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    Predefinito Juan Domingo Peròn e la rivoluzione cubana

    Pubblichiamo il saggio di due esponenti del peronismo radicale: Javier Iglesias e J. C. Benedetti

    Juan Domingo Peròn e la rivoluzione cubana

    Il presente lavoro prende in esame uno degli aspetti meno conosciuti della storia del peronismo: l'influenza che le teorie di Peròn ebbero rispetto alle forze che realizzarono la rivoluzione cubana nella decade 1940-1950 e in specie su Fidel Castro e sul nascente movimento insurrezionalista. Il saggio è un anticipo di un più esteso lavoro trattante non solo sull'influenza delle idee peroniste sulla rivoluzione cubana ma anche sulla successiva gravitazione del castrismo trionfante ('59) attorno al peronismo della resistenza e dell'esilio.
    Il tema può apparire solo storico, ma il nostro vero obiettivo è, essenzialmente, politico: intendiamo riscattare in tutta la sua integrità rivoluzionaria, anti-oligarchica e antimperialista quel gigante libertario che fu Juan Domingo Peròn il cui messaggio di liberazione e giustizia ha spaziato oltre le frontiere argentine per assumere una dimensione continentale, con rilevanti ricadute su tutte le lotte di liberazione del cosiddetto Terzo Mondo. Peròn è storicamente un rivoluzionario, non certo il leone sdentato che pretendono di proporre i transfughi liberal-menemisti postisi al servizio dello stesso imperialismo contro il quale Peròn, senza soluzione di continuità, ha combattuto. Allo stesso modo poco e nulla vi è di peronista in certo neo-giustizialismo «rosa» e socialdemocratizzante che, sebbene critico delle innegabili devianze di Menem, coincide con le idee reazionarie di quanti sono intenti nella costruzione di uno pseudo-peronismo, piccolo borghese e intellettualoide spurgato di tutti i contenuti nazionali, proletari, popolari, terzomondisti e rivoluzionari.
    A fronte delle commistioni imperialiste e riformiste che caratterizzano i rappresentanti dal centrosinistra argentino e i falsi nazionalismi degli anti-peronisti opponiamo la ferma convinzione nei valori rivoluzionari del terzerismo anti-colonialista. La bancarotta delle dittature burocratico-comuniste dissoltesi con l'Unione Sovietica e il trionfo del blocco imperialista guidato dai super-banditi statunitensi è la conferma della tesi, per noi fondamentale, che l'unico anticapitalismo possibile è rappresentato dal movimento nazionale e popolare della "Terza Posizione". Ricordare il messaggio rivoluzionario di Juan Domingo Peròn è, riaffermando la sua valenza attuale, rammentare anche l'influenza del Giustizialismo sulle prime fasi della rivoluzione castrista cubana come abbiamo avuto modo di sottolineare in passato: «L'evolversi della situazione cubana può trovare il suo riscontro con la Grande Patria latino-americana se questa, prescindendo dalle vecchie formule marxiste, rialzerà di nuovo la bandiera del nazionalismo rivoluzionario terzerista del castrismo iniziale. La fine dell'impero comunista anticipa la crisi di quello capitalista. Ogni popolo deve lottare per la propria emancipazione nazionale e, al tempo stesso, stabilire relazioni solidaristiche con le altre nazioni oppresse dall'imperialismo, dall'ingiustizia e dalla reazione».

    Introduzione

    Il 26 luglio '53 il movimento castrista ottiene l'attenzione della stampa internazionale in occasione dell'assalto alla Caserma Moncada. Un'azione di guerriglia il cui scopo è quello di suscitare interesse sulla situazione cubana e sul massacro, ad opera della polizia del dittatore Batista, di un centinaio di combattenti rivoluzionari e semplici oppositori. La reazione degli apparati repressivi è furibonda: la cruenta repressione costringe vari guerriglieri fidelisti a cercare scampo all'interno dell'Ambasciata argentina. È il caso, ad esempio, di Raul Martìnez Araràras e Antonio Lòpez responsabili dell'attacco, contemporaneo a quello della Moncada, alla caserma del Baymo allo scopo di impedire a questa guarnigione, forte di oltre 400 soldati, di accorrere in soccorso di quelli attaccati dal gruppo di Fidel.
    Nell'Ambasciata argentina de L'Avana trovano altresì asilo numerosi sindacalisti del quotidiano ufficiale "Alerta" e altri dirigenti politici sospettati di essere tra i maggiori responsabili dell'operazione guerrigliera. Ci riferiamo a Josè Pardo Llada, dirigente del Partito del Popolo Cubano «Ortodoxo» in cui milita Fidel Castro, il futuro combattente della Sierra Maestra che, a quel tempo, è uno dei maggiori simpatizzanti del peronismo nell'Isola caraibica e già autore di diversi scritti nei quali si esalta il Terzerismo giustizialista.
    L'evidente solidarietà del governo peronista rispetto ai combattenti anti-batistiani contrasta con la posizione di alcuni gruppi suppostamente «antidittatoriali», «anti-imperialisti» e «rivoluzionari»: i comunisti filo-sovietici cubani del Partito Socialista Popolare, per citare solo un esempio, condannano, nella "Carta de la Comisiòn Ejecutiva Nazional del PSP a todos los Organismos del Partido" (30 agosto '53), il castrismo definendo l'assalto alla Moncada un atto «avventurista, golpista e disperato; caratteristica azione di una piccola borghesia compromessa col gangsterismo». Solo nel luglio '58, pochi mesi prima del trionfo finale, i comunisti cambiarono posizione salendo sul carro del vincitore.
    Il rapporto tra la guerriglia castrista e l'Argentina peronista non sarà per nulla sporadico tanto che Carlos Franqui, militante della prima ora, dirigente della guerriglia, sia nei centri urbani che nella Sierra Maestra, segretario organizzativo del Comitato in Esilio del Movimento 26 luglio e, dopo la vittoria fidelista direttore del quotidiano ufficiale "Revoluciòn", in un suo libro ricorda che «almeno ai princìpi degli anni '50, Fidel Castro, simpatizzava con il peronismo antimperialista». Si tratta, come vedremo, di un'attitudine per niente estemporanea e basata su contatti organici e su rapporti politici concreti.

