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Risultati da 11 a 20 di 37
  1. #11
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    Citazione Originariamente Scritto da Stan Ruinas Visualizza Messaggio
    [...] mi preoccupa invece, come indice di una qualche forma di suprematismo ( o cmq forma mentis imperiale)
    No, guarda, suprematismo e imperialismo sono due parole che nella mia testa non entrano nemmeno. Rivolgi altrove la tua preoccupazione, perché se è questa che non ti fa dormire, ti assicuro che perdi il sonno ingiustamente.

    il tuo rifiuto ( che ovviamnete condivido per la laicità cui vorrei improntato lo Stato ),del sistema teocrazia invece palesemente scelto in altri paesi.
    Attenzione. Io non concordo e non mi spendo per le lotte nazionaliste che vogliono l'indipendenza di uno staterello teocratico, che porterebbe alla costruzione di un dominio castale - perché di questo si tratta in Tibet - a discapito dei diseredati della terra. Considera che in Tibet ci sono anche abitanti buddisti all'esterno dei templi, che muoiono di fame, mentre all'interno dei "luoghi di preghiera" mangiano e bevono, giustificando la sofferenza degli altri come voluta dal "fato"... Sai cosa dicono questi cari buddisti tibetani - come quelli thailandesi - a quelli che muoiono di fame? "Non vi preoccupate ché nella prossima vita andrà meglio"... Spero d'essermi spiegato... Oltretutto, il "clero" tibetano non conduce alcuna battaglia antimperialista, anticapitalista e di solidarietà con altri popoli in lotta, ma è saldamente ancorato agli USA ed ai fondi che questi destinano per loro... Pensaci.

    Chi siamo noi, per decidere ciò che popoli liberi hanno conquistato, magari con una rivoluzione ?
    Questo è un altro paio di maniche. A prescindere dal fatto che io ho detto la mia, ossia che io ho dato un parere mio - mi spendo per le Resistenze antimperialiste, non certo per le teocrazie filostatunitensi! -, che puoi condividere o meno, io non vedo proprio cosa ci sia di rivoluzionario in Tibet!

    Abbiamo il diritto di condannare ciò che è aspirazione di maggioranze o consistenti minoranze con tradizioni e culture diverse , e che viene realizzato nella loro macro-comunità ?
    Non mi sogno certo di andare a bombardare il Tibet come fanno i Paesi imperialisti in mezzo mondo! Ci mancherebbe altro! Ma nemmeno parteggio per quegli stati fondati sulle caste, filostatunitensi, teocratici e antisolidalidali che vogliono recuperare l'indipendenza - non si sa su quali basi, visto che il popolo che abita il Tibet se ne strafrega e non vedo quali ragioni adducano per volere l'indipendenza -, che andrebbe a costruire un'altra colonna statunitense nell'Asia, già di per se stessa martoriata dalle lacerazioni...

  2. #12
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    Per OUTIS : Lo so che non sei suprematista...mi preoccupavo del principio che un terzo possa arrogarsi il diritto di decidere in barba all'autodeterminazione.....sull'esempio specifico Nulla Questio, la posizione è concorde, ivi comprese le conclusioni per cui diventerebbero ( come in Cecenia ) quintacolonna Usa.
    la mia domanda era indirizzata alla fondatezza di certe posizioni esterne magari rispetto a Hezbollah o Iran.
    In realtà siamo sulla stessa posizione.

  3. #13
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    È proprio vero che la libertà è preziosa; così preziosa che dovrebbe essere razionata.
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    Citazione Originariamente Scritto da are(a)zione Visualizza Messaggio
    I buddhisti non reagiscono per la palese presa per i fondelli?

    In base a quale pilastro della saggezza, il Dalai Lama stringe le mani di un assassino?
    Il lamaismo teocratico latifondista tibetano sta all'ascetismo buddhista più o meno come ratzinger sta a gesù di nazharet.
    Fanno bene i cinesi ad incazzarsi, ed oltretutto nessuno ricorda della questione irrisolta di taipei, con un governo fantoccio filoyankee che occupa un'isola cinese.

  4. #14
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    Citazione Originariamente Scritto da Stan Ruinas Visualizza Messaggio
    Per OUTIS : Lo so che non sei suprematista...mi preoccupavo del principio che un terzo possa arrogarsi il diritto di decidere in barba all'autodeterminazione.....sull'esempio specifico Nulla Questio, la posizione è concorde, ivi comprese le conclusioni per cui diventerebbero ( come in Cecenia ) quintacolonna Usa.
    la mia domanda era indirizzata alla fondatezza di certe posizioni esterne magari rispetto a Hezbollah o Iran.
    In realtà siamo sulla stessa posizione.
    Mi sembra una domanda senza senso quella riguardante Hezbollah o l'Iran, visto che sono un militante del Campo Antimperialista...

  5. #15
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    Citazione Originariamente Scritto da komsomol Visualizza Messaggio
    Il lamaismo teocratico latifondista tibetano sta all'ascetismo buddhista più o meno come ratzinger sta a gesù di nazharet.
    Fanno bene i cinesi ad incazzarsi, ed oltretutto nessuno ricorda della questione irrisolta di taipei, con un governo fantoccio filoyankee che occupa un'isola cinese.
    Ottimo intervento, chiaro, conciso e pungente!

  6. #16
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    interessante articolo anche se un pò datato

    Menzogne americane sul Tibet e sul Dalai Lama.
    Media commerciali e ufficiali propongono incessantemente la versione americana del tormento che il Tibet avrebbe subito dall’aggressore e sterminatore cinese. Personalmente ero affascinato anch’io dal buddismo tibetano e dalla santità del Dalai Lama. Ero pure addolorato per l’oppressione subita dai tibetani a causa dell’oppressione cinese. Bhè, come diciamo nel nostro motto, ho cambiato radicalmente idea per accordarla alla verità. Le mie conclusioni sono una profonda avversione per la “causa tibetana” (così come ce la propone Hollywood) e per il Dalai Lama.

    Come di fronte ad ogni versione ufficiale, mi sono mosso alla ricerca di una verità alternativa. Non ero sicuro di trovarne una, ma volevo vedere se il “martirio” del Tibet è così univoco come gli americani vorrebbero far credere. Volevo vedere se i Cinesi possono essere considerati “aggressori” del Tibet come ripetono incessantemente i media legati a Washington e Londra. Questa ricerca è fatta in nome del solo principio che mi caratterizza: la ricerca della verità. E ho trovato delle cose sconcertanti…

    Secoli di aggressioni, stermini, attentati, eccidi, guerre da parte degli occidentali al popolo cinese non fanno parte di questo articolo, ma vale la pena almeno accennarli per puntualizzare che nessun “occidentale” può parlare di aggressione cinese a chicchessia senza prima parlare di torture, umiliazioni, spoliazioni, stermini da parte degli occidentali ai danni dei “musi gialli”. Chiudiamo qui la parentesi su cui magari scriveremo un articolo dedicato.

