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    Predefinito 10 - Venaria Reale : Riapre la Reggia

    ARTE - RECENSIONI InviaStampaRESTAURI
    La Venaria Reale
    Dopo otto anni di intervento e 200 milioni di euro riapre la reggia "delle delizie" a Nord di Torino alla quale hanno lavorato grandi architetti del barocco come Filippo Juvarra. La inaugura una grande mostra sui duchi e i re di Savoia fra Cinquecento e Settecento, sull'arte, la magnificenza e la storia di una corte europea

    di GOFFREDO SILVESTRI

    VENARIA REALE (Torino) - I lavori alla reggia di Venaria sono finiti. Dopo otto anni e un investimento di 200 milioni di euro, è il più grande recupero in Europa di un bene monumentale che ha scongiurato quella che stava per diventare una delle più gravi perdite del patrimonio culturale italiano. Perché la Venaria Reale, svuotata dei quattromila quadri che vi erano esposti nel Seicento, massacrata nei muri e negli stucchi e finora del tutto ignorata dal pubblico, è uno dei più significativi esempi della magnificenza dell'architettura e dell'arte barocca internazionale del XVII e XVIII secolo. Quando era ancora in condizioni disastrose, nel 1997, l'Unesco l'ha dichiarata "Patrimonio dell'umanità" insieme al sistema delle residenze sabaude.

    Per festeggiare l'avvenimento e i padroni di casa nel Seicento e Settecento, i Savoia, duchi di un piccolo territorio sulle Alpi che seppero diventare re di uno Stato europeo di media grandezza, è stato fatto tornare da mezzo mondo tutto quello che era possibile. Di quadri e statue, argenti, porcellane e cristalli, mobili e arazzi, arredi, modelli architettonici e plastici, vestiti (anche i vestiti di carta di Isabelle de Borchgrave, modellati e dipinti che sembrano usciti dai ritratti esposti), armi e armature (capolavori da parata scolpiti, cesellati, dorati, non per fare la guerra). Un gigantesco trasloco alla rovescia (450 opere e oggetti) per riportare alla reggia quello che c'era o poteva esserci o è legato ai Savoia, anche opere che si davano per perdute e per farne rimanere una parte in permanenza.

    E il regista Peter Greenaway fa rivivere quel mondo a chi ne ha fatto parte, nell'italiano dell'epoca, proiettando le immagini sulle pareti o sulle volte, in cinque "tempi" intervallati lungo la mostra e intitolati "Ripopolare la reggia". Dieci personaggi del 1670 accolgono i visitatori presentandosi col vero nome e si raccontano. Nelle cucine capi cucinieri e sguatteri si sfogano sulla corte. Poi la vita privata dei duchi. Il rito "sacrale" della caccia. Le feste per le quali la corte sabauda era famosa in Europa: i personaggi, mentre vengono annunciati, sono accompagnati dal "controcanto" dei cortigiani, pettegolezzi e maldicenze. Cinque "tempi" frutto delle riprese di 170 scene con 300 comparse. Un lavoro basato sulla ricerca storiografica che diventa "arredo" tecnologico stabile della reggia. Il tutto, la mostra con la parte cinematografica e multimediale che rimane in esposizione permanente, è costato cinque milioni di euro.

    L'appuntamento è dal 13 ottobre per la riapertura della reggia e della mostra che celebra la reggia e gli antichi padroni e che si intitola appunto "La reggia di Venaria e i Savoia. Arte, magnificenza e storia di una corte europea" (fino al 30 marzo 2008).

    Un ritorno di opere d'arte per completare i recuperati dipinti sui muri che celebrano la caccia in mille riti, gli stucchi bianchi (la scoperta più bella) che animano come sistemi di vene e invenzioni architettoniche i soffitti, riproducono i blasoni guerreschi e decorano pareti, porte e finestre. A completare quella "Galleria Grande" dai colori avorio, azzurrino e grigio, con pavimento a scacchiera obliqua bianca-verde, immenso eppure leggerissimo "vascello" barocco lungo settantatre metri, alto quindici e largo undici, che "naviga" in un oceano di luce. Alle estremità ha quattro colonne in "breccia di Arzo", una pietra grigia variegata con inserti di bianco e rossiccio, alte una decina di metri, messe lì dal grandissimo Filippo Juvarra che è l'inventore della galleria. Sono colonne tortili nella parte inferiore come quelle del Bernini a San Pietro e poi diritte.

    A completare lo spettacolo del dentro e fuori della reggia grazie alle centinaia di finestroni ovali o rettangolari, di porte-finestre, dei colori e delle luci delle sale, degli affreschi e dei dipinti, i colori dei giardini all'italiana, dei riflessi dell'acqua della peschiera, della macchia dei boschi circostanti pieni di leprottini che sono la sciagura dei giardinieri. E poi lo spettacolo dominante del cielo e delle montagne del Gran Paradiso e del gruppo del Rosa che fanno da ultima quinta della reggia, prerogativa unica della Venaria Reale.

    La piazzetta del borgo di Venaria, il dormitorio di Torino poco oltre la tangenziale Nord, è stata lastricata con le "lose" (le lastre della pietra grigia di Luserna in val Pellice, la pietra storica di Torino e di mezzo Piemonte) e sampietrini in basalto nero sardo preferiti a quelli cinesi e vietnamiti per la lavorazione (non per il prezzo). Al di là del bianco, monumentale ingresso sormontato dalla torretta dell'Orologio, la corte d'onore della reggia un tempo di terra battuta o di ciotoli di fiume, è una piazza di novemila metri quadri solo di pietra di Luserna che non abbaglia, disposta secondo un disegno a raggi di Amedeo di Castellamonte, il grande architetto che iniziò la costruzione della reggia. E al centro, intorno ai resti ritrovati dei ciotoli della fontana seicentesca del Cervo è sorta una fontana dai cento zampilli liberi o ritmati da un computer, in grado di arrivare a dieci metri di altezza (e utilizzando sempre la stessa acqua). L'ha progettata l'architetto Carlo Fucini, uno dei cento progettisti coinvolti nella enorme "macchina del recupero". Al centro della fontana seicentesca c'era probabilmente una statua di cervo che sarà sostituita da quello che uscirà da un prossimo concorso internazionale di idee. Alla fontana moderna sarà dedicata una particolare inaugurazione fra 30-40 giorni.

    La corte d'onore in fondo è delimitata da quello che è stato il primo pezzo della Venaria, costruito fra 1659 e 1671, la "Reggia di Diana": tre piani con loggia a piano terra a quattro archi e quattro colonne incassate, il teatrino di corte ai piani alti, i tetti a coppi rossi. Ma ecco la prima sorpresa. La costruzione, dall'intonaco bianco e liscio, le finestre dalle cornici barocche, la loggia in bianco-avorio, è "ferita", con una sovrapposizione, un taglio della muratura: è la parte settecentesca che si doveva "mangiare" quella seicentesca, l'ampliamento in mattone a vista costruito da Michelangelo Garove fra 1700 e 1713 che doveva continuare e poi si è fermato. Uno dei tanti ampliamenti e modifiche: torrioni, padiglioni, maniche di unione, citroniera (il ricovero invernale degli alberelli di limone), scuderie e maneggio, "Scuderie Grandi" ancora dello Juvarra, che si sono succedute in due secoli fino ed oltre il 1770. Per porre rimedio alle devastazioni dei francesi nel 1693, per l'alternarsi degli architetti (Castellamonte morì nel 1683, Garove nel 1713 e Juvarra lasciò la Venaria per altri cantieri sabaudi nel 1730 e nel 1735 se ne andò a Madrid da Filippo V), per nuove esigenze della corte e nuovi gusti architettonici. A volte interventi parziali per lo spostamento delle cacce reali a Stupinigi, la nuova "delizia".

