposta del tipo “chi meno consuma più spende”.

    Dopo un lavoro creativo che deve aver costretto i componenti della Commissione Ambiente a strizzarsi le meningi sino all’impossibile, apprendiamo che sono allo studio tariffe incentivanti per famiglie e imprese, differenziate in base al consumo e in base agli orari per tutti gli utenti civili e industriali. Un’ideona, non c’è dubbio.

    La seconda trovata è in perfetto “stile verdi al governo”, un bel divieto draconiano e una nuova sonora tassa.

    Dall’anno 2012 è vietata la vendita delle lampade ad incandescenza, ma non basta. Verranno anche disincentivati (ovvero tassati in modo salato) gli scaldabagni elettrici che, stando ad un misterioso censimento ministeriale, oggi in Italia sarebbero 8 milioni.

    http://www.svipop.org/sezioniTematic....php?idArt=251

  4. #4
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    Ma questa non è scienza

    di Fabio Malaspina (Fisico dell'atmosfera)

    Cosa pensereste se un giorno il vostro medico, confrontando due vostre foto scattate a distanza di anni, vi facesse notare che c’è un cambiamento nell’aspetto che dimostra scientificamente che la situazione è grave? Naturalmente sareste tranquillizzati dalla consapevolezza che pur cambiando continuamente il corpo normalmente rimane sano, molto probabilmente reagireste andando alla ricerca di un altro medico che esamini davvero scientificamente il vostro stato.

    Altro caso che può presentarsi è quello di un medico che, avendo disponibile un recente e sofisticato termometro con la sensibilità al millesimo di grado, vi consigliasse di tenerlo sul vostro corpo per un mese in modo da far misure in continuazione. Cosa pensereste se ogni mattina vi facesse notare che il valore massimo giornaliero è stato diverso dalla media mensile dei valori massimi? Se dopo una settimana il dottore vi allarmasse dicendo che la vostra temperatura è in continua oscillazione? Che questa non è più stabile a 36°C fissi come una volta, ora la temperatura varia più rapidamente del passato, nell’ultima settimana ha perfino raggiunto un massimo che non si era mai verificato in precedenza (il che significa da quando avete messo l’apparecchio e dalla ricostruzione fatta sulla base dei ricordi di vostra nonna). Credo che la vostra reazione sarebbe la stessa del caso precedente.

    Naturalmente i due esempi sono estremizzati, ma aiutano a chiederci come mai nel campo ambientale invece la nostra reazione è l’esatto contrario di quanto faremmo con il medico.

    Tutti sanno che la natura è qualcosa di dinamico, il pianeta è un sistema complesso alla continua ricerca di un equilibrio, tanto che molti ambientalisti lo vedono come un organismo vivo nominato Gaia. Come mai allora bastano due semplici foto o immagini da satellite dello stesso ghiaccio prese a distanza di anni per allarmare e persuadere che la catastrofe è vicina? Come mai pur se le nostre misure fatte da satelliti, termometri elettronici, etc., sono relative ad un tempo brevissimo rispetto alla vita della Terra, siamo sempre impauriti dal presentarsi di minimi o massimi? O peggio dal solo fatto che la temperatura vari con il trascorrere del tempo? Sembra che per alcuni l’evoluzione esista solo per gli animali, il resto è immobile finché non giunge l’azione dell’uomo a distruggere gli equilibri e ad imporre in questo modo i cambiamenti.

    Il problema non è scientifico ma culturale, risiede nell’idea che abbiamo della natura come di qualcosa di morto, di invariabile, di madre che guarda sonnacchiosa e bonaria i propri figli finché fanno i bravi. Questa visione rende coerente l’implicita attribuzione di qualsiasi variazione della natura alle colpevoli attività umane. Ma i sistemi naturali complessi, transitando su configurazioni uniche (essendo sistemi caotici), sono in una meravigliosa continua variabilità, che sfortunatamente rischiamo di vedere solo come un continuo allarme (se non c’è una situazione allarmante in Italia la TV provvederà a trovarla dall’altra parte del mondo).

    Se due foto di un’ansa di un fiume, scattate a distanza di anni, fanno vedere che questo è ora in secca, ciò automaticamente è la dimostrazione scientifica che siamo in una siccità storica dovuta al “global warming”. Nessuno si domanda se c’è un contributo dovuto al fatto che ora ci sono delle dighe lungo il percorso, se il fenomeno è locale, se i consumi lungo il percorso sono aumentati, se il fondale e gli argini del fiume sono cambiati, etc,; non incuriosisce il perché i ghiacciai si sciolgono più velocemente e nel fiume l’acqua non c’è. Tutto va con la stessa logica mostrata da una persona che, non trovando il latte al bar, afferma che questo dimostra scientificamente che è diminuita la produzione di latte dei bovini.

