Originariamente Scritto da
antonio
“Il nostro, come disse Sciascia, è un paese senza memoria e verità, ed io per questo cerco di non dimenticare”
Come un gruppo di impuniti ha cercato e continua a cercare di delegittimare i magistrati
anticorruzione e antimafia.
Questa è la storia di una guerra all'ultimo sangue scatenata da una banda di imputati impuniti contro un pugno di magistrati (qualcuno ormai ex) irriducibili nel prendere sul serio le leggi, a suon di dossier, veleni, spionaggi, bufale e pettegolezzi gabellati da "poker d'assi" e "notizie agghiaccianti". Accuse irrilevanti e calunnie mostruose che circolano per l'Italia dal '92, sempre le stesse: lanciate e rilanciate, ruminate e mai digerite, archiviate e riciclate, sbugiardate e riabilitate a getto continuo, con la complicità di vasti settori della stampa e della tv. E' la solita vecchia Italia che divora i suoi uomini migliori e ingrassa i peggiori. L'Italia dove i giudici torinesi dello scandalo petroli, Vaudano e Griffey, e i giudici milanesi dello scandalo P2, Colombo e Turone, furono sbranati dai corvi e incolpati delle peggiori nefandezze, come sta avvenendo oggi al loro erede naturale Caselli. Dove i pm di Mani Pulite, spiati illegalmente fin sotto le lenzuola da tutti i corpi dello Stato, hanno collezionato tante inchieste quante nemmeno Craxi e Berlusconi messi insieme, e hanno dovuto difendersi una ventina di volte davanti al Csm e una trentina alla procura di Brescia (che ancora insiste), ora perché
arrestavano troppo ora perché arrestavano troppo poco. Dove Di Pietro, 24 volte inquisito, ha
tutt'oggi una decina di inchieste in corso per un cumulo di reati da ergastolo. Dove il
settimanale più venduto, Panorama, regala un libro per dimostrare che questo "Comintern
giustizialista" è colpevole di attentato agli organismi costituzionali (cioè contro Berlusconi):
articolo 289 del codice penale, pena minima prevista 10 anni. Dell'attentato prolungato,
ininterrotto, eterno contro l'ordine costituzionale chiamato "magistratura" pochi parlano,
pochissimi ricordano. Eppure la fabbrica delle montature è sempre aperta e non conosce crisi
di domanda. Sarà bene rinfrescarci la memoria. Con nomi e cognomi. In ordine di apparizione.
1992
APRILE. Mario Chiesa è in carcere da meno di due mesi e questo Antonio Di Pietro comincia a
dare fastidio. Il Gico di Firenze comincia ad indagare sull'Autoparco della mafia a Milano. Nel
mirino c'è il IV distretto di polizia, lo stesso in cui Di Pietro lavorò come commissario nel 1981.
AGOSTO. Tre corsivi anonimi (cioè craxiani) sull'Avanti! gettano "dubbi su alcuni aspetti non
chiari di Mani Pulite" e su Di Pietro, "tutt'altro che l'eroe di cui si parla". Craxi fa incetta di
dossier contro il magistrato, ma per ora si limita a sventolarli da lontano. Secondo Carlo Ripa
di Meana, è in quei giorni che il capo della polizia Vincenzo Parisi, i vertici dei servizi segreti e
del governo Amato decidono di fermare Mani Pulite. Il 5 agosto Giuliano Amato destituisce
dopo soli 11 mesi il capo del Sismi generale Luigi Ramponi ("volevano avere mano libera", dirà
l'ufficiale). Il 26, uscendo dalla segreteria socialista, Rino Formica gongola: "Bettino ha un
poker d'assi, anzi una scala reale". Il complottificio è tornato in azione come ai vecchi tempi.
SETTEMBRE. Si muovono le barbefinte. Il verde milanese Basilio Rizzo denuncia a Brescia che
un ex ufficiale dei carabinieri sta girando l'Italia per raccogliere notizie sulla vita privata di Di
Pietro. Due amici di Tonino ricevono offerte di denaro per raccontare che il pm fa uso di droga.
L'invito viene da un tal Pagnoni, intimo di Pillitteri e della gentil consorte Rosilde Craxi: ma
tutto verrà archiviato senza troppe indagini. Intanto Parisi - racconterà poi Craxi - va a trovare
Bettino per raccontargli della Mercedes di Tonino e di un suo misterioso viaggio in Svizzera con
l'avvocato Giuseppe Lucibello. Poi gli mostra i tabulati Sip delle telefonate, raccolti "del tutto
casualmente da corpi di polizia". Il giorno 9, un misterioso detective consegna ad un
altrettanto misterioso committente un rapporto di 5 pagine sulla vita privata di Di Pietro,
scritto in lingua inglese. "Roba da FBI", lo definirà l'ammiraglio Fulvio Martini, che è del
mestiere. Il dossier ricomparirà alla procura di Brescia tre anni dopo, consegnato al pm Fabio
Salamone dal giornalista craxiano Filippo Facci, oggi intimo amico di Giuliano Ferrara. Secondo
l'architetto Bruno De Mico (quello delle "carceri d'oro") è in quei mesi che Salvatore Ligresti
incarica il detective italoamericano De Vita di indagare sulla vita privata di Di Pietro. In quel
mentre, secondo alcuni pentiti, Cosa Nostra progetta di eliminare Di Pietro insieme a Falcone e
Borsellino.
1993
GENNAIO. Avvocati, giornalisti e imputati eccellenti ricevono anonimamente un cruciverba già
compilato, con nomi, allusioni e sigle legate alle amicizie pericolose di Di Pietro ("San Siro",
"Rea", "Gorrini", "Atm"...). Chiaro invito del mittente invita tutti ad intrupparsi nell'esercito
anti-Mani Pulite.
FEBBRAIO. Craxi, sepolto dagli avvisi di garanzia, si dimette da segretario del Psi. Berlusconi,
sgomento, raduna i giornalisti Fininvest ad Arcore e li lancia all'assalto di quel "giudice in cerca
di prime pagine": cioè Di Pietro. Fa il suo esordio la Falange armata (oggi sospettata di legami
con i servizi), con le prime minacce contro Mani Pulite.
MARZO. Claudio Martelli, nei guai per il conto Protezione, si dimette da guardiasigilli. Il
governo Amato vara il primo colpo di spugna (decreto Conso sul finanziamento illecito), subito
respinto al mittente da Scalfaro. E, in contemporanea con la rogatoria di Di Pietro a Hong Kong
sui conti di Craxi, riecco la Falange armata: "A Di Pietro uccideremo il figlio". Un mese dopo, la
Camera nega l'autorizzazione a procedere per Craxi.
MAGGIO. Esce un libello anonimo, GLI OMISSIS DI MANI PULITE, pubblicato da un misterioso
editore irlandese e scritto - lo si scoprirà più tardi - da Filippo Facci. Parla di Di Pietro, dei suoi
amici Gorrini, D'Adamo, Rea, Lucibello, Prada, e persino di un conto in Austria.
GIUGNO. Finisce dentro per tangenti il primo manager Fininvest, Aldo Brancher, prete spretato
e molto devoro a Fedele Confalonieri. Nel covo di Arcore si lustrano le armi.
LUGLIO. Il giorno 12, Berlusconi ordina via fax al suo GIORNALE di sparare a zero sul pool.
Montanelli e Orlando rifiutano: la pagheranno. In compenso, il 17, il SABATO ciellinosbardelliano
pubblica un succulento dossier sulle innumerevoli malefatte di Di Pietro in
combutta con gli amici Claudio Dini (ex presidente della metropolitana milanese), Rea,
Radaelli, D'Adamo. C'è la garçonnière, c'è il telefonino cellulare, c'è il presunto favoritismo pro
Radaelli: tutta roba che tornerà utile più tardi, spacciata per nuova nel '97. Manca solo una
precisazione: tutti i suddetti sono stati arrestati o inquisiti da Di Pietro e dal pool. Il mese si
conclude con un gaio scoppiettio di bombe a Milano e Roma.
