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    Predefinito [Iraq] Dentro la Resistenza Irachena

    "I FATTI NASCOSTI"

    Agli uomini di liberi di tutto il mondo

    Dichiarazione politica delle «Brigate Rivoluzione del 1920»
    Baghdad, 8 settembre 2007
    Premessa

    Le «Brigate Rivoluzione del 1920» (Kata’b Thawrat al-Ishreen) sono il braccio armato del «Movimento Islamico di Resistenza».
    Il nome ricorda l’insurrezione popolare irachena che nel 1920 si scagliò contro l’occupante coloniale inglese. Si tratta di uno dei più potenti movimenti guerriglieri che in Iraq combattono contro le truppe d’occupazione e che, secondo le stesse fonti americane ha inferto loro colpi durissimi —le Brigate sono spesso ricorse anche ad attacchi suicidi contro posti di blocco americani o stazioni di polizia. Esso gode di un notevole prestigio presso ampi settori della popolazione irachena, soprattutto nelle provincie a maggioranza sunnita. Contrariamente a quanto affermato da certe fonti arabe le Brigate non sono in alcuna maniera riconducibili al vecchio Baath. Il gruppo ha infatti rifiutato di fare fronte comune coi gruppi resistenti che fanno capo al Baath clandestino guidato da al-Durri. Le «Brigate Rivoluzione del 1920» si considerano infatti un gruppo islamico combattente che, al pari della maggior parte delle formazioni della Resistenza irachena, desidera la nascita di uno stato islamico in Iraq. Tuttavia il jihadismo di matrice sunnita delle Brigate 1920 non va confuso con quello delle formazioni salafite/takfirite nelle quali sono arruolati le migliaia di combattenti provenienti da diversi paesi arabi e del Nord Africa (formazioni che considerano lo shiismo un’eresia da combattere al pari degli infedeli e sono quindi responsabili di alcuni attacchi indiscriminati contro la popolazione shiita). Le Brigate hanno infatti rifiutato di entrare a far parte del «Consiglio o Shura dei Mujahideen», costituito nel gennaio del 2006 da almeno sette formazioni salafite di cui la principale è senza dubbio l’«Organizzazione di al-Qaida nella terra dei due fiumi» (che gli americani chiamano «al-Zarkawi Network»). Le Brigate hanno anche contestato la decisione (formalmente adottata il 15 ottobre 2006) di questa Shura di fondare lo «Stato Islamico dell’Iraq». Con questa decisione la Resistenza salafita-qaidista ha preteso di imporre la propria supremazia, oltre che in al-Anbar, nelle provincie di Diyala, Kirkuk, Salh al-Din, Nineveh e vaste aree di Bagdad. Questo ha portato a tensioni acutissime e anche a scontri armati tra le formazioni armate dello Stato Islamico dell’Iraq e gli altri gruppi della Resistenza, tra cui le Brigate 1920. In due occasioni, nel giugno e nel settembre, il New York Times affermava che le Brigate 1920 avrebbero cooperato con gli americani nel dare la caccia ai guerriglieri salafiti-qaidisti. In entrambi i casi le Brigate hanno sdegnatamente smentito questa notizia.

    DICHIARAZIONE



    «Uomini liberi del mondo, crediamo che sia tempo di fornirvi un nuovo resoconto aggiornato sulla situazione della guerra, nella percezione che ne abbiamo noi nelle fazioni della resistenza. Secondo le indicazioni che abbiamo dai campi di battaglia e dall'interno del governo fantoccio di Baghdad, le tattiche utilizzate dalle forze d'occupazione si sono evolute, ma gli obiettivi strategici che li guidano rimangono gli stessi, e per chiarire la natura di tale evoluzione dobbiamo ritornare ai fatti.

    L'invasione dell'Iraq era basata principalmente su menzogne, in quanto si sosteneva che il precedente governo disponesse di armi di distruzioni di massa e avesse legami con la famigerata al-Qaeda. Dopo le fasi iniziali della guerra, il mondo scoprì la portata dell'inganno della Casa Bianca. Per sfuggire alle proprie responsabilità, gli Stati Uniti cambiarono gradualmente pretesti, parlando di esportare la democrazia e rispondere all'attacco, come se il popolo iracheno fosse responsabile per quanto accadde l'undici settembre. La priorità divenne guadagnare tempo, e nel mentre sperimentare diverse tattiche per raggiungere qualsiasi successo per quanto modesto, che potesse essere spacciato per una vittoria o una conquista.

    Il progetto non resse, e il Pentagono si rese conto della realtà. Il popolo iracheno non accoglieva di buon grado gli invasori, come avevano suggerito alcuni traditori. E l'Esercito iracheno, che non poteva scontrarsi con una forza tanto superiore in un campo di battaglia classico col suo equipaggiamento antiquato, ha lasciato le città nelle mani dell'occupante.