    Naturalmente per lui sarà una perdita di tempo domandarsi se c’è stata una variazione del numero di clienti, un cambiamento nel piano di distribuzione ed immagazzinamento, etc.

    Se il satellite rileva che i ghiacci del Polo Nord hanno recentemente raggiunto un minimo nella loro estensione monitorata per un periodo di 30 anni, questo è necessario e sufficiente per creare un allarme da prima pagina. Su una serie di dati di 30 anni c’è sempre un minimo ed un massimo, perché è sufficiente che siano alla fine per spaventare? Quanto conosciamo di cosa succedeva in quei posti più di 30 anni fa e che accadeva nell’800? Quanti sono 30 anni in confronto alla storia del Polo Nord? Cosa si direbbe oggi se una nave incontrasse un iceberg di fronte a New York (latitudine tra Roma e Napoli) come è successo al Titanic nel 1912? Basta l’avvistamento di una specie aliena tropicale per dimostrare il “global warming”, oppure vale quanto l’avvistamento di un cane San Bernardo a Roma per dimostrare l’arrivo di prossima una glaciazione?

    Alle conferenze si danno le cifre del cambiamento, 0.7°C al secolo è la variazione di temperatura a livello globale, si “spara” che in Italia il riscaldamento è quattro volte del resto del mondo; ma quanto dello 0.7 è dovuto a cause naturali (sole, raggi cosmici, aerosol, correnti oceaniche, vulcani, modifica del suolo, quantità di alghe negli oceani, etc) ed all’azione umana che è strettamente necessaria a vivere/sopravvivere (come il respirare, cucinare, produrre il proprio cibo attraverso l’allevamento e l’agricoltura, riscaldarsi, lavorare, etc)? Nessuno in TV lo dice ed il cittadino inconsapevolmente è portato a pensare che tutto lo 0.7 è dovuto al solo colpevole consumismo dell’uomo.

    Il cittadino invece avrebbe diritto almeno di conoscere l’esistenza di questa domanda, anche se credo nessuno sarebbe in grado di rispondere con esattezza. Questa è un tema da non sollevare, forse è utile che nella mente del cittadino la totalità del cambiamento sia sempre colpa dell’uomo, che l’allarme sia continuo, che la dimostrazione scientifica della catastrofe imminente divenga solo e semplicemente mostrare che qualcosa è cambiato. Nessuno sembra interessato a farci notare che così facendo perdiamo la bellezza della natura che ci circonda, la consapevolezza che l’uomo è parte della natura, che quello che abbiamo davanti gli occhi può essere affrontato in modo diverso, che la diversità non è più opportunità ma diventa solo angoscia, che la paura del futuro blocca le persone, che rischiamo di fare inutili e costosi sforzi solo per un temporaneo rifacimento (non un adattamento) oppure per tentare di mitigare il cambiamento tentando di opporci alla soverchiante forza della natura,.

    Un effetto se possibile ancor peggiore che s’induce è far credere alle persone che per far progredire le conoscenze scientifiche siano sufficienti due foto, un po’ di elettronica, al massimo un calcolatore più potente. Molti così credono che il progresso tecnologico garantisca di fatto quello scientifico, che lo strumento magicamente risolva tutto anche senza l’opera dell’uomo.

    Si dimentica, però, che la vera scienza non è semplice descrizione, è indagine (la descrizione viene spesso meglio alla TV, alla fotografia, all’arte in generale). La scienza fa il proprio dovere quando supera le apparenze. La scienza è più di un semplice tentativo di descrivere quantitativamente la natura misurando alcune grandezze il più accuratamente possibile. Frequentemente il messaggio reale è ben nascosto, e una legge che fornisce una rozza approssimazione si può rivelare più significativa di una che descrive bene certi fatti ma non afferra l'aspetto essenziale. La fisica aristotelica descrive la caduta dei gravi come avviene nell'esperienza di tutti i giorni molto meglio di quanto fa Galileo, ma chi ne "afferra" la legge nascosta è la fisica galileiana.

    La vera scienza ha bisogno di risorse umane e fondi proprio perché deve svolgere un’attività difficile e diversa da certa “scienza televisiva”. Questa ultima non si pone più domande intelligenti ma sa solo offrire pronte risposte “verosimili” e prive di una stima relativa all’incertezza, le proiezioni dei modelli sostituiscono e valgono più delle misure, alla ricerca dell’emotività si ritorna all’indagine qualitativa. Questa “scienza” svuota le aule, è senza spirito critico, crede che nei “nuovi” strumenti sia sufficiente solo fare con maggiore velocità e precisione ciò che effettuavano i vecchi, che sia progresso aumentare il numero di dati rilevati anche senza avere nuove teorie che gli diano un senso (come il termometro in continua del dottore che viene interpretato come il dato singolo preso con il termometro a mercurio).

