Alle cinque del mattino del 7 novembre 1917 a Pietrogrado, mentre si arrendono gli ultimi occupanti del Palazzo d’Inverno, è decretato il passaggio di potere ai Soviet: iniziava così la rivoluzione d’ottobre. E tra appena un mese ricorrerà il novantesimo anno di quell’evento che, a prescindere da ogni valutazione, è stato motore della storia nel novecento, occasione di riscatto dalla povertà e dalla subordinazione per milioni di uomini e donne, nonché stimolo e chimera per generazioni di comunisti.
Un’esperienza complessa, quella sovietica, cui non guardiamo con nostalgia o rimpianto ma con cui si devono confrontare tutti coloro che nel mondo lottano per la trasformazione sociale e per il cambiamento.
E’ certo che dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la fine del bipolarismo nel mondo non si sta meglio: illudendosi che la storia fosse finita, il pensiero unico neoliberista ha pensato titanicamente di poter dominare il pianeta, di non avere più frontiere o limiti alla propria espansione.
L’imperialismo statunitense ha individuato altri fronti e nuovi obbiettivi. Cosciente della profonda crisi del proprio sistema economico è andato alla ricerca di altri mercati e alla conquista di nuove risorse, generando guerre e devastazioni. Le condizioni materiali di vita della maggior parte della popolazione mondiale sono di gran lunga peggiorate, mentre il capitale si è sempre più concentrato nelle mani di pochi oligarchi.
Il conflitto tra capitale e lavoro esiste ancora: lo vediamo in Africa così come nelle strade nelle nostre metropoli dove giovani donne che hanno avuto la "fortuna" di nascere nelle loro terre finalmente liberate dal comunismo sono costrette a vendere il loro corpo all’occidente opulento.
Quando la bandiera rossa fu ammainata per l’ultima volta sul Cremlino la sera di Natale del 1991, sembrò a molti che la pensabilità di un’altrove fosse del tutto tramontata. A taluni sembrò che quella bandiera rossa ammainata non fosse solo il simbolo di uno stato che mutava caratteri, ma l’idea di un mondo diverso che veniva cancellata.
Intere generazioni di comunisti sono state travolte da quella sconfitta. Si sono arrese all’avanzata del capitale, sino a considerarlo un fiume in piena in cui comunque bisogna galleggiare.
Quella sconfitta ormai non ci riguarda più. Risale troppo in là nel tempo perché ci avvolga ancora e non ci deve condizionare nella nostra lotta per la trasformazione.
Le esperienze socialiste e comuniste del sud-America dimostrano che oggi, nel terzo millennio, esiste la possibilità dell’oltre, l’opportunità di creare sistemi economici in cui il rapporto tra capitale e lavoro si declina in modo differente da come succede qui, nella vecchia Europa.
E’ per questo che guardiamo con interesse quello che succede nella Bolivia di Evo Morales. E’ per questo che difendiamo e continueremo a difendere la gloriosa rivoluzione cubana, e che auguriamo lunga vita al compagno Fidel Castro: Cuba, questa piccola isola che dista appena 180 chilometri dalle coste della Florida, continua a resistere da più di cinquant’anni nonostante l’embargo e l’isolamento internazionale; nonostante una certa moralità pelosa tutta occidentale vuole che se dirotti un aereo in Italia o negli Stati Uniti d’America sei un terrorista, se lo fai a Cuba sei un eroe.
Così come siamo vicini e solidali all’esperienza del compagno Chavez e auguriamo lunga vita alla repubblica bolivariana del Venezuela, dove vi è un governo che sta sapendo distribuire tra i poveri i proventi del petrolio, senza svenderlo alle multinazionali; che sta affrontando seriamente la questione sociale con programmi di alfabetizzazione di massa e di assistenza sanitaria gratuita nei barrios, le favelas venezuelane.
Quello che succede in Sud America ci dimostra che non è tutto è perso, che possiamo ancora sperare in un altro mondo, un mondo socialista.
Ma siamo tuttavia coscienti che il Sud America non può costituire un modello. Così come in passato l’Unione Sovietica non poteva costituire un modello esportabile per i comunisti italiani – come ci ha insegnato la grande storia del partito comunista italiano di Enrico Berlinguer -, anche oggi ogni popolo ed ogni nazionale deve trovare la sua strada verso la trasformazione. Ed è qui, in Italia e nella vecchia Europa, che noi siamo chiamati a trovare la nostra strada.
In questo momento la nostra storia ci impone di unirci con le forze più avanzate della sinistra per cercare di contrastare l’avanzata dei poteri forti, che stanno davvero pensando d poter cancellare del tutto dalle istituzioni repubblicane noi e gli interessi che ci candidiamo a rappresentare. Affronteremo il percorso unitario senza esitazioni e sicuri che la nostra identità non sarà scalfita né messa in discussione da nessuno; il nostro essere comunisti è quello che ci porta, infatti, ad accettare questa grande sfida.
Abbiamo portato le bandiere rosse, con la falce il martello, la stella e la bandiera d’Italia nel terzo millennio. E con quelle bandiere al vento continueremo a lottare. Ci sono nel mondo ancora tanti palazzi d’Inverno d’assaltare.
Riccardo Messina, Coordinatore Nazionale Fgci
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