    A sinistra la corte d'onore è delimitato dalla "Galleria Grande" (detta la "Galleria di Diana", ma non è il suo nome ) e da due torrioni progettati "alla francese" sempre dal Garove. I tetti, mansardati, sono di mattonelle a scaglie di pesce, di cinque colori, capaci di resistere ai trenta gradi e ai meno venti.
    A un torrione si aggancia con una "manica", ormai fuori del cortile, la cappella di Sant'Uberto, in realtà una chiesa degna di una grande città, ancora una meraviglia dello Juvarra, piena di luce interna ed esterna. A destra il cortile è aperto verso il "Parco Basso" e la peschiera, lo specchio d'acqua rettangolare di 250 per 50 metri, dove Giuseppe Penone in una elaborazione di macchie d'alberi e praticelli, maschera due canne di sfogo in alluminio con due alberi di bronzo.

    Sul fronte dei giardini la "Reggia di Diana" è coronata da una distesa di verde e colori: un "Giardino a fiori" con le aiuole che riproducono i corni da caccia; il "Giardino delle pergole" delle rose; il "Boschetto della musica"; l'Allea cioè il viale lunghissimo e drittissimo delimitato da alberelli dal verde cupo, a forma di coni di gelato rovesciati, con al centro un ruscello che dai resti della fontana d'Ercole arriva alle fondamenta del tempio di Diana. L'acqua della fontana d'Ercole è stata sostituita da vetro in frantumi verde-azzurro, una bellissima invenzione di Mirella Macera, responsabile del castello di Racconigi.

    Nei giardini in versione Castellamonte erano distribuiti circa 400 fra statue, busti, bassorilievi, telamoni poi distrutti, dispersi o distribuiti in varie residenze di Torino e del Piemonte. I giardini moderni non sono un restauro dell'antico, ma una reinterpretazione contemporanea che ha rispettato gli assi, le proporzioni, le dimensioni, i temi del parco settecentesco.

    Alle spalle della chiesa di Sant'Uberto si è sviluppato il complesso degli edifici settecenteschi, in particolare le varie scuderie, il maneggio (dove si formavano e si allevavano numerose mandrie di stalloni e di puledre, per ottenere cavalli "adattissimi alle fatiche di guerra, vere e simulate") e la citroniera. Nelle scuderie e maneggio dovuti a Benedetto Alfieri, un altro grande architetto barocco, successore dello Juvarra, è operativo dal marzo 2005 il "Centro per la conservazione e il restauro dei beni culturali", concentrato sui dipinti, ma che sarà esteso a pietre, metalli, libro e carta, e in seguito all'arte contemporanea, alla fotografia e ai film.

    A Venaria si può affogare nei numeri (ma ci si perde anche fra mille emozioni): 80 mila metri quadri di superficie e 230 mila metri cubi (a chiarire le altezze di questi ambienti); mille metri quadri di affreschi; 145 mila metri quadri di stucchi e intonaci; 29 mila metri quadri di facciate con mattoni a vista; 11 chilometri di cornici decorative; due chilometri circa la lunghezza del percorso di visita della mostra; ottanta ettari di giardini all'italiana (con 40 mila nuove piante) e 6.400 gli ettari del parco La Madria, continuazione dei giardini della Venaria, ugualmente "Patrimonio dell'umanità" (uno dei parchi europei più vasti e importanti, proprietà della Regione Piemonte).

    Reggia di Venaria, reggia di delizie, di feste, musica, recite, della vita lieve della corte, soprattutto del piacere massimo, la caccia al cervo (esclusivamente il cervo maschio), che si esercitava secondo rigorosi "protocolli" fino alla scelta del capo da cacciare, in "campi di caccia" che si estendevano fino ai primi rilievi alpini. La caccia come esercizio di abilità, coraggio, comportamento, palestra di virtù guerresche e civili. Perché "la Caccia e la Guerra è un'istess'arte" ricordava un'epigrafe all'ingresso di Venaria Reale. E infatti la reggia è esattamente la "Reggia di Diana".

    L'ampia decorazione ad affresco di molte sale, in fregi alti un paio di metri o sulla volta o fra cornici di stucco, è dedicata alle cacce in tutte le salse: "Cacce acquatiche", "Cacce infernali", "Cervi famosi", "Fiere feroci".

    La fontana che accoglieva gli ospiti nella corte d'onore era appunto la fontana del Cervo. Sant'Uberto era protettore dei cacciatori e la chiesa non aveva gradini perché il re e i suoi ospiti potessero entrare a cavallo e ricevere la benedizione prima della caccia.

    Alla Venaria si svolgevano anche cerimonie pubbliche come la presentazione di ambasciatori (e si capisce dato il valore politico della reggia), e numerose sono le norme firmate e datate da Venaria Reale. Ma il centro di governo e di controllo dello Stato è sempre rimasto al Palazzo Reale di Torino. Per questo la Venaria Reale non può essere chiamata la "Versailles piemontese" anche se precede la Versailles di Luigi XIV. Il re Sole ne aveva fatto il centro della vita di corte nella totalità (e quindi del potere) e del controllo delle mosse dei nobili. Viceversa "per i duchi di Savoia, la Venaria Reale diventa lo strumento primario di prestigio e di aggregazione nobiliare. Lo spettacolo della vita di corte illumina il potere ducale, ne garantisce la visibilità, stabilisce un legame profondo fra il duca e l'aristocrazia". Ancora, la Venaria è un "unicum" per la continuità fra il borgo di Venaria, la reggia con giardini e i boschi di caccia (il parco della Mandria dove continuano a proliferare cervi e daini). E le montagne.

    Venaria e la Venaria non esistevano. Fu un colpo di genio e di imperio del duca Carlo Emanuele II che a metà Seicento scelse il sito di Atessano Superiore forse perché qui i duchi di Savoia andavano a caccia dal 1580. E Atessano scomparve per far posto al borgo e alla "Reggia di Diana" con giardini su tre livelli uniti da scenografiche scalinate, intervallati da fontane e sculture. Progettista l'architetto di corte il conte Amedeo di Castellamonte. E il duca la ribattezzò Venaria, la reggia per la caccia e i piaceri della corte, la villeggiatura. Non doveva godersela a lungo: il duca morì a 41 anni, nel giugno 1675, per una malattia misteriosa seguita allo shock della caduta a cavallo dell'unico figlio maschio, patrimonio incommensurabile di fronte alle altre corti europee senza eredi.

    Allora Venaria, un'altra "reggia di delizie" sabauda, ma la più bella, e tale "da porsi per grandiosità ed imponenza, a diretto confronto con le più importanti regge europee di fine Seicento". Non quindi un atto di megalomania del piccolo ducato, ma una cosciente scelta politica di "visibilità", di "sorpresa", un biglietto di ammissione fra le grandi capitali europee. Anche se un biglietto costoso. Si dice che Carlo Emanuele II abbia speso più di quattro milioni di lire quando nel 1680 le entrate dello Stato non arrivavano ai sette milioni. Osserva Francesco Pernice, soprintendente per i Beni architettonici e il paesaggio: "L'intero impianto rispecchiava ed esprimeva la concezione dello Stato assoluto, tanto da divenire, ben presto, modello architettonico anche per altri interventi realizzati nelle corti europee (Versailles, Marly, ecc.) nel corso del Settecento".

    Nel 1713 l'Europa delle potenze concede a Vittorio Amedeo II il regno (di Sicilia, poi "cambiato" con la Sardegna). E il nuovo re riorganizza i giardini di Venaria per geometrie regolari con la "grandiosità e lo stile di quelli di Versailles": una estensione di 120 ettari e il viale in asse sul "salone di Diana" e lo scomparso tempio di Diana era lungo due chilometri e mezzo. Tutto questo sarà cancellato dalle truppe di Napoleone nel 1798 durante l'occupazione del Piemonte. "Altre e peggiori devastazioni" furono commesse dal 1799: molti dei quadri furono messi in salvo, ma "le sorti del palazzo non si risollevarono più". I Savoia sono costretti all'esilio in Sardegna e ad una serie di abdicazioni e la Venaria subisce una prima ondata di devastazioni da parte di chi è rimasto. Con la sconfitta di Napoleone i Savoia tornano a Torino nel maggio 1814, rimessi sul trono dalla "Restaurazione", ma la "reggia di delizie" diventa una caserma, anche Sant'Uberto, e gli spazi esterni sono usati per l'addestramento e le manovre delle truppe. La citroniera (la "vasta stufa degli aranci") diventa una scuderia per 385 cavalli dell'artiglieria, l'arma più importante dell'esercito sabaudo, e il parco è tanto smisurato da ospitare un poligono di tiro col cannone.