    Le ampie società urbane richiedono un supporto finanziario enorme, e i fondi che si trovavano nella Banca dell'Iraq finirono per scomparire tra le mani di questo o quello sciacallo. Erano necessari nuovi fondi. Bush non poteva limitarsi a chiedere nuovi fondi ai contribuenti statunitensi. Ma ora che Bush controlla il petrolio, non ha altra scelta, per coprire i costi crescenti dell'occupazione del nostro Paese, se non aumentare il prezzo internazionale del petrolio. Questa decisione fu l'errore per il quale noi della resistenza stavamo pregando. Infatti le nuove entrate che andavano a Bush si sarebbero rese disponibili anche per altri Stati produttori di petrolio, principalmente la Russia, il Venezuela e l'Iran. Ognuno di essi avrebbe approfittato delle maggiori entrate per rinforzare la propria posizione all'interno dell'arena internazionale. Oggi, dopo cinque anni, la Russia è più forte e sta ricostruendo la sua gloria passata. L'Iran, che ha fiancheggiato gli interventi USA in Afghanistan e poi in Iraq, è riuscito ad utilizzare il potere statunitense per indebolire due fronti; ha ingrandito e rinforzato l'esercito, finanziato le sue ambizioni nucleari, e sostiene qualsiasi organizzazione in Medioriente si opponga a Israele e agli USA, indipendentemente dalla religione e dall'agenda politica, nel tentativo di estorcere agli USA tutte le concessioni di cui è in grado un governo sconfitto e con le spalle al muro. Il Venezuela ad oggi ha nazionalizzato molte delle sue imprese, rivitalizzando la propria economia e aumentando la sua voce in capitolo sui prezzi del petrolio. Il tasso di crescita della Cina si appresta a rimanere stabile anche nel quarto quadrimestre. Per quanto riguarda l'Europa, essa si trova nel mezzo: con l'Euro troppo forte per permettere un aumento significativo delle esportazioni, un'Unione che ha bisogno di essere ristrutturata prima di accettare nuovi membri, un tasso di natalità che tocca il suo punto più basso a causa della pressione e delle tasse che gravano sulla sua classe lavoratrice, e bisogni energetici che crescono insieme ai costi, il futuro dell'Europa, coi suoi deboli governi, non è tra i più promettenti. l'Europa deve trovare il modo di far rispettare la propria volontà e i propri interessi, e lavorare congiuntamente alla Russia per ripristinare l'equilibrio e la stabilità nel mondo. Per quanto riguarda i fragili sceiccati che esportano petrolio dal Golfo Arabo, vi possiamo assicurare che stanno esportando quanto possono della loro produzione.
    Hanno anche timore dell'Iran, che potrebbe facilmente scatenare il caos lanciando qualche missile al di là del Golfo. Ciò devasterebbe i mercati azionari e le industrie basate sui beni immobili, attualmente in forte crescita, cui si riduce la loro spina dorsale finanziaria. Inoltre non possono sostenere pubblicamente la resistenza irachena fino al ritiro degli Stati Uniti, per evitare di essere additati come finanziatori del terrorismo.

    In Iraq, Bremer ha sciolto l'Esercito iracheno, regalandoci uomini ansiosi di liberare l'Iraq dai suoi occupanti. Inoltre la quantità di armi che abbiamo in deposito ci durerà per i prossimi cinquant'anni, se non di più.

    La Casa Bianca, messa davanti a tutto ciò, decise che un governo fantoccio avrebbe contribuito a ridurre la pressione economica e amministrativa in Iraq. Bush dunque si è rivolto ai partiti curdi e alle milizie appoggiate dall'Iran per averne l'assistenza. Ma a quale prezzo? La Turchia non accetterà uno Stato curdo indipendente al suo confine meridionale, né l'Iran si accontenterà di dare una mano agli Stati Uniti e facilitare loro il compito tenendo sotto controllo il sud dell'Iraq, lasciandoli liberi di concentrare i loro sforzi al centro del Paese. Al contrario, i ministeri più importanti del governo fantoccio, come quelli dell'Interno e della Difesa, sono stati ceduti alle milizie appoggiate dall'Iran, il che getta una luce ancor più chiara sull'intesa segreta tra gli Stati Uniti e l'Iran. La Casa Bianca evidentemente ritenne che, fomentando la violenza interconfessionale tra gli iracheni, il livello di attacchi alle truppe statunitensi sarebbe calato: ma questa tattica, come avevamo previsto, è anch'essa fallita. Gli iracheni hanno un alto tasso di matrimoni interconfessionali, il che impedisce a chicchessia di dividere una tale società su base religiosa. Inoltre la quantità di uccisioni e la brutalità sadica di queste milizie ha esposto a livello internazionale gli Stati Uniti e il loro governo fantoccio di Baghdad. Oggi queste milizie sono la principale fonte d'instabilità in Iraq.

    Inoltre non dobbiamo dimenticare che le atrocità nella prigione di Abu Ghraib e l'uso di armi chimiche sui nostri civili hanno contribuito alla sconfitta. Il Pentagono ha dunque aumentato le assunzioni, ad alto prezzo, da compagnie militari private, dando a costoro più compiti sul campo, in modo che se alcuni di essi vengono uccisi, le loro identità non vengono rivelate come invece nel caso dei "green card soldiers" [soldati che, residenti negli Stati Uniti ma privi di cittadinanza statunitense, sperano arruolandosi di accelerare l'iter per la naturalizzazione, NdT]. Così, ad oggi il numero di agenti privati di sicurezza è quasi pari a quello del personale militare. In quanto al Partito Islamico che dichiara di rappresentare i sunniti all'interno del governo fantoccio, essi hanno giocato tutte le proprie carte senza ottenerne vantaggi, e stiamo facendo pressione affinché si ritirino privandolo del suo status legale. Sappiamo che prima o poi si ritireranno, poiché non hanno nulla da offrire al popolo iracheno, mentre sono dannosi restando al potere.