NOVEMBRE. Mentre Craxi, Forlani e tutto il Caf prendono sberle al processo Cusani e il duo
Berlusconi-Dell'Utri dà gli ultimi ritocchi all'operazione Forza Italia, il Gico di Firenze raccoglie
fuori verbale le molto presunte confidenze di un pentito, Salvatore Maimone, sulle molto
presunte coperture gentilmente offerte alla mafia dell'Autoparco da mezza procura di Milano:
Di Pietro, Spataro, Di Maggio, Nobili. Ma l'indomani Maimone scappa a Milano e confida a
Borrelli che il Gico e qualche pm fiorentino fan domande pressanti sui suoi uomini per
incastrarli. Il processo Autoparco dimostrerà che il Gico non ne aveva azzeccata una.
1994
MARZO. E' il mese delle elezioni politiche. Dopo l'arresto in febbraio di Paolo Berlusconi, il
giorno 13, IL GIORNALE associa i nomi di Piercamillo Davigo e Francesco Di Maggio al giudice
corrotto Diego Curtò e a Salvatore Ligresti: sarebbero tutti legati ad una cooperativa edilizia.
Non è vero niente, e Feltri verrà condannato. Intanto, Di Pietro stringe per la rogatoria a Hong
Kong sul bottino di Craxi: la prova che Bettino gestiva il proprio, tramite Giancarlo Troielli,
qualche decina di miliardi. Riecco puntuale, il giorno 15, la Falange armata: "Ammazzeremo Di
Pietro". L'indomani Berlusconi rende visita al procuratore generale di Milano Giulio Catelani,
con un esposto sui presunti abusi del pool nelle pequisizioni a Publitalia. Catelani ringrazia e
comincia a fare la spola tra Milano e Roma, per convincere il ministero a sguinzagliare gli
ispettori contro Borrelli & C.
APRILE. Pillitteri, in un libro scritto con Facci (IO TI CONOSCEVO BENE), mette in piazza i suoi
passati con Di Pietro. Il 29, nell'aula del tribunale dove si attende la sentenza Cusani, viene
ritrovata una finta bomba contro il pm.
MAGGIO. Vinte le elezioni, Berlusconi tenta di annettersi mezzo pool con laute offerte di
ministeri: l'Interno a Di Pietro, la Giustizia a Davigo. Doppio rifiuto.
GIUGNO. Di Pietro s'imbatte nelle mazzette degli industriali alla Guardia di Finanza. C'è anche
la Fininvest. Nuove minacce a Di Pietro dalla Falange armata.
LUGLIO. Voci di arresti in casa Fininvest. Berlusconi vara in fretta e furia il decreto Biondi, che
risparmia ai tangentisti il fastidio della custodia cautelare. Il pool annuncia l'autoscioglimento
in tv, Bossi e Fini minacciano lo scioglimento del governo, il Cavaliere rinvia il Salvaladri a
migliore occasione. Due giorni dopo raduna amici, ministri e avvocati Fininvest ad Arcore per
discutere della latitanza del fratello Paolo e del manager Salvatore Sciascia.
AGOSTO. Il faccendiere craxiano Ferdinando Mach di Palmstein, latitante da un anno, parla al
telefono con la zia Caterina: "Se apro bocca il primo che va dentro è Di Pietro, di cui so cose
pazzesche. Me le ha dette un suo amico che poi s'è pentito". Chi sarà mai l'amico? Proprio in
quei giorni, Giancarlo Gorrini ha cominciato il giro delle sette chiese tra Sergio Cusani e Paolo
Berlusconi, implorando aiuto per salvare la Maa Assicurazioni, da lui stesso rapinata. In
cambio, offre le memorie di Antonio Di Pietro.
SETTEMBRE. Il mese si apre con la proposta del pool a Cernobbio per uscire da Mani Pulite. Il
ministro Ferrara vuol denunciarli tutti per attentato alla Costituzione, poi il governo decide che
non è il caso. Pochi giorni, ed ecco il procuratore generale della Cassazione Vittorio Sgroj
sparare a zero sul pool: "Sono intoccabili, nessuno ha il coraggio di promuovere l'azione
disciplinare". Un boss della Dc coinvolto in Tangentopoli riceve in busta anonima un dossier:
"Abusi, Di Pietro", con le solite storie di LIAISON DANGEREUSES e gli immancabili tabulati Sip.
Alcuni pentiti dal carcere denunciano promesse di favori in cambio di accuse al pool. Il giorno
17, nuovo messaggio della Falange armata, che è meglio di Nostradamus: "La vita politica e
umana di Di Pietro sarà breve e verrà fermata". Nelle stesse ore Giancarlo Gorrini sta
scrivendo un promemoria su Di Pietro per un committente d'eccezione: Paolo Berlusconi. Il 27,
Paolo Simonetti, brigadiere della Finanza, ex braccio destro di Tiziana Parenti molto attivo nelle
indagini sul pool, annota sul computer: "Ore 17-18 c/o Edilnord...Braald (Aldo Brancher,
n.d.a.): Gorrini disposto a riferire su somme estorte da DP in favore dell'amico Reale (Eleuterio
Rea, n.d.a.) per corse cavalli. Fatto già a conoscenza di Preces (Cesare Previti). Ulteriori casi
analoghi a conoscenza di Berpao (Paolo Berlusconi, n.d.a.)". Il 29 settembre, 58° compleanno
di Silvio Berlusconi, Sergio Cusani denuncia Di Pietro a Brescia per diffamazione e omissione di
atti d'ufficio nel processo che gli è costato la condanna a 8 anni per Enimont. E il generale
Giuseppe Cerciello, imputato per la corruzione della Guardia di Finanza, denuncia a sua volta
Borrelli, Colombo, Di Pietro e Padalino al Csm per presunte manovre intorno al Gip Andrea
Padalino. Due solennissime bufale, come stabiliranno i giudici. Ma intanto il pool sale, per la
prima volta, sul banco degli imputati, proprio mentre chiede condanna di Paolo Berlusconi per
le tangenti delle discariche e raccoglie le ultime prove sul tesoro personale di Craxi. Il mese si
chiude con uno strano attivismo del ministro Biondi che - racconterà l'ispettore Domenico De
Biase - "chiede di vedere tutti gli esposti presentati contro il pool".
OTTOBRE. Il giorno 1, si fa viva la Falange armata: "Di Pietro è cotto a puntino". Il 3, Di Pietro
fa arrestare Tradati, ultimo anello verso il bottino di Bettino e anche - ma questo lo si scoprirà
solo un anno dopo - del mazzettone da 10 miliardi di Berlusconi a Craxi tramite All Iberian. Il
4, Borrelli dà un'intervista al CORRIERE DELLA SERA, facendo capire che le indagini Fininvest
sono a buon punto: il governo lo denuncia per attentato agli organismi costituzionali (articolo
289 del codice penale, minimo della pena 10 anni), i forzisti del Csm ne chiedono il
trasferimento da Milano per incompatibilità ambientale. Il memoriale Gorrini è pronto e arriva a
Paolo Berlusconi (che attende la prima condanna, prevista per il 23). Questi chiama Previti,
che scavalca Biondi e avverte il capo degli ispettori Ugo Dinacci sull'improvvisa voglia di
parlare dell'assicuratore. Una mano amica infila poi l'appunto - opportunamente arricchito con
ritagli di giornale, dossier del SABATO, vari anonimi, rapporti di indagini illegali della Finanza -
in una busta e la busta nella buca delle lettere di Dinacci. Il dossier, anziché essere
protocollato, finisce in un cassetto del ministero. L'8, Confalonieri invia a Catelani l'ennesimo
esposto contro la persecuzione giudiziaria anti-Fininvest. E, il 14, Biondi scioglie gli ormeggi:
ispezione ministeriale straordinaria contro il pool, accusato dal capo del governo di indagare
sulle aziende e gli amici del capo del governo. Biondi completa l'opera defenestrando Mario
Vaudano, capo dell'ufficio rogatorie del ministero, prezioso tramite del pool con le autorità
giudiziarie svizzere. Craxi, ringalluzzito, pubblica la sua opera prima: IL CASO C. Il giorno 30,
finisce in manette a Parigi Mach di Palmstein: in casa della sua ospite, Domiziana Giordano,
viene ritrovato un corposo dossier su Di Pietro, frutto del lungo lavoro di alcuni agenti dei
servizi francesi, con l'aggiunta di carte che somigliano prodigiosamente a quelle del dossier
Gorrini. Amicone di Craxi e Cusani, Mach conserva sull'agenda tutti i numeri di Berlusconi.