    L’imperialismo occidentale cerca incessantemente di promuovere la secessione del Tibet dalla Cina. Perfino una certa sinistra in buona fede si fa portavoce (assieme agli organi di informazione dell’Impero) di questa posizione per subalternità o mancanza di conoscenza. E veniamo ai fatti.

    La sovranità cinese sul Tibet ha alle spalle secoli e secoli di storia. Il Tibet è territorio cinese dal tempo in cui in Europa non esistevano ancora gli Stati nazionali. I primi a mettere in discussione la sovranità cinese sul Tibet sono stati i fautori dell’imperialismo britannico. (1)(2)
    Come si legge in un manuale di storia asiatica (uno qualunque), i tentativi di distruggere la sovranità cinese sul Tibet sono la conseguenza di una politica volta allo “smantellamento della Cina”. (3)
    Non sono soltanto i comunisti cinesi a considerare il Tibet parte della Cina. Sun Yat-sen, primo presidente della Repubblica nata dal rovesciamento della dinastia Manciù, ne era convinto. Quando gli inglesi gli chiesero di partecipare attivamente alla Prima Guerra Mondiale per poter recuperare alla Cina i territori che la Germania le aveva strappato, lui rispose: “Voi vorreste strapparci anche il Tibet!”. (4)
    Prima della guerra fredda Washington riconosceva che il Tibet era territori cinese. Ancora nel 1949 il Dipartimento di Stato Americano pubblicò un libro sulle relazioni USA-Cina con una mappa che mostrava tutta la Cina, Tibet incluso dunque. (5)

    Tuttavia, con l’avanzare del Partito Comunista Cinese e quindi con l’avvicinarsi al potere di un chiaro Partito di massa antimperialista, Washington cominciò a manipolare la realtà. Gli inizi di questa manipolazione possono essere rintracciati in una lettera del 13 gennaio 1947 al Presidente americano Truman da parte di Gorge R. Merrel, incaricato d’affari USA a Nuova Dheli. La lettera riguardava la “inestimabile importanza strategica” del Tibet e recitava: “Il Tibet può pertanto essere considerato come un bastione contro l’espansione del comunismo in Asia o almeno come un’isola di conservatorismo in un mare di sconvolgimenti politici”. E aggiunse che “l’altopiano tibetano […] in epoca di guerra missilistica può rivelarsi il territorio più importante di tutta l’Asia”.
    Questi particolari sono tratti da un autore americano per decenni funzionario della CIA. L’Autore evidenzia come il contenuto di questa lettera sia quasi combaciante con la visione imperialistica che aveva a suo tempo l’Inghilterra vittoriana impegnata nel “grande gioco” dell’espansione in Asia. (6)
    Il separatismo tibetano diviene uno strumento dell’imperialismo americano o, meglio, per dirla come il funzionario della CIA, diviene uno strumento degli “interessi geopolitica USA” per costringere il nuovo governo comunista di Mao a disperdere le forze, ponendo quindi le condizioni per un “cambiamento di regime a Pechino”.

    Per portare a compimento questi “interessi geopolitici USA”, vennero addestrati “guerriglieri” nel Colorado e poi paracadutati in Tibet e riforniti per via aerea di armi, munizioni, apparecchiature ricetrasmittenti, ecc. A tali guerriglieri la CIA aggiunge la “collaborazione dei banditi Khampa di vecchio stile”. (7)
    In questo contesto si sviluppa la “rivolta tibetana” del 1959.
    E’ ancora il funzionario della CIA, Knaus, a raccontare i fatti: la rivolta faceva seguito ad un tentativo fallito da parte dei servizi segreti americani di provocare disordini in Cina a partire dalle Filippine; come disse un esponente della CIA, lo scatenamento della rivolta aveva “poco a che fare con l’aiuto ai tibetani”, perché lo scopo era quello di mettere in difficoltà i “comunisti cinesi”. Era la stessa logica che i servizi segreti americani usavano in Indonesia per “aiutare i colonnelli ribelli indonesiani nel loro sforzo di rovesciare Sukarno”, reo di essere troppo tollerante verso i comunisti di quel paese. (8) Come è noto il colpo di Stato verrà portato a termine grazie alla CIA nel 1965, col massacro di centinaia di migliaia di comunisti o di elementi tolleranti verso i comunisti. Sarebbero state meno feroci le forze finanziate e addestrate dalla CIA in Tibet se avesse vinto il separatismo? (9)

    Penso che sia interessante far sapere che fu un agente della CIA a organizzare la fuga del Dalai Lama dal Tibet: questo agente visse più tardi nel Laos “in una casa decorata con una corona di orecchie strappate dalle teste di comunisti morti”, come ci informa un docente americano su una rivista USA. (10)

    Dopo il fallimento in territorio cinese della rivolta tibetana, i servizi segreti americani danno inizio ad una campagna mediatica in occidente.
    Nonostante che il Dalai Lama fosse considerato allo stesso modo dei colonnelli macellai indonesiani, come il capo della rivolta reazionaria anticomunista filo-occidentale, ora viene santificato. Diventa il leader della non violenza. Lo stesso buddismo tibetano diventa una dottrina e una tecnica spirituale sublime. L’industria cinematografica americana si adopera per proporre incessantemente questo falso mito.

    Ma la storia ha dei precedenti. Quando agli inizi del Novecento gli inglesi e la Russia si contendevano il Tibet, regione della Cina, correva voce che lo Zar in persona si fosse convertito al buddismo. (11)

    Oggi, invece, sono la CIA e Hollywood ad essere convertiti al buddismo. Una conversione che ha del miracoloso se si pensa che l’Occidente ha sempre disprezzato il buddismo tibetano come sinonimo di dispotismo orientale, con la sua figura di Dio-Re. Basti ricordare il disprezzo dei padri della cultura occidentale come Rousseau, Herder e Hegel. Fino ai primi anni del 1900 i lama sono considerati una “incarnazione di tutti i vizi e di tutte le corruzioni, non già dei lama defunti”. (12)

    Quando la Gran Bretagna si accinse poi alla conquista del Tibet lo fece in nome della civiltà contro “quest’ultima roccaforte dell’oscurantismo”, per civilizzare “questo piccolo popolo miserabile”. (13)

    Oggi la propaganda americana cerca di rimuovere l’infamia della teocrazia tibetana. Come illustra lo stesso storico Morris, quello che era in carica agli inizi del ‘900 “era uno dei pochi Dalai Lama ad aver raggiunto la maggiore età, dato che la maggior parte di loro veniva eliminata durante la fanciullezza a seconda della convenienza del Consiglio di Reggenza”. (14)