    Il Pentagono, dietro ordine di Rumsfeld, è ricorso a una nuova tattica: se agli Iracheni non va bene ciò che vogliono gli USA, che se ne vadano dall'Iraq. In sostanza, cambiare il popolo dell'Iraq. Fare di loro dei rifugiati nei Paesi vicini finché non si fondano nelle società che li ospitano. E quando questi Paesi si lamentano, minacciarli o corromperli perché tacciano. E' vero, ciò influenzerà il nostro popolo e creerà uno squilibrio nella composizione della nostra società, ma, di nuovo, a nostro vantaggio. Quelli della nostra gente che se ne andranno da rifugiati saranno più al sicuro, e quando troveranno un lavoro, qualsiasi esso sia, nei Paesi vicini, provvederanno al minimo necessario per le proprie famiglie e acquisiranno le capacità lavorative necessarie per ricostruire l'Iraq dopo la vittoria.

    Uomini liberi del mondo, con l'avanzare di questo conflitto siamo sempre più sicuri dei nostri pronostici e delle nostre analisi. I protagonisti stranieri in Iraq hanno oggi raggiunto il punto in cui i loro interessi non sono più condivisi. Sono maggiori le cause di disaccordo ed è presente il conflitto. E, guardando tutti i dettagli di quanto accadde durante questo conflitto, come abbiamo spiegato, non vediamo una sola decisione o azione giusta da parte degli USA. Non un singolo successo. Questo è di gran lunga il mucchio di bugie più costoso mai raccontato da un criminale. Questo è il motivo per cui Bush, oggi, è solo e isolato nel suo piccolo mondo. Tutti i suoi generali e i suoi strateghi non sono in grado di offrirgli una soluzione. La sua gente non crede in lui e il suo esercito di ladri e avvoltoi è perduto, stanco e disorientato. In quanto alle vere ragioni di questa guerra, le sappiamo tutti: il petrolio, il controllo mondiale, il governo delle corporation, e garantire l'esistenza del cosiddetto Stato di Israele.

    Non dobbiamo dimenticare che la Resistenza irachena, nonostante tutte le riserve che alcuni possono avere, ha stabilito un precedente unico, che sarà studiato da storici e analisti per anni a venire. E, cosa più importante, ha insegnato alle nazioni e alle società oppresse del mondo che un movimento di resistenza autosufficiente è possibile in questi tempi moderni, ed è in grado di destabilizzare gli avversari più potenti - figurarsi gli apparati di governo locali che cooperano coi poteri imperiali. Essi sono molto più facili da scalzare e sradicare, e ciò rovescia la nota equazione: un uomo libero può cambiare l'esito della giornata.

    La Resistenza ha dimostrato al mondo che i diritti si raggiungono e si ottengono con la rettitudine e la determinazione, e che il pretesto ideologico spacciato dai media statunitensi come motivazione della guerra non è altro che un'ennesima bugia. Le religioni hanno coabitato pacificamente per migliaia d'anni, perché dovrebbe essere un problema ora? Il fanatismo ideologico e religioso, da entrambe le parti, è solamente la scusa, e non la motivazione reale, che invece pertiene al guadagno economico e all'influenza. La Resistenza ha anche dimostrato che le economie di consumo a base capitalistica non sono in grado di sostenere lunghe guerre, e la loro avidità di energia necessaria a sostenere uno specifico stile di vita finirà per schiacciare l'umanità in un mercato globale di sfruttamento e schiavitù, a cui farà seguito solamente un crollo totale. Il capitalismo, com'è sempre più evidente, con la diminuzione dell'energia disponibile finirà per collassare.

    Considerando tutto ciò che abbiamo qui dichiarato, siamo orgogliosi di affermare che la Resistenza irachena continua a ridefinire ciò che si intende per "occupazione".
    Continuiamo inoltre a tendere instancabilmente la mano a quei soldati in Iraq che ancora conservano la loro morale e la loro umanità, a quelli che non vogliono essere partecipi di questo crimine, assicurando loro che le nostre moschee e chiese rimarranno sempre aperte per loro. Noi della resistenza rispetteremo la vostra umanità, e vi assisteremo trasferendovi discretamente dall'Iraq in Paesi vicini, dove non sarete perseguitati né additati come disertori. Sappiamo che molti tra di voi desiderano farsi indietro, ma possiamo aiutarvi soltanto se raccogliete abbastanza coraggio da esprimere dispiacere, rimorso, e presa di distanza da questo crimine.

    Abbiamo fatto uscire clandestinamente decine e decine di uomini onesti, che pensavano di venire qui in Iraq per una giusta causa. Vi facciamo l'esempio del Marine statunitense Wassef Ali Hassoun, che è stato da noi catturato e durante l'interrogatorio si è rivelato chiaramente che non si trattava di un criminale: non potevamo dunque fargli del male. Ci siamo assunti il compito di portarlo fuori dall'Iraq verso la sicurezza. Solitamente siamo più severi nelle punizioni, quando ci imbattiamo in persone di origine araba o irachena che collaborano con gli Stati Uniti.

    Un altro esempio è un conducente dal nome di Mohammad Ali Sanad, che lavorava per una compagnia kuwaitiana che forniva approvvigionamenti alle basi USA. Durante l'interrotorio e un dialogo dettagliato, emerse chiaramente il dispiacere di quell'uomo per ciò che aveva fatto, e persino la compagnia di trasporti per cui lavorava, chiamata "Faisal al-Neheet", interruppe la sua collaborazione con gli occupanti, chiuse i suoi uffici a Baghdad e se ne andò. Fu rilasciato anche lui, e questi sono soltanto due esempi, di cui possiamo parlare perché i fatti sono diventati di pubblico dominio, giacché non intendiamo mettere a repentaglio le vite di altre persone che abbiamo aiutato.

