LE MOLTE RIFORME DELLA SCUOLA IN ITALIA HANNO DISTRUTTO QUELLA CHE ERA RITENUTA LA MIGLIORE IN EUROPA

DI EGIDIO TODESCHINI
28/09/2007 ore 13.45

SCHAAN\ aise\ - A leggere la storia del sistema scolastico italiano si ha la sensazione che esso sia stato, a volte, una faccenda ideologica della maggioranza che lo ha ideato o riformato. In effetti, ad ogni cambio d’indirizzo politico governativo, ci s’imbatte in una modifica. È andazzo che, alla fine, ha rovinato, più che migliorato, la scuola: a stare ai dati dell’inchiesta OCSE dell’autunno scorso (nota con l'acronimo P.I.S.A.) su un campione di alunni quindicenni di 32 Paesi, la nostra si attesta al ventesimo posto. È il caso di seguirne, per sommi capi, l’evoluzione.
Nell'Italia medievale l'istruzione non era obbligatoria ed era affidata ad enti ecclesiastici. Ferdinando IV Borbone, nei primi anni del 1780, la rese pubblica, gratuita e facoltativa nelRegno delle Due Sicilie affinché tutti “senza distinzione alcuna, e specialmente quelli della più infima plebe, fossero istruiti …” (Testo istitutivo). Nel 1786 ci fu un'iniziativa similare nel Lombardo-Veneto, grazie al processo di "secolarizzazione dell'istruzione" dei sovrani austriaci Maria Teresa e Giuseppe II: scuole popolari ove s'insegnavano i primi rudimenti della lingua e della matematica e nelle quali valevano le regole del mondo del lavoro: gli studenti si recavano a scuola alle prime ore del mattino, come gli operai in fabbrica, e dovevano essere ubbidienti. Solo nel 1802 nasce il Liceo, sul modello di quello scientifico francese e classico austriaco.
La scuola nazionale, che nasce nel 1860, s’ispira al modello piemontese, ideato dal liberale Casati nel 1859, che risentiva delle ristrettezze economiche dell’epoca, distingueva tra cultura umanistica e tecnica; era di competenza comunale, gratuita alle elementari obbligatorie solo per i primi 2 anni. Nel 1860 il ministro Mamiani emana i primi programmi statali che includono, fra le materie fondamentali, la religione; si propone di assicurare un’alfabetizzazione di base a tutta la popolazione. Nel 1867, l’inizio della crisi fra Stato e Chiesa fa ridurre il tempo dedicato alla religione a favore dell’educazione civica.
Salita al potere la sinistra, nel 1887 arriva la legge Coppino. Per combattere il diffuso analfabetismo spostò a 3 anni l’obbligatorietà della frequenza alle elementari e previde ammende pecuniarie ai genitori che non mandavano i figli a scuola; sostituì anche l’insegnamento della religione con quellodelle “prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino”. Durò 11 anni. Poi subentrò la legge Baccelli che modificò il triennio delle scuole tecniche; nel 1902 la Nasi introdusse il concorso per gli insegnanti. Nel 1904 Orlando portò l’obbligatorietà scolastica a 6 anni; con la Daneo-Credano del 1911 lo Stato assunse la gestionedelle scuole, con l’eccezione, in alcune città, delle elementari, ed istituì corsi per detenuti e militari analfabeti. Il Ministero della Pubblica Istruzione nasce però solo nel 1919, quando salì al Governo il Partito Popolare, fondato da don Sturzo. Nello stesso anno ci fu l’istituzione dell’esame di Stato al terminedelle secondarie.
Con l’avvento del fascismo nasce la riforma Gentile (1923-24). L’obbligo della frequenza sale a 14 anni d’età; s’istituiscono i corsi di avviamento professionale; nascono i licei scientifici e gli istituti magistrali; si dà vita agli esami di maturità (abolita nel 1940 da Bottai per motivi bellici e rimessa nel 51 da Gonella) con quattro prove scritte e l’orale su tutte le materie del corso e sui programmi degli ultimi tre anni. Previsti anche gli esami di riparazione. Il risultato più notevole fu la riduzione dell’analfabetismo nazionale.
Instaurata la Repubblica, si passa da un sistema scolastico prevalentemente selettivo ad uno aperto a tutti, gratuito e obbligatorio per almeno otto anni. Un’impostazione sancita dalla Costituzione che prevede aiuti ai “meritevoli e capaci”; riconosce le scuole private però “senza oneri per lo Stato”; conferma gli esami a conclusione di ogni ciclo scolastico. Nel cinquantennio democristiano, però, ci si limita a qualche intervento su singoli segmenti del sistema (1950: istituzione degli Istituti professionali; 1956: creazione Istituto Tecnico femminile). Ciò fino al 1962 quando si unifica la scuola media, sopprimendo i corsi di avviamento professionale, e si aboliscono le bocciature ritenute una forma di selezione.
Fu rivoluzione cui seguono altre modifiche: il latino diventa facoltativo; dalla votazione per materia si passa al “giudizio” complessivo; i portatori di handicap sono inseriti nelle classi normali, con insegnanti di sostegno; nel 1990 s’introduce la lingua straniera nelle elementari organizzate con tre maestri per classe. Alla diminuzione della preparazione degli studenti si aggiunse, nel tempo, l’influenza negativa dell’evoluzione sociale e familiare. Si cercò di porvi rimedio ma i singoli interventi sull’autonomia didattica ed organizzativa furono palliativi e la continua caducità dei Governi non consentì mai una riforma totale.
Si arriva così al "68", che, non solo in Italia, ebbe notevoli conseguenze sulla scuola paralizzata dai movimenti studenteschi politicizzati. I Governi furono incapaci di far fronte ai nuovi problemi se non con provvedimenti di emergenza come il “6 politico” e, nel 1969, la riforma dell'esame di maturità che doveva essere sperimentale ma durò un trentennio: ridotte adue le prove scritte; dei due orali, uno a scelta del candidato; soppressi gli esami di riparazione e liberalizzati gli accessi agli studi universitari. Nel 1997 Berlinguer volle superare la distinzione, tipica del sistema tradizionale, fra istruzione culturale e formazione professionale; cambiò la denominazione da “Maturità” in “Esame di Stato”; portò a tre le prove scritte e limitò l’orale alle materie dell’ultimo anno liceale; introdusse il punteggio per il credito scolastico e per il credito formativo.
Nel 2001 altra riforma: Letizia Moratti inserisce al primo anno delle elementari lo studio di una lingua straniera, l'uso del computer; riduce a 27 settimane la durata dell’anno scolastico; nelle scuole professionali alterna orari scolastici e lavorativi. Porta qualche modifica nella scuola media ma soprattutto nei licei, suddivisi indue bienni più un anno. Nelle scuole professionali si adegua agli Stati europei con l'alternanza scuola-lavoro e rende obbligatoria, per i maestridelle elementari, la laurea. La riforma, contestata da gran parte del mondo della scuola, dagli studenti e da tutta la coalizione di centro-sinistra, è stata parzialmente cancellata dal Governo Prodi. Di nuovo c’è soprattutto l’invito, rivolto alle famiglie, del ministro Fioroni “di essere a fianco dei docenti e dei dirigenti scolastici”; quello ai maestri elementari di puntare più su tabelline e regole grammaticali che non sulla lingua straniera e sull’uso del computer.
Nell’attesa di sapere come finirà, nel prossimo articolo appureremo come funzionano le scuole all’estero. E ciò che manca, oggi, in esse e nella nostra. (egidio todeschini\aise)

Editrice SOGEDI s.r.l. - Reg. Trib. Roma n°15771/75

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