    Unico, fondamentale, vantaggio dall'occupazione militare il salvataggio di molti soffitti decorati o affrescati, di vari cicli di dipinti, delle cornici di stucchi, dovuto alla costruzione di soppalchi nelle sale per ridurre la cubatura e quindi lo spazio da riscaldare. Soppalchi che miracolosamente non sono stati scoperti nella sistematica opera dei ladri e dei vandali che seguirà.

    Nei primi decenni del Novecento anche i militari lasciano la reggia e la rovina accelera. Seguono l'abbandono a causa della Seconda guerra mondiale e le distruzioni dei bombardamenti. L'"8 settembre" e la coraggiosissima azione di funzionari della soprintendenza che precedettero di poco l'arrivo dei tedeschi (nuovi inquilini) e riuscirono a mettere in salvo i dipinti del "salone di Diana" staccandoli dalle cornici con un taglierino. Ma nessun danno fu paragonabile alla "furia devastatrice e depredatrice" della popolazione sulla chiesa e sugli edifici per "impossessarsi d'ogni cosa" da mercanteggiare, si legge in un rapporto del 1950 della soprintendenza. Qualsiasi cosa da utilizzare o da bruciare contro il freddo. E si andò avanti così fino agli anni Ottanta, strappando quello che rimaneva dei serramenti e i "quadretti della volta" fino a scoprire che in quella reggia in malora non c'era più niente da portare via. Ma c'era la reggia stessa da far sparire.

    Nell'amministrazione comunale di Venaria qualcuno propone di abbattere quelle costruzioni in degrado e inutili, con i tetti pericolanti, le travi crollate, gli squarci nei soffitti, e usare i terreni preziosi per costruire condomini per tutti gli abitanti di Venaria che lavorano a Torino.

    Una visione apocalittica respinta. Ci si rende conto che l'andare avanti con pochi soldi, per gli interventi più urgenti di altri solo urgenti, significa salvare qualcosa fra mille rovine, non la reggia. Nel 1995 si danno una scossa benefica il ministero per i Beni e le attività culturali (a Roma e a Bruxelles con l'Unione Europea), le soprintendenze, la Regione Piemonte, le città di Torino, Venaria e Druento. In tre anni viene messo a punto il "Progetto La Venaria Reale" con soldi statali, regionali ed europei, un "colossale piano di restauro", la riprogettazione di un intero territorio, il nostro sbarco sulla Luna. E davvero la reggia, i giardini, La Mandria sono una visione extraterrestre nel mondo d'oggi.

    A coordinare l'intervento (più di trenta cantieri, 800 persone, 80 tecnici), per il ministero i soprintendenti Francesco Pernice e Carla Enrica Spantigati e per la Regione Piemonte Alberto Vanelli, direttore dei Beni culturali, e Maria Grazia Ferreri, direttore al patrimonio. E il 12 ottobre, per l'inaugurazione con fuochi d'artificio notturni, ci saranno tutti a cominciare dal ministro Francesco Rutelli (il quinto ministro dei Beni culturali nella rinascita della Venaria). Per avere tutte le autorità è stata cambiata anche la data che doveva essere il 21 settembre.

    Tre sono gli ambienti della Venaria che da soli "valgono il viaggio" (e che sono anche i punti più alti della mostra). Nella "Reggia di Diana" il "salone di Diana", sviluppato su due piani con volta a croce, è uno degli ambienti più spettacolari. Trionfo insieme di pitture e stucchi, di affreschi e di tele, ammiratissimo dai colti viaggiatori è stato rispettato anche dalle truppe francesi che nel 1693 incendiarono la reggia. Appena due tele furono danneggiate a colpi di sciabola.

    Del salone, illuminato dall'alto da sei finestroni, conosciamo l'aspetto originario grazie ad una incisione di Georges Tasnière, aspetto che è stato ricomposto in gran parte. L'iconografia celebrativa è quella dettata dal letterato e retore di corte Emanuele Tesauro in cui gli affreschi mitologici del fiammingo Jean Miel sulla volta alludono alle virtù celebrate a corte e con l'identificazione di Diana con le cosiddette "madame reali". Al centro c'è Giove che incorona una rara Diana fanciulla come dea di tutte le cacce con l'annuncio volante "Delle cacce ti dono il sommo impero". Le fanno compagnia cervi e bellissimi cagnoni. Attorno ruotano, entro cornici a stucco non più dorato, le cacce degli uccelli, dei pesci, delle fiere maggiori e delle fiere minori e dieci storie di Diana che funzionano come metafore morali. Quattro delle scene più grandi sono perdute.

    Alle pareti, al livello superiore, sempre fra cornici a stucco, erano destinate dieci grandi tele, quadroni con i ritratti equestri in coppia di duchi e duchesse e della nobiltà più nobile, e squarci di paesaggio. Ne sono tornate sette recuperate dal castello di Racconigi e dal Palazzo Reale di Torino, opere di Jean Miel, e Charles Dauphin, Balthasar Mathieu, Bartolomeo Caravoglia. Il grande colpo è stata la scoperta nei depositi di Racconigi, inpecettate, velinate e avvolte su di un rullo fin dagli anni Venti del Novecento, di cinque tele che stanno mettendo a dura prova il "Centro di conservazione e restauro" della Venaria con "problemi delicatissimi di conservazione e di restituzione estetica". Il totale ritrovato era di otto dipinti, ma probabilmente uno non è presentabile.

    Al livello inferiore sono tornate (dal Museo civico di Palazzo Madama) tutte le dieci grandi tele con le cacce, sempre di Jean Miel. Sei sono dedicate alla caccia al cervo, il protagonista suo malgrado delle cacce alla Venaria e quattro raffigurano la caccia all'orso, al cinghiale, alla volpe e alla lepre. La presenza dei personaggi della corte, che si distinguono per gli abiti eleganti e i cappelli piumati, "promuove queste pitture innalzate dal rango di semplici scene di genere".

    Jan Miel, formatosi forse nelle botteghe di Gérard Seghers e di Van Dyck, grazie a prestigiose credenziali conquistate a Roma viene chiamato a Torino nel 1658 da Carlo Emanuele II. Nel "salone di Diana" lavora dal 1659 al 1663 e in queste storie auliche si afferma come "uno dei protagonisti del rinnovamento della pittura torinese del XVII secolo in direzione del classicismo, metafora del prestigio riservato alla corte e all'assolutismo".

    Parte integrante dello spettacolo del salone sono gli stucchi che coprono tutto lo spazio non occupato dai dipinti. Erme di satiri e divinità dei boschi, trofei di caccia e di pesca con animali, ninfe sedute su volute con le gambe a penzoloni, puttini ancora più sgambettanti. Sono opera di maestranze luganesi che già lavoravano nei più importanti cantieri sabaudi, nelle chiese e nei palazzi nobiliari di Torino.

    Fra gli altri capolavori in stucco di queste maestranze (realizzati nel Settecento) al piano terra della "Reggia di Diana", è la decorazione della "sala dei Valets de pied" detta "sala dei Fagioli" per le grandi, particolari sagome alle pareti che non sono state ancora chiarite.

    Non cornici di specchi perché è tecnicamente impossibile realizzare specchi di queste dimensioni e forme irregolari, e perché soprattutto sarebbero una violenta accelerazione di "art liberty". Forse sono uno spazio per fiaccole. Dall'alta cornice del soffitto puntano, a tutto tondo, cannoni, bandiere, scudi dei blasoni reali. Leggerissima è invece la ramificazione vegetale e floreale del soffitto della camera da letto della regina, opera di Pietro Somasso, stuccatore e impresario luganese e in quanto tale realizzatore di quasi tutte le commissioni importanti per questo tipo di decorazioni a Torino e fuori.