    Desideriamo inoltre comunicare la stima e il rispetto che abbiamo per tutte le persone onorevoli nel mondo, gli eroi della dignità e della libertà, le donne e gli uomini coraggiosi dei movimenti noglobal e pacifisti. Noi in Iraq vi siamo profondamente grati per tutto ciò che avete fatto e per i vostri sforzi prolungati per far finire questo conflitto, affrontando i colletti bianchi criminali dei governi delle corporation. Che Dio vi benedica e continui a riempirvi di pazienza e fermezza.

    Al popolo statunitense diciamo: finalmente vi siete svegliati, e i milioni di persone onorevoli tra di voi si sono accorti che il popolo iracheno non è vostro nemico, né è responsabile del vostro dolore. Sono le vostre truppe che hanno occupato il nostro Paese, e non viceversa. L'arrogante criminale di guerra che governa a vostro nome ha umiliato la vostra nazione e il vostro onore militare, e crediamo che una democrazia che non sia disposta a combattere per la propria libertà non sia migliore di una feroce dittatura. I vostri sforzi per rimuovere il criminale di guerra dalla Casa Bianca hanno modificato sostanzialmente gli equilibri del governo. Ma con grande disappunto constatiamo che Bush sta insistendo ulteriormente nella sua arroganza e si fa beffe della vostra volontà di porre fine a questa guerra. Bush non rispetta il suo stesso popolo, e poiché sa che non potrà raggiungere un accordo politico con la resistenza irachena, lascerà un pesante fardello ai democratici alla fine del suo mandato. Egli non capisce che degli uomini di buona volontà hanno messo in scacco il suo progetto in Medioriente. Bush non può rimanere in Iraq, dove è stretto tra i due fuochi della resistenza e dell'Iran.

    E se si ritira dopo tutte queste perdite e umiliazioni, lascerà nelle mani dell'Iran il sud dell'Iraq, ricco di petrolio - e la strategia statunitense non può permetterlo. L'ultimo tentativo di vendetta di Bush sarà ritirarsi dall'Iraq e pianificare la sua disintegrazione in tre stati diversi, per colpire in seguito i siti strategici iraniani, per portare al collasso l'economia del Paese, già in una situazione critica.

    Così ai democratici rimarrà in eredità un Medioriente ancora più instabile di quanto lo sia ora. E nonostante sappiamo che a livello di interessi strategici i due partiti non differiscono, differenziandosi soltanto per quanto riguarda i metodi, i democratici avrebbero la possibilità di porre fine al conflitto salvando nel contempo la faccia agli USA, prima dichiarando di riconoscere le varie fazioni della resistenza irachena come rappresentanti del popolo iracheno e della Repubblica irachena, e in seguito istituendo un team di negoziatori per negoziare il ritiro delle truppe, gli indennizzi all'Iraq, e le questioni di interesse futuro. E' soltanto attraverso la resistenza irachena che può sorgere una soluzione.

    Infine, diciamo a Bush e a coloro che sono dietro di lui: potete insistere quanto volete con i vostri piani, le vostre strategie, le vostre attuazioni: noi continueremo con i nostri. Conducete pure le vostre truppe in battaglia con equipaggiamenti e gadget ad alta tecnologia, col non-plus-ultra della scienza militare: noi saremo primitivi e creativi quanto potremo nel creare il divario necessario che continua ad impedirvi di avere il sopravvento. Attaccate con tutte le vostre forze se vi lasciamo una traccia, perché tante sono le tracce lasciate per gli sciocchi e gli arroganti. Nascondete l'entità reale delle vostre perdite e vi depriveremo delle nuove reclute. Alzate i prezzi del petrolio e rinforzate altre nazioni ambiziose - vi priveremo del nostro, per poi alzare il prezzo dell'occupazione fino a spezzarvi le ossa, a Baghdad come a Babilonia.

    Aggiratevi tra gli scaffali della storia alla ricerca di metodi che possiate adattare, e vi troverete davanti a una guerra asimettrica mutevole, adattabile e imprevedibile, che porrà lo standard per anni e anni a venire.

    E che vinca il migliore!«

    Brigate Rivoluzione del 1920
    Ufficio Stampa
    Baghdad, 8 settembre 2007

    TRADUZIONE E PREMESSA A CURA DEL CAMPO ANTIMPERIALISTA

    Italiano / Oct 03, 2007

    http://www.antiimperialista.org/inde...5336&Itemid=68

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  2. #2
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    Predefinito costituzione del «Comando Supremo per la Jihad e la Liberazione»

    costituzione del «Comando Supremo per la Jihad e la Liberazione» Alcuni gruppi guerriglieri iracheni annunciano la costituzione del «Comando Supremo per la Jihad e la Liberazione»
    Premessa

    Nel Notiziario dell’11 dicembre 2006, dopo aver atteso più di un mese per verificare direttamente la notizia, informavamo con grande enfasi della nascita del Fronte Nazionale Patriottico Islamico (F.N.P.I.).

    Scrivevamo «Fanno parte di questo Fronte, oltre al Partito Baath, raggruppamenti islamici sia sunniti che shiiti, le correnti nasseriane, la sinistra comunista, sia araba che curda. I fratelli dell’ Alleanza Patriottica Irachena sono stati protagonisti di questo processo unificativo. Non a caso a Jabbar al-Kubaisy e’ stato affidato il decisivo ruolo di portavoce ufficiale all’estero del F.N.P.I.»

    Ad un anno esatto di distanza, da una fonte molto attendibile vicina al Baath (precisamente il sito web albasrah.net), giunge la notizia della formazione di un nuovo fronte, anch’esso capeggiato dalla corrente baathista. Il 3 ottobre è stata annunciata la nascita del «Comando Supremo per la Jihad e la Liberazione». Come comandante supremo per la jihad il nuovo fronte ha scelto 'Izzat Ibrahim al-Duri, il re di fiori per gli americani, che da generale nel vecchio regime baathista baathista vive dal 2003 nella clandesinità e anima la Resistenza contro gli occupanti.

