Facciamo festal'undici ottobre al posto del venticinque aprileOgni popolo ha una festa nazionale. I francesi, che sono esagerati, ne hanno ben due: festeggiano l'11 novembre e l'8 maggio date che corrispondono alle loro vittorie nelle guerre mondiali. Gli svizzeri festeggiano il 1 agosto, quando, oltre sette secoli fa, i primi tre cantoni elvetici firmarono il Patto Federale che diede l'avvio all'indipendenza. L'Austria festeggia il 26 ottobre, giorno in cui, dopo dieci anni, le truppe d'invasione (inglesi, americane, francesi e russe) lasciarono il suo territorio. La Spagna festeggia il 12 ottobre, data della scoperta dell'America, definita per secoli “dia de la raza” e recentemente “dia de la hispanidad”: intende così manifestare il suo orgoglio imperiale. La Germania dopo aver celebrato la rivolta di Berlino contro l'occupante comunista, ossia il 17 giugno, ha optato per festeggiare l'anniversario della riunificazione, il 3 ottobre. Solo l'Italia celebra come festa nazionale il giorno in cui il suo esercito fu travolto dal nemico invasore.
Facciamola finita con l'avvilimento
Al di là di quello che si pensi in merito, non vi è dignità, non vi è futuro, non vi è considerazione, non vi è attenzione per un popolo che festeggi le vittorie altrui sul proprio territorio. A permettere che una simile vergogna si perpetrasse fu la necessità di una classe politica di nosferatu, composta da falliti di tutte le ideologie, di esaltare in qualche maniera l'unica cosa che in ventitré anni aveva saputo fare: mettersi a lustrare scarpe al nemico sperando che una di lui vittoria, pur rovinando l'Italia, avrebbe rimosso la classe politica permettendo a tutti loro di riprendere una carriera.
Sono passati sessantadue anni da allora (e sessantaquattro dalle vergogne di luglio e di settembre) ma nessuno ha avuto il coraggio di dire “facciamola finita con queste patetiche e avvilenti buffonate!” E, francamente, direi che l'ora è arrivata.
L'undici ottobre
Non propongo date fauste e gloriose come il 28 ottobre, il 4 novembre, il 3 gennaio, il 23 marzo, il 21 aprile, il 9 maggio. Quel tempo è andato e non ci possiamo neppure sognare di celebrarle, tanta e tale è oramai la distanza tra quella e questa Italia. Propongo però l'istituzione di un comitato per il cambiamento della data di festa nazionale scegliendo come tale una delle rarissime date d'orgoglio della Repubblica post-bellica: l'11 ottobre.
L'11 ottobre 1985 Bettino Craxi, allora Presidente del Consiglio, decise di non consentire agli americani di commettere prepotenza sul nostro territorio. Aveva condotto a termine la difficilissima trattativa per risolvere la crisi dell'Achille Lauro, nave di crociera dirottata da guerriglieri palestinesi. Costoro si trovavano in transito a Sigonella, base militare siciliana con presenza Nato quando gli Usa diedero ordine alle truppe di impadronirsi di loro e di estradarli negli Stati Uniti. Craxi non accettò questa palese e tracotante imposizione straniera ed ordinò ai carabinieri di puntare le armi sui marines che cedettero.
Craxi pagò
Il premier avrebbe poi pagato caro questo scatto d'orgoglio e la sua scelta di campo filo/palestinese: sarebbe stato indicato come unico capro espiatorio per quella tangentopoli che coinvolse tutti, davvero tutti. Riparò in Tunisia dove morì ufficialmente d'infarto. Nessuno mi toglie dalla testa che Craxi non solo non era più disonesto dei suoi avversari ma che era addirittura più onesto di loro, né che a farlo cadere siano state Sigonella, la difesa della politica estera ed energetica italiana dagli artigli israeliani, e ogni scelta di politica di potenza, come il progetto della lira forte.
Facciamone la festa nazionale
Fatto sta che in circa settant'anni di servilismo l'episodio di Sigonella va controcorrente. Non è facile trovare altri momenti successivi al 1945 durante i quali un governo ci abbia dato motivi di fierezza, solo l'ordine di Pella agli inizi degli Anni Cinquanta, di mobilitare le truppe vicino a Trieste (allora occupata) in risposta alle minacce britanniche e jugoslave ci aveva reso un briciolo di dignità.
Morale della favola: facciamo qualcosa da subito, per ottenere che la festa nazionale sia spostata dal giorno della sconfitta a quello dell'orgoglio: l'undici ottobre!
Gabriele Adinolfi