    Il secondo ambiente più spettacolare di Venaria (anche per le dimensioni) è la "Galleria Grande" che pure è semplicemente il collegamento fra la parte residenziale, gli appartamenti del re e della regina, e la cappella di Sant'Uberto e le scuderie. Ma con la fondamentale funzione di parete traforata fra la corte d'onore e il vasto "Giardino a fiori" che si distende ai piedi della galleria (e che è stato liberato dalle costruzioni militari e bonificato dagli ordigni). Una ulteriore compenetrazione fra costruzioni e giardini, tipica delle ville barocche.

    Progettata dal Garove la "Galleria Grande" è ripensata dallo Juvarra che Vittorio Amedeo II, fresco re, ha chiamato da Roma nel 1714. Al "Primo architetto regio" "spetta il difficile compito di adeguare la scena urbana torinese alle nuove esigenze rappresentative della capitale del regno". Alla "Galleria" Juvarra modifica le pareti già costruite e vi inserisce grandi arcate aperte verso la corte d'onore e il giardino. Paolo Coraglia ci ricorda che il ritmo è ispirato alla navata centrale del Borromini in San Giovanni in Laterano.

    Con la serie delle grandi aperture ovali nella parte alta, l'effetto della galleria è di "uno spazio in competizione con le altre grandi gallerie europee, estremamente luminoso, un vero e proprio teatro di luce".

    Una raffinata decorazione a stucco ricopre l'intera superficie di volta e pareti nella celebrazione delle glorie e delle virtù di Carlo Emanuele III e dello Stato sabaudo. Figure con gli attributi del Potere e del Governo, le Arti e le Scienze promosse dal governo, i frutti della terra e del mare, le Stagioni. Alle pareti i piedistalli fra le lesene dovevano ricevere le allegorie in marmo delle province del regno, mai realizzate, e di cui si conserva il probabile bozzetto della Sardegna.

    L'attuale pavimento è stato realizzato secondo il progetto dello Juvarra del 1720, ma non è originale. Durante l'occupazione napoleonica nel 1811 venne smontato e trasportato a Torino, a Palazzo Reale, per impreziosire la galleria del Beaumont (attuale Armeria Reale).

    Le balaustre della terrazza fra galleria e giardino erano ornate da quattordici imponenti vasi in marmo scolpiti da Ignazio e Filippo Collino tra il 1769 ed il 1773. Anche i vasi sono stati portati a Palazzo Reale nei giardini dove sono tuttora visibili.

    Poco oltre si incontra il "Rondò" dovuto a Benedetto Alfieri. Ai quattro angoli sono ricomparse nelle nicchie le statue delle Stagioni scolpite da Simone Martinez nel 1753. Sono state recuperate dai giardini di Palazzo Reale, dove sono state trasportate in epoca napoleonica e dove saranno sostituite da copie.

    Il pavimentato è a forma di stella di marmo bianco, grigio e verde (di Susa), anche qui solo il disegno è originale perché il pavimento fu trasferito alla galleria del Beaumont. Conduce alla "sala delle Guardie" dove ritroviamo altre quattro colonne tortili-diritte. Queste otto colonne facevano parte delle circa 170 che erano state preparate dal 1674 per la "Grande Galleria" di Carlo Emanuele a Torino e mai completata.

    Dalla "sala delle Guardie" si scende lo scalone delle Tribune attraverso il quale re, regina e seguito entravano nella cappella di Sant'Uberto, il terzo spazio spettacolare della Venaria. Costruzione compatta tutta in mattone all'esterno, è stata concepita dallo Juvarra con pianta a croce greca smussata e viene considerata "una delle più rilevanti sperimentazioni" dell'architetto messinese sul tema della pianta centrale.

    Il primo aspetto che colpisce è l'organizzazione interna della chiesa simile ad un teatro barocco con quella serie di tribune-palchi collocati a mezza altezza come matronei, per tutto lo sviluppo della chiesa, e che prendono e danno luce da aperture alle loro spalle. I sovrani e la corte assistevano alle funzioni religiose da queste tribune, separate dai comuni mortali.

    E poi la luminosità assoluta di quell'ambiente dai colori tenui, avorio e azzurrino, il "color dell'aria". La luce è stata anche qui la preoccupazione massima dello Juvarra che - osserva Ilaria Fiumi -, "rielabora in modo innovativo questo tema centrale del barocco romano" da lui ben conosciuto nei dieci anni di permanenza nella città papale: luce "che spiove indirettamente" dall'alto delle quattro cappelle circolari, "filtra attraverso le 'camere di luce'" dell'ordine superiore, "passa radente alle colonne del coro, si staglia in controluce, con una valenza anche simbolica, alle spalle dell'altare maggiore e del tabernacolo, investe il finestrone absidale ellittico". Mentre dall'alto piove altra luce, dalle otto aperture ovali del tamburo che regge la cupola piatta dipinta al posto di quella vera non realizzata. E nell'ampio spazio della crociera c'è il segno della "lezione del Bernini in San Pietro".

    Sant'Uberto è dedicato alla dinastia dei Savoia. Alzando gli occhi si legge la grande scritta in un latino da sacrestia che corre appena sotto le aperture del tamburo: "Affinché la loro memoria sia benedetta ed il loro nome venga ricordato per l'eternità". Uno di quegli auspici all'eternità dei potenti, degli imperi o dei regimi che puntualmente vanno delusi. L'eternità della dinastia dei Savoia sul Piemonte si è fermata a poco meno di mille anni ed è già un gran bel primato.

    La chiesa è iniziata da Juvarra nel 1716 e interrotta nel 1730 perché l'architetto messinese deve dare la precedenza ad altri cantieri sabaudi e rimasta incompiuta alla morte a Madrid nel 1736. Anche qui interviene Benedetto Alfieri dal 1739 con altre modifiche. Ma Juvarra ha disposto con precisione anche degli apparati decorativi, di pitture e sculture, e disegnato minutamente gli altari. Di due altari laterali fa preparare un modello di legno in scala al vero (uno sopravvive). I pittori che fra il 1721 e il 1725 chiama a lavorare sono in gran parte conoscenze romane, "alcuni tra gli artisti più rappresentativi della cultura tardo barocca, segnando un punto d'arrivo dell'aggiornamento culturale" della corte sabauda.

    Francesco Trevisani dipinge la pala per l'altare destro del transetto, "L'Immacolata Concezione con San Luigi IX di Francia e il Beato Amedeo di Savoia", in modo così soddisfacente che il duca Vittorio Amedeo II avrebbe aggiunto al pagamento un servizio d'argento con stemma. Con questa commissione Trevisani si impone a Torino, uno dei centri del barocco europeo. Per l'altare sinistro viene scelto Benedetto Luti, allievo del Maratta, ma il lavoro non va a buon fine. Tocca al veneziano Sebastiano Ricci, che esegue la grande, "eccezionale tela" con la Vergine Assunta e quattro santi. Sono così messe a confronto le "tendenze più rappresentative della pittura di inizio Settecento: il disegno lucido del Trevisani e la cromia mossa del Ricci".

    Per le piccole cappelle circolari la pala "La Madonna e San Carlo Borromeo" di Giuseppe Chiari, viene rifiutata (è nel santuario di Superga) e allora la commissione passa a Sebastiano Conca che esegue anche un secondo piccolo dipinto con "La Madonna e San Francesco Saverio". Con questo artista che inserisce nei dipinti caratteristiche da religiosità privata c'è una "semplificazione compositiva", una "grazia arcadica che rimanda agli stucchi e alle sculture in una mirabile fusione visiva".

    Dal settembre 2006 le quattro tele (messe in salvo all'Università di Torino negli anni Sessanta del Novecento) sono tornate restaurate. Ai quattro angoli della crociera, nelle nicchie dei pilastri, sono le statue in marmo di una "monumentalità temperata" dei Dottori della chiesa (Agostino, Atanasio, Ambrogio, Giovanni Crisostomo), opera di classicismo accademico del carrarese Giovanni Baratta che è anche autore degli angeli degli altari. Questi santi rimandano alla figura di Maria, divina intermediatrice "alla quale tutta la decorazione della chiesa è dedicata". Una decorazione anche qui con vasti apparati in stucco che sono andati in parte perduti. L'intervento moderno ha rimosso i pesanti restauri novecenteschi.