    Da informazioni di prima mano la fondazione di questo nuovo fronte sancisce la morte di quello annunciato l’anno passato.
    Cosa è successo?

    In un anno molte cose sono cambiate in Iraq. Tra queste due ci interessano presentando la fondazione di questo nuovo fronte.

    (1) Dopo l’attacco terroristico del 22 febbraio del 2006 alla Moschea di Samarra (sacra agli shiiti), lo scontro tra le milizie shiite (sia quelle del Mahdi che quelle del Badr) e quelle della Resistenza sunnita si sono intensificate in maniera esponenziale producendo un’enorme massa di sfollati e addirittura una specie di pulizia etnica che ha fatto quasi sparire le zone miste. Protagonisti delle azioni di attacco o ritorsione contro le milizie shiite (spesso anche contro civili inermi), sono state la formazioni jihadiste salafite, nel frattempo diventate una delle componenti più consistenti della Resistenza e raggruppate nel Consiglio o «Shura dei Mujahideen» —che nell’ottobre 2006 hanno preteso addirittura di fondare il cosiddetto «Stato Islamico dell’Iraq». La esasperata pratica settaria dei «qaidisti» non ha infierito solo contro gli shiiti ma anche contro altre formazioni della Resistenza non salafite che si opponevano a considerare tutti gli shiiti come nemici da colpire in quanto infedeli e al soldo degli occupanti.
    Dalle prime scaramucce si è passati, nella primavera scorsa, allo scontro aperto tra le formazioni salafite dello «Stato Islamico dell’Iraq» e alcune organizzazioni armate della Resistenza.
    Gli americani hanno colto la palla al balzo dando una mano alla «lotta contro i qaidisti». Dalla primavera scorsa fonti americane hanno riportato a più riprese che ci sono state vere e proprie azioni militari congiunte.

    (2) Questa inedita alleanza anti-al qaida ha a sua volta causato aspre lotte intestine in seno alla Resistenza e nelle zone da essa controllate, producendo ad esempio una grave scissione delle Brigate della rivouzione del 1920 e la costituzione di Hamas in Iraq. L’appoggio americano a certe formazioni partigiane contro il jihadismo salafita non era un accidente tattico. Esso svela il nuovo approccio americano in Iraq, consistente nella presa di distanza dal Governo al-Maliki (accusato di essere ostaggio delle milizie shiite e dell’Iran e di non promuovere il reintegro dei vecchi baathisti negli apparati statali) e nel tentativo di avviare negoziati con le frazioni non-qaidiste della Resistenza, tra cui anche le correnti baathiste.

    In questa situazione complessa e magmatica anche il fronte annunciato l’anno passato ci ha lasciato le penne. Tendiamo a pensare che le correnti baathiste, a loro volta divise tra una frazione filo-siriane e una antisiriana, hanno voluto sbarazzarsi dell’ala più dura, non disposta a negoziati con gli occupanti, né a cooperare con loro in alcun modo contro i combattenti salafiti.

    A noi pare chiaro che questi nuovi posizionamenti e riallineamenti di forze si spiegano anche con la crescente minaccia di un attacco prossimo venturo degli USA all’Iran. Se i salafiti considerano gli shiiti e gli iraniani nemici alla stessa stregua degi americani, non e’ un segreto che per certe componenti della Resistenza (tra cui alcuni baathisti) considerano l’Iran e le milizie filoraniene nemici ancor piu’ pericolosi degli americani. Se l’attacco all’Iran ci sarà l’Iraq diventerebbe un campo di battaglia e non ci stupiremmo se i fronti attuali si rimescolassero o capovolgessero, con una parte dell’attuale Resistenza che andrà in soccorso agli americani entrando nel governo post al-Maliki, e una parte delle milizie shiite che ingaggeranno una lotta aperta contro gli americani.

    La Resistenza irachena annuncia la costituzione del Comando supremo per la jihad e la liberazione

    Il website patriottico iracheno albasrah.net ha riportato questo martedì [3 ottobre 2007] che 22 gruppi combattenti della Resistenza irachena sono convenuti a un congresso d'unificazione, in un quartiere liberato di Baghdad.

    Il congresso ha risolto di unire tutti i gruppi della Resistenza che erano presenti all'incontro, i quali hanno concordato sulla liberazione totale dell'Iraq come obiettivo primario, per quanto lunga possa essere la strada. Il congresso ha anche deciso che la partecipazione al fronte unificato della Resistenza rimanga aperta ad altri gruppi o singoli combattenti che desiderino unirvisi. Il congresso ha inoltre risolto di creare un Comando supremo per la jihad e la liberazione, eleggendo come comandante supremo per la jihad il Presidente iracheno 'Izzat Ibrahim al-Duri. Durante l'incontro sono stati eletti anche un vicecomandante e un delegato per gli affari militari.

    Il Comando supremo per la Jihad ha poi convocato una propria riunione, durante la quale è stato istituito uno stato maggiore sotto la guida del comandante supremo per la Jihad. Il tenente generale 'Amir Muhammad Amin è stato nominato vicecomandante. Sono inoltre stati creati: un gruppo di consulenza religiosa guidato dallo sceicco 'Ali 'Abdallah al-'Ubaydi; una commissione per la sicurezza nazionale, guidato dal generale Khalid Sulayaman Khalaf; una commissione per le questioni amministrative e finanziarie, guidato dal tenente generale Muhammad Salig 'Alwan; e una commissione per l'informazione e la mobilitazione, guidato dal generale Salah al-Din Ahmad. Kan'an Amin è stato nominato portavoce ufficiale del Comando per la jihad e la liberazione.

