L’INTERVISTA / Il senatore ex leader dei centristi: il Professore è braccato, prima o poi una freccetta andrà a segno
Follini: via alla manovra,
poi Romano si dimetta

«Vada alle Camere il 7 gennaio. Però l’esito più probabile sono le elezioni anticipate

Senatore Follini, nove mesi fa lei annunciò in un'intervista al Corriere che avrebbe votato la fiducia a Prodi, e lo salvò. Ne valeva la pena?
«Non sono pentito. Se tornassi indietro, rivoterei la fiducia. Se guardo avanti, il mio voto c'è: non sono tra quanti lo rendono prezioso rendendolo incerto; non contratto, non negozio, non sto sul mercato.Afebbraio presi la mia decisione con due obiettivi: salvare la legislatura, e ancorare il governo al centro. Il primo è stato raggiunto, pur con tutte le precarietà. Il secondo, no. Registro una sconfitta: il centrosinistra è rimasto tale e quale, non ha colto l'occasione delle difficoltà per girarsi dall'altra parte, verso il centro. Ora vedremo se saprà farlo il partito democratico».
L'impressione è che il governo abbia le settimane contate. O no?
«Il governo può durare settimane, e può durare anni. Masarebbero settimane, o anni, di guerriglia. Non ce la possiamo permettere. Già ora Prodi è braccato voto dopo voto. Diventerebbe come il bersaglio nel gioco delle freccette; e prima o poi un freccetta andrà a segno».
Le ultime scene al Senato, con l'uscita di Mastella, indicano che è partita la corsa a intestarsi la crisi?
«L'ultima edizione del centrismo somiglia al ballo di San Vito. Ma la crisi non è una buccia di banana; è un episodio cruciale della vita politica. E Prodi farebbe bene ad aprirla. Ad assumersene la responsabilità in prima persona. A scegliere il terreno su cui cadere, per tentare semmai di risorgere».
In che modo?
«Dandosi una road map, un percorso per incanalare un conflitto politico esasperato e portare a casa la finanziaria.E l'unico modo è un colpo di fantasia e di generosità. Se posso dargli un consiglio non richiesto, di quelli che costano a chi li dà e non a chi li riceve, Prodi dovrebbe blindare la Finanziaria, e alla fine rimettere lo scettro al Parlamento ».
Sta dicendo che, approvata la Finanziaria, Prodi dovrebbe dimettersi?
«Sì. E farebbe bene a dirlo subito: licenziata la legge di bilancio, il 7 gennaio il presidente del Consiglio si presenta alle Camere dimissionario. In cambio, la sua maggioranza rinuncia a incursioni e agguati, e l'opposizione rinuncia all'ostruzionismo e alle trappole con cui sta paralizzando i lavori parlamentari. Qui non si riesce neppure ad approvare il verbale del giorno prima, figuriamoci una Finanziaria».
Il verbale?
«Le sedute cominciano con la richiesta del numero legale per approvare il processo verbale. L'opposizione non partecipa al voto. Se manca qualche senatore della maggioranza, si rinvia. Dopo tre rinvii, si sospende la seduta. Questo accade quasi tutti i giorni. E' il gioco della crisi. Prodi si deve muovere in anticipo. Così il governo rende meno faticoso e doloroso il percorso della sua finanziaria, e l'opposizione si scalda i muscoli in vista di gennaio. Si evita l'esercizio provvisorio. Si consolida quel po' di ripresa. Si mettono al sicuro i conti pubblici: quei due punti di avanzo primario che sono il vero merito di questo governo. E si restituisce il potere a chi secondo la Costituzione lo detiene. Perché l'Italia è una repubblica parlamentare, non semipresidenziale come ci raccontiamo».
E dopo le dimissioni di Prodi cosa accadrebbe, secondo lei?
«Le possibilità sono tre. Prodi trova il consenso per un nuovo governo, con un numero di ministri compatibile con la buona creanza. Un governo non castale, che includa personalità esterne ai partiti. Bello e improbabile, per parafrasare la Nannini. Se fosse facile, si sarebbe già fatto. Se si fa, sarà attraverso uno choc: un'operazione chirurgica, non un'aspirina. Oppure nasce un governo arcobaleno, con tutti o quasi i colori dei gruppi parlamentari. Bello,ma quasi impossibile».
Berlusconi non lo vuole.
«Per un governo di salute pubblica occorrerebbe una virtù istituzionale che finora non ho visto né in Berlusconi né nella gran parte dei reggitori della politica, compreso il principale, Prodi. Che è al governo per un' altra ragione».
Restano le elezioni.
«Brutto. Ma, al momento, l'esito più probabile. Però, se Prodi annunciasse fin da ora le sue dimissioni, ci sarebbero tre mesi di tempo per far maturare una soluzione più costruttiva, meno dirompente. E' possibile che l'intelligenza collettiva della politica italiana dipani la coltre di nebbia, e trovi un pensiero razionale e condiviso. Tre mesi di sospensione delle ostilità non fanno miracoli ma possono cambiare lo scenario».
Anche lei ritiene che a Veltroni convenga affrettare i tempi, piuttosto che vedere Prodi e il centrosinistra logorarsi giorno per giorno?
«Ovvio. E credo che anche Prodi la pensi così. Il premier non avrà un crescendo rossiniano, né un finale alla Wagner; oggi per lui il problema è riprendere il timone, e dare un colpo di barra. Io non sono un player decisivo. Ma sento che si è innescata una spirale che porta verso l'ignoto. Qui si parrà la nobilitate di Veltroni, si misureranno il suo coraggio e la sua fantasia».
Lei sogna un'alleanza tra il partito democratico e l'Udc. Ma con Casini come va? Nascerà una forza centrista?
«Lo spero molto, lo prevedo molto meno. Certo non sono io il trait-d'union tra il centro e il Pd; lavoro per costruire un Pd che guardi al centro. Per Casini non ho né rancori né ipocrisie. Il silenzio riassume bene il mio punto di vista».
Davvero pensa che Veltroni possa battere Berlusconi?
«La mobilità di sentimenti e consensi è tale che, a fare oggi sondaggi e previsioni, si rischia la figura di ragazzini che giocano a Risiko credendosi MacArthur e Eisenhower ».


Aldo Cazzullo


http://www.corriere.it/Primo_Piano/P..._dimetta.shtml