    L'esempio della rivoluzione peronista

    Sebbene non sia tra i nostri scopi analizzare in profondità la Rivoluzione peronista del 1945-'55, non si può comprenderne l'influenza da essa esercitata sulla nascita del castrismo senza collocare questa esperienza nel più ampio contesto latino-americano dell'epoca.
    Il peronismo prende il potere e lo consolida in conflitto totale con l'imperialismo statunitense e le oligarchie locali a questo associate. Lo slogan«Braden o Peròn» con il quale nasce il Movimento Nazional Popolare, del quale Peròn è subito leader, ne dimostra il suo carattere antimperialista, e che non sia un anti-imperialismo retorico lo dimostrano alcune semplici cifre: il capitalismo multinazionale che nel '45 era il 15,4% del totale nazionale argentino nel '55 era stato ridotto al solo 5,1%. I profitti delle multinazionali che negli anni 1940/'45 assommavano a 382 milioni di dollari annuali (del tempo!) si erano ridotti nel '55 a meno di 34 milioni. Le nazionalizzazioni dei mezzi di comunicazione, dei trasporti, del sistema finanziario e delle assicurazioni, del commercio estero, furono gli strumenti, uniti ad una energica politica di industrializzazione per limitare le importazioni, indispensabile per raggiungere l'indipendenza economica base imprescindibile della sovranità nazionale e della giustizia sociale.
    Contraddicendo quanti affermano la necessità dell'apporto del capitale straniero -in questo caso principalmente inglese e nordamericano- per i paesi a «sovranità limitata» del Terzo Mondo, l'indipendenza economica si caratterizza, nella prassi peronista, quale garante di un processo di crescita senza eguali nel nostro paese. Le cifre lo dimostrano: tra il '46 e il '55 la produzione nazionale passa da 164 milioni di Pesos a 277 milioni, con una crescita superiore al 12% annuale. Nello stesso periodo il prodotto congiunto dell'industria manifatturiera, dei servizi energetici, dei trasporti e comunicazioni passano da 224,1 milioni di Pesos a 324,5 milioni, un incremento superiore al 30% se confrontato con la decade precedente ('35/'45).
    Con ciò si spiega come l'Argentina peronista, a differenza dei paesi capitalisti, godesse in quel periodo di prosperità e piena occupazione. Indipendenza economica e sovranità politica, d'altra parte, ebbero grandi ripercussioni su tutto il popolo lavoratore cosa mai accaduta prima nella storia del nostro Continente.
    L'occupazione nei settori salariati passò dal 44,1% al 57,4% (attualmente non è molto sopra il 20%) e i salari reali passarono da un indice 100 nel '45 a un indice 164,7 nel '55. Alla ricaduta di benefici diretti vi sono da aggiungere quelli non meno palpabili dei benefici indiretti: opere sociali, ferie pagate, saldo annuale straordinario («aguinaldo»), colonie per le vacanze, assistenza sociale diretta tramite la "Fondazione Eva Peròn", costruzione di scuole e ospedali (nel '46 gli ospedali argentini disponevano di 15.400 camere che nel '51 erano già diventate 114.000), assistenza medica gratuita, scuole tecniche, università nazionali, contenimento dei prezzi, lotta all'analfabetismo crollato, in dieci anni, dal 15 al 3,9%, etc.

