I 500 mila del Colosseo riportano Fini al partitodi Guido Forte
Ancora le luci del palco non si erano spente. La gente non aveva ancora lasciato via dei Fori imperiali che già si facevano le prime analisi sulla manifestazione di An. Un successo di partecipazione. Cinquecentomila persone in tempi di forte antipolitica non è roba da poco, soprattutto se si considera che all’inizio l’annuncio dell’iniziativa fu accompagnato da un’ondata di scetticismo se non di incredulità. Forse nemmeno Gianfranco Fini pensava che An sarebbe riuscita a raccogliere all’ombra del Colosseo mezzo milione di persone. Ecco perché l’iniziativa del 13 ha dell’eclatante. Se poi si valuta che è stato un solo partito ad aver mobilitato tutte queste schiere si comprende bene quale effetto possa avere nei delicati meccanismi politici. Sia all’interno della CdL che nel partito stesso. Perché una cosa deve essere chiara da subito, dopo il 13 ottobre i rapporti nel centrodestra non sono più gli stessi. Nel partito in primo luogo. An ha, infatti, dimostrato di non essere una corazzata in disarmo ma ha anzi palesato, in primo luogo al suo leader, di essere più vitale di quello che sembrava. Quel partito spesso definito dallo stesso Fini una zavorra ha mostrato di essere ben altro. La destra così si è ritrovata a far sentire la sua voce e con essa quella dei suoi militanti. Cinque anni di governo e poi il rispetto deferente per la leadership di Berlusconi avevano ridotto notevolmente il ruolo di An. Le stesse iniziative finiane sempre più rivolte a fondazioni e comitati con la società civile avevano contribuito a dare del partito l’immagine di un “carrozzone” poco funzionale ed utile. La manifestazione di sabato, invece, dice il contrario e restituisce a Fini l’immagine di una struttura ancora in grado di mobilitare e soprattutto di appassionare. Molti non a caso hanno notato che tra i cinquecentomila del Colosseo è stato limitato l’apporto di quei comitati, associazioni e varie che da quando Fini ha lasciato la Farnesina si è impegnato a realizzare o sostenere. A riempire la piazza sono stati i militanti di An, quelli delle singole sezioni. Questo tradotto in termini politici significa la riscossa della politica. Un dato che potrebbe spingere lo stesso Fini a rivalutare il suo impegno al di fuori del partito. Non di abbandonare il lavoro fatto ad esempio con “Fare Futuro” ma a guardare con un occhio più benevolo il partito. Raccontano, infatti, che il giorno dopo commentando la manifestazione abbia confidato che alla fine sarà il partito a portarlo alla guida del governo e non certo le fondazioni. Fini che si riappropria del partito, quindi. Non una novità. Spesso il leader ha dimostrato questo particolare attivismo interno dopo appuntamenti importanti. Lo ha fatto all’indomani dei referendum della fecondazione e del famoso “attacco della Caffetteria”. Ed anche questa volta lo farà. Così sarà destinato a crescere il peso dei finiani doc. Roberto Menia, mente ed anima di questa iniziativa, è uno dei primi della lista dei “premiati”. Da sempre fedelissimo di Fini, della ristretta cerchia del capo. Uno di quelli che dal primo momento aveva creduto nella manifestazione e per la quale si è speso tutto. E’ certamente uno di quelli per cui il futuro dopo sabato è esaltante. Salgono anche le quotazioni di Gianni Alemanno che ha ormai abbandonato la vis polemica della Destra sociale per sposare la linea di Fini. L’ottima risposta in termini di uomini e di organizzazione di Roma fa brillare ancora di più la sua presidenza provinciale e molti dicono che questo potrebbe contare molto nella scelta del prossimo candidato sindaco di Roma. Un sogno che Alemanno non ha mai messo da parte. A rafforzare la loro posizione dopo sabato saranno anche Andrea Ronchi, il portavoce di An, Mario Landolfi, presidente della Vigilanza Rai ed Italo Bocchino mente ed anima del Comitato delle Libertà e colui che cura i rapporti tra a società civile e lo stesso Fini. Tutti finiani doc e su cui Fini fida ciecamente. Da qui partirà Fini per ispessire la “sua componente” in An. Una mossa che arriva anche in un momento particolare del partito in cui si riaffacciano le correnti. Un modo, quindi, per contrastare la “balcanizzazione” del partito? Certo, ma anche per evitare di trovarsi spiazzato come capitò un anno e mezzo fa sulla questione dei referendum sulla fecondazione assistita. L’unico momento in cui la leadership di Fini fu sul punto di collassare. Ripresa del correntismo e dell’attivismo interno che fanno capire come le elezioni si stiano avvicinando e che stia per giungere anche il momento della celebrazione del congresso. Lontano, ancora, ma vicino per quanto riguarda le scelte da fare. Infine, ma questione non trascurabile, c’è la CdL. Sabato avrà riflessi anche su tutto il centrodestra. La Brambilla alla fine non ha partecipato segno che poi dalla parti di Arcore l’appuntamento non fosse visto in modo così favorevole. Dal primo momento al Cavaliere l’ipotesi di una manifestazione solitaria di An non era piaciuta. Si sa a Berlusconi non piace stare alla finestra, rimanere in disparte. A lui piace calcare il palcoscenico. Ma stavolta è dovuto rimanere dietro le quinte anche perché nessuno dal palco gli ha tributato alcun omaggio. Ed il silenzio con cui ha accompagnato la manifestazione è la conferma che non abbia gradito quello che ha visto sabato. Il bagno di folla di Fini, il suo discorso tutta politica e poca retorica non lo ha entusiasmato. E’ suonata più come una sfida a lui che al centrosinistra. Ed infatti i cinquecentomila hanno riportato An al centro dello schieramento politico del centrodestra imponendo agli altri di misurarsi e di dimensionare le proprie pretese. Da questo momento in poi è chiaro che strategie e scelte della CdL non potranno prescindere dal dato di sabato. Lega ed Udc sono avvertite perché dopo Forza Italia c’è An. Sul fronte leadership, invece, qui per ora non c’è nessun pericolo. Lo spiegano con malizia proprio alcuni forzisti che contano: “Fini avrà anche riempito Roma ma dovrà dimostrare di riempire le urne”. E per ora quelle le riempie ancora il Cavaliere.
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