    La vera scienza è terreno di confronto, dove la presenza di diversi “punti di vista” è vista come ricchezza ed uno stimolo per lo scienziato, dove chi mette in luce i limiti di un lavoro offre anche l’opportunità per superarli, dove la discussione e le domande sono l’unico modo per progredire, dove la certezza è sempre temporanea mentre il dubbio spesso permanente, dove i fatti devono essere riportati correttamente senza avere paura delle conseguenze (anche se abbandonare l’idea verosimile in alcuni casi è più difficile di trascurare un dato).

    Smettiamola con la balla che la scienza è un sistema democratico dove la maggioranza ha ragione, come insegna il caso del negazionista Galileo anche uno può aver ragione contro tutti o quasi. Allo scienziato occorre la volontà di studiare i fatti nuovi, la capacità di rimettere in discussione parte della sua conoscenza tutti i giorni. Studiare poco, rischiare poco, andare sul sicuro evitando i confronti, contentarsi, sottovalutare l’importanza del “capitale umano”: ecco la ricetta del declino in ambito scientifico (e non solo quello).

    Attualmente, invece, troppo spesso la semplice osservazione o domanda è vista come polemica, una mancanza di rispetto; ci stiamo abituando a vedere la domanda come indice di scarsa capacità di comprensione, a fare in modo che negli incontri non si presentino idee diverse.

    Davanti a due foto o un filmato che dimostrano la vicina catastrofe, cerchiamo di comportarci come se stessimo di fronte al nostro medico: non sono una prova ma al massimo un indizio che affidandoci a scienziati seri può, e deve, essere approfondito. Purtroppo mi sembra che si stia facendo esattamente il contrario: si tolgono i fondi alla vera scienza perché non serve sentire troppi medici, ci fidiamo e finanziamo il medico “catastrofista” convinti che due foto sono la scienza e tutto il resto è spreco e perdita di tempo (anche perché il medico, sulla base delle due foto, ha effettuato un’estrapolazione che dimostra scientificamente che ci resta poco da vivere).

    http://www.svipop.org/sezioniTematic....php?idArt=252

  5. #5
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    Rimettere in moto le centrali abbandonate non è un progetto impossibile
    Il nucleare è la via per un futuro migliore

    di Paolo Fornaciari

    Una premessa è d'obbligo: Italia è stato l'unico Paese al mondo a chiudere le proprie centrali nucleari funzionanti, per una ben precisa scelta politica degli ultimi governi della Prima Repubblica (Craxi, con la chiusura di Latina e del Progetto unificato nucleare, De Mita con la “riconversione” di Alto Lazio e Andreotti con la chiusura di Caorso e Trino Vercellese). Tutto questo nell'illusione di acquisire maggiori consensi elettorali, sfruttando l'emotività generale causata dal disastro di Chernobyl. E' dunque fuori luogo imputare l'abbandono del nucleare nel nostro Paese a guerre tra i nostri massimi enti pubblici ed aziende private, è un grossolano errore di valutazione. Al contrario fu proprio la coraggiosa iniziativa di queste imprese a portare, nei primi anni Sessanta, l'Italia al vertice della produzione elettro-nucleare mondiale, terza dietro Usa e Uk ma davanti a Francia, Russia, Giappone, Germania, Spagna, Svezia, Svizzera e Sud Corea. Come non si può dimenticare la lungimirante visione di Enrico Mattei che cinquant'anni esatti or sono, chiedeva all'allora Presidente del Consiglio Antonio Segni l'autorizzazione a costruire la prima centrale nucleare italiana, a Latina.

    Va poi anche messo da parte il luogo comune sulla lunghezza dei tempi di realizzazione di una centrale nucleare. Quella di Caorso fu costruita in sei anni e otto mesi, nonostante le numerose interruzioni causate dalle contestazioni degli ambientalisti che si legavano ai cancelli della centrale per impedire i lavori e oggi, pentiti, riconoscono il loro errore; va anche detto che la centrale di Caorso, realizzata con un costo totale di 306 miliardi delle vecchie lire, generò nel breve periodo di funzionamento (4 anni equivalenti a piena potenza) poco più di 29 miliardi di kWh ad un costo di 15.77 lire/kWh, di cui 60 per il combustibile, contro i 40 delle termo-elettriche ad olio combustibile, con il prezzo del petrolio allora a 13 dollari al barile. Intanto, per evidente ossequio all'attuale governo, si dimentica la vandalica iniziativa dello smantellamento accelerato delle centrali nucleari dimesse, ma ancora agibili di Caorso e Trino Vercellese - una operazione contraria alla normale prassi internazionale (generalmente si attendono 50 o più anni per ridurre l'onere finanziario e le dosi di radioattività al personale), inutilmente costosa (7500 miliardi delle vecchie lire), non preventivamente autorizzata (il famigerato decreto Letta verrà emanato solo 18 mesi dopo) e impossibile da eseguire in assenza della identificazione del sito in cui sistemare le scorie radioattive. In realtà sarebbe possibile, conveniente e strategico, riavviarle.