    All'uscita da Sant'Uberto basta fare poche decine di metri per entrare nella mostra, alla base del "Belvedere" progettato dall'Alfieri e per immergersi in un altro ambiente affascinante: è la "Galleria Grande", ma in versione sotterranea, lunga come la galleria perché si estende esattamente sotto di lei, con volta a botte ribassata, tutti mattoni a vista, che prende luce da ventidue "bocche di lupo". Il pubblico non l'ha mai vista.

    Per più di due secoli era stata usata come discarica fino al colmo, deposito di materiali e cianfrusaglie, cucine, rifugio di pipistrelli (in certi ambienti sono stati eliminati due metri di guano). Nel sotterraneo Gae Aulenti voleva collocare la barca reale, la "Peota", fra "onde" mosse, in uno dei tanti progetti e ipotesi che si abbatterono sulla reggia ancora da recuperare, fra cui il trasferimento, o sradicamento, del Museo Egizio quando si temeva che Venaria Reale non avesse forze proprie per attirare il pubblico.

    Ora è la prima delle oltre cinquanta sale in cui si sviluppa la mostra dal sotterraneo al primo piano della "Reggia di Diana" (col "salone di Diana"), alla "Galleria Grande" fino alla cappella di Sant'Uberto con uscita dallo stesso "Belvedere". Presenta la storia dei Savoia dalle origini (ancora discusse quanto a date e protagonisti reali o mitici) al 1831 quando si estinse il ramo principale della dinastia ed il trono passò ai Carignano (Carlo Alberto). Sono ritratti, equestri o no, armi e armature da parata, con installazioni multimediali che rimarranno dotazione permanente della reggia. Vittorio Amedeo II e Carlo Alberto sono presentati vestiti "in maestà".

    Ed ecco i Savoia fra Cinque e Settecento, periodo di massimo splendore, con un rango europeo grazie all'abilità politica, alle vittorie militari, e, non ultimo, ai matrimoni. L'opera che spicca è il grande (3,15 metri per 2,36) e celebre ritratto equeste in cui Van Dyck raffigura il principe Tomaso di Savoia Carignano con luminosa sciarpona cremisi alla vita, su di un cavallo bianco impennato, dalla criniera resa filo per filo, le fasce muscolari sotto sforzo. Bastone di comando nelle mani nell'atteggiamento di "Seguitimi". Dipinto a Bruxelles nel 1634, viene considerato uno dei più significativi esempi di van Dyck per il ritratto aulico equestre. Viene dalla Galleria Sabauda di Torino. Tomaso fu celebre e fortunato condottiero al servizio prima della Spagna (di cui divenne comandante dell'esercito delle Fiandre) e poi della Francia (per ricompensarlo delle vittorie militari, il Re Sole lo nominò Gran maestro della corte).

    Di grande impatto anche il secondo ritratto di Van Dyck di un principe sabaudo, Emanuele Filiberto, vicerè di Sicilia: in piedi, con una bellissima gorgiera che quasi lo soffoca, ma gli dà grande tono e una mezza armatura da parata accuratissima nei particolari (la stessa conservata nell'Armeria reale di Madrid). Il grande maestro fiammingo dipinse almeno quattro ritratti di principi sabaudi (tre sopravvissuti).

    Sul tema della religiosità dinastica si impone San Maurizio, venerato e celebrato protettore dei Savoia dal 1100, un egiziano che comandava la legione romana Tebea da cui all'inizio del V secolo sono usciti numerosi martiri per la fede cristiana. In mostra ci sono il dipinto commissionato dal cardinale Maurizio a Guido Reni ("San Maurizio riceve la palma del martirio") del 1619-1620 e la spada ritenuta di San Maurizio. Si tratta invece di una spada del XIII secolo, in ogni caso molto importante nelle cerimonie sabaude, usata anche per la creazione dei cavalieri dell'Annunziata, la massima onorificenza di casa Savoia (ugualmente esposta) e paragonata all'"ordine della Giarrettiera" .

    L'ordine venne fondato nel 1364 da Amedeo VI, il Conte Verde, come "ordine del Collare" e rifondato nel 1518 come "ordine della Santissima Annunziata". L'onorificenza è formata da una alternanza di nodi sabaudi con la scritta Fert (motto sabaudo con varie interpretazioni, fra cui "portare, sopportare") e quindici rose a ricordo della rosa d'oro inviata da papa Urbano VI allo stesso Amedeo quando lo nominò cavaliere crociato.

    Fra 1572 e 1573 Emanuele Filiberto istituì un nuovo ordine dedicato ai santi Maurizio e Lazzaro, destinato a diventare uno dei più importanti d'Italia. In mostra c'è un ritratto in piedi (208 per 128 centimetri) di un ignoto cavaliere dell'ordine, in una armatura nera, completa (di cui si apprezza la "durezza dell'acciaio"), con accanto lo stendardo papale e un magnifico cimiero con "vaporose" piume bianche e rosse. Si tratta esattamente di un gonfaloniere. L'autrice è Artemisia Gentileschi e Mina Gregori l'ha definito "uno degli esempi più sensazionali della ritrattistica caravaggesca".

    I duchi e i re di Savoia urbanisti e costruttori. Per la mostra è stato realizzato un grande plastico (1 a 600) che presenta Torino al 1790 (realizzato dall'architetto Filippo Mastinu), alla vigilia dell'occupazione francese quando il processo di ampliamento e rettificazione delle principali arterie era ormai terminato. E Torino, dal 1563 capitale del ducato per scelta di Emanuele Filiberto, è considerata dai viaggiatori una delle più belle e moderne città d'Europa "per le architetture uniformi e la regolarità del tessuto urbano". In mostra vengono presentati i tre processi di ampliamento della città fra Seicento e inizio Settecento: verso Sud, lungo l'asse dell'attuale via Roma; verso Est verso il Po e verso Ovest, sulla direttrice di Porta Susina.

    Le residenze e il circuito delle delizie, le residenze extraurbane destinate allo svago e alla caccia, sono presentate nella serie realizzata a metà Seicento da un artista la cui identità non è stata ancora svelata, il "Maestro delle residenze". Residenze di fiume (Regio Parco, Mirafiori, Valentino), di collina (Villa della Regina, Vigna di Madama reale) e di governo (Moncalieri, Rivoli). Con la Venaria Reale, chiusura ideale di quella che Amedeo di Castellamonte definì la "corona di delitiae". Ma poi sarebbe arrivata Stupinigi. Questo sistema di architetture, giardini e viali alberati di collegamento (col castello di Racconigi dei Savoia-Carignano) "disegna il territorio intorno a Torino ed esprime la magnificenza della dinastia, costituendo uno dei maggiori esempi europei in questo campo".

    Fra gli interventi di Amedeo di Castellamonte la "Vigna della Madama Reale Cristina di Francia" (la straordinaria "Villa della regina" tuttora in posizione dominante sulla collina torinese e che la soprintendenza ha fatto rivivere anche nei filari di freisa). Michelangelo Garove "aulico interprete della volontà di affermazione di Vittorio Amedeo II e dei nuovi caratteri dello Stato". Ad esempio lo "stradone alberato di 13 chilometri che ancor oggi costituisce un fortissimo segno territoriale" fra la capitale e la nuova reggia extraurbana di Rivoli (modello, più avanti nella mostra). Juvarra con la missione per lui non impossibile di fare di Torino, capitale di un regno al di qua delle Alpi, una capitale europea della quale devono accorgersi le capitali al di là delle Alpi. Sulla città Juvarra mette un marchio che non può non essere visto, la basilica di Superga, la chiesa dai due campanili, "segno e misura di un progetto a scala non solo architettonica ma territoriale". E anche di Superga viene esposto, più avanti nella mostra, il modello in legno.