    Lo Stato sindacalista

    Tutto questo, evidentemente, colpisce la fantasia dei numerosi rivoluzionari anti-imperialisti latino-americani; anche tenendo conto che Peròn insiste nel dire che questo è solo l'inizio: il «principio» di una rivoluzione più profonda. Ed il 10 maggio '52, infatti, Peròn proclama: «Per il capitalismo il reddito nazionale del capitale appartiene ineludibilmente ai capitalisti; il collettivismo sostiene che il reddito nazionale prodotto dal lavoro comune appartiene allo Stato, perché lo Stato è proprietario totale e assoluto del capitale del lavoro. La dottrina peronista afferma che il reddito del paese è prodotto dal lavoro ed appartiene, per questo, ai lavoratori che lo producono ed è quindi conseguenziale che i lavoratori acquisiscano progressivamente la proprietà e la gestione diretta dei beni capitalistici e della produzione, sia nel commercio che nell'industria, anche se questo processo per forza di cose sarà lento e graduale».
    Si tratta, come scriverà uno studioso del fenomeno peronista, di prospettive largamente imparentate con il Sindacalismo Rivoluzionario: «Diversamente dal socialismo marxista, il peronismo, si nutri e adottò le idee fondamentali dell'anarco-sindacalismo italiano, francese e spagnolo del quale vi era una non trascurabile tradizione nel "gremialismo" argentino. Si tratta qui di due esigenze: a) diretto protagonismo politico del sindacato (non attraverso la mediazione di un partito) sugli interessi generali quale strumento di azione; b) l'obiettivo di amministrare direttamente i mezzi di produzione. Già il Congresso sindacale di Amiens (1906) aveva proclamato: «il sindacato attualmente è solo un centro di resistenza, ma nel futuro sarà responsabile della produzione e della distribuzione della ricchezza che sono alla base dell'organizzazione sociale».
    Questa similitudine è palpabile allorché Peròn definisce lo Stato Giustizialista del futuro come uno «Stato sindacalista» giacché: «Qui si viene dimostrando come il cammino, diciamo così, della teoria, dentro il politico e il sociale del mondo, si trova in uno stato di transizione. Noi siamo a cavallo di questa evoluzione, questo è il mio concetto. Abbiamo la metà sopra il corpo sociale e l'altra metà sopra il corpo politico. Il mondo si spacca tra politico e sociale. Noi non stiamo decisamente né in un campo né nell'altro, stiamo assistendo alla fine dell'organizzazione politica e all'affermarsi dell'organizzazione sociale (...) Io non posso abbandonare il partito politico per rimpiazzarlo col movimento sociale. Tantomeno però posso rimpiazzare il movimento sociale con quello politico. Al momento tutte due sono indispensabili. Se questo processo continua, noi aiuteremo questa evoluzione. Quando giungerà il momento propizio noi faremo un funerale di prima classe, con sei cavalli, al partito politico e creeremo un'altra organizzazione. Stiamo andando verso lo Stato sindacalista, tutti lo tengano presente».
    L'importanza dell'organizzazione sindacale nello Stato e nel Movimento peronista, del quale esso è la «colonna vertebrale», l'esistenza di ministri, deputati e governatori operai, il ruolo dei sindacati nella costituzione delle provincie; la sindacalizzazione (con l'acquisizione delle proprietà da parte dei sindacati dei lavoratori) delle birrerie Bemberg e del quotidiano "La Prensa", sono chiari segnali che nel '60 Peròn si periterà di definire quale «socialismo nazionale e umanista», come dire: il socialismo sindacalista autogestionario di liberazione nazionale della Terza Posizione.

    Il nazionalismo rivoluzionario cubano

    Grande è l'influenza esercitata dalla Rivoluzione peronista in America Latina, ma è soprattutto a Cuba che il fenomeno giustizialista dispiega tutta la sua forza suggestiva, tanto che nel '56 un articolo sulla rivoluzione castrista asserisce che «Cuba è il fuoco peronista che arde nel Caribe». Questa affermazione è l'eco della congiunzione nell'isola caraibica di due fattori: la presenza diretta del prepotente capitalismo statunitense ed il carattere apertamente controrivoluzionario del comunismo pre-castrista cubano.
    Rispetto alla presenza statunitense è importante ricordare che Cuba fu l'ultimo Paese latino-americano a raggiungere l'indipendenza, liberandosi dal dominio spagnolo (1898) grazie soprattutto alla presenza di truppe USA approdate nell'Isola in virtù del mai chiarito attentato alla nave Maine. Il carattere coloniale di questa Cuba, suppostamente "indipendente", è confermato dalla «carta costituzionale» in cui viene incluso (giugno 1901) il famigerato «emendamento Platt» (dal nome del suo estensore Orviolle Hitchcock Platt, senatore del Connecticut) che afferma esplicitamente: «Cuba consente che gli Stati Uniti possano esercitare il diritto di intervenire per la difesa dell'indipendenza cubana e per il mantenimento di un governo adeguato per la protezione della vita, della proprietà e della libertà individuale».
    A fronte dell'espansionismo yanqui, già denunciato da patrioti come Josè Martì Ho vissuto dentro il mostro e ne conosco le viscere») sorge un nazionalismo antimperialista intransigente, come scrive il prof. Robert F. Smith, del Texas Lutheran College, nella sua opera "The USA and Cuba", ma già nel giugno '22 (non nel '59 o nel '60!) un quotidiano de L'Avana aveva titolato su otto colonne, in prima pagina: «L'odio per gli USA sarà la religione per i Cubani».
    Quando per contenere le spinte antimperialiste gli USA utilizzeranno la sanguinosa dittatura del presidente del Partido Liberal, Gerardo Machado ('24-'33), l'opposizione patriottica e popolare sarà obbligata a far ricorso alla resistenza armata, al terrorismo individuale, al sabotaggio e alla cospirazione insurrezionalista. È in questa esperienza di nazionalismo rivoluzionario che va ricercata, a nostro avviso, non certo nel marxismo, l'etica del castrismo.