    Non è assolutamente vero, infatti, che non sia possibile riavviare dopo molti anni, centrali nucleari dimesse. E' stato fatto anche in altri Paesi di riavviare centrali nucleari dopo molti anni. A Caorso e Trino Vercellese non ci sono stati né incendi né terremoti, anzi, ai sensi della delibera Cipe del 26 luglio 1990, settimo Governo Andreotti, sono state tenute in “custodia protettiva passiva”, cioè in buona manutenzione per circa dieci anni. La spesa per il riavvio può esser stimata in 200 milioni di Euro, circa il 5% di quanto costerebbe agli utenti dell'Enel, lo smantellamento accelerato. L'energia elettrica prodotta, sufficiente ad alimentare la città di Milano o le industrie siderurgiche del Bresciano, verrebbe generata ad un costo di un centesimo di Euro per kWh, quando a noi costa 10 o 12 volte tanto produrla con gas od olio combustibile.

    Ci sono almeno tre buone ragioni per procedere al riavvio. La prima: il costo. Una centrale nucleare ha un elevato costo d'impianto e un basso costo di esercizio ma una centrale già costruita richiede solo poche attività per poter ripartire. Si dice: ma la turbina e l'alternatore sono stati smontati e giacciono a pezzi nel piazzale di centrale e si è già superato il punto di non ritorno. Premesso che non esiste “un punto di non ritorno” perché il costo del riavvio è comunque inferiore al costo di costruzione di una nuova centrale nucleare di pari potenza e che le due centrali hanno funzionato un numero limitato di anni a piena potenza (4 Caorso e 12 Trino Vercellese), si deve osservare che il costo di tutto il ciclo termico, non solo il turbo-gruppo, può essere stimato attorno al 15% del costo totale d'impianto e che le azioni di smantellamento, non essendo stato ancora individuato il sito in cui sistemare le scorie radioattive, non hanno fortunatamente coinvolto la parte nucleare. Certo, occorrerebbero alcuni interventi, quali l'inertizzazione del contenitore di Caorso e, forse, la “ricottura” del vessel di Trino, ma non si tratterebbe di interventi particolarmente rilevanti quanto al costo.

    Dunque con un investimento di 200 milioni di euro si può realizzare una produzione annua di energia elettrica di 800 TWh, valutabile in 300 milioni di euro all'anno, con riferimento al costo dell'energia nucleare importata (40 eurocents/kWh) o di 800 milioni di euro all'anno sulla base del costo di produzione nazionale con idrocarburi (da 10 a 12 eurocents/kWh con gas od olio combustibile). L'investimento iniziale potrebbe quindi esser ricuperato in pochi mesi (3 o 8). Di fronte ad un tale favorevole investimento non dovrebbe esser difficile trovare un istituto finanziario disponibile. Seconda ragione: il nucleare è la sola fonte energetica, assieme all'energia idraulica e alle altre energie rinnovabili, a non emettere gas ad effetto serra. Tenuto presente l'impegno derivante dal protocollo di Kyoto e le recenti decisioni in sede europea di tagliare del 20% le emissioni di Co2 entro il 2020, rispetto al livello del 1990, il ritorno al nucleare diventa una necessità inderogabile, anzi come ha detto il Paolo Savona, “un dovere”.

    Ma c'è infine una terza ragione a suggerire il riavvio delle centrali dimesse: ma quale Regione italiana accetterebbe mai sul proprio territorio il deposito per le scorie radioattive o nuove centrali nucleari, dopo aver “accontentato” due Comuni che si sono auto proclamati “denuclearizzati” ed aver sistematicamente demonizzato questa indispensabile fonte energetica? E tutti gli altri Paesi, industriali e in via di sviluppo, oltre a quelli che detengono le maggiori risorse petrolifere, stanno predisponendo grandi programmi di rilancio dell'energia nucleare.

    tratto da http://www.opinione.it/pages.php?dir...t=5944&aa=2007



    Sulla questione energetica, con particolare riferimento all'energia elettronucleare, alcune interessanti schede divulgative a cura dell' Ing. Vincenzo Romanello

  6. #6
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    Articolo interessantissimo, e vi prego di leggervi anche gli allegati Linkati...

    Saluti

 

 

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