NOVEMBRE. Dinacci chiama De Biase e gli consegna il dossier Gorrini: "Me l'ha mandato
Previti, che mi ha detto che Gorrini verrà presto a testimoniare". Il pool scopre tra le carte del
manager Fininvest Massimo Maria Berruti un "passi" di Palazzo Chigi, datato 8 giugno '94: la
prova che Berruti andò a consultarsi con Berlusconi alle prime avvisaglie dell'inchiesta sulle
tangenti della Finanza, prima di organizzare l'inquinamento delle prove. "Di Pietro ha i giorni
contati", annunciano i profeti della Falange armata. Il 21, mentre gli ispettori di Biondi
setacciano invano la procura di Milano interrogando anche le sedie, parte l'invito a comparire
per Berlusconi, impegnato a Napoli nella conferenza mondiale sulla criminalità. Il 22, il
CORRIERE pubblica la notizia in esclusiva. Quel giorno Di Pietro è a Parigi per interrogare Mach
in carcere: non riesce, ma viene a sapere del dossier trovato a casa Giordano. Il 23, Gorrini si
precipita al ministero per raccontare la Di Pietro story: 100 milioni, Mercedes, debiti di Rea e
quant'altro. Il 24, Biondi avvia ufficialmente l'inchiesta parallela e segreta su Di Pietro. Dinacci
- racconterà De Biase - era stato chiaro: "Previti mi ha detto che bisogna distruggere Di Pietro
e mi ha fatto capire che Gorrini è stato pagato". Il 26, Previti avverte amorevolmente Tonino di
quel che gli stanno apparecchiando al ministero ("una polpetta avvelenata"). Di Pietro ne parla
con Davigo, e comincia a scrivere con lui una memoria da inviare al Csm. Poi però cambia idea
e decide di dimettersi subito. Il 27 ne informa Borrelli, mentre la Falange armata comunica: "Di
Pietro è un uomo morto". Il 29, la Cassazione trasferisce a Brescia il processo milanese sui
finanzieri corrotti. Il 30, De Biase ascolta Osvaldo Rocca che, sul prestito di Gorrini, scagiona
Di Pietro ("pensava che i soldi venissero direttamente da me"). In serata, Dinacci avverte De
Biase: "Ferma tutto, il 6 dicembre Di Pietro se ne va. Me l'ha detto Previti". Nell'attesa
Berlusconi continua a rinviare l'appuntamento col pool: si presenterà solo a metà dicembre,
quando Di Pietro sarà già lontano.
DICEMBRE. Missione compiuta: Di Pietro si dimette il 6 e quello stesso giorno, come per
incanto, l'inchiesta segreta va in archivio. Con una motivazione dell'ispettorato che lo scagiona
completamente: "Fatti di nessuna rilevanza disciplinare". Ma quel dossier, ora protocollato e
"nobilitato" dal timbro del ministero, passa subito di mano, per essere ripescato e riciclato
qualche mese più tardi: nella guerra a Di Pietro, non si butta via niente. Si scopre intanto che
dal Ministero, negli ultimi mesi, sono partite ben due ispezioni alla procura di Palermo. La
prima, di routine, è di aprile: si concentra sui pasticci al Tribunale fallimentare. Ma la seconda,
straordinaria come quella contro il pool milanese, è stata disposta da Biondi in settembre. E
contiene uno scandalo grosso così. Durante la prima missione, l'ispettore Enrico De Felice ha
inviato un fax al commercialista siciliano Piero Di Miceli, ex craxiano ed ora forzista (ha
rapporti con Previti e Biondi), sospettato dalla procura di rapporti con ambienti massonicomafiosi,
affinché lo raccomandasse presso il ministro Biondi per farlo diventare capo degli
ispettori al posto di Dinacci. Il fax viene intercettato in gran segreto dalla procura di Palermo,
che indaga De Felice per abuso. E grande è la sorpresa di Caselli quando scopre che l'ispettore
Vincenzo Nardi, tornato in settembre a curiosare al Palazzaccio, non s'interessa che
all'inchiesta su Di Miceli. E sa già del fax intercettato. Peggio: sa tutto anche Di Miceli. Chi li ha
avvertiti? Caselli manda un avviso di garanzia al vicecapo di gabinetto di Biondi, Vincenzo
Vitale (pretore a Catania e assiduo collaboratore del GIORNALE) per abuso e propagazione di
segreto istruttorio: avrebbe avvertito lui l'amico Di Miceli che i suoi telefoni erano sotto
controllo, grazie alle preziose informazioni raccolte a Palermo dagli ispettori. Bell'ambientino, al
ministero di Grazia e Giustizia.
1995
GENNAIO. Nasce il governo Dini: Berlusconi fa fuoco e fiamme contro il ribaltone, poi viene a
sapere che il guardasigilli sarà Filippo Mancuso, un nome, una garanzia. E regala l'astensione.
FEBBRAIO. Mentre il gip di Brescia proscioglie Di Pietro dalle accuse di Cusani e un agente
della scorta sventa un attentato contro Gerardo D'Ambrosio, torna in campo il Gico di Firenze
con il suo capo, tenente colonnello Giuseppe Autuori, che consegna alla procura fiorentina un
dossier di 263 pagine sul caso Autoparco: "Una franca rivisitazione di fatti e situazioni già
rappresentate". I veleni contro Di Maggio, Nobili & C., già smascherati dai giudici di Brescia,
tornano in circolazione con l'aggiunta di nuove insinuazioni contro Armando Spataro e Ilda
Bocassini.
MARZO. Cusani va a trovare Gorrini per complimentarsi della sua deposizione agli ispettori e
procurarsene una copia. Poi avvicina Tradati (così almeno riferirà quest'ultimo) per invitarlo a
presentarsi agli ispettori di Mancuso e denunciare pressioni del pool per incastrare Berlusconi.
Mancuso blocca il decreto del governo per la creazione del "Sis" da affidare a Di Pietro.
APRILE. Di Pietro, dopo alcuni incontri con Berlusconi e Previti, fa sapere che alle prossime
elezioni non appoggerà nessuno, tantomeno il Polo. Prodigiosamente il dossier Gorrini e alcuni
altri ricompaiono tra le mani dell'avvocato Carlo Taormina, legale del generale Cerciello e
futuro cadidato di Forza Italia. Il giorno 7, Taormina e Cerciello denunciano Di Pietro per
presunte pressioni sul maresciallo Nanocchio al fine di convincerlo a tirare in ballo il generale e
Berlusconi. E' un'altra bufala che si smonterà presto, con tanto di smentita di Nanocchio e
archiviazione a Brescia, ma intanto Di Pietro è di nuovo indagato per abuso d'ufficio. E lascia
per sempre la magistratura. Il 13, a TEMPO REALE, Berlusconi rivela che Tonino gli confidò di
non aver condiviso l'invito a comparire nei suoi confronti. Il 18, Taormina, reduce da alcuni
incontri in via dell'Anima, chiede che Di Pietro testimoni al processo Cerciello per chiarire una
lunga serie di vicende "oscure": le stesse contenute nel dossier Gorrini, con l'aggiunta
dell'Autoparco, di traffici d'armi e chi più ne ha più ne metta. Il tribunale respinge la richiesta,
ma il missile è lanciato. E sta per andare a segno.