    Il nazionalismo cubano di fronte al comunismo

    Nel settembre '33 una strana mobilitazione delle masse popolari, rivolta generalizzata e contemporaneo sollevamento militare, pone termine alla dittatura di Machado e conferisce il potere ai rappresentanti del nazionalismo rivoluzionario.
    Ramon Grau San Martìn e, soprattutto, Antonio Guiteras fautore, quest'ultimo di una rivoluzione nazionale antimperialista avente lo sbocco finale in un socialismo autoctono che, come recita il suo programma, non era «una costruzione politica capricciosamente immaginata ma una deduzione nazionale basata sulle leggi della dinamica sociale».
    Questo governo è, sin dal suo esordio, combattuto dalle forze pro-capitaliste statunitensi ed anche dai comunisti indigeni che organizzano ed armano, in diverse province dell'Isola, numerosi «soviets» allo scopo dichiarato di scalzare il «governo borghese».
    La sedicente ultrasinistra filo-sovietica combatte un governo popolare dichiaratamente antimperialista in base ad un accordo, raggiunto in piena insurrezione anti-machadista (agosto '33) dai dirigenti comunisti Cèsar Vilar e Vicente Alvarez che hanno promesso a Machado di sospendere l'insurrezione in cambio del riconoscimento ufficiale del CONC, i sindacati cubani.
    Avviluppati nella logica della «classe contro la classe», indicata dall'Internazionale Comunista, gli stalinisti Caraibici considerano il «borghese» Machado più degno degli oppositori (impegnati contro di lui in una sanguinosa lotta), al solo scopo di ottenere particolari benefici per la loro parte politica ed essere pienamente legalizzati. Astiosamente, alcuni anni dopo, Fabio Grobart, fondatore del PC cubano, affermerà che l'ordine comunista di interrompere l'insurrezione non ottenne esito alcuno in quanto «gli uomini de L'Avana -che erano gli unici in grado di ottenere un risultato- eliminarono con un'azione ferma e decisa qualsiasi incomprensione sul carattere dell'insurrezione, sia nel partito che nel CONC, rettificando il momentaneo errore e si adoperarono affinché i lavoratori adottassero unanimamente la decisione dello sciopero generale perché Machado venisse estromesso dal potere».
    L'azione, come vedremo, risultò comunque esiziale per il governo nazionalpopolare in quanto essa determinò il miracoloso passaggio dei sostenitori di Machado nell'ultrasinistra comunista. Una vomitevole mistura che commise ogni sorta di angherie nei confronti dei patrioti cubani.

    La dittatura di Batista

    Approvando e attivamente partecipando all'alleanza tra destra reazionaria e stalinisti, volta a porre fine al governo Grau-Guiteras, il colonnello Fulgencio Batista si appropria del potere direttamente o per mezzo di presidenti fantoccio fin dal '39, cancellando ogni spazio democratico e costringendo le opposizioni alla lotta armata. È per questo che Grau San Martìn fonda il Partito Rivoluzionario «autentico», le cui basi ideologiche si richiamano a «varguismo, cardenismo e peronismo: al MNR boliviano, ad Acciòn Democràtica venezuelana». A sua volta Guiteras costituisce l'organizzazione rivoluzionaria politico-militare «Joven Cubs» con caratteristiche nazionaliste e socialiste. Il gruppo nazionalista influenzato dal fascismo segue operando militarmente con i settori insurrezionali del Partito «Autentico» costituendo numerose organizzazioni di combattenti (Unione Insurrezionale Rivoluzionaria, Organizzazione Autentica, Movimento Socialista Rivoluzionario).
    A questo blocco di opposizioni non aderisce il partito Comunista il quale, dal '38, seguendo la nuova linea «antifascista» della IIIª Internazionale, considera Batista suo possibile «alleato». Il ragionamento degli uomini di Mosca ha una sua logica: il fascismo europeo è il nemico principale dell'URSS, mentre gli Stati Uniti sono il possibile alleato, di conseguenza, i diversi governi filo-statunitensi, come quello di Batista, vanno sostenuti dai PC locali. Nel caso cubano questa strategia ottiene dei risultati evidenti: a) alla fine del '38 viene legalizzato il Partito Comunista cubano; b) il 25 luglio '40 il generale Batista, appoggiato apertamente dal PC cubano, ottiene una smagliante vittoria sul Partito «Autentico» ottenendo che la nuova costituzione democratica non entri in vigore prima del '43. Il trionfo batistian-comunista viene ottenuto con l'antico metodo dello scrutinio ristretto che permette di votare a meno della metà dell'elettorato; c) il 24 luglio '42, Batista, apre ai comunisti: entrano nel suo governo con l'incarico di ministri Juan Marinello e Carlo Rafael Rodrìguez. Sono i primi comunisti al potere in America Latina. Rodrìguez, paradossalmente, diverrà anche un influente esponente del governo castrista.
    Le prime elezioni libere avvenute nel '44 chiudono la parentesi batistian-comunista giacché il dottor Grau San Martìn ottiene uno strepitoso successo elettorale (oltre il 65%) ridicolizzando Salgarida, il candidato di Batista sul quale convergono anche i voti comunisti. Tutto ciò presuppone un evidente arretramento degli stalinisti cubani che, privati dell'appoggio statale, sono spazzati via dall'azione dei sindacalisti «autentici» o, semplicemente, dai gruppi insurrezionali che si opposero a Batista con atti di guerriglia sia contro la dittatura che contro i suoi alleati comunisti.

