Presa di Roma
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La
presa di Roma (
20 settembre 1870) comportò l'annessione di
Roma al
Regno d'Italia e rappresenta quindi l'ultimo atto dell'unificazione nazionale. Con la presa di Roma si sancì la definitiva fine del
potere temporale dei pontefici romani.
I fatti
Le mura abbattute accanto a Porta Pia.
Alcuni giorni prima dell'attacco una lettera redatta dal re
Vittorio Emanuele II venne consegnata a Papa
Pio IX. Con l'epistola, in maniera velata e discreta, si avvisava dell'imminente attacco che un reparto dell'esercito italiano stava per portare all'Urbe. Si narra che il Papa leggendone il contenuto sia rimasto profondamente turbato e che addirittura sia sbottato in uno scatto d'ira e che abbia dichiarato veementemente a chi intorno: "
Non entreranno! ".
Dopo tre giorni di inutili attese (durante i quali si attese invano la dichiarazione di resa), la mattina di quel giorno (intorno alle nove) l'artiglieria dell'esercito italiano, guidato dal generale
Raffaele Cadorna, aprì una breccia di circa trenta metri nelle mura delle città, accanto a
Porta Pia, che consentì a due battaglioni (uno di fanteria, l'altro di
bersaglieri) di occupare la città.
Pare che mentre la prima squadra di bersaglieri varcasse la breccia, già il generale papalino Kanzler fosse presso il quartier generale di Cadorna per trattare una pacifica resa.
Il Papa tuttavia condannò aspramente quell'atto di prepotenza con cui la
Curia Romana vide sottrarsi il secolare dominio su Roma. Egli infatti si ritirò nel Vaticano rifiutando di riconoscere il nuovo stato e dichiarandosi, fino alla morte, "
prigioniero politico ". Anche quando il parlamento italiano approvò la
Legge delle Guarentigie in data
13 maggio 1871, il ponteficie rimase intransigente e restio a qualsiasi compromesso con l'Italia, se non quello di riavere in mano Roma. Questa situazione, indicata come "
Questione Romana ", perdurò fino ai
Patti Lateranensi del
1929.
Considerazioni storiche
La breccia, qualche decina di metri sulla destra della
Porta Pia, in una foto d'epoca
Nonostante l'alto valore storico (la fine dello
Stato Pontificio e del potere temporale del papato, nonché la riunificazione di
Roma all'
Italia), dal punto di vista militare l'operazione non ha un particolare rilievo. La assai debole resistenza opposta dallo scalcinato esercito papalino (complessivamente 15.000 uomini tra cui:
guardie svizzere, volontari provenienti per lo più da
Francia,
Austria,
Paesi Bassi,
Spagna, ma soprattutto mercenari
Zuavi e
Turchi) al comando dal generale Kanzler, ebbe in particolare valore simbolico.
Sulle ragioni per cui
Pio IX non esercitò un'estrema resistenza sono state fatte varie ipotesi: si pensa che il papa tendesse a figurare come aggredito per avere il supporto francese, tuttavia venuto a mancare dopo la sconfitta di
Sedan e la conseguente caduta di
Napoleone III; oppure, che Pio IX si sarebbe trovato impreparato all'attacco perché in mezzo a una trattativa diplomatica con il Regno d'Italia per una risoluzione pacifica della c.d. "
Questione romana". Infine, si è anche ipotizzato che di fronte all'avanzata dell'esercito italiano, si sia decisa la resa opponendo una resistenza solo simbolica.
Più accreditata l'ipotesi della rassegnata volontà del Vaticano di mettere da parte ogni ipotesi di una violenta risposta militare all'offesa. È infatti noto che l'allora segretario di stato, Cardinale
Giacomo Antonelli, abbia dato ordine al generale Kanzler, di ritirare le truppe entro le mura e di limitarsi ad uno smotivato e apparente atto di resistenza.
Secondo la descrizione di Antonio Maria Bonetti (1849-1896), caporale dei
Cacciatori Pontifici:
« Stavamo sulle righe, quando alcune voci sulla Piazza di San Pietro gridarono: "Il Papa, il Papa!". In un momento, cavalieri e pedoni, ufficiali e soldati, rompono le righe e corrono verso l'obelisco, prorompendo nel grido turbinoso e immenso di: "Viva Pio IX, viva il Papa Re!", misto a singhiozzi, gemiti e sospiri. Quando poi il venerato Pontefice, alzate le mani al cielo, ci benedisse, e riabbassatele, facendo come un gesto di stringerci tutti al suo cuore paterno, e quindi, sciogliendosi in lacrime dirotte, si fuggì da quel balcone per non poter sostenere la nostra vista, allora sì veruno più poté far altro che ferire le stelle con urla, con fremiti ed esecrazioni contro coloro che erano stati causa di tanto cordoglio all'anima di un sì buon Padre e Sovrano.
»
Soddisfazione popolare
Contraddittorie, incerte, ma in gran parte sicure sono le numerose testimonianze che dimostrerebbero un forte compiacimento del popolo romano ad un evento che sancì la definitiva fine del
potere temporale e la caduta del dispotico governo della
Curia romana. Numerose infatti furono le manifestazioni di giubilo e di affetto che i soldati italiani videro tributarsi durante la marcia verso Roma e nella stessa città.
Ad ulteriore dimostrazione della soddisfazione che il popolo dell'Urbe dimostrò per la fine del dominio papale e la vittoria dei soldati italiani, esistono gli esiti del plebiscito del
2 ottobre 1870 che sancì l'annessione di Roma all'Italia; i risultati videro la schiacciante vittoria dei
sì, circa 40.000, a fronte dei
no che furono solo 46.
Curiosità
- Devastanti furono i sensi di colpa che colpirono l'allora ministro della guerra Giuseppe Govone; per questi infatti, devoto alla Chiesa, si dimostrò imperdonabile l'aver convalidato l'attacco di Porta Pia: divorato dai rimorsi giunse allo squilibrio mentale e al suicidio nel 1872.
- Tra i partecipanti all'evento vi fu anche lo scrittore e giornalista Edmondo De Amicis, autore del libro Cuore, all'epoca ufficiale dell'esercito italiano.
- A ricordo dell'inizio del moderno Stato d'Italia come lo conosciamo oggi, il XX Settembre è riportato nella toponomastica di molte città italiane, alcune volte dando il nome alla strada che porta al Duomo.