    Il Comando supremo ha dichiarato che il Comando per la jihad e la liberazione si attiene ad alcuni "princìpi sacri" che non possono essere violati, e ha stabilito che nessun gruppo è autorizzato a entrare in trattative col nemico americano, tranne che sulla base dei princìpi stessi. Il Comando ha dunque dichiarato che la Jihad continuerà e si intensificherà finché il nemico americano non la riconoscerà e si ritirerà dall'Iraq.

    Il Comando ha stabilito che, affinché sia possibile un qualsivoglia negoziato, gli Americani devono:

    - riconoscere ufficialmente la Resistenza patriottica e tutte le organizzazioni patriottiche, nazionaliste arabe e islamiche in tutte le loro strutture sia guerrigliere sia civili come le uniche rappresentanti legittime dell'Iraq e del suo grande popolo.

    - annunciare ufficialmente un ritiro incondizionato dall'Iraq, che potrà darsi immediatamente o a tappe ravvicinate.

    - far cessare i raid, le persecuzioni, le uccisioni, la distruzione, il sabotaggio, gli espropri e le espulsioni, e ritirare le truppe d'occupazione da tutti i centri abitati.

    - liberare tutti i prigionieri senza eccezioni e risarcirli dei danni.

    - far tornare in servizio l'Esercito iracheno e le forze di sicurezza nazionale, che sono state sciolte dagli Americani durante l'invasione nel 2003. Devono essere ripristinati in base alle regole e alle consuetidini in vigore prima dell'invasione americana, e risarciti dei danni arrecati loro.

    - impegnarsi a risarcire l'Iraq per tutte le perdite morali e materiali causati al paese dall'occupazione.

    - abolire tutte le leggi, i decreti e qualsiasi atto legislativo promulgato dopo l'avvento dell'occupazione.

    - intrattenere un dialogo diretto con la Resistenza sull'attuazione di un programma che sia in linea coi princìpi adottati dal Comando supremo, se gli Americani vogliono salvarsi la faccia. Altrimenti saranno semplicemente sconfitti e costretti a lasciare l'Iraq.

    Inoltre il Comando ha stabilito che bisogna tenere degli incontri per la ricostituzione di un governo, aggiungendo che il governo autocratico va superato e sostituito con un sistema basato su princìpi democratici islamici, distinti dalla democrazia imperialista che è nota per usare due pesi e due misure nel proprio interesse.

    Le organizzazioni della Resistenza che hanno preso parte al congresso di fondazione del fronte unito per la jihad e la liberazione sono:

    1. L'Esercito degli uomini dell'ordine della Naqshbandiya
    2. L'Esercito dei compagni del Profeta
    3. L'Esercito dei Murabitun
    4. L'Esercito di al-Hamzah
    5. L'Esercito del Messaggio
    6. L'Esercito di Ibn al-Walid
    7. Il Comando Unificato dei Mujahidin (Iraq)
    8. Le Brigate di Liberazione
    9. L'Esercito di al-Mustafa
    10. L'Esercito di liberazione dell'Iraq
    11. Gli Squadroni dei Martiri
    12. L'Esercito dei Sabirin
    13. Le Brigate della Jihad nella Terra dei Due Fiumi
    14. L'Esercito del Cavaliere per la Liberazione della regione autonoma [curda]
    15. Gli Squadroni jihadisti di al-Fallujah
    17. Il Fronte Popolare Patriottico per la Liberazione dell'Iraq
    18. Gli Squadroni della Rivoluzione Husayni di al-Taff
    19. Gli Squadroni per la Liberazione del Sud
    20. L'Esercito di Haneen
    21. Gli Squadroni di Diyala per la Jihad e la Liberazione
    22. Gli Squadroni della Gloria per la Liberazione dell'Iraq.

    Italiano / Oct 10, 2007


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    Predefinito Intervista all’«Esercito dei Rashidin» (Jaish al-Rashidin)

    IRAQ: Americani: non inseguite miraggi, vi combatteremo fino all'ultimo uomo Intervista all’«Esercito dei Rashidin» (Jaish al-Rashidin)

    Premessa


    «L’Esercito dei Rashidin» è una delle numerose formazioni della Resistenza irachena. Considerando la propria battaglia non solo come lotta di liberazione nazionale ma pure come Jihad, questa organizzazione è da annoverare tra quelle islamiche combattenti. Essa fa a sua volta parte di un blocco chiamato «Fronte del Jihad e della Riforma», ufficialmente costituitosi nell’aprile 2007. Di questo fanno parte «L’Esercito Islamico in Iraq», «L’Esercito dei Mujahideen», «Hamas in Iraq» e il «Gruppo dei difensori della Sunna» (Jamaat Ansar al-Sunna).