    Il giovane Fidel Castro

    Nel '45, anno della rivoluzione peronista, Fidel si iscrive all'Università dell'Avana ed inizia la sua attività politica. La sua naturale vocazione rivoluzionaria lo porta a simpatizzare con i gruppi insurrezionalisti -non smobilitati dopo la vittoria- del Partito «Autentico» che mantenevano certe caratteristiche nazional rivoluzionarie. Entra così nell'Uniòn Insurreccional Revoluzionaria di Emilio Tro. Secondo quanto affermano alcuni autori (Yves Guilbert, Pardo Llada, K. S. Karol) egli milita all'interno dell'UIR come «indipendente» per evitare di schierarsi col Movimento Socialista Rivoluzionario che, pur essendo parte dell'UIR, vuole sostituire Tro portando al vertice dell'organizzazione Mario Salabarrìa.
    Salabarrìa è precisamente la stessa persona che nel '47 organizza l'Ejèrcito de Liberacion de Amèrica, diviso in quattro battaglioni- rispettivamente denominati "Antonio Guiteras", "Màximo Gòmez", "Josè Martì", "Augusto Cèsar Sandino", con l'intenzione di invadere Santo Domingo, per abbattere la dittatura di Trujillo, e allo stesso tempo progetta di accendere un fuoco guerrigliero nel Nicaragua di Anastasio Somoza.
    Fidel Castro, insieme a Carlos Franqui, è parte di questa spedizione nonché uno dei pochi che riesce ad evadere, dopo tre mesi di prigionia, dal campo di concentramento di Cayo Confite, dove i rivoluzionari sono detenuti dall'esercito cubano timoroso delle reali intenzioni di questo numeroso gruppo armato. La prima azione che possiamo definire «armata» di Castro, anche se è solo una giovane recluta, è del tutto in linea con la prospettiva peronista. Lo storico K. S. Karol, parlando della spedizione di Santo Domingo, assicura che «essa ha ricevuto dal presidente argentino Peròn un apprezzabile regalo: 350.000 dollari e numerose armi di vario tipo». Dunque noi crediamo che se questo appoggio fosse reale -non esiste sulla circostanza alcun documento scritto e nessuna testimonianza del governo argentino che possa corroborare l'affermazione- ciò serve ad inquadrare quello che rappresentava il peronismo all'epoca: un movimento rivoluzionario di natura antimperialista, socialista e libertaria.

    Peròn e Fidel Castro

    Il primo contatto documentato tra castrismo e peronismo risale al principio dell'anno seguente. Il dirigente peronista Antonio Cafiero ricorda che si parlava di creare una federazione nazionale degli universitari peronisti: «Si intendeva organizzare un congresso, sia nazionale che latino-americano, degli studenti nazionalisti. Informato Peròn ed ottenuto il suo consenso, mi recai accompagnato da un dirigente cubano, Santiago Touriño Velàquez, a Santiago del Cile, Lima, Panama e L'Avana. I referenti politici erano scontati: Albizu Campos, Haya de la Torre, Arnulfo Arias. Nel marzo '48 andammo a L'Avana e a una delle nostre riunioni assistette Fidel Castro. I miei interlocutori, specie Touriño, mi informarono sulle propensioni radicali di Fidel (...) Touriño, che attualmente vive in esilio, lo descrisse come una figura singolare. Non parlai direttamente con lui ma pochi giorni dopo Castro partecipò insieme agli altri studenti cubani alla conferenza di Bogotà».
    Sulla partecipazione di Castro al congresso latino-americano degli studenti peronisti, ed alle riunioni preliminari, molte informazioni vengono dal dirigente cubano Pardo Llada: «Alla fine del marzo '48 arrivò a L'Avana il senatore argentino Diego Luis Molinari, che si faceva chiamare Luis Priori, con l'incarico di delegato dell'Ambasciata argentina. Questi stabilì contatti con i principali dirigenti universitari cubani e li invitò a partecipare ad una conferenza anti-colonialista a Buenos Aires, nella quale si sarebbe, tra le altre cose, reclamata l'indipendenza delle isole Malvinas. L'ambasciatore peronista si incontrò col presidente del FEU Alfredo Olivares e con il segretario di questo organismo, il comunista Alfredo Guevara appena tornato a Mosca dove si era recato per curarsi, almeno così sosteneva, una malattia ai polmoni. Entrambi si recarono a Bogotà, parlando alla nona conferenza americana, per propagandare il congresso anti-colonialista di Buenos Aires, convocato da Peròn per i primi giorni di maggio. Anche Castro raggiunse Bogotà per unirsi alla delegazione. L'incontro con l'ambasciatore di Peròn avvenne all'Hotel Nacional nel quale Peròn era giunto accompagnato da Rafael del Pino e dallo studente peronista Santiago Touriño.
    Castro fu quello che più degli altri impressionò favorevolmente Molinari. Il senatore, infatti, si rese conto che il giovane già possedeva il carisma del leader. L'incontro si concluse con l'invito, da parte dell'Ambasciatore, a partecipare ad un viaggio con scali in tre città: Panama, Bogotà e Caracas, con i biglietti, ovviamente, pagati da Peròn. Andarono in Colombia Enrique Ovares, Alfredo Guevara, Fidel Castro e Rafael del Pino. Allo stesso tempo un'altra delegazione di studenti cubani, Touriño, Taboada e Esquivel, su incarico del senatore peronista, visitarono vari paesi del Centramerica col compito di far proseliti e farli convergere alla conferenza anti-colonialista di Buenos Aires
    ».