    Le prime due sale del piano nobile della reggia sono dedicate alla storia della Venaria. Ad accogliere i visitatori è il grande ritratto (arrivato dal Prado) dell'"inventore" della reggia, il duca Carlo Emanuele II. Si tratta di uno dei dipinti più celebri di Charles Dauphin, allievo a Parigi del grande Simon Vouet, che ha ritratto il duca con la famiglia, la duchessa Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours e il neonato Vittorio Amedeo fra un nugolo di amorini che sollevano pesanti tendaggi.

    Le complicatissime fasi edilizie della Venaria sono rese da un modello multimediale. Dipinti e disegni accompagnano il passaggio dalla "fase eroica" al "triste crepuscolo", l'occupazione napoleonica testimoniata da disegni di Carlo Randoni, architetto, autore di numerosi progetti di arredo. Carlo Randoni è legato ad una bellissima "storia" che nasce da Benedetto Alfieri. Il grande architetto quando muore nel dicembre 1767 nomina erede universale il cameriere Benedetto Randoni, padre di Carlo, che insieme alla moglie è stato al suo servizio per ventotto anni. Con tutta probabilità Carlo è diventato architetto mantenendosi agli studi grazie all'eredità dell'Alfieri.
    Ed ecco il centro della reggia, il "salone di Diana", uno dei passaggi agognati dei viaggiatori del "Grand Tour". Nel passaggio successivo si scopre che, in un'epoca in cui le conquiste delle donne erano molto lontane, il ducato del Piemonte ha avuto due donne forti, passate alla storia come "Madame reali" perché hanno retto lo Stato al posto dei figli minorenni e anche di quelli maggiorenni. Maria Cristina di Borbone, reggente dal 1637 al 1663 (ventisei anni), e Maria Giovanna Battista di Nemours reggente dal 1675 al 1684.

    Le due "Madame reali" svilupparono un'importante politica artistica (Maria Giovanna fondò nel 1667 l'Accademia Reale). Il loro collezionismo fu "fondamentale nella definizione dell'immagine della corte sabauda". "Bella, volitiva, dinamica, intelligente" e disibita nella vita privata (pur avendo come elemosiniere San Francesco di Sales), Cristina ha il gusto del fasto e della mondanità. In mostra è raffigurata su di un cavallo impennato e con il braccio teso a indicare la strada da seguire anche senza sciabola al fianco. Oppure come Minerva, dea della saggezza. Maria Giovanna appare come Diana accanto al marito, il duca Carlo Emanuele II, come Apollo, in due busti di marmo di Bernardo Falconi del 1669. Il ritratto è particolarmente somigliante a Maria Giovanna, con la stessa perla dell'orecchino e un'acconciatura molto simile a quelle di vari dipinti.

    E fra gli esempi del collezionismo sabaudo, per la prima volta sono tornati da Oxford i due preziosi arazzi di fattura francese opera del fiammingo Philippe Maecht che completano il ciclo delle storie di Diana conservate a Palazzo Reale. Per la mostra sono state riunite anche le "Muse" di Antiveduto Grammatica.

    Ora il ducato è diventato regno e con la "sala dei Trofei militari" si entra nella parte settecentesca aperta dai primi due re Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III. Un passaggio di grado ottenuto sul campo, in particolare con le vittorie militari. L'"esame di laurea" è nel 1706 con la rottura dell'assedio francese a Torino grazie all'azione combinata di Vittorio Amedeo II e del cugino Eugenio di Savoia e ad episodi come il sacrificio di Pietro Micca. Il regno significa grandi cambiamenti per Torino e per il circuito delle residenze. Qui sono i modelli della basilica di Superga e del castello di Rivoli. Le architetture sabaude sono messe a confronto con quelle delle altre corti europee.

    Nulla di più adatto della "Galleria Grande" come introduzione alle sale in cui viene declamata la magnificenza della corte sabauda nel Settecento, esempio di alto livello delle corti europee. Arazzi e specchi, argenti, cristallerie, cineserie, porcellane, e poi capolavori impiallacciati, intarsiati e intagliati con decine di legni rari, avorio, madreperla, tartaruga, rifiniture in bronzo dorato. Creazioni di Pietro Piffetti (" non solo il maggiore ebanista italiano del Settecento, ma anche uno dei più grandi che l'Europa abbia avuto"), Giuseppe Maria Bonzanigo (uno dei tre più famosi ebanisti italiani del Settecento), Luigi Prinotto, il "bronzista" Ladatte.

    Dall'Ermitage di Pietroburgo è arrivata una zuppiera in argento del monumentale servizio (220 pezzi in origine) "Turinskij", fatto fare agli specialisti piemontesi famosi in Europa e attribuito a Giovanni Battista Boucheron. L'acquisto (nel 1787 per trentamila rubli d'argento) ebbe origine dalla visita in incognito del granduca Pavel Petrovic Romanov, nipote di Caterina II e futuro zar Paolo I, alla corte di Vittorio Amedeo III. Il servizio è una testimonianza rara delle argenterie piemontesi dopo le depredazioni napoleoniche.

    In tutte queste magnificenze si ritrova a casa sua Vittorio Amedeo III nel grande dipinto di Domenico Duprà del 1759-60 che viene considerato "forse il più bel ritratto sabaudo del Settecento". Duprà, già ritrattista di corte in Portogallo, in una scena raffinata che sembra un passo di danza, raffigura Vittorio Amedeo con mezza armatura, insieme alla moglie Maria Antonia Ferdinanda di Borbone Spagna e i primi figli fra cui due futuri re di Sardegna. Il re può ancora sorridere, poi dovrà ingoiare l'armistizio di Cherasco imposto dalle vittorie di Napoleone e la pace di Parigi che nel maggio 1796 lo priva di Nizza e Savoia. Quindi conclusione della mostra nella gloria di Sant'Uberto.

    E dopo lo spirito si può soddisfare la carne al ristorante collocato all'ultimo piano del cosiddetto "Torrione Garove Est" con terrazza panoramica adiacente al "Belvedere", oppure nelle tre caffetterie previste all'ingresso principale e lungo il percorso di visita e una quarta nel Centro di restauro. Nel sottotetto della "Galleria Grande" si potrà scoprire una cantina-spazio degustazione.

    La mostra è organizzata per conto del ministero e della Regione Piemonte dall'"Associazione castello di Rivoli", ed è a cura di Enrico Castelnuovo con un comitato di studiosi, allestita su progetto dell'architetto Giorgio Lombardi. Il catalogo (Umberto Allemandi Editore) è in due volumi (storia, architettura e arte della reggia; mostra) di 688 pagine complessive.

    Alla mostra e alla Venaria manca (per ora) quella che è destinata a diventare la "star" della reggia, la "Peota", il cosiddetto Bucintoro sabaudo. La barca da parata a otto vogatori, lunga quasi sedici metri, larga 2,80, fatta costruire, probabilmente a Burano, da Carlo Emanuele III nel 1730 per feste e passeggiate lungo il Po. La "Peota" arrivò a Torino nel settembre 1731 dopo trentadue giorni di navigazione controcorrente, trainata da buoi e cavalli dalle rive. Di colore rosso lo scafo e nero la parte che va in acqua, è ricoperta di stucchi dorati con gruppi di divinità marine a prua e a poppa e lungo le fiancate da fregi di tritoni e nereidi. Al centro dello scafo è un piccolo padiglione per i reali, gli ospiti e l'"Ammiraglio di Po".

    La "Peota" è un pezzo unico fra le barche veneziane da parata settecentesche. Per conservare un simile patrimonio è da sette anni in osservazione, studio e restauro ad Aramengo, sulle colline della provincia d'Asti, nei celebri laboratori Nicola dove è stata trasferita dal Museo di arte antica di Palazzo Madama che ne è il proprietario.

    La "Peota" non è arrivata a Venaria perché non sono pronte la citroniera e le "Scuderie Grandi" che insieme formano lo spazio più "extra extra large" della reggia anche questo ricco di nicchie che lo rendono molto "mosso" e di stucchi (picconati). Sono due navate affiancate, separate da una parete su cui porte e finestre sono dipinte in "trompe l'oeil" a mezzo fresco. Di identica lunghezza (148 metri), la citroniera è larga 14 e alta 16 metri e le "Scuderie Grandi" sono larghe 12 metri e alte 15 circa.