    Il «Fronte del Jihad e della Riforma», è uno dei più fermi avversari delle pratiche settarie, militariste e antishiite dei gruppi jihadisti-salafiti a loro volta raggruppati nel Consiglio o «Shura dei Mujahideen» alias «Stato Islamico dell’Iraq». In questa intervista «L’Esercito dei Rashidin», pur stigmatizzandolo, riconosce che sia in atto un grande scontro tra le due principali comunità religiose, scontro che ha causato milioni di sfollati, sia shiiti che sunniti, portando a zone o quartieri confessionalmente omogeni.
    Americani: non inseguite miraggi, vi combatteremo fino all'ultimo uomo
    Intervista all’«Esercito dei Rashidin» (Jaish al-Rashidin)
    Quella che segue è un'intervista al leader dell'Esercito dei Rashidin, Adil al-Zahawi (il nome del leader viene rivelato per la prima volta), pubblicata il 2 ottobre 2007 dall'agenzia Haq.
    Parlaci degli inizi.
    L'Esercito dei Rashidin è stato creato sin dai primi giorni dell'occupazione, ha cominciato a raccogliere le armi che erano rimaste a Rustamiya [dove c'era un accampamento militare dell'Esercito iracheno regolare] e nelle altre periferie di Baghdad, e si è dichiarato militarmente nove giorni dopo l'occupazione di Baghdad, quando dei nostri combattenti hanno portato un attacco a una pattuglia dell'esercito occupante, e il 18 aprile 2003 ci siamo scontrati con una pattuglia di polizia nel quartiere di Nafaq al-Shurta, nella zona di al-Khark a Baghdad [zona ovest di Baghdad], dopo la preghiera pomeridiana del venerdì. Non abbiamo documentato questi attacchi con riprese o immagini, poiché all'epoca non adottavamo questa tattica.
    L'Esercito dei Rashidin è presente in diverse parti dell'Iraq, in province sia del Nord sia del Sud, come potete notare se guardate i video dei nostri arracchi.
    Cosa ci dici dell'agenda e degli obiettivi politici?
    Quelli che seguono sono alcuni dei tratti salienti del nostro programma politico; chiunque ne voglia sapere di più può consultare il programma proposto dal Fronte per la jihad e la riforma, di cui facciamo parte.
    1. Resistenza armata e cooperazione con i gruppi che non sostengono l'occupazione e riconoscono che le Resistenze, come rappresentanti legittime dell'Iraq, hanno diritto all'autodeterminazione.
    2. Impegno per ricostruire una società politica e uno Stato iracheno fondati sulla giustizia, e impegno a creare istituzioni che siano al servizio della comunità e garantiscano una vita dignitosa a tutti gli Iracheni.
    3. Impegno per la liberazione dell'Iraq dall'occupazione straniera e il raggiungimento della piena indipendenza; per assicurare la libertà personale e la piena indipendenza economica e politica, e rifiutando qualsiasi ingerenza negli interessi nazionali da parte di forze esterne; e per costringere gli occupanti a risarcire il popolo iracheno di tutti i danni morali e materiali dovuti all'invasione e alle conseguenze da essa portate.
    4. Impegno per liberare tutti i prigionieri sia dalle carceri degli occupanti sia da quelle governative; onorare i martiri che hanno pagato il prezzo più alto per la libertà.
    5. Identificazione dell'Iraq come uno stato arabo e islamico, le cui risorse appartengono a tutti gli Iracheni senza distinzioni.
    6. Illegalità della costituzione, delle leggi e dei trattati che sono stati promulgati dopo l'occupazione, che offendono la sovranità e gli interessi dell'Iraq.
    7. Rifiuto di accettare gli spostamenti [spesso dovuti a motivi religiosi] a cui la popolazione è stata costretta durante l'occupazione, e impegno per risolvere le dispute sorte prima dell'occupazione, da perseguirsi quando le circostanze saranno favorevoli, quando cioè gli occupanti si saranno ritirati, e tenendo conto della specificità della questione curda, che sarà discussa con i fratelli curdi sotto l'egida della Giustizia e nella cornice di uno Stato iracheno libero e indipendente.
    Siete certi che le forze occupanti si ritireranno? Cosa avete in mente per la fase successiva al ritiro?
    Sì, ne siamo certi, poiché la nostra terra non si è mai piegata a un occupante, in alcuna occasione: se guardate alla Storia, vedrete che potenze brutali hanno sempre preso di mira l'Iraq, ma ogni loro tentativo è fallito. I figli di questa terra benedetta hanno dedicato sé stessi a conservare la propria libertà.
    Riguardo alla domanda sui nostri propositi per dopo il ritiro delle forze nemiche, siamo convinti che l'espulsione degli occupanti fornirà un terreno favorevole a tutti gli Iracheni, i quali hanno imparato una dura lezione con l'esperienza degli scontri etnici e confessionali provocati dall'invasione: questo sarà loro d'aiuto nella scelta di una forma statale appropriata, che faccia gli interessi della loro religione, del loro paese e delle generazioni future. Gli Iracheni sapranno fare la scelta giusta.
    Si dice che le fazioni jihadiste portino la colpa di aver lasciato la città di Baghdad in mano alle milizie e alle forze d'occupazione: cosa ne pensi?
    Le fazioni della Resistenza non hanno mai abbandonato Baghdad, ma è nella natura della guerra utilizzare tattiche differenti: i gruppi jihadisti stanno usando diverse tattiche basate sugli attacchi lampo quando non possono rimanere sul territorio o in una zona particolare per non essere facili bersagli, il che è un rischio concreto, soprattutto considerando che molte persone, che sono entrate al seguito degli occupanti, stanno ancora lavorando come loro spie.
    Cosa ci dici dei recenti scontri tra gruppi della Resistenza?
    Noi dell'Esercito dei Rashidin abbiamo sempre mediato tra le fazioni della Resistenza: tutti i combattenti sono fratelli e i fucili vanno diretti solo contro il nemico.