    L'ideologia del giovane Castro

    Il Fidel che mantiene i contatti e le relazioni con l'Argentina peronista non è ancora un «franco tiratore» dei gruppi armati più o meno vincolati agli «Autentici», ma un militante inquadrato nel Partito del Popolo Cubano «Ortodoxo». La «ortodoxia» nasce, per la precisione, come scissione degli «Autentici» in opposizione alla corruzione e all'abbandono dei princìpi nazionalisti-rivoluzionari da parte del governo di San Martìn e Pìo Soccaras, e la gangsterizzazione delittuosa delle sue frange armate. Le loro idee centrali sono «indipendenza economica, libertà politica e giustizia sociale», le tre parole d'ordine del Movimento Giustizialista. È logico che il Partito «Ortodoxo» sia il luogo naturale di militanza di peronisti quali Pardo Llada e Fidel Castro.
    Il nuovo golpe di Fulgencio Batista, marzo '52, ha l'obiettivo esplicito di impedire il trionfo elettorale del Partito «Ortodoxo», i cui militanti vengono perseguiti e di conseguenza obbligati alla lotta armata. Il gruppo guidato da Fidel Castro che assaltò la Caserma Moncada («Joventud del centenario» o «Movimiento») ha lo scopo, come scrive Fidel al dirigente «ortodoxo» di Santiago Luis Conte Aguero: «di porre l'ordine in mano agli ortodossi più ferventi. Il nostro trionfo avrà la conseguenza dell'assunzione immediata al potere della vera ortodossia anche se provvisoriamente. Per il futuro deciderà il popolo mediante elezioni generali».
    L'identità ideologica con l'ortodossia permane anche dopo la fondazione del Movimento "26 luglio". Nel documento redatto da Castro per il Congresso del Partito «Ortodoxo», 16 agosto '55, si afferma: «Il movimento "26 luglio" costituisce una tendenza all'interno del Partito; essa è un apparato rivoluzionario adeguato per lottare contro la dittatura, tale si è dimostrato quando l'ortodossia grazie alle sue mille divisioni interne si è rivelata impotente (...) un'ortodossia ai vertici della quale sono assurti latifondisti del tipo di Fico Fernàndez Casas, zuccherieri dello stampo di Gerardo Velàquez, speculatori borsistici, magnati dell'industria e del commercio, gli avvocati dalle grandi fortune, potentati provinciali e politicastri ...». Il 19 marzo '56 il Movimento 26 luglio rompe formalmente con il Partito "Ortodoxo" ed entra in piena lotta insurrezionale tentando di attirare a sé il maggior numero di militanti dell'ortodossia: «come gruppo si sono convertiti praticamente a satellite della causa castrista, seguendo le sue direttive alla lettera. Erano convinti che il Movimento 26 luglio fosse un ramo del loro partito e alcuni consideravano Castro come un redentore intrepido che predicava l'atto eroico e questo dava loro un immenso coraggio». «Nuestra Razòn», manifesto-programma del Movimento 26 luglio fu redatto nel '56 e i suoi punti cardine erano in gran parte estrapolati dai princìpi dell'«Ortodoxia» (quindi dal peronismo) come la «lotta per la sovranità politica, l'indipendenza economica e la cultura differenziata, all'interno di una visione democratica, nazionalista e di giustizia sociale».

    Peronismo e Movimento Obrero cubano

    L'influenza del peronismo storico non solo è decisiva nelle organizzazioni politiche del nazionalismo rivoluzionario pre-castrista. Ma in virtù della dimensione continentale di cui erano impregnate le tematiche nazionalproletarie e sindacaliste dell'Argentina peronista è logico che esse abbiano prodotto un grande influsso sul movimento operaio di tutta l'America latina.
    Cuba non è un eccezione e il suo Movimento Obrero è la prova lampante delle convergenze esistenti tra il tercerismo rivoluzionario e il nazionalismo antimperialista e socialista non-marxista del nascente movimento dei Barbudos.
    Il 2 novembre '52, a Città del Messico, rappresentanti delle organizzazioni dei lavoratori di 19 paesi latino-americani convocati dalla CGT argentina decidono di costituire una organizzazione di lavoratori denominata ATLAS (Aggrupaciòn de Trabaiadores Latinoamericanos Sindacalistas). Si tratta di una centrale operaia continentale antimperialista opposta tanto allo pseudo sindacalismo filo-statunitense della ORIT (Organizaciòn Regional Interamericana de Trabajadores) quanto all'irreggimentato sindacalismo filo-sovietico della CTAL (Confederaciòn Trabajadores de America Latina).
    Alla riunione costitutiva dell'ATLAS vi è l'intervento di un dirigente sindacale cubano del settore trasporti, Pèrez Vidal. Questo militante è stato esiliato da Battista e sarà uno dei futuri dirigenti sindacali castristi; dalla sua fondazione occupa, nell'ATLAS, la funzione di Segretario delle relazioni estere e nel '53 viene designato transitoriamente quale segretario generale dell'organismo continentale di ispirazione peronista.
    Il rapporto tra movimento operaio giustizialista argentino e movimento operaio castrista cubano non ha nulla di occasionale ed effimero: lo prova la fitta corrispondenza intercorsa tra dirigenti operai castristi, già giunti al potere e il segretario generale dell'ATLAS, l'argentino e peronista Juan Garone. È Pèrez Vidal, il 16 febbraio '60, che sollecita l'invio di un delegato dell'ATLAS nel Caribe o anche solo a Cuba, sottolineando che: «grazie alla Rivoluzione che regge i destini delle nazioni, alla nostra testa vi è un grande leader e un grande statista Fidel Castro Ruz; la nostra patria però ha un posto marginale tra le nazioni libere del mondo. Esattamente come la vostra patria quando innalzò le gloriose bandiere del Giustizialismo; della indipendenza economica, della giustizia sociale, della sovranità politica ...». Identico il sentire del dirigente operaio cubano Josè Gayoso in una lettera inviata allo stesso Garone: "Il fine che il governo cubano persegue è essenzialmente nazionale (...) Per ATLAS credo sia conveniente che lei si rivolga al companero David Salvador, segretario generale della CTC (Central de Trabajadores de Cuba) per discutere del fine pratico della riorganizzazione dei rapporti tra noi e l'ATLAS (...) con uomini che si nutrono degli ideali del Giustizialismo".
    Per una migliore comprensione va chiarito che il citato David Salvador era un ex-dirigente comunista che nel '47 aveva rotto con i filo-sovietici per finire integrato nel castrismo del quale diresse, durante la Rivoluzione, un braccio sindacale: Secciòn Obrera del Movimento 26 de Julio; più tardi conosciuta come Frente Obrero Nacional Unido (FONU). Salvador dirige numerosi scioperi durante la resistenza alla dittatura di Batista, concomitanti generalmente con azioni armate. Tra la presa di potere castrista e il I Congresso nazionale della CTC (già convertita in sindacato unico) la lista di David Salvador, sostenuta dal Movimento 26 luglio, ottenne il 90% dei voti a fronte di un 5% andato agli «Autenticos» e un altro 5% ai comunisti. Le pressioni su Fidel, per una lista unica castrista-comunista è respinta e non per un anticomunismo di destra ma perché, come riconosce un marxista studioso della Rivoluzione cubana, durante la Rivoluzione il PSP (filo sovietico) non vedeva di buon occhio il Frente Obrero Nacional, fondato dai castristi e diretto da David Salvador, vecchio comunista. Il PSP gonfiava simultaneamente le tendenze anticomuniste presenti nel Movimento 26 de Julio e taceva sulle esaltazioni di sinistra della lotta armata, non vi è un solo caso di partecipazione dei comunisti nella battaglia del fronte urbano; lo sciopero generale del 9 aprile '58 fu infatti organizzato e diretto totalmente dal FONU.