    I restauri saranno conclusi fra il 2008 e il 2009. La "Peota" - anticipa Alberto Vanelli - andrà nella citroniera dove sarà riallestito il "Giardino d'inverno". Certamente la rossa barca reale che naviga nell'"oceano verde" sarà un altro spettacolo che "vale il viaggio". Le "Scuderie Grandi" diventeranno un "polo espositivo per mostre internazionali" (una impresa non per deboli di cuore) con una superficie di quattromila metri quadri più 1.800 delle "Stanze dei Paggi" sopra le scuderie.

    Il campionario delle possibilità, molte affascinanti, che la Venaria Reale può mettere in campo è vastissimo: un mondo a parte con la reggia, i giardini; il parco de La Mandria, con mostre, spettacoli, musica. E nel 2008 saranno inaugurati altri venti ettari di giardini. Le aspettative in fatto di visitatori sono enormi: un milione l'anno - ha detto Vanelli - secondo il quale "bisognerà 'pescarè visitatori a 800-1.000 chilometri da Torino". Sarà anche necessario pensare ad una Fondazione pubblico-privato come è stato fatto col Museo Egizio.

    I visitatori dei giardini monumentali e della "Peschiera Grande" aperti dal dieci giugno, sono finora circa ottantamila. Una piccola, promettente, avanguardia. Con quel milione di visitatori, dice il sindaco di Venaria, Nicola Pollari, "il dormitorio di Torino, lo spazio per centri commerciali, vuole cambiare, trasformandosi in città di servizi", di accoglienza, di intrattenimento, di proposte, di eventi. Insomma una "città di delizia".

    Notizie utili - "La Reggia di Venaria e i Savoia. Arte, magnificenza e storia di una corte europea". Dal 13 ottobre al 30 marzo 2008. Venaria Reale (uscita sulla tangenziale Nord di Torino). A cura di Enrico Castelnuovo. Promossa dal ministero per i Beni e le attività culturali e dalla Regione Piemonte. Organizzata dall'"Associazione castello di Rivoli". Catalogo (due volumi) Umberto Allemandi Editore.

    Orari: martedì, mercoledì, giovedì, sabato e domenica: 9-20; venerdì 9-17. Entrata fino a 90 minuti prima dell'orario di chiusura. Chiuso il lunedì.

    Biglietti: visita della reggia con mostra, intero 10 euro; ridotto 7 (oltre 65, meno di 21);
    ridotto gruppi, massimo 25 persone (se prenotato almeno 6 ore prima): 7 euro; ridotto scuole, almeno 15 studenti con un docente, 4 euro.

    Biglietti: visita della reggia con mostra e giardini, intero 12 euro; ridotto 8 (oltre 65, meno di 21); ridotto gruppi, massimo 25 persone (se prenotato almeno 6 ore prima): 8 euro; ridotto scuole, almeno 15 studenti con un docente, 5 euro.

    Servizi acquistabili oltre il biglietto di ingresso: visite guidate in orari programmati acquistabili in loco (singolo); visite guidate prenotate reggia e giardini. Audioguida 4 euro.

    (11 ottobre 2007)


    Non era questo che volevo postare in realtà, ma non trovo l'articolo comparso sul quotidiano (che non è questo che c'è solo sul sito). Volevo postarlo perchè ci sono due chicche:

    1. dice: << è stato quasi imbarazzante l'interesse per i Savoia, accanto a politici totalemente ignorati. "Voglio più bene a loro che a noi?" ammicca Emanuele Filiberto ...
    2. Più divertente la seconda che riguarda Mercedes Bresso (certo che in Piemonte potevate scegliere almeno una presidente con un cognome diverso!!!). La Mercedes dicevo s'è incazzata perchè sulla sedia (aggettivo usato: plebea) c'era un biglietto per riservare il posto in che recitava "Sua Altezza Reale Emanuele Filiberto di Savoia"; pare che si sia appartata con il telefonino minacciando di licenziare chi ha attentato alla Lesa Maestà repubblicana, ma poi, come si dice a Roma, ha dovuto "fare pippa".


    lupocattivo

  2. #2
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    Vorrei ringraziare i Savoia per questo bellissimo dono :P

  3. #3
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    di : MAURIZIO LUPO - La Stampa

    La Reggia di Venaria di Sua Maestà il Re di Sardegna ha come confini solo le Alpi e il cielo di Nostro Signore. E’ simbolo del Suo immenso potere in terra, che ha benignamente affidato al nostro sovrano Vittorio Amedeo II».Lo dicevano infine orgogliosi gli ambasciatori sabaudi alla supponente corte di Francia, dove la Reggia di Versailles manifestava analoghe ambizioni, per quanto più potenti e grandi, perché erano quelle di Luigi XIV, il Re Sole. Ma i due monarchi potevano ormai parlarsi negli occhi. Vittorio Amedeo II nel 1706, quando era ancora Duca di Savoia, aveva sconfitto sotto le mura di Torino l’arrogante armata francese. La vittoria l’aveva reso Re nel 1713. Ora non doveva più cedere il passo al «cugino d’Oltralpe», che ambiva trattarlo da vassallo, quando gli aveva concesso in moglie la nipote, Anna d’Orléans. Era una grande donna, umile quanto colta e raffinata, cresciuta nel castello di Saint Cloud e a Versailles. Confermò a Torino il linguaggio e i rituali di corte che Cristina di Francia, sorella di Luigi XIII e madre di Carlo Emanuele II, il fondatore di Venaria, aveva già importato in Piemonte.Il legame fra Torino e Parigi, fra Venaria e Versailles, nasceva da una comune cultura. I visitatori che da domani varcheranno la soglia di Venaria Reale non potranno evitare di fare paragoni con quella di Versailles.Le due residenze reali sono coetane. Nascono per affermare un’identica rappresentazione del potere. Tutte e due vengono erette su un unico asse prospettico. E’ quello che procede dalla capitale alla sede regale, come una via trionfale fra ali di popolo. Versailles viene inaugurata il 15 novembre 1684 e giunge a compimento nel 1710. Mentre i primi disegni di Carlo di Castellamonte per Venaria sono del 1672, per un palazzo che si dilaterà nel Settecento con i contributi degli architetti Michelangelo Garove, Benedetto Alfieri e Filippo Juvarra. Entrambe le dimore devono esprimere nell’architettura l’idea dello stato assoluto, inteso come comunione fra monarca, territorio e popolo, espressa in un unico scenario. Le due regge rappresentano il Re che domina il territorio, con la sede del suo potere. Il sovrano si esprime attraverso la mente e l’opera dei suoi architetti, che modellano a misura delle regie volontà la natura selvaggia.E’ un linguaggio che si manifesta con gli identici simboli del potere assoluto, così come era concepito all’epoca. Vengono espressi nell’architettura, che realizza apposta edifici tanto più grandi quanto più devono esprimere l’autorità. Il primo concetto che devono trasmettere al popolo è il legame che il Re ha con il Dio che l’ha posto sul trono. Il luogo per affermarlo è la chiesa, che a Versailles è la «cappella Palatina» e a Venaria è Sant’Uberto.Segue la sede che celebra l’apoteosi del potere regale. Sono le sale di Apollo e di Ercole a Versailles e la Sala di Diana a Venaria. Infine ecco le grandi gallerie di luce e magnificenza, quella «degli specchi» alla corte di Francia e quella «Grande di Diana» a Venaria. Rappresentano la vetrina del potere. Servono a manifestare la corte e il Re al popolo, che qui ha una delle rare occasioni di ammirarli, mentre vanno in chiesa.Si aggiungono le Citroniere e le Scuderie. Le prime non sono solo rifugi invernali per piante, ma sede di feste. Nella buona stagione i convivi proseguono nei parchi, intesi come prolungamento «naturale» della corte reale, che si protende verso il dominio dell’infinito, lungo le prospettive delle rotte di caccia, per affermare una volta ancora il suo predominio.Sono invece le dimensioni che differenziano le due Regge. Versailles è più grande. La sua facciata verso il parco misura 550 metri. Venaria nel suo articolato complesso di corti abbraccia 340 metri. La Galleria di Diana è lunga 77 metri, quella degli Specchi raggiunge i 120. Le scuderie e la citroniera di Venaria sfiorano i 160 metri, mentre quelle di Versailles non possono competere con identica prospettiva, perché sono disposte a ferro di cavallo. Quanto al parco quello di Re Sole è cinque volte più grande di quello di Venaria, che però alle spalle vanta la tenuta della Mandria di 3 mila ettari, racchiusi in una cinta di 35 chilometri. Una magnificenza che forse Re Luigi XIV guardò con sufficienza, ma che certo indispettì Napoleone, quando invase Venaria. La spogliò di ogni bene e la trasformò in poligono per le sue truppe.

