Nelle grandi aziende come la mia (che non è una fabbrica), dove c'è maggiore consapevolezza delle cose grazie al sindacalismo di base e ad una sinistra CGIL numerosa, VINCE IL NO.
Nelle piccole aziende dove si sente solo il sindacalista del Si', vincono i Si.
Preceduta da migliaia di assemblee spesso poco pubblicizzate, e in cui il relatore sindacale esprimeva solo la posizione del Sì, si è svolta la consultazione referendaria sull’accordo del 23 luglio.
Con quelle premesse la vittoria del sì era scontata, ma è evidente che il risultato va interpretato.
Nei consensi come nei dissensi, si sono manifestate, comunque, le esigenze piu' profonde del mondo del lavoro, che chiede innanzitutto un futuro certo.
Bisogna considerare che la platea di chi ha votato era composta per il 50% da pensionati o da chi fa parte di categorie meno interessate dalla precarieta'.
In ogni caso, le grandi fabbriche si sono chiaramente pronunciate per il NO e il governo dovrà ascoltare e tener conto del segnale di malessere che è emerso con forza nelle assemblee dei lavoratori metalmeccanici, tra i portuali, tra i giovani precari e in generale da tutta l’area del lavoro dipendente.
La precarieta' in Italia rimane la vera emergenza sociale: è dunque fondamentale superare la legge 30 e ridare centralita' al contratto a tempo indeterminato, così come previsto anche dal programma dell’Unione. Non rispondere in Parlamento a questa richiesta, come anche a quella di maggiori garanzie previdenziali, significa continuare ad alimentare la perdita di fiducia in questo Governo e lavorare per il ritorno del nero governo precedente.