    Crediamo che un combattente pronto a sacrificarsi per la sua religione e la sua patria sia più attento di altri a non spargere sangue inutilmente.
    In molte situazioni abbiamo dovuto rimandare le nostre operazioni contro il nemico, poiché sapevamo che rischiavamo di colpire dei civili: presto pubblicheremo dei video a conferma di ciò.
    Cosa ci dici delle trattative tra alcuni gruppi della resistenza e persone al soldo delle forze d'occupazione, all'interno del cosiddetto "processo politico"? Sono parte del problema?
    Noi non abbiamo nessuna fretta di sederci a negoziare con l'occupante, e non intratterremo contatti con esso, a meno che non siano preceduti da un accordo firmato che stabilisca princìpi condivisi e garanzie, e che la decisione non sia concordata tra i maggiori gruppi combattenti - e a Dio piacendo in questi giorni hanno cominciato ad emergere segni di unità tra i gruppi, il che renderà più facili i negoziati, quando verrà il momento.
    L'anno scorso avete diffuso un video in inglese, intitolato The code of silence ("Il codice del silenzio"). Come giudichi i risultati dei media jihadisti in generale? E voi, avete novità?
    Generalmente, non è possibile fare un parallelo tra i mezzi di comunicazione dei jihadisti e le loro operazioni militari, per tre motivi:
    Innanzitutto, ci sono la forza e la capacità pervasiva della macchina mediatica del nemico, che si distingue per grande professionalità, capacità e raggio d'azione.
    Poi viene l'esperienza limitata di coloro che si dedicano alla comunicazione jihadista, che hanno dunque bisogno di un lungo periodo di pratica per acquisire le capacità necessarie.
    Infine c'è il silenziamento praticato da molti media, e sfortunatamente ciò vale anche per alcuni media di riconosciuta obiettività professionale.
    In The code of silence spieghiamo alcuni aspetti della nostra attività, specialmente per quanto riguarda la nostra capacità di raggiungere gli obiettivi che ci diamo. Il filmato è stato diffuso in due lingue, arabo e inglese, e ci siamo rivolti al Presidente americano con un messaggio chiaro: li sconfiggeremo, e la vittoria sarà nostra.
    Ho il piacere di annunciare ai lettori, attraverso il vostro sito, che l'ufficio stampa dell'Esercito dei Rashidin sta per rilasciare un nuovo video che, come The code of silence, sarà rivolto al pubblico americano.
    Recentemente è stata annunciata la formazione del Fronte per la Jihad e la Riforma. Fronti come questo favoriscono la Resistenza?
    Qualsiasi sforzo di unificare i gruppi che resistono all'occupazione favorisce ovviamente la Resistenza, oltre a essere un dovere e una necessità nazionale.
    Ci sono stati cambiamenti o sviluppi a seguito dell'emergere di questi fronti?
    Non vogliamo fare pronostici in queste prime fasi, comunque al momento non riveleremo i nostri piani, per tenere il nemico in uno stato di allerta e tensione nervosa.
    Come immaginate la forma di governo dell'Iraq dopo la fine dell'occupazione?
    Come abbiamo detto in precedenza, crediamo che il ritiro degli occupanti darà agli Iracheni un terreno favorevole, e che gli Iracheni si accorderanno tra loro sulla forma di governo da adottare, che sarà basata sull'eredità islamica e araba che appartiene alla maggioranza della popolazione, ma terrà conto dei diritti delle minoranze.
    Cosa ci dici del recente conflitto tra i partiti sciiti e la Resistenza? E' un bene o un male?
    Noi generalmente rifiutiamo queste suddivisioni e l'utilizzo di una simile terminologia confessionale, poiché è una mentalità arrivata con l'occupazione, la quale ha cercato di utilizzarla per i propri fini.
    Generalmente dividiamo la società irachena in due categorie: coloro che sono contro l'occupazione, e tra di essi ci sono Iracheni di tutti i tipi; e coloro che collaborano con l'occupazione, e anche questa categoria include ogni sorta di Iracheni: arabi, curdi, turkmeni, musulmani, crisitani, sunniti, sciiti. Noi non consideriamo questo conflitto come un conflitto contro una comunità, che sia sciita o meno: esso è dovuto al fatto che alcune forze collaborano con gli occupanti.
    Per finire, un messaggio ai gruppi jihadisti, al popolo iracheno, e al popolo americano?
    Ai fratelli e compagni della Jihad diciamo: siate fieri e restate uniti.
    Al popolo iracheno diciamo: siete il nostro sostegno, siate pazienti, non abbandoneremo voi né il Paese.
    Al popolo americano diciamo: pe quanto tempo ancora volete inseguire un miraggio? Dite ai vostri leader di tornare in sé e cercare di preservare ciò che rimane del nostro sangue e del sangue dei vostri soldati. Non verremo meno al dovere di combattere i vostri soldati, continueremo a combattere fino all'ultimo uomo.

    Italiano / Oct 10, 2007

    www.antiimperialista.org

    A luta continua

  4. #4
    ghost dog
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    Citazione Originariamente Scritto da Sandinista Visualizza Messaggio

    Ad un anno esatto di distanza, da una fonte molto attendibile vicina al Baath (precisamente il sito web albasrah.net), giunge la notizia della formazione di un nuovo fronte, anch’esso capeggiato dalla corrente baathista. Il 3 ottobre è stata annunciata la nascita del «Comando Supremo per la Jihad e la Liberazione». Come comandante supremo per la jihad il nuovo fronte ha scelto 'Izzat Ibrahim al-Duri, il re di fiori per gli americani, che da generale nel vecchio regime baathista baathista vive dal 2003 nella clandesinità e anima la Resistenza contro gli occupanti.
    "Il deserto è il giardino di Allah, dal quale Egli ha tolto tutte le cose inutili,
    per potervi camminare in Pace."

    (popolare arabo)
    PRO SA REPUBRICA DEMOCRATICA SARDA
    FINTZAS A SA BINCHIDA, SEMPER!

 

 

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