    Stando a quanto affermano Hollywood e la CIA, il buddismo tibetano è divenuto sinonimo di pace e tolleranza, oltre che di elevata spiritualità. Seguendo l’ideologia imperialistica anticomunista occidentale, “i tibetani sono dei superuomini e i cinesi dei subumani”. (15)

    La teocrazia oscurantista tibetana è santificata dai media commerciali americani al servizio degli strateghi militari. La struttura castale si manifesta anche dopo la morte: il corpo di un aristocratico viene cremato o inumato, mentre i corpi della massa vengono dati in pasto agli avvoltoi. Poco tempo fa era l’“International Herald Tribune” che descriveva come durante i funerali di plebei fosse il sacerdote che staccava pezzo per pezzo la carne dalle ossa per facilitare il compito degli avvoltoi.
    La descrizione era minuziosa e seguita da uno studioso che spiegava il tutto in chiave “ecologica”. (16) Lo studioso non chiariva però perché all’equilibrio ecologico doveva contribuire solo il corpo dei plebei.

    Vorrei chiarire la mia posizione: io non condanno queste pratiche disumane perché potrei rimanere vittima della mia cultura italiana; dovrei essere un tibetano per condannarle; ad ognuno la sua cultura. Io condanno il fatto che gli occidentali imperialisti appoggino pratiche così disumane per noi, sostengano movimenti sanguinari come il buddismo tibetano e siano pronti ad inventarsi ogni peggiore frottola (molto meno disumana) su falsi crimini di Cuba, di Saddam, di Pechino e di tutti gli avversari, salvo santificare la reazione più assoluta.

    La Rivoluzione Culturale maoista si era scagliata contro la pratica castale, discriminatrice e violenta. Nel Tibet precedente alla Rivoluzione la teocrazia riduceva in schiavitù o servaggio la stragrande maggioranza della popolazione. Come scrisse uno scrittore radicalmente anticomunista, le riforme realizzate dal 1951 hanno “abolito feudalesimo e servaggio”. (17) La Rivoluzione abolì anche la teocrazia incarnata nel Dio-Re che pretendeva e pretende ancor oggi di essere il Dalai Lama. Fu attuata la separazione tra potere religioso e potere civile.

    La Rivoluzione ha significato per i tibetani l’accesso a diritti umani prima del tutto sconosciuti, un miglioramento del tenore di vita e un sensibile prolungamento della vita media. E ciò è malgrado i media universalmente riconosciuto da tutti gli esperti analisti della regione.
    La Cina di oggi garantisce alla Regione Autonoma Tibetana libertà che non ha mai conosciuto in tutta la sua storia passata e recente. La regione tibetana, oltre ad avere il bilinguismo con prima lingua il tibetano, vede garantiti altri diritti nazionali quali la preferenza a favore dei tibetani e delle altre minoranze nazionali per quanto riguarda l’ammissione all’università, la carriera pubblica, ecc. (18)

    Il santificato Dalai Lama viene insignito del Premio Nobel. Ma cosa chiede questo personaggio che si proclama Dio-Re? “Esige la creazione di un Grande Tibet, il quale includerebbe non solo il territorio che ha costituito il Tibet politico in età contemporanea, ma anche aree tibetane nella Cina occidentale, in larghissima parte perse dal Tibet già nel diciottesimo secolo”. (19) E poi esistono tibetani in Bhutan, Nepal, India. Tutti i loro territori dovrebbero far parte del Grande Tibet. Si tratta della pretesta di Hitler di riunificate nello lo stesso Stato tutti i territori che erano abitati da maggioranza tedesca. Il principio “nazionale” del Dalai Lama è quello di Hitler, con la sola differenza che del nazional-socialismo il Dalai Lama non ha neppure un briciolo di “socialismo”. E’ solo puro nazionalismo esasperato ai massimi livelli.

    Ora, questa santità, Premio Nobel per la Pace, odia profondamente gli uomini che hanno la pelle gialla e parlano il cinese. Un odio viscerale, razzista, tanto che, quando l’India procedette al riarmo nucleare, trovò il suo più fiero sostenitore nel Premio Nobel, il Dalai Lama.
    Ma, ci domandiamo, almeno il multimiliardario Dalai Lama rappresenta il popolo tibetano? Risposta: nemmeno per sogno! E’ perfino il “Libro Nero del Comunismo” a riconoscere che un’elementare analisi storica “distrugge il mito unanimista alimentato dai partigiani del Dalai Lama”. (20)
    Alla liberazione pacifica del Tibet nel 1951, che portò alla caduta del regime teocratico, vi fu una resistenza accanita dei gruppi più reazionari e delle classi dei privilegiati, ma i comunisti poterono contare sull’appoggio della stragrande maggioranza della popolazione civile. Gli autori più anticomunisti e anticinesi del pianeta-Occidente si scagliano così contro la plebe tibetana, colpevole di “essersi collegata subito col regime comunista”; anche i monaci sono dei farabutti che “non esitano ad augurarsi che ‘presto sia liberato’ il Tibet” e che commettono il crimine di fraternizzare con i comunisti e l’esercito Popolare di Liberazione.

    Per questi autori è inconcepibile come il Dalai Lama sia disprezzato non solo dalla maggior parte del popolo, ma anche da ampi settori religiosi tibetani. Ancora nel 1992, nel corso di un suo viaggio a Londra il Dalai Lama è oggetto di manifestazioni ostili da parte della più grande organizzazione buddista in Gran Bretagna, che lo accusa di essere un “dittatore spietato” e un “oppressore della libertà religiosa”. (21)

    Oggi il Dalai Lama continua a sperare in una disintegrazione della Cina come è avvenuto nella tragedia che ha caratterizzato l’URSS. (22)