    Sintesi


    Come una Rivoluzione nazionale e «tercerista» strettamente imparentata col peronismo storico si è potuta convertire in un sistema marxista-leninista a partito unico? Di sicuro la Rivoluzione cubana ancora il 2 dicembre '61 non può essere definita comunista ma giustizialista! Questo affermavano i dirigenti cubani rispondendo alle preoccupazioni statunitensi: «la nostra Rivoluzione non è né capitalista né comunista». E lo stesso Fidel Castro, sul quotidiano "Revoluciòn", affermava: «Di fronte alle ideologie che si disputano l'egemonia mondiale sorge la Rivoluzione Cubana, con nuove idee e nuovi contenuti. Non vogliamo essere confusi con i popoli che si sono fatti abbindolare dal comunismo». Ernesto Che Guevara affermava in un documento titolato «Bohemia» pubblicato il 14 giugno '59: «Si fuera comunista no dudarìa pregonarlo a voces».
    Era una Rivoluzione nazionale che solo l'embargo imposto dagli Stati Uniti obbligò a radicalizzare le sue posizioni. Quando i cubani, ad esempio decisero di importare petrolio russo, le tre raffinerie gestite dalle multinazionali americane presenti a Cuba si rifiutarono di raffinarlo. Come risposta Fidel Castro nazionalizza le proprietà statunitensi e per rappresaglia gli USA sospendono l'importazione dello zucchero. Castro contrattacca sospendendo le relazioni diplomatiche ed ottenendo un primo credito sovietico e gli Stati Uniti finanziano e organizzano lo sbarco di Bahìa Cochinos nell'aprile '61. Solo a questo punto Fidel si proclama marxista-leninista. Si tratta di una radicalizzazione in gran parte provocata dagli USA come riconosce Ernesto Guevara in un'intervista a L. Bergquit, "Look" novembre '61: «Eccezion fatta per la nostra riforma agraria, che tutto il popolo reclamava, tanto da iniziarla spontaneamente, tutte le iniziative radicali che abbiamo adottato sono la risposta ad atti d'aggressione da parte dei potenti monopoli del vostro paese e dei suoi massimi esponenti politici. Per sapere quale sarà il futuro di Cuba bisogna prima chiedere al governo USA quali siano le sue intenzioni, quali scelte ci verranno imposte».
    La strategia di appoggiarsi ai russi per non cedere ai ricatti yanquis non è, comunque accettata dalla totalità del Movimento castrista. Carlos Franqui distingue almeno quattro correnti interne: «i filo-USA, che si confermano per una democratizzazione anti-Batista; i nazionalisti democratici; una corrente proletario-rivoluzionaria socialista ma non filo-sovietica (che comprendeva essenzialmente i sindacati castristi) e, finalmente, la "piccolo-borghese" autoritaria alleata dei comunisti che alla fine fu quella che si affermò».
    I simpatizzanti peronisti «nazionalisti democratici» e «socialisti rivoluzionari» finirono in esilio (Pardo Llada e molti militanti «ortodoxos») o incarcerati (Salvador David e numerosi dirigenti sindacali); essi non vollero scegliere tra «democrazia» USA e comunismo filo-sovietico. Il definitivo passaggio della ex-Unione Sovietica nel blocco imperialista occidentale ha portato al quasi totale isolamento di Cuba -essa ormai conta solo sull'aiuto dei paesi latino-americani meno compromessi con gli Stati Uniti - ripropone in tutto il suo vigore la questione: potrà la Rivoluzione cubana sopravvivere con la propria forza? Potrà il castrismo evolvere verso una forma di «terzerismo» rivoluzionario che è parte importante delle sue caratteristiche originarie? Se la storia e la libera volontà del popolo cubano andranno in quella direzione la Grande Isola del Caribe sarà la prima vera trincea dalla quale si combatterà per l'emancipazione dell'America Latina e per un giustizia sociale rispettosa della libertà e della dignità dell'uomo e, per questo, lontana tanto dal capitalismo come dal comunismo.