    http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tm...7&sezione=News

  4. #4
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    Un’enciclopedia sabauda - 20 anni prima di Diderot

    Due volumi e 211 tavole. Compilati e disegnati da Giovanni Battista d’Embser,un ufficiale asburgico al servizio dei Savoia. Per la prima volta pubblicati integralmente

    MAURIZIO LUPO - La Stampa
    TORINO

    Venaria Reale scopre di avere un altro primato. Qui Vittorio Amedeo II, poco prima di morire, ordinò alla sua amministrazione di realizzare un’opera a carattere enciclopedico, ben venti anni prima della famosa «Enciclopedie» di Diderot e D’Alembert.

    Il sovrano sabaudo non aveva la loro ambizione di educare il popolo, ma voleva uno strumento «di buon governo», che consentisse di razionalizzare il linguaggio tecnico dei suoi arsenali. Per facilitare ordini e contratti desiderava che nel suo Regno si parlasse un’unica lingua.

    Nacquero così il libro «dei dissegni» e il suo «Dizionario instruttivo di tutte le robbe appartenenti all’Artiglieria». Li compilò entro il 1732 Giovanni Battista d’Embser, un ufficiale asburgico, d’origine triestina, che era giunto a Torino al seguito dell’armata del Principe Eugenio di Savoia.

    Visitò tutti i regi opifici, schedò le loro attrezzature, le illustrò con 211 tavole in scala e ad ogni oggetto diede una precisa definizione, spiegando che cosa era e a che cosa serviva. Realizzò un lavoro raffinato, in due volumi complementari. Il tutto non fu mai pubblicato, perchè non era destinato alla divulgazione di massa, ma riprodotto in poche copie manoscritte.

    Una verrà esposta da giovedì prossimo alla Biblioteca Reale, diretta da Maria Letizia Sebastiani. Per la prima volta presenta al pubblico un’opera dimenticata da secoli. Il primo a riscoprirla fu il generale Guido Amoretti, che comprese l’importanza della copia dei «Dissegni» custodita nella biblioteca della Scuola d’Applicazione d’Arma di Torino, erede del Regio Arsenale. Fu riprodotta nel 1981 in un’ormai introvabile edizione anastatica curata dall’Amma. Rimase invece senza editore il «Dizzionario». E’ una lacuna che viene ora colmata dall’editore Roberto Chiaramonte, che propone i due volumi con un commento di Giorgio Dondi.

    http://www.lastampa.it/Torino/cmsSez...4721girata.asp

  5. #5
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    Predefinito Il Messaggio del Principe di Piemonte e di Venezia

    .



    Messaggio
    di S.A.R. il Principe Emanuele Filiberto
    in occasione della Riapertura della Reggia di Venaria Reale


    Ho partecipato con grande commozione alla riapertura della Reggia di Venaria Reale,
    visitare oggi le sale della Reggia mi ha consentito di apprezzare il grandissimo sforzo fatto dal Ministero e dalla Regione per restituire il suo antico splendore alla Reggia.

    Ora questo luogo sarà un punto di incontro per tutti gli italiani e non solo.

    Spero che questo primo importante passo riporti il circuito delle Regge di Casa Savoia all'attenzione internazionale come punto di eccellenza dell'arte e della cultura italiana,
    un elemento che consentirà un grande rilancio turistico di tutta la nostra Patria.
    Da: http://www.valoriefuturo.it/news.aspx?f=05&id=325




    Le LL.AA.RR. i Duchi di Savoia e Principi di Napoli Vittorio Emanuele e Marina con il Principe di Piemonte e di Venezia




    La Principessa Maria Gabriella con ai Suoi lati il Duca e la Duchessa d'Aosta




    I Principi di Napoli ed il Principe di Piemonte e di Venezia durante la visita alla Reggia




    Le LL.AA.RR. la Principessa Maria Gabriella, i Duchi Amedeo d’Aosta ed Aimone delle Puglie
    con il Vicepresidente del Consiglio On. Rutelli.

  6. #6
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    Predefinito Il Principe di Piemonte e di Venezia nominato Conservatore Onorario

    Riapertura della Reggia di Venaria Reale
    dopo gli importanti Restauri





    Il 12 Ottobre 2007 i Principi Vittorio Emanuele, Marina ed Emanuele Filiberto di Savoia hanno partecipato alla riapertura ufficiale dell’imponente Reggia di Venaria Reale, una delle Delizie Sabaude Piemontesi, dopo gli imponenti lavori di restauro.

    Dopo molti anni anni di abbandono, nel 1960 il maestoso Castello, nato dal progetto del Duca Carlo Emanuele II, è stato consegnato alla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte, per consentirne la ristrutturazione: questi interventi di risanamento, effettuati sia con fondi ordinari sia con fondi FIO, hanno interessato il completamento di tutto l’intero complesso per un totale di 24.000 mq.

    Quest’opera, di cui il Principe Emanuele Filiberto di Savoia è stato nominato Conservatore Onorario, consentirà ai visitatori di rivivere gli splendori della Reggia così come era stata voluta e mantenuta da Casa Savoia.

    Genius Loci” della Reggia di Venaria Reale, dichiarata dall’UNESCOPatrimonio dell’Umanità”, è sempre stato il “Gran Re,” Vittorio Amedeo II di Savoia.

    Venaria Reale è oggi affidata all’ Associazione Venariese Tutela Ambiente A.V.T.A, che si propone di tutelarne e valorizzarne lo spendido complesso, il suo Borgo, i Giardini ed il Parco.

    Valori e Futuro ha più volte promosso iniziative legate all’importante valore storico, culturale, artistico delle Regge Sabaude e presto programmerà nuovamente un percorso alla riscoperta di questo patrimonio preziosissimo di tutti noi.
    Per avere informazioni sulle iniziative di Valori e Futuro: Segreteria Generale tel. 06.98261400, info@valoriefuturo.it

    da: Valori e Fururo
    http://www.valoriefuturo.it/news.aspx?f=02&id=292
    ...........................


    La partecipazione della Famiglia Reale è fatto già noto e documentato in questo thread.
    Novità significativa è che S.A.R. il Principe di Venezia sia stato nominato Conservatore Onorario.
    Beh, come non esserne contenti?

  7. #7
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    Predefinito

    Citazione Originariamente Scritto da lupocattivo Visualizza Messaggio


    Non era questo che volevo postare in realtà, ma non trovo l'articolo comparso sul quotidiano (che non è questo che c'è solo sul sito). Volevo postarlo perchè ci sono due chicche:

    1. dice: << è stato quasi imbarazzante l'interesse per i Savoia, accanto a politici totalemente ignorati. "Voglio più bene a loro che a noi?" ammicca Emanuele Filiberto ...
    2. Più divertente la seconda che riguarda Mercedes Bresso (certo che in Piemonte potevate scegliere almeno una presidente con un cognome diverso!!!). La Mercedes dicevo s'è incazzata perchè sulla sedia (aggettivo usato: plebea) c'era un biglietto per riservare il posto in che recitava "Sua Altezza Reale Emanuele Filiberto di Savoia"; pare che si sia appartata con il telefonino minacciando di licenziare chi ha attentato alla Lesa Maestà repubblicana, ma poi, come si dice a Roma, ha dovuto "fare pippa".


    Oh! Questa mi era sfuggita.
    Grazie Lupocattivo.

 

 

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