    Michele – Risiko

    NOTE:
    Le informazioni di questo articolo sono ricavate da Domenico Losurdo, “La sinistra, la Cina e l’imperialismo”, ed. La città del Sole, Napoli.
    La sua opera di informazione è indispensabile sull’argomento.
    (1) Owen Lattimore, 1970, “La frontiera. Popoli e imperialismi alla frontiera tra Cina e Russia”, Einaudi, Torino.
    (2) Jacques Fernet, 1978, “Il mondo cinese. Dalle prime civiltà alla Repubblica Popolare”, Einaudi, Torino.
    (3) Jan Romein, 1969, “Il secolo dell’Asia. Imperialismo occidentale e rivoluzione asiatica nel secolo XX”, Einaudi, Torino.
    (4) Sun Yat-sen, 1976, “L’imperialismo dei bianchi e l’imperialismo dei gialli”, in “I tre principi del popolo”, Einaudi, Torino.
    (5) Herbert Aptheker, 1977, “America Foreign Policy and The Cold War” (1962), Krauss Reprint Millwood, N.Y.
    (6) Jhon Kenneth Knaus, 1999, “Orphans of the Cold War. American and the Tibetan Struggle for Survival”, PublicAffairs, N.Y.
    (7) Come sopra.
    (8) Come sopra.
    (9) Domenico Losurdo, 1999, “La sinistra, la Cina e l’imperialismo”, La città del Sole, Napoli.
    (10) Daniel Wikler, 1999, “The Dalai Lama and the CIA”, in “The New York Review of Books”, 23 settembre.
    (11) James Morris, 1992, “Pax Britannica”, The Folio Society, London.
    (12) Donald S. Lopez Jr., 1998, “Prisoners of Shangri – La. Tibetan Buddhism and the West”, University of Chicago Press, Chicago and London.
    (13) Vedi nota 11.
    (14) Come sopra.
    (15) Vedi nota 12.
    (16) Seth Faison, 1999, “In Tibean ‘Sky Burials’, Vultures Dispose of the Dead”, in “International Herald Tribune, 6 luglio.
    (17) Melvyn C. Goldstein, 1998, “The Dalai Lama’s Dilemma”, il “foreign Affairs”, gennaio-febbraio.
    (18) Seth Faison, 1999, “for Tibetans in Sichuan, Life in the Shadow of Intollerance”, in “International Herald Tribune”, 1 settembre.
    (19) Vedi nota 17.
    (20) Courtois et al., 1998, « Il Libro Nero del Comunismo », Mondaori, Milano.
    (21) Vedi nota 12.
    (22) Vedi nota 17.

    http://www.resistenze.org/sito/te/po/ci/poci3e25.htm

  7. #17
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    Citazione Originariamente Scritto da Outis Visualizza Messaggio
    La gerarchia religiosa buddhista - molto più potente del clero cattolico - parteggiò espressamente per l'Asse durante il secondo conflitto mondiale. Alcuni monaci furono trovati all'interno del bunker di Berlino dalle truppe sovietiche.

    A parte questa nota di storia, la questione tibetana merita particolare attenzione sia perché è portata avanti da tutti i partiti occidentalisti-sionisti d'Europa - i radicali in primis... -, sia perché vuole fondare la sua legittimità su una questione prettamente religiosa: i monaci pretendono di avere la completa autonomia solo perché vogliono costruirsi il loro "stato del vaticano", la loro scellerata teocrazia oppressiva! Mi ricorda molto un'entità mediorientale...
    Ottimo il libro consigliato da Myrddin-Merlino, perché contribuisce a studiare la questione dal punto di vista storico.
    In sostanza, va bene l'autodeterminazione dei popoli, vanno bene le lotte di liberazione nazionalitarie, ma non concordo per niente con chi vuole costruire uno Stato teocratico ed oppressore - basta leggere il libro in questione per capire di cosa sono stati capaci! -, quindi, in questo caso, no alla costruzione di uno stato indipendente.

    Non so quanto ci sia di reale in quello che dici. Tuttavia per i Tibetani vedere la " Scellerata teocrazia oppressiva " sostituita dal conunismo di Mao non deve essere stato piacevole, E in ogni caso a casa loro avevano ed hanno il diritto di regolare le loro cose come meglio credono.

  8. #18
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    È proprio vero che la libertà è preziosa; così preziosa che dovrebbe essere razionata.
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    Citazione Originariamente Scritto da Outis Visualizza Messaggio
    Ottimo intervento, chiaro, conciso e pungente!
    Grazie; premesso che la Cina attuale tutto è fuorchè un paradiso socialista, mi fa semplicemente inorridire la bieca e puerile propaganda delle borghesie nazionali d'occidenti contro la rep. pop. cinese.
    - Se i cinesi si dichiarano comunisti, vengono archiviati come obsolete reminescenze nevecentesce.
    - Se sono liberali e più competitivi sui mercati, allora ci si riscopre protezionisti e quasi autarchici ("noi" occidentali, paladini del libero mercato)
    - Si parla di diritti umani calpestati, ed è facile vedere come la quota percentuale di popolazione carceraria sia in cina circa 1/8 di quella detenuta degli stati uniti (senza poi parlare della distribuzione etnica dei carcerati)
    - Si parla di questione Tibetana, dimenticando la vera natura della teocrazia lamaista e degli enormi progressi (dal turismo alle infrastrutture ai servizi) fatti dal tibet grazie al governo di pechino.
    - Ci si scorda dell'avamposto filoamericano di Taiwan, che è a tutti gli effetti territorio cinese occupato dopo il '49 dai nazionalisti in ritirata con l'appoggio usa.
    - Si parla di libertà religiose in Cina, senza mai ricordare il ruolo giustificazionista delle religioni induiste e lamaiste nei confronti della schiavitu in Asia.
    - Si arla di sicurezza di manufatti e cibi, e si scopre che l'aviaria era una bufala mentre ldi fronte alle decine di persone morte in europa a causa di infezioni animali causate tutte dal sistema produttivo locale nessuno si è mai sognati di invocare boicottaggi.
    Senza poi parlare del "namico giallo" che si insinua in casa nostra: se vengono gli immigrati solitamente il medio-qualunquista-razzista argomenta che non hanno voglia di lavorare; quando si parla del cinese, oddio, invece lui lavora troppo e contribuisce a creare disoccupazione.
    Insomma che il popolino è sempre assai propenso ad ingoiare le fandonie che la stampa borghese gli preconfeziona ad arte.

  9. #19
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    Feudalesimo amichevole: il mito del Tibet


    Da un capo all’altro dei secoli è prevalsa una dolorosa simbiosi fra religione e violenza. Le storie della cristianità, del giudaismo, dell’induismo e dell’islamismo sono pesantemente legate a vendette micidiali e distruttive, persecuzioni e guerre. Più volte, gli appartenenti ad una confessione religiosa hanno rivendicato e vantato un mandato divino per terrorizzare e massacrare eretici, infedeli ed altri peccatori.

    Alcuni hanno obiettato che il buddismo è diverso, che occupa una posizione antitetica rispetto alla violenza cronica delle altre confessioni religiose. In verità, così com’è praticato da molti negli Stati Uniti, il buddismo è più una disciplina “spirituale” e psicologica che non una teologia nel senso consueto del termine. Esso offre tecniche meditative e auto-terapie che si ritiene favoriscano l’ “illuminazione” e l’armonia dell’interiorità. Ma, come ogni altro sistema di valori, di convinzioni, il buddismo deve essere valutato non soltanto dalle sue dottrine, ma dall’effettivo comportamento dei suoi seguaci.

    Eccezionalità del buddismo?