MAGGIO. La relazione degli ispettori, che scagionano il pool dalle accuse di Biondi e chiudono i
lavori con un encomio solenne a Mani Pulite, non piace affatto al ministro Mancuso. Che, il
giorno 5, avvia l'azione disciplinare contro il pool per aver "intimidito" gli ispettori e annuncia
una nuova ispezione a Milano. Non contento, chiede nuove indagini sui suicidi in carcere di
Gabriele Cagliari e Sergio Moroni (salvo poi scoprire che Moroni non era mai stato arrestato). Il
19, frattanto, si scopre che il pg Catelani, non contento di aver sollecitato in privato
(negandolo in pubblico) l'ispezione ha pure promosso un'indagine informale dei carabinieri
contro Borrelli, per una vicenda equestre. Mesi prima, su un settimanale, Borrelli era stato
ritratto al galoppatoio su un cavallo con la sigla "G.G." sulla sella. Sigla che secondo un
anonimo, corrisponde al Giancarlo Gorrini. Informato della cosa, Borrelli denuncia Catelani al
Csm. La sigla è di tal Giovanni Gennari, vecchio proprietario dell'animale. Ma intanto, per
qualche giorno, i giornali non parlano d'altro, Proprio mentre, il 20, viene chiesto il rinvio a
giudizio di Silvio Berlusconi per corruzione.
GIUGNO. Tocca di nuovo a Di Pietro. Il pm bresciano Fabio Salamone interroga Gorrini e
Pillitteri, poi, il giorno 3, indaga Tonino per concussione: avrebbe premuto su Gorrini e
D'Adamo affinché ripianassero i debiti di gioco di Rea. L'11 arriva il bis: Di Pietro inquisito per
altre concussioni ai danni di Gorrini (prestito di 100 milioni, Mercedes, pacchetto sinistri della
Maa affidato allo studio della moglie Susanna Mazzoleni). L'11, IL GIORNALE torna alla carica
contro Davigo: stavolta titola sulla "strana coppia Davigo-Cerciello", insinuando chissà quali
traffici tra il pm e il generale inquisito per corruzione. In realtà il pm s'era iscritto con altri
magistrati ad una cooperativa nata per costruire alloggi, e se n'era andato qualche giorno dopo
l'ingresso di Cerciello (che comunque, all'epoca, era il numero uno della Guardia di Finanza
milanese, neppure sfiorato da sospetti). Il 14, c'è una nuova richiesta di rinvio a giudizio per
Berlusconi: frode fiscale per la villa di Macherio. Il Cavaliere risponde con esposto al pg della
Cassazione Ferdinando Zucconi Galli Fonseca per ben 130 presunte fughe di notizie e per
l'accanimento persecutorio del pool contro l'inerme Biscione: altra inchiesta a Brescia. E, il 19,
terzo siluro targato Salamone: Di Pietro sotto inchiesta per abuso d'ufficio: avrebbe aiutato
Rea a diventare capo dei vigili di Milano. L'indomani, si diffonde una voce: Di Pietro è stato
arrestato. Il 30, ci si mette anche Craxi che inonda i giornali con il fax dei tabulati Sip sulle
telefonati di Di Pietro nel 1992: "Me li diede Parisi". Vuole dimostrare che Mani Pulite è tutta un
bluff, che Di Pietro era pilotato via cavo da amici avvocati e imputati. Poi si offre a Salamone:
"Se vuole sentirmi su Di Pietro, sono qui".
LUGLIO. Il giorno 2, Di Pietro viene interrogato a Brescia per 18 ore e denuncia 137 tentativi di
delegittimazione ai suoi danni. Il 7, secondo round di 5 ore. Salamone indaga anche sul
complotto che lo indusse a dimettersi dal pool: Previti, Dinacci, De Biase e Paolo Berlusconi gli
indiziati.
AGOSTO. Craxi morde il freno: dà alle stampe IL CASO C. PARTE SECONDA e invita Salamone
a indagare su un viaggio di Di Pietro in Costarica, dove avrebbe incontrato fantomatiche
"importanti personalità della finanza italiana e internazionale". Mani Pulite come complotto
planetario. Salamone prepara le valigie per Hammamet. Il parlamento riesuma il decreto
Biondi e, con qualche correttivo peggiorativo, lo approva plebiscitariamente sotto il nome di
"Riforma della custodia cautelare".
SETTEMBRE. Di Pietro scopre che un agente della scorta, anziché proteggerlo, lo spiava e
riferiva ai "superiori" i suoi spostamenti. Poi denuncia a Brescia che un certo Roberto Napoli,
agente del Sisde, gli ha confidato di averlo spiato fina dal 1992. Napoli conferma: "Mi
ordinarono di indagare su Di Pietro e su tutto il pool, non scoprii nulla di illecito, Parisi sapeva
tutto". Le informative finivano anche ad un alto dirigente romano del Sisde, Bruno Contrada. Il
2, Di Pietro è a Cernobbio, con un durissimo discorso contro il colpo di spugna: "Se lo
tenteranno, scenderò in campo per fermarli". L'indomani Berlusconi, allarmatissimo, chiama
D'Adamo per sventare la minaccia: "Ingegnere, il suo amico è fuori di testa, bisogna che lei si
prepari. Siamo nelle sue mani!". Seguiranno sette incontri ad Arcore, per concordare aiuti
finanziari al gruppo D'Adamo, che naviga in pessime acque. Intanto IL GIORNALE tira in ballo
Di Pietro per Affittopoli (un alloggio in via Andegari, avuto dalla Cariplo ad equo canone). E, il
15, Brescia lo indaga per l'ennesima volta: concussione e abuso d'ufficio per il piano di
informatizzazione del tribunale di Milano. Il 29, si smonta anche la bufala mancusiana degli
ispettori "intimiditi": su proposta del pg della Cassazione, il Csm archivia l'indagine disciplinare
contro Borrelli e il pool. A Milano si trascina stancamente la seconda ispezione. Craxi,
preoccupato, avverte l'avvocato Salvatore Lo Giudice: "Se qualcuno in prima fila non apre il
289 ("attentato agli organi costituzionali", n.d.a.) e affronta la testa del serpente, non si va da
nessuna parte. L'obiettivo è la fine dell'imbroglione trafficante". Cioè di Di Pietro che, secondo
Craxi, è pure un falso laureato. Falsa laurea e 289: due tra gli argomenti preferiti del fido
Ferrara.
OTTOBRE. Nuova inchiesta della procura di Brescia contro Di Pietro: questa volta è accusato di
falso ideologico insieme a Borrelli, per aver firmato i verbali di alcuni interrogatori della polizia
giudiziaria senza avervi presenziato per intero. Ma si indaga anche sulla deposizione
dell'agente Napoli, che ha rivelato lo spionaggio continuato e illegale del Sisde ai danni del pool
(dossier Achille): nessuno scoprirà mai chi fosse questo Achille, anche perché il capo del
servizio Gaetano Marino negherà per mesi l'esistenza stessa del fascicolo, salvo poi
consegnarlo con tante scuse al comitato di controllo sui servizi segreti. Il giorno 12, nuova
bufala berlusconiana: questa volta il bersaglio è Borrelli, che avrebbe gravemente peccato
avvertendo Scalfaro dell'avviso di garanzia a Berlusconi prima che quest'ultimo ne avesse
notiziza. Borrelli precisa che Scalfaro lo seppe negli stessi minuti in cui Berlusconi veniva
informato da un colonnello dei carabinieri. E comunque il segreto investigativo è a discrezione
del pm. Scandalo enorme, per un fatto che persino Tiziana Parenti giudica "corretto". Mancuso,
che sta per essere sfiduciato dal parlamento, fa in tempo a scatenare un supplemento di
ispezione, un'inchiesta a Brescia per violazione del segreto e un'azione disciplinare al Csm. E
altre azioni disciplinari chiedono gli ispettori per i pm milanesi Ilio Poppa, Gherardo Colombo,
Fabio De Pasquale. Parlando alla Camera nel giorno dell'addio, Mancuso invoca un'ispezione a
Palermo. Poi, alludendo a due Consigli dei ministri "secretati", lascerà cadere il sospetto che vi
si fosse parlato di gravi reati commessi dal pool di Caselli.
NOVEMBRE. Si comincia con una POCHADE: Luciano Panciroli, allenatore dell'ex moglie di
Paolo Berlusconi, Mariella Bocciardo, con qualche guaio giudiziario, tenta di vendere alla Lega
Nord un dossier contro Di Pietro, che sembra la fotocopia di quello di Gorrini. La donna dirà di
aver avuto le carte dall'ex marito. E mentre Brescia arriva, riceve dal gip romano Maurizio
Pacioni una denuncia contro Borrelli, Davigo, Colombo e Ghitti per omissione in atti d'ufficio e
falso ideologico: avrebbero tenuto sotto scacco l'ispettore capo Ugo Dinacci tramite
un'inchiesta sul figlio, l'avvocato Filippo. Pool di nuovo indagato, al gran completo.
DICEMBRE. Il giorno 2, nuova telefonata Berlusconi-D'Adamo. Berlusconi:" Io ho fatto quel che
dovevo fare". D'Adamo: "Perfetto". Più tardi il costruttore incontra raggiante il Cavaliere in villa
e gli consegna un dossier sui suoi rapporti con Di Pietro, dove dice l'esatto contrario di quel che
ha detto ai pm di Brescia. Il prezioso incartamento, rimasto nel freezer di Arcore per un anno e
mezzo, tornerà d'attualità nel febbraio '97, scongelato e consegnato da Berlusconi alla procura
di Brescia ormai a corto di carte, Il 7, il comitato servizi segreti interroga il comandante della
Guardia di Finanza Costantino Berlenghi per sapere se membri del Corpo abbiano spiato il
pool: il generale smentisce sdegnato; poi si scoprirà l'attività illegale di dossieraggio di vari
ufficiali e sottufficiali (Simonetti, Nanocchio, Salato) e Berlenghi promuoverà un'indagine
amministrativa, conclusa in fretta e furia con draconiane raccomandazioni del tipo: "Masticare
gomma americana all'atto di rivolgersi aii superiori è un grave atto di maleducazione".
Simonetti e Salato verranno promossi al servizio segreto delle Fiamme Gialle (forse per le loro
formidabili doti spionistiche). Il 5 dicembre, il Gip di Brescia archivia anche le accuse di
Cerciello e censura le indagini di Salamone. Il quale si prende la rivincita il giorno 20 con una
raffica di richieste di rinvio a giudizio per l'ex-pm: cinque concussioni e due abusi d'ufficio. La
Falange armata aveva previsto tutto da dieci giorni: "Di Pietro ha infranto i patti: adesso la sua
fine è segnata". Regali di Natale anche per gli altri del pool: Colombo, Davigo e Greco indagati
per le nuove accuse di Cusani su un'improbabile missione pilotata da Tradati in Svizzera alla
ricerca di carte Fininvest. Lo stesso giorno, il 22, IL GIORNALE pubblica un'intervista a Maurizio
Raggio, prestanome dei conti di Craxi e latitante in Maessico, realizzata sei mesi prima e
rimasta - chissà perché - nel solito freezer. Raggio sostiene che Pacini Battaglia avrebbe
versato 5 miliardi e rotti a Lucibello che, d'intesa con Di Pietro, li avrebbe trasferiti in Austria.
Tutti gli interessati smentiscono. Compreso Raggio.
1996
GENNAIO. Il 12, il gip di Brescia rinvia a giudizio i fratelli Berlusconi e D'Adamo per estorsione
e attentato ai diritti politici di Di Pietro: avrebbero complottato per bloccarne la carriera
politica, ma verranno assolti, anche perché la procura non presenterà in tempo la richiesta alla
Camera per utilizzare le intercettazioni D'Adamo-Berlusconi. Il 17, si apre a Milano il processo
a Berlusconi & C. per le mazzette alle Fiamme Gialle. Negli stessi giorni IL GIORNALE monta
una campagna su "Di Pietro golpista", per via di un paio di frasi verbalizzate a Brescia in cui
l'ex pm auspicava "il ricambio della classe dirigente e la divulgazione di Mani Pulite nel mondo"
con una serie di conferenze. Intanto il Gico di Firenze mette sotto controllo i telefoni di Chicchi
Pacini Battaglia, a caccia di notizie su quel criminale corrotto di Di Pietro. Pacini - che dirà poi
di sospettare di essere "ascoltato" - semina vanterie a piene mani, dicendo tutto e il contrario
di tutto. "Per uscire da Mani Pulite si è pagato... Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato... Io a
Di Pietro i soldi non glieli ho dati... A Brescia gli stanno facendo un troiaio...". Parla anche di
una lettera anonima ("News da Milano"), che Salamone gli avrebbe mostrato due mesi prima,
su 5 milioni di franchi da lui versati a Lucibello. Stranamente verrà ritrovata in fotocopia in un
suo ufficio: gliel'ha data? In un'altra telefonata, si scopre che un attivissimo Sergio Cusani - in
attesa della sentenza definitiva - avrebbe avvicinato un'avvocatessa per convincere Pacini ad
accusare Di Pietro di aver usate carte false per incastrarlo al processo Enimont. Ma Pacini,
convinto che sia "una grossa stronzata", rifiuta.
FEBBRAIO. Tutto il pool indagato a Brescia per abuso e violazione del segreto d'ufficio, in
seguito all'ennesima denuncia di Berlusconi.
MARZO. Il mese più nero, per i pataccari anti-pool. Mentre Mani Pulite fa arrestare il capo dei
gip romani Renato Squillante e varie altre toghe sporche della capitale, indagando sui presunti
corruttori Previti e Berlusconi, nel parco di Arcore si apre la caccia grossa alla supertestimone
Stefania Ariosto ("puttana", è l'epiteto più gentile). Intanto i gip di Brescia emettono una
raffica di proscioglimenti per Di Pietro: nessuna delle sette accuse di Salamone e Bonfigli,
cinque concussioni e due abusi, sopravvive al vaglio dei giudici. I quali attaccano duramente le
indagini "lacunose, difettose, infondate, azzardate, incongruenti, omissive, forzate" della
procura. Roba da andarsi a nascondere. Invece Salamone insiste: "Al processo sulle manovre
per farlo dimettere, Di Pietro sarà parte lesa, ma la materia del contendere sarà la stessa". La
Falange armata dice la sua: "Di Pietro si deve preoccupare molto, non più per i dossier, ma per
il tritolo".
MAGGIO. Vinte le elezioni, l'Ulivo manda a Palazzo Chigi Romano Prodi e ai Lavori Pubblici
Antonio Di Pietro.
GIUGNO. Il procuratore capo di Brescia Giancarlo Tarquini si accorge all'improvviso che
Salamone non può indagare su Di Pietro, visto che quest'ultimo aveva indagato su suo fratello
(poi condannato a 18 mesi in Sicilia per associazione a delinquere, corruzione e turbativa
d'asta). E gli leva le inchieste sull'ex pm.
LUGLIO. Borrelli assolto dal Csm per la famosa telefonata a Scalfaro. Berlusconi dà un'occhiata
al freezer e poi minaccia: "Un giorno o l'altro si squarcerà il sipario e verranno a galla tante
cose che, per amor di patria, ora è meglio che restino dietro il sipario". un pò di pazienza, che
diamine.
SETTEMBRE. Andiamo, è tempo di attaccare. Occhio alle date. Il 12, il sociologo Giuseppe De
Rita denuncia un mega-complotto di "pm, polizia giudiziaria e servizi segreti che minacciano lo
Stato di diritto e vogliono conquistare il potere". Il 13, la Parenti spara: "Di Pietro proviene da
una struttura parallela dei servizi segreti". Il 15, i giudici di La Spezia arrestano Lorenzo Necci,
Pacini Battaglia, Emo Danesi e compari. Si potrebbe pensare che l'inchiesta, gestita dal Gico di
Firenze, riguardi Necci, Pacini, Danesi e compari, ma basta leggere IL FOGLIO di Ferrara per
capite che la vera preda è Di Pietro il corrotto, il concussore, lo scroccone. Il 16, un ex
maresciallo dei carabinieri, tal Giovanni Strazzeri, bussa alla procura di Brescia per consegnare
un memoriale: a suo dire Di Pietro fabbricò un "passi" falso di Berruti per incastrare Berlusconi,
concordò con Violante l'avviso di garanzia di Napoli e passò centinaia di verbali segreti
all'ESPRESSO mentre Davigo e la sua segretaria pilotavano le fughe di notizie ai giornali di
sinistra per "colpire gli avversari politici". Il 17, Tiziana Parenti convoca una conferenza stampa
per accusare Ilda Boccassini di aver arrestato Squillante in base ad una falsa intercettazione,
poi denuncia una misteriosa campagna per delegittimarla (la Parenti). Il 18, i difensori di
Berlusconi torchiano il braccio destro di Gherardo Colombo sul famoso "passi". Delle due l'una:
o posseggono doti medianiche, oppure sanno già tutto del memoriale Strazzeri. Il 19, i
giornali pubblicano una frase di Pacini: "Per uscire da Mani Pulite abbiamo pagato". Il 23, si
apre a Brescia il processo a Berlusconi e Previti per il presunto complotto anti-Di Pietro.
OTTOBRE. Un crescendo rossiniano. Il giorno 5 Berlusconi ricusa il giudice del suo processo,
Carlo Crivelli, per la frase sul "bastone e carota". L'8, l'avvocato Gaetano Pecorella chiede che
si indaghi sui conti all'estero dei pm di Milano, mentre il 10, salta fuori un'altra telefonata di
Pacini: "Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato". Nella foga, il Gico s'è scordato di allegare
anche la seconda parte della conversazione: "Io a Di Pietro i soldi non glieli ho dati, a Brescia
gli stanno facendo un troiaio". E nel mirino c'è pure Borrelli, che secondo Pacini lo avrebbe
chiamato tramite Di Pietro per tener fuori Necci dall'inchiesta Enimont. In parlamento tiene
banco la bufala dell'"agente provocatore" che il procuratore di Napoli, Agostino Cordova,
avrebbe infiltrato a Montecitorio: non è un provocatore e non ha mai messo piede alla Camera,
ma l'inchiesta sulle mazzette della camorra a tutti i partiti napoletani per la Tav fa paura, e
tutto fa brodo. Il 12, Berlusconi supera con la sceneggiata della maxi-microspia "perfettamente
funzionante" infilata nel suo radiatore da chissà quale procura. I giudici accerteranno che non
funzionava per nulla e che l'aveva piazzata lo stesso uomo incaricato dal Cavaliere di bonificare
l'ufficio. Una patacca. Ma intanto il parlamento si addobba in assetto di guerra contro il Grande
Fratello Togato. Il 18, anche la procura generale di Brescia si accorge (dopo due anni!) che
Salamone è animato da "grave inimicizia e pervicace odio privato" nei confronti di Di Pietro, e
lo esautora definitivamente. Il 23, un altro ex maresciallo, Felice Corticchia, corre a Brescia a
puntellare le accuse dell'amico Strazzeri: aggiunge che Di Pietro molestava sessualmente una
giornalista (che smentisce e lo denuncia a Milano per calunnia). Il 30, è il gran giorno del Gico,
che recapita a La Spezia il suo rapportone contro Di Pietro: mille pagine per accusare lui di
"attività favoreggiatrice e/o concussiva" nei confronti di Pacini, e tutto il pool di aver "coperto"
il finanziere: mancano ancora 35 bobine su 42, e le sette già trascritte sono un pò incomplete,
prive dei passaggi che scagionano Di Pietro e il pool, Pacini nega di aver mai pagato una lira, i
pm milanesi ricordano di averlo interrogato 20 volte, chiesto undici rinvii a giudizio, inoltrato
50 rogatorie. Ma questi sono tutti dettagli. Intanto il procuratore di Grosseto, Pietro Federico,
va a raccontare a Brescia che Pacini gli confidò che Gherardo Colombo era corrotto "come gli
altri". Negli stessi giorni una misteriosa testimone riferisce a Borrelli che a Roma qualcuno ha
cercato di fabbricare un conto estero per attribuirne la disponibilità a Colombo. E' un déjà vu,
come sappiamo: Licio Gelli ha fatto scuola.
NOVEMBRE. Berlusconi, in vena di garantismo, si domanda perché Di Pietro non sia ancora
"nelle patrie galere". E' l'indomani, giorno 6, il capo del Gico fiorentino colonnello Giuseppe
Autuori - quello dell'Autoparco - s'improvvisa pm in un'intervista a REPUBBLICA: "Abbiamo
riscontri incontrovertibili, la prova si vede a occhio nudo, manca solo il numero del conto
corrente (di Di Pietro). E' questione di giorni, forse di settimane, ma come si fa a non firmare
un avviso di garanzia per Di Pietro? A Milano, per molto meno, gli indagati li mettevano in
galera o addirittura li facevano suicidare". Viene subito trasferito a Bologna, ma il capo dello
Scico, generale Mario Iannelli, minimizza: "Un piccolo errore dovuto allo stress". E due giorni
dopo, intervistato dal CORRIERE, Autuori insiste: "Credete davvero che a Milano l'unico giudice
discutibile fosse Curtò?". Verrà subito accontentato. Di Pietro è iscritto sul registro degli
indagati per corruzione e concussione, l'una vale l'altra: avrebbe costretto Pacini a versare 15
miliardi a D'Adamo, per poi incassarne 5 in combutta con Lucibello. Il 14, Di Pietro si dimette
da ministro. Il 15, Brescia, che erediterà l'inchiesta spezzina su di lui, riapre il caso Autoparco,
avendo finalmente ricevuto il dossier Autuori del 1995. Su dodici pm bresciani, nove indagano
su Di Pietro. Il 22, Eleuterio Rea rivela al CORRIERE che "personaggi importanti mi hanno
offerto soldi per inguaiare Antonio". Il 23, Berlusconi annuncia di aver raccolto casualmente
"notizie agghiaccianti" su Di Pietro e il pool: roba da mettere "a rischio la democrazia" e che
"verrà fuori tra non molto tempo". Sulle prime sembra un caso di divinazione. Poi si scopre
che, prima di andare a Brescia, i due marescialli Strazzeri e Corticchia erano passati da Arcore
via Emilio Fede. Migliorando sensibilmente il loro tenore di vita. Il 26, Borrelli testimonia a
Brescia sulle dimissioni di Di Pietro e conferma che fu Di Pietro ad insistere per l'invito a
comparire a Berlusconi ("Quello, al processo, lo sfascio io"). L'ha già detto Di Pietro a verbale,
lo sanno tutti, ma la cosa passa per una notizia clamorosa, la prova del Generale Complotto.
Berlusconi - aspirante superprocuratore, sempre più forcaiolo - si prenota per un nuovo giro
chez Tarquini: "Ho raccolto varie testimonianze, sono ben disposto a riferirle, e forse quando
l'avrò fatto si potrà decidere sull'amnistia o sul condono". Il mese si chiude con l'ennesimo
smacco per i pm bresciani: il gip vieta nuove intercettazioni perché, su Di Pietro, non esistono
indizi di colpevolezza.
DICEMBRE. La procura di Brescia apre una nuova indagine su Di Pietro per abuso d'ufficio:
avrebbe salvato Necci nell'inchiesta Enimont e Pacini nel caso Cooperazione. L'indomani,
giorno 4 Craxi profitta della generosa ospitalità di Bruno Vespa per chiedere indagini "sul
bottino di Di Pietro". Il 6, accontentato: Brescia ordina 68 perquisizioni a 256 uomini del Gico
e dello Scico contro Di Pietro. Un blitz che nemmeno per Totò Riina... Si scava anche nel pozzo
di Montenero di Bisaccia, invano. L'8, il rapporto del Gico a La Spezia finisce sul CORRIERE e
diventa un FEUILLETON a puntate, con una raffica di accuse a Tonino "o' concussore" e al pool
che "copriva" questo e quello. L'11, il memoriale Strazzeri esce integralmente sul TEMPO. Il
12, i forzisti del Csm chiedono il trasferimento in blocco del pool per incompatibilità ambientale
e una terza ispezione a Milano. Il 13, IL GIORNALE intervista Strazzeri. Il 18, il Gico
perquisisce l'ufficio di Di Pietro a Castellanza. Il 19, Berlusconi riferisce a Brescia i "particolari
agghiaccianti" e denuncia il pool per violazione dell'articolo 289, mentre il Gico è in trasferta a
Roma per perquisire il ministero dei Lavori Pubblici: si indaga anche sul Di Pietro ministro, che
sarebbe entrato nel governo apposta per favorire D'Adamo nell'appalto dell'interporto di
Lacchiarella. Si scoprirà poi che l'appalto è di competenza del ministro dei Trasporti, ma è un
altro dettaglio. Il 27, il Tribunale della libertà dichiara "illegittimo" il blitz del 6 dicembre,
smonta le accuse a Di Pietro e demolisce il rapporto del Gico. Ma il capo dello Scico, generale
Iannelli, avverte: "Nel rapporto del Gico ci sono omissis che potrebbero far considerare la
vicenda sotto un altro aspetto". A Roma intanto crolla l'ennesima bufala: archiviata l'inchiesta
su Di Pietro per presunto uso privato di aerei dei servizi segreti.
1997
GENNAIO. Mentre la Bicamerale si mette all'opera per inserire in Costituzione alcune idee
guida di Gelli e Craxi, il bufalificio torna in attività dopo la pausa natalizia. A Genova un pugno
di carabinieri a delinquere, ex collaboratori di Tiziana Parenti, e uno strano pentito preparano
l'assalto alla Bocassini. IL FOGLIO, in mancanza di meglio, rilancia la montatura craxiana della
falsa laurea di Di Pietro. A puntate.
FEBBRAIO. Il giorno 1, vengono arrestati a Brescia Strazzeri e Corticchia per calunnia
pluriaggravata ai danni di Di Pietro e del pool, fra gli strepiti di Berlusconi e del Polo. Il 2, la
Parenti invoca ispezioni a Milano e Brescia. L'8, il pool ottiene un nuovo mandato di cattura per
Corticchia: avrebbe tentato di costringere una giornalista ad accusare Di Pietro di molestie
sessuali "per assicurare l'impunità a Berlusconi". Si scopre pure che Corticchia, da povero in
canna che era, aveva ricevuto 260 milioni, usava telefonini della Mediaset e andava e veniva
da Arcore. L'11, IL FOGLIO ricicla il dossier Mach di Palmstein e le vecchie accuse a Di Pietro
sull'informatizzazione. Il 13, viene arrestato a Perugia il colonnello della Finanza Giangiacomo
Bausone per corruzione: troppo occupato con Di Pietro, il Gico s'era scordato di segnalare le
sue ipotesi di reato alla procura di La Spezia. Il 19, crolla miseramente la bufala del falso
"passi": un agente in servizio a Palazzo Chigi riferisce di averlo regolarmente compilato lui per
la visita di Berruti all'allora presidente del Consiglio.
MARZO. Il 7, i giornali montano il "caso" di "Scalfaro intercettato dal pool": si tratta in realtà di
una telefonata del '93, priva di qualunque rilevanza penale, tra il presidente ed un inquisito
della Banca Popolare di Novara. Era quest'ultimo, non il presidente, ad essere "ascoltato"; e
per iniziativa del pm Luigi Orsi, che col pool non c'entra nulla. Ma per una settimana non si
parla d'altro. Cossiga, Mancuso e persino Salvi accusano Borrelli di "violazione costituzionale".
Il 14, Pacini compare in tribunale e ripete ancora una volta: "Mai dato una lira a Di Pietro, mai
avuto favori dal pool": Il 26, la Cassazione dà ragione a Tribunale della libertà e non torto alla
procura bresciana: le perquisizioni del 6 dicembre non andavano fatte, per "insussistenza" dei
reati attribuiti a Di Pietro.
APRILE. I pm di Brescia chiedono il rinvio a giudizio di Di Pietro: falso ideologico, per quei
verbali soltanto firmati. Boato vara la sua prima bozza anti-giudici alla Bicamerale.
MAGGIO. Il giorno 10, il comitato servizi segreti presenta la relazione sul dossier Achille,
denunciando bugie dei vertici del Sisde e sparizioni di documenti: in una scheda, si parla
persino di "appartenenza a logge massoniche coperte di magistrati di Milano", e qualche
giornale ci inzuppa il pane. Il 15, la procura di Brescia chiede la proroga dell'inchiesta Pacini-
D'Adamo: ora si parla di un telefonino di Pacini usato da Di Pietro. Pacini smentisce. Francesco
Greco critica il governo dell'Ulivo, che risponde con un procedimento disciplinare. Il 31,
Berlusconi è di nuovo in tournée a Brescia per consegnare dopo un anno e mezzo il dossier
FINDUS del suo ex socio D'Adamo. Ma ben altre carte stanno arrivando dalla Svizzera: quelle
sui conti di Previti, nel mirino della Bocassini. Bisogna sistemare anche lei.
GIUGNO. E' il mese del "caso Bocassini". Così, almeno, i giornali chiamano il caso Parenti. Il
giorno 6, finisce dentro il colonnello Riccio, seguito a ruota dal maresciallo Angelo Piccolo, già
collaboratore e "amico" della Titti: dieci anni fa, quando la ragazza lavorava alla procura di
Savona, i due avrebbero messo su una raffineria di droga nella caserma dell'Arma. E Piccolo,
durante la latitanza, avrebbe beneficiato dell'ospitalità dell'amica - ora deputata forzista -
nella sua casa romana. Ma non è questo a fare scandalo sui giornali e nel Palazzo. Fanno
scandalo gli strilli della Parenti, che denuncia la Bocassini per aver offerto mezzo miliardo al
pentito Veronese per "toglierla di mezzo" con storie di droga. Fa scandalo una telefonata di
Borrelli ai colleghi di Genova, per avere lumi sulle accuse al suo pm. Fa scandalo il tailleur
indossato un certo giorno dalla Ilda. Fa scandalo la presunta intercettazione sui telefoni di casa
Parenti (in realtà, era controllato il telefono di casa Piccolo, non ancora coperto da immunità
parlamentare). La storia dei 500 milioni al pentito viene smentita dallo stesso pentito. E sorge
il sospetto che Riccio & C. abbiano costruito quella montatura per coprire le proprie e altrui
vergogne. Ma ecco un nuovo "scandalo": il giorno 11, il vicepresidente del Csm Carlo Federico
Grosso (Pds) se la prende con Colombo e la Bocassini perché avrebbero taciuto ad una sua
domanda su eventuali impedimenti alla nomina a procuratore generale di Roma di Vittorio
Mele, autorizzando il sospetto che sul suo conto esistessero indagini. In effetti, a Milano si
indaga da tempo sulle agende del faccendiere Giancarlo Rossi, nelle quali compariva pure il
nome di Mele. Prontamente, il giorno 12, i forzisti La Loggia e Pera chiedono un'azione
disciplinare contro Borrelli, Colombo e la Bocassini. Il 15, salta fuori un vecchio biglietto inviato
nel '93 da Di Pietro a Ghitti per chiedergli l'arresto del manager Mario Maddaloni, con la
risposta di Ghitti che gli consigliava di cambiare capo d'imputazione, Scandalo dei gip
"appiattiti" sui pm. Tutta manna per i bicameralisti, impegnati a separare le carriere dei
magistrati. Piccolo particolare: la richiesta di Di Pietro fu respinta da Ghitti.
LUGLIO. Giorno 1, riecco la Parenti agitatissima nell'ennesima conferenza stampa sul caso
Riccio: "Ho denunciato la Bocassini per calunnia". Ilda è indagata a Brescia. Giorno 4,
Berlusconi: "Un normale cittadino, al posto di Di Pietro, sarebbe già in galera". Giorno 8:
quaranta deputati forzisti chiedono l'azione disciplinare e addirittura "la sospensione" per la pm
Bocassini. Giorno 11: Previti chiede l'estromissione della Bocassini dalle inchieste che lo
riguardano. Intanto, il 1° luglio, Antonio D'Adamo è corso a Brescia a confermare il memoriale
FINDUS: la Dedra, il telefono, i 100 milioni, la garçonnière non erano prestiti ad un amico o a
sua moglie (che era pure il suo legale), ma il prezzo per i favori processuali di Di Pietro a
Radaelli e Prada (che Di Pietro fece arrestare nel '92); e quei 15 miliardi di Pacini - ricorda ora
D'Adamo in un soprassalto di memoria - gli vennero per intercessione di Tonino. Il 16, la
procura di Genova chiede l'archiviazione della denuncia della Parenti contro la Bocassini. Il 17,
Di Pietro si candida per il Pds nel Mugello. Il 18, PANORAMA sbatte in copertina una vecchia
foto che lo ritrae su un divano con una bella ragazza, sotto la scritta "Il grande scroccone", e
delizia i lettori con un gadget d'eccezione: "Attentato al governo Berlusconi. Articolo 289 codice
penale", ultima fatica di Giancarlo Kehner MADE IN HAMMAMET. Il 19, trapela da Brescia la
notizia che forse Di Pietro intascò da D'Adamo i 5 miliardi e rotti di Pacini per finanziare il suo
movimento politico. Il 21, il sindaco polista di Milano Gabriele Albertini reintegra nello stipendio
il condannato e plurinquisito Rea, affidandogli il comando del servizio Igiene e sanità. Subito
dopo il buon Eleuterio, rinfrancato ed assistito da un avvocato di Forza Italia, si ricorda
fulmineamente di alcuni particolari agghiaccianti di dieci anni fa sul conto di Di Pietro. E il 31,
preceduto da un profetico articolo del FOGLIO, corre a raccontarli alla procura di Brescia (dove
Salamone ha appena ricevuto un avviso di garanzia per mafia, da Caltanissetta). Di Pietro -
rivela Rea - salvò Radaelli nel 1989 (salvo poi arrestarlo nel '92), e Borrelli mentì al tribunale
di Brescia quando disse di aver saputo da Di Pietro (e non da Poppa) la storia del prestito di
Gorrini a Tonino. Risultato: Di Pietro di nuovo indagato per abuso d'ufficio. Essendo i fatti del
1989, il reato sarebbe comunque prescritto dal 1994, ma chi se ne importa. Berlusconi intanto
entra trionfalmente in Europa: è indagato in Spagna per frode fiscale e violazione dell'antitrust
televisiva. E, con grande fantasia, tuona contro i pool di Milano che piloterebbe le togas rojas
madrilene.
AGOSTO. Il parlamento approva la riforma dell'articolo 513, da un'idea di Cesare Previti. Il 18,
L'ESPRESSO rivela che Di Pietro aveva preventivamente denunciato Rea per essersi fatto
"comprare" dai BERLUSCONES in cambio delle nuove rivelazioni. IL GIORNALE replica il 19,
intervistando nientemeno che l'autista di D'Adamo, depositario di agghiaccianti segreti che
però non dice. Il 25, Sandro Curzi, rivale di Di Pietro al Mugello, rivela elegantemente di aver
ricevuto dossier anonimi sul suo conto. PANORAMA, attivissimo nella riabilitazione di Andreotti,
Contrada e Carnevale e nella demolizione di Falcone e Caselli, "fanatico da brivido" raccogli
lampi di memoria di Rea: "Fu Borrelli a costringere Tonino alle dimissioni". Una patacca che,
almeno, ha il pregio dell'originalità.
SETTEMBRE. Tempi duri, per il partito della bufala. Il giorno 1, la corte d'Appello di Brescia,
confermando il proscioglimento di Di Pietro per le pretese concussioni ai danni di Gorrini,
ricorda che le accuse dell'assicuratore non erano proprio genuine, visto che tendevano ad
ottenere soldi e favori da Paolo Berlusconi e Sergio Cusani. Il giorno 2, la procura di Perugia
demolisce il lavoro di taglia e cuci del Gico di Firenze che, ad un anno e mezzo dalle
intercettazioni, non ha ancora trascritto integralmente le bobine, mentre le poche trascritte
sono piene di errori. Il 3, il pool di Milano chiede alla Camera il permesso di arrestare Previti,
proprio mentre il Polo e mezzo Ulivo ripartono all'assalto di Caselli saltando in groppa al
tenente Carmelo Canale, assistito dall'avvocato Taormina e gentilmente ospitato dalla
commissione Antimafia per seminare veleni sui pentiti e i giudici di Palermo e dare una mano a
Dell'Utri, Andreotti e Berlusconi. Poi gli assaltatori ripiegano su Milano, per salvare il povero
Previti. O meglio, il "il primato della politica".
La morale della favola è affidata a Vittorio Feltri
(prima dell'ingaggio berlusconiano):
* "Caro Di Pietro, è meglio che si riguardi. Le faranno la guerra con disonestà, che è la loro
arma migliore... Già hanno detto che lei è manovrato di Tizio, Caio e Sempronio... che lei fa il
gioco oscuro di oscuri golpisti... che lei è un esaltato e agisce non per spirito di giustizia, ma
per farsi bello con le folle... Ora diranno che lei in fondo non è uno stinco di santo e
troveranno qualche calunniatore disposto a buttare lì qualche pettegolezzo velenoso... Se
riescono a smontare lei, smontano anche l'inchiesta. La sua fortuna è di essere bravo e libero:
cioè invidiato". (Vittorio Feltri, L'INDIPENDENTE, 15 giugno 1992).
* "Che i giudici mirassero non a moralizzare bensì a condizionare la politica è una menzogna.
Onorevole Craxi, cosa vuole che importi a Di Pietro delle finalità politiche. I giudici lavorano
tranquilli, in assoluta serenità: sanno che i cittadini sono dalla loro parte. Come dalla loro parte
siamo stati noi, sempre" (Vittorio Feltri, L'INDIPENDENTE, 16 dicembre 1992).
* "Delegittimando i pentiti, gli imputati dei processi di mafia si assicurano l'impunibilità...
Svalutare la deposizione di chi ha commesso un reato e si è ravveduto significa smantellare
interi castelli accusatori. Ecco perché i socialisti sono tra quelli che urlano con maggior vigore
contro i pentiti... Nelle deposizioni dei pentiti (che non vanno scambiati per oracoli, ma
neppure respinti a priori, e sottoposti a meticolose verifiche) vi saranno forzature e falsità, ma
non solo quelle. E' impossibile che tutto il castello accusatorio su Andreotti sia parto della
fantasia (malata o remunerata) dei picciotti passati dalla piovra alla Giustizia" (Vittoio Feltri,
L'INDIPENDENTE, 4 dicembre 1992 e 21 aprile 1993).
Sante parole!.