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    Predefinito

    Quarant'anni fa veniva ucciso Che Guevara. Il comandante
    guerrigliero aveva cercato di esportare il fenomeno
    rivoluzionario cubano sia in Africa che in America Latina
    che, essendo egli argentino, considerava nella sua interezza
    un po' come la sua patria.
    I fuochi di guerriglia dovevano accendere la rivoluzione:
    è quel “fuochismo” che avrebbe affascinato Giangiacomo
    Feltrinelli, molto poco leninista ma romantico e garibaldino
    assai.

    Il Che e i fascisti

    In quarant'anni il Che è stato oggetto di tutte le
    svalutazioni possibili, è stato ridotto a logo
    pubblicitario, a simbolo di riconoscimento di tribu urbane
    ultracapitaliste. Allora, quando morì, ma anche prima,
    quando abbracciò il suo sogno rivoluzionario abbandonando
    un ministero a Cuba, Ernesto Guevara poteva contare su tante
    antipatie, molte delle quali tra i farisei del suo campo, ma
    anche di tante simpatie tra coloro che la stupida logica
    degli schemi vedeva come suoi avversari. Allora quando la
    demenza e la sclerosi del dogmatismo alla Tartuffe non era
    di moda tra gli eredi delle rivoluzioni nazionali, furono in
    molti a sostenere il Che. Da Jean Thiriart, il fondatore di
    Jeune Europe e del partito nazionale europeo che avrebbe
    schierato volontari in Palestina a Juan Peron. Costui,
    fascista tra i fascisti, esule in Spagna dopo esser stato
    rovesciato dall'oligarchia clerico/militare legata a
    Washington, aveva stretto un patto strategico con Fidel
    Castro ed elogiava particolarmente il Che la cui lotta,
    secondo il suo parere ufficiale, utilizzava il marxismo come
    puro e semplice strumento per un ideale superiore.
    Fu proprio Peron, l'ultimo degli statisti fascisti, ad
    accogliere il Che nella Spagna franchista – con il
    beneplacito del Caudillo – e a metterlo in contatto in
    Algeria con Boumedienne.
    Del resto Guevara aveva sostenuto Peron contro i comunisti
    pochi anni prima in Argentina e uno dei suoi fuochi
    guerriglieri, appunto nel paese natio soggetto a dittatura,
    fu opera dei peronisti.
    Il Che vivo, la crème del fascismo post-bellico era con
    lui, il Che morto gli vennero dedicate molte riflessioni e
    qualche agiografia come “Une passion pour El Che ” di
    Jean Cau di sensibilità nazionalsocialista.

    Bianchi o neri?

    Potrei quindi onorare Che Guevara sulla base dei miei
    illustri predecessori e sentirmi per questo molto più
    fascista dei fascisti che lo denigrano. Ma non sarebbe
    sufficiente né corretto. Non lo voglio onorare solo
    perché i migliori fascisti lo onorarono ma perché lo
    merita di per sé.
    Conosco le obiezioni, ne sento di continuo: da quando il
    neofascismo è scaduto
    nell'ombra reazionaria del codinismo borghese e ha smarrito
    la sua anima – e il suo più profondo significato
    esistenziale e sacro – le banalità sminunenti si
    susseguono. Una di esse è che non si può onorare il Che,
    non si può non essere contenti della morte del Che,
    perché egli si batteva per distruggere i nostri valori.
    Nostri? Valori? Suvvia: scherziamo?
    Il Che si batteva per liberare il suo continente
    dall'occupazione americana, dall'oppressione oligarchica e
    dalle ingiustizie. Possiamo non condividere l'indirizzo dato
    dal Che alla sua lotta, il suo impianto ideologico e
    programmatico, ma non possiamo non sentire nostra la sua
    lotta; e se non la sentiamo tale delle due l'una: o di
    quella lotta non sappiamo niente o abbiamo sbagliato proprio
    campo, siamo guardie bianche e non camicie nere!

    Lotta e Vittoria

    Infine non si può non onorare il Che perché un uomo che
    abbandona cariche, onori, denari e privilegi per andarsene a
    vivere nelle selve, tra i monti, con un pugno di compagni di
    lotta, passando giornate intere con qualche goccio d'acqua
    e, se dice bene, una galletta, un uomo che sogna e che resta
    fedele al suo sogno mettendo carne, muscoli, nervi al suo
    servizio, non può non essere onorato. Lo detta chiaramente
    quel sentimento della vita, dell'onore e del sacro che è
    alla base dell'Idea del mondo che fece grande la nostra
    antichità e la nostra più recente primavera. Quell'Idea
    del mondo che – dalla Bhagavad Gita tramite i Luperci le
    Legioni mithraiche, la Cavalleria fino ai Werwolf – ha
    significato tutto il meglio che memoria d'uomo ricordi e che
    si condensa nella “Dottrina di Lotta e Vittoria” (che
    non coincide con il successo tangibile ma con il trionfo su
    di sé.

    Chi non ha perso il bandolo di quel filo non può non
    rispettare e non onorare l'eroe di Santa Clara.
    Onore al Che: lotta e vittoria Comandante!

    Gabriele Adinolfi

 

 

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