    Un colpo d’occhio alla storia rivela che le organizzazioni buddiste non fanno eccezione alle persecuzioni violente che hanno così caratterizzato i gruppi religiosi nel corso delle epoche storiche. In Tibet, dall’inizio del diciassettesimo secolo e sino al secolo successivo inoltrato, sette buddiste in conflitto si impegnarono in ostilità armate ed esecuzioni sommarie. (1) Nel ventesimo secolo, dalla Thailandia alla Birmania alla Corea al Giappone, i buddisti si sono scontrati fra loro e con i non buddisti. In Sri Lanka, enormi battaglie in nome del buddismo sono parte integrante della storia cingalese. (2)

    Soltanto pochi anni fa, in Corea del Sud, migliaia di monaci dell’ordine buddista Chogye – che, secondo l’opinione generale erano dedicati ad una ricerca meditativa alla ricerca dell’illuminazione spirituale – si combatterono con pugni, pietre, bombe incendiarie, e randelli, in battaglie campali che continuavano per settimane. Stavano rivaleggiando per il controllo dell’ordine monastico, il maggiore della Corea del Sud, con il suo budget annuo di 9.2 milioni di dollari, i suoi milioni di dollari aggiuntivi in proprietà, e il privilegio di nominare 1700 monaci per mansioni varie. Le risse distrussero in parte i principali santuari buddisti e lasciarono dozzine di monaci feriti, alcuni dei quali in maniera seria.

    Entrambe le fazioni che lottavano per la supremazia ricercavano il sostegno della nazione. In effetti, i cittadini coreani sembravano disdegnare entrambe le parti, essendo dell’opinione che non aveva importanza quale consorteria avrebbe preso controllo di un ordine, poiché avrebbe comunque impiegato le donazioni dei fedeli per accumulare ricchezze, comprese case ed auto costose. Secondo un notiziario di cronaca, la confusione all’interno dell’ordine buddista Chogye (molta della quale portata sugli schermi televisivi coreani) : “ha mandato in frantumi l’immagine dell’Illuminismo Buddista”. (3)

    Ma molti buddisti odierni negli Stati Uniti farebbero obiezione, affermando che nulla di ciò si applicherebbe al caso del Dalai Lama e del Tibet da lui presieduto prima della spaccatura cinese del 1959. Il Tibet in cui credono, quello del Dalai Lama, era un mondo orientato verso un orizzonte spirituale, scevro da stili di vita egoistici, libero dal vuoto materialismo, da inutili ricerche e dai vizi corrotti che assediano la società moderna industrializzata. I media occidentali, insieme a uno stuolo di libri di viaggi, romanzi e film di Hollywood hanno dipinto la teocrazia tibetana come una vera Shangri-La e il Dalai Lama come un santo saggio, “il più grande essere umano vivente”, come lo ha descritto con grandissimo entusiasmo l’attore Richard Gere. (4)

    Lo stesso Dalai Lama ha dato adito a tali immagini idealizzate sul Tibet, mediante affermazioni come: “La civiltà tibetana ha una ricca e lunga storia. L’influenza persuasiva del buddismo e le asperità di una vita fra gli ampi spazi aperti di un ambiente incorrotto, ha avuto come risultato una società dedicata alla pace e all’armonia. Provavamo diletto nella libertà e nella contentezza, nell’essere paghi.” (5)

    Mala storia del Tibet appare un po’ diversa. Nel tredicesimo secolo, l’imperatore Kublai Khan creò il primo Grande Lama, che avrebbe dovuto presiedere tutti gli altri Lama, così come farebbe un papa con i suoi vescovi. Parecchi secoli dopo, l’imperatore della Cina inviò un esercito in Tibet per sostenere il Grande Lama, un’ ambizioso venticinquenne che si autoconferì il titolo di Dalai (Oceano) Lama, signore di tutto il Tibet. Ecco un’ironia storica: il primo Dalai Lama fu investito della propria carica da un esercito cinese. Per elevare la sua autorità oltre la sfida mondana, temporale, il primo Dalai Lama confiscò monasteri che non appartenevano alla sua setta, e si crede anche che abbia distrutto scritti buddisti contrastanti con la sua pretesa di divinità.

    Il Dalai Lama che gli successe ricercò una vita sibaritica ( ndt: termine che indica un eccesso di lusso e mollezza, “degno di un sibarita”), da individuo raffinato e dedito ai piaceri, godendo di molte concubine, organizzando feste, scrivendo poesie erotiche e comportandosi in altri modi, che dovrebbero sembrare sconvenienti per una incarnazione degli dei.

    Per questo la sua figura, in seguito è stata "oscurata" dai suoi monaci. In 170 anni, malgrado il loro stato riconosciuto come dei, cinque Lama di Dalai sono stato assassinati dai loro gran sacerdoti o da loro altri cortigiani non violenti buddistici. 7

    Shangri-La (per signori e Lama)

    Le religioni hanno sempre avuto una stretta correlazione non soltanto con la violenza, ma anche con lo sfruttamento economico. In realtà, è spesso la strumentalizzazione economica che conduce necessariamente alla violenza. Tale è stato il caso della teocrazia tibetana. Fino al 1959, quando il Dalai Lama presiedette l’ultima volta il Tibet, la maggior parte della terra arabile era ancora organizzata attorno a proprietà feudali religiose o secolari lavorate da servi della gleba. Addirittura uno scrittore come Pradyumna Karan, solidale con il vecchio ordine, riconosce che “una grande quantità di proprietà apparteneva ai monasteri, la maggioranza di essi accumulava notevoli ricchezze….Inoltre, monaci e Lama riuscirono ad ammassare individualmente notevoli ricchezze tramite la partecipazione attiva negli affari, nel commercio e nell’usura.” (8)

    Il monastero di Drepung era uno delle più estese proprietà terrestri del mondo, con i suoi 185 feudi, 25.000 servi della gleba, 300 grandi pascoli e 16.000 guardiani di gregge. La ricchezza dei monasteri andava ai Lama di più alto rango, molti dei quali rampolli di famiglie aristocratiche, mentre invece la maggior parte del clero più basso era povero come la classe contadina dalla quale discendeva. Questa disuguaglianza economica classista all’interno del clero tibetano, è strettamente paragonabile a quella del clero cristiano dell’Europa medievale. Insieme al clero superiore, i leaders secolari facevano la loro parte. Un esempio considerevole fu il comandante in capo dell’esercito tibetano, che possedeva 4.000 chilometri quadrati di terra e 3.500 servi. Egli era anche un membro del Consiglio terriero del Dalai Lama. (9)

    L’Antico Tibet è stato rappresentato da alcuni dei suoi ammiratori occidentali come “una nazione che non necessitava forze di polizia perché il suo popolo osservava spontaneamente le leggi del karma.” (10) In realtà era dotato di un esercito professionale, sebbene di piccole dimensioni, che era al servizio dei proprietari terrieri come gendarmeria, con l’incarico di mantenere l’ordine e catturare i servi della gleba fuggitivi. (11)

    I ragazzini tibetani venivano regolarmente sottratti alle loro famiglie e condotti nei monasteri per essere educati come monaci. Una volta laggiù, erano vincolati per tutta la vita. Tashì-Tsering, un monaco, riferisce che era pratica comune per i bambini contadini essere abusati sessualmente nei monasteri. Egli stesso fu vittima di ripetute violenze sessuali perpetrate durante l’infanzia, non molto tempo dopo che fu introdotto nel monastero, all’età di nove anni. (12)

    Nell’Antico Tibet vi era un piccolo numero di agricoltori il cui stato sociale era una sorta di contadino libero, e forse un numero aggiuntivo di 10.000 persone, le quali costituivano la “classe media”, famiglie di mercanti, bottegai e piccoli commercianti. Migliaia di altri erano mendicanti. Una piccola minoranza erano poi schiavi, di solito servi domestici, che non possedevano nulla. La loro prole nasceva già in condizioni di schiavitù. (13)

    Nel 1953, la maggioranza della popolazione rurale – circa 700.000 su una popolazione totale stimata 1.250.000 – era composta da servi della gleba. Vincolati alla terra, veniva loro assegnata soltanto una piccola parcella fondiaria per poter coltivare il cibo atto al sostentamento. I servi della gleba e il resto dei contadini dovevano in genere fare a meno dell’istruzione e dalle cure mediche. Trascorrevano la maggioranza del loro tempo sgobbando per i monasteri e per i singoli Lama di alto rango, e per un’aristocrazia secolare, laica, che non contava più di 200 famiglie. Essi erano in effetti proprietà dei loro signori, che gli comandavano quali prodotti della terra coltivare e quali animali allevare. Non si potevano sposare senza il consenso del loro signore o Lama. Se il suo signore lo avesse inviato in un luogo di lavoro lontano, un servo avrebbe potuto essere facilmente separato dalla sua famiglia. I servi potevano essere venduti dai loro padroni, o sottoposti a tortura e morte. (14)

    Se dobbiamo dar credito al racconto di una donna ventiduenne, ella stessa serva fuggiasca, il signore tibetano era solito selezionare fra il meglio della popolazione femminile di servitù della gleba: “Tutte le ragazze graziose della servitù erano solitamente prese dal proprietario come domestiche e trattate come lui desiderava.” Esse “erano soltanto schiave senza alcun diritto.” (15) La servitù necessitava di un permesso per recarsi ovunque. I proprietari terrieri avevano l’autorità legale di catturare e impiegare metodi coercitivi, sino alla violenza, nei confronti di quelli che tentavano di fuggire, obbligandoli a tornare indietro. Un servo di ventiquattro anni, anch’egli fuggiasco, intervistato da Anna Louise Strong, accoglieva con favore l’intervento cinese come una “liberazione”. Nel corso del suo periodo di servitù sostiene di non avere ricevuto un trattamento molto diverso da un animale da traino, sottoposto a un incessante lavoro, fame e freddo, incapace di leggere o scrivere, senza conoscere nulla, né sapere nulla. Egli racconta il suo tentativo di fuga: la prima volta che [gli uomini del padrone] mi agguantarono mentre stavo cercando di sfuggire, ero molto piccolo, e mi diedero soltanto un buffetto imprecando contro di me. La seconda volta mi picchiarono. La terza volta avevo già quindici anni e mi diedero quindici frustate pesanti, violente, con due uomini seduti sopra di me, uno sulla mia testa e uno sui miei piedi. Il sangue mi uscì allora dal naso e dalla bocca. Il sorvegliante disse: “Questo è soltanto sangue dal naso; forse prenderai bastonate più forti, e perderai sangue dal cervello.” Mi picchiarono poi con bastonate più intense, versando alcool e acqua con soda caustica sulle ferite, per aumentare il dolore. Persi i sensi per due ore…” (16)

    Oltre a ritrovarsi in un vincolo lavorativo che li obbligava a lavorare la terra del signore – oppure quella del monastero - per tutta la durata della vita e senza salario, i servi della gleba erano costretti a riparare le case del signore, trasportarne la messe e raccoglierne la legna da ardere. Si esigeva anche che provvedessero a trasportare gli animali e al trasporto su richiesta, a seconda delle pretese del padrone. “Era un efficiente sistema di sfruttamento economico, che assicurava alle élites laiche e religiose del paese una forza lavoro sicura e permanente per coltivare i loro appezzamenti di terreno, che li esonerava dall’accollarsi qualsiasi responsabilità quotidiana diretta circa la sussistenza del servo, e senza la necessità di competere per la manodopera in un contesto di mercato.” (17)

    La gente comune sgobbava sotto il doppio fardello della corvée (lavoro forzato non retribuito in favore del padrone) e delle decime onerose. Ogni aspetto della vita era gravato da tributi: il matrimonio, la nascita di ogni figlio, ogni morte in famiglia. Erano soggetti a imposta per aver piantato un nuovo albero nel loro cortile, per tenere animali domestici o dell’aia, per il possesso di un vaso di fiori, o per l’aver messo un campanello ad un animale. C’erano tasse per le festività religiose, per cantare, ballare, far rullare il tamburo e suonare il campanello. La gente veniva tassata per quando veniva mandata in prigione e quando la si rilasciava. Addirittura i mendicanti erano soggetti alla pressione fiscale. Quelli che non riuscivano a trovare lavoro erano tassati a causa della loro disoccupazione, e se si spostavano in un altro villaggio nella loro ricerca di un’occupazione, pagavano una tassa di transito. Quando la gente non poteva pagare, i monasteri prestavano loro denaro ad un interesse oscillante fra il 20% e il 50%. Alcuni debiti venivano tramandati di padre in figlio sino al nipote. I debitori che non potevano evadere i loro debiti, rischiavano la riduzione in schiavitù per un periodo di tempo stabilito dal monastero, a volte per il resto delle loro vite. (18)

    Le dottrine pedagogiche della teocrazia ne appoggiarono e rafforzarono l’ordine sociale classista. Si insegnava ai poveri e agli afflitti che i propri guai erano su di loro a causa del loro comportamento sciocco e immorale nel corso delle loro vite precedenti. Dovevano quindi accettare l a miseria della loro esistenza presente come un’espiazione e in anticipo, solo così il loro destino, la loro sorte sarebbero migliorati se fossero rinati, se si fossero reincarnati. I ricchi e potenti consideravano naturalmente la loro buona fortuna come una ricompensa e una dimostrazione tangibile di virtù nelle vite passate e presenti.

    Torture e mutilazioni in Shangri-La


    Nel Tibet del Dalai Lama, la tortura e la mutilazione – comprese l’asportazione dell’occhio e della lingua, l’azzoppamento e l’amputazione delle braccia e delle gambe – erano le punizioni principali inflitte ai ladri, ai servi fuggiaschi, e ad altri “criminali”. Viaggiando attraverso il Tibet negli anni ’60, Stuart e Roma Gelder ebbero un colloquio con un antico servo, Tsereh Wang Tuei, che aveva rubato due pecore che appartenevano ad un monastero. Per questo ebbe entrambi gli occhi strappati e le mani mutilate. Spiega che non è più un buddista: “Quando un sacro Lama disse loro di accecarmi, pensai che non c’era alcun bene nella religione.” (19)

    Alcuni visitatori occidentali nell’Antico Tibet hanno fatto notare l’elevato numero di amputati. Dato che è contro la dottrina buddista sottrarre la vita, alcuni delinquenti furono severamente frustati e poi “abbandonati a Dio” nella gelida notte a morire. “I paralleli fra il Tibet e l’Europa medievale sono impressionanti,” conclude Tom Grunfeld nel suo libro sul Tibet. (20)

    Alcuni monasteri avevano le proprie prigioni private, riporta Anna Louise Strong. Nel 1959, visitò una mostra di apparecchiature da tortura che erano state impiegate dai signori feudatari tibetani. C’erano manette di tutte le taglie, comprese quelle di piccola misura per bambini, e strumenti per mozzare nasi e orecchie, e spezzare mani. Per strappare gli occhi, c’era uno speciale copricapo di pietra, provvisto di due fori, che veniva premuto sul capo, così che gli occhi potessero gonfiarsi e deformarsi fuoriuscendo dalle orbite, facilitandone l’asportazione. C’erano congegni per tagliare le rotule e i talloni, o per azzoppare. C’erano tizzoni ardenti, scudisci e strumenti speciali per sventrare. (21)

    L’esposizione presentava fotografie e testimonianze di vittime che erano state accecate o storpiate o che avevano patito amputazioni per furto. C’era il pastore il cui padrone vantava un debito nei suoi confronti in denaro e grano, ma che si rifiutava di pagare. Così il pastore si impossessò di una delle mucche del padrone; e per questo gli furono troncate le mani. Ad un altro guardiano di gregge, che si opponeva al dover concedere la moglie al suo signore, furono staccate le mani. C’erano fotografie di attivisti comunisti dai nasi e dalle labbra superiori troncati, e una donna che era stata violentata e che poi ebbe il naso mozzato. (22)

    Il dispotismo teocratico era stato per anni il principio informatore. Nel 1895, un visitatore inglese in Tibet, il dr. A. L. Waddell scrisse che i tibetani erano assoggettati all’ “intollerabile tirannia dei monaci” e alle superstizioni diaboliche che essi avevano modellato al fine di terrorizzare le persone. Perceval Landon descrisse nel 1904 la regola del Dalai Lama come una “macchina da sopraffazione” e un “ostacolo ad ogni progresso umano.” Più o meno a quel tempo, un altro viaggiatore inglese, il Capitano W.F.T. O’Connor notava che “ i grandi proprietari terrieri e i sacerdoti… esercitano ciascuno all’interno del proprio dominio un potere dispotico dal quale non c’è appello,” mentre il popolo è “oppresso dalla più mostruosa crescita di monachesimo e clericalismo che il mondo abbia mai visto.” I governatori tibetani, come quelli europei durante il medioevo, “forgiarono innumerevoli armi per asservire il popolo, inventarono leggende umilianti e stimolarono uno spirito di superstizione” fra la gente comune. (23)

    Nel 1937, un altro visitatore, Spencer Chapman, scrisse: “…il monaco buddista tibetano non trascorre il proprio tempo provvedendo alle persone o ad istruirle, e nemmeno i laici prendono parte ai servizi dei monasteri o li frequentano. Il mendicante sul ciglio della strada non è nulla per il monaco. La conoscenza è una prerogativa dei monasteri custodita gelosamente, ed è strumentalizzata per aumentare la loro influenza e ricchezza...” (24)

    Occupazione e rivolta

    I comunisti cinesi occuparono il Tibet nel 1951, rivendicando la sovranità sul paese. Il trattato del 1951 stabiliva un apparente autogoverno sotto l’autorità del Dalai Lama, ma conferiva di fatto alla Cina il controllo militare e il diritto esclusivo di condurre le relazioni estere. Si rilasciava anche ai cinesi un ruolo diretto nell’amministrazione interna “per promuovere le riforme sociali.” Inizialmente, procedevano cautamente facendo affidamento per lo più sulla persuasione, tentando di attuare processi di cambiamento. Tra le prime riforme varate ci fu quella che riduceva i tassi d’interesse da usuraio, e costruirono alcuni ospedali e strade.

    Mao Tze Tung e i suoi quadri comunisti non intendevano semplicemente occupare il Tibet. Desideravano la cooperazione del Dalai Lama nel trasformare l’economia feudale del Tibet in conformità con gli obiettivi socialisti. Perfino Melvyn Goldstein, che è solidale con il Dalai Lama e con la causa dell’indipendenza tibetana, ammette che “contrariamente all’opinione corrente in Occidente”, i cinesi “perseguivano una politica moderata. Avevano cura di mostrare rispetto per la cultura e la religione tibetane” e “permettevano ai vecchi sistemi monastico e feudali di continuare immutati. Fra il 1951 e il 1959, non solo non venne confiscata alcuna proprietà aristocratica o monastica,ma venne permesso ai signori feudali di esercitare una continua autorità giudiziaria nei confronti dei contadini a loro vincolati ereditariamente.” (25)

    Non più tardi del 1957, Mao Tze Tung cercò ancora di rafforzare una politica progressiva. Ridusse il numero di quadri cinesi e delle truppe in Tibet, e promise al Dalai Lama che la Cina non avrebbe portare a termine riforme terriere in Tibet per i sei anni successivi e oltre, se le condizioni non fossero ancora maturate. (26)


    Nondimeno però, l’autorità cinese in Tibet arrecava grandi disagi ai signori e ai Lama. Ciò che li infastdiva più di ogni altra cosa non era che gli intrusi fossero cinesi. Nel corso dei secoli avevano visto cinesi andare e venire, godendo di buone relazioni con il Generalissimo e il regime reazionario del Kuomintang in Cina. (27) Effettivamente, l’approvazione del governo reazionario del Kuomintang era necessaria, per ratificare la scelta dell’attuale Dalai Lama e del Lama Panchen. Quando il giovane Dalai Lama fu investito della sua carica a Lhasa, ciò avvenne con un scorta armata di truppe di Chiang Kaishek e di un ministro cinese in carica, in conformità con una tradizione secolare. (28) Quel che preoccupava i signori tibetani e i Lama era che questi cinesi recenti erano comunisti. Si sarebbe trattato soltanto di una questione di tempo, ne erano certi, poi i comunisti avrebbero iniziato ad imporre le loro soluzioni ugualitarie e collettiviste sulla loro teocrazia altamente privilegiata.

    Nel 1956-57 bande armate tibetane tesero un’imboscata al convoglio dell’Esercito di Liberazione del Popolo cinese (EPL). La sommossa ricevette il sostegno esteso e materiale della CIA,comprendente armi, provviste e l'addestramento militare per le unità di commando del Tibetan. È ormai di conoscenza pubblica che fu la CIA a impiantare le basi di sostegno in Nepal, compiendo numerosi ponti aerei per le operazioni di guerriglia condotte all’interno del Tibet. (29)

    Nel frattempo negli Stati Uniti, la Societá Americana per un'Asia Libera, un ramo della CIA, propagandava in modo dispiegato la causa di resistenza del Tibetan. Il fratello maggiore del Dalai Lama, Thubtan Norbu, ha giocato un notevole ruolo in questo gruppo. Molti dei commando del Tibetan e gli agenti che la CIA aveva paracadutato nel paese, erano dei capi di clan aristocratici o i figli dei capi. Il novanta per cento di loro non li conosceva nessuno nel paese, secondo una relazione della CIA . (30)

    La ridotta guarnigione dell’EPL in Tibet non avrebbe mai potuto catturare tutti loro, se non avesse ricevuto il sostegno dei tibetani che non sostennero la rivolta. Questo dimostra che la resistenza ha avuto una base piuttosto stretta dentro il Tibet. "Molti Lama e molti membri laici dell'elite e molti dell'esercito del Tibetan hanno sostenuto la rivolta, ma la maggioranza della popolazione non l’ha fatto e questo ha sancito il suo fallimento," scrisse Hugh Deane. (31)

    Nel loro libro sul Tibet, Ginsburg e Mathos raggiungono una conclusione simile: "Gli insorti del Tibetan non sono mai riusciti a raccogliere nei loro ranghi anche solo una consistente parte della popolazione, per non dire niente della maggioranza di essa. Per quanto può essere constatato, la gran parte della popolazione di Lhasa e della campagna contigua, non aderirono nonostante il tentativo di unirle nella lotta contro il cinese..." (32)

    Alla fine la resistenza si sgretolò.


    I Comunisti rovesciano il Feudalesimo

    Qualunque presunta ingiustizia e qualunque presunta nuova oppressione furono introdotte dai cinesi in Tibet dopo 1959, essi di fatto hanno abolito la schiavitù ed il sistema di servi della gleba e l’utilizzo di mano d'opera non pagata. Hanno eliminato il sistema delle tasse, creato piani di nuovi lavoro, ridotto in gran parte la disoccupazione e la miseria. Hanno costruito i soli ospedali che esistono nel paese, e un nuovo sistema educativo, rompendo perciò il monopolio educativo dei monasteri. Hanno costruito i sistemi d’irrigazione per l'acqua e portato l’energia elettrica in Lhasa.Abolito il sistema delle flagellazioni pubbliche, le mutilazioni e le amputazioni come criminali forme di punizione. (33)

    Il governo cinese ha espropriato anche le proprietà terriere e ha riorganizzato i contadini in centinaia di comuni. Heinrich Harrer ha scritto un libro di successo delle sue esperienze in Tibet che è diventato un film di Hollywood. ( Solo dopo si è saputo che Harrer era stato un sergente nazista sotto Hitler. ( 34)

    Egli narra che i tibetani resisterono orgogliosamente contro i cinesi e "che hanno difeso nobilmente la loro indipendenza. . . Erano predominantemente i nobili, i proprietari ed i Lama; sono poi stati puniti utilizzandoli per eseguire i lavori più bassi, come lavorare alla costruzione di strade e ponti. Furono poi ulteriormente umiliati, essendo usati per la pulizia delle città prima dell’arrivo dei turisti..." Dovevano anche vivere in un accampamento originalmente abitato da mendicanti e vagabondi. (35)


    Dal 1961 centinaia di migliaia di acri precedentemente posseduti dai signori e dai Lama furono distribuiti agli affittuarii ed ai contadini senza terra. Nelle zone pastorali, le greggi che erano state possedute una volta dai nobili furono date alle comuni dei poveri e dei pastori. Miglioramenti ed investimenti furono apportati nell'allevamento del bestiame e per le nuove coltivazioni di verdure e di frumento e orzo, che furono introdotti per la prima volta; fu pianificato il sistema di irrigazione, che hanno portato ad un notevole incremento della produzione contadina. (36)

    Molti rimasero religiosi come sempre, e liberi di dare le elemosine al clero. Ma la gente non fu più costretta a omaggiare o fare regali obbligati ai monasteri ed ai signori. I molti monaci che erano stati costretti negli ordini religiosi da bambini senza poter scegliere ora erano liberi di rinunciare alla vita monastica e così migliaia di essi, particolarmente quelli più giovani, tornarono alla vita civile. Il clero restante può vivere contando su minimi stipendi governativi ed un reddito supplementare guadagnato officiando ai servizi di nozze ed ai funerali. (37)

    Le denunce fatte dal Dalai Lama circa le sterilizzazioni di massa e la deportazione forzata dei tibetani, fatte dai cinesi non hanno mai trovato conferme da alcuna prova.

    Sia il Dalai Lama che il suo fratello più giovane e consigliere, Tendzin Choegyal, hanno sostenuto che "più di 1.2 milione tibetani sarebbero morti come conseguenza dell’”occupazione cinese”.(38)

    Ad essi non importa come spesso nelle loro dichiarazioni, che i numeri dati siano sconcertanti e lasciano completamente perplessi.

    Il censimento ufficiale del 1953 sei anni prima dell’arrivo dei cinesi, aveva registrato l'intera popolazione del Tibet, stabilendo la cifra di 1.274.000 abitanti.

    Altre valutazioni avevano conteggiato circa due milioni di tibetani abitanti il paese. (39)

    Se i cinesi avessero ucciso 1.2 milioni, città intere dell'inizio degli anni 60 e parti enormi della campagna, effettivamente quasi tutto il Tibet, sarebbe stato spopolato, trasformato in un enorme campo di concentramento, pieno di fosse comuni e cimiteri, di cui però non abbiamo trovato prove. La forza militare cinese nel Tibet non era abbastanza grande come numero, non avrebbe potuto sterminare materialmente tutta quella gente anche se avesse speso tutto il proprio tempo e attività, senza fare nient’altro. Le autorità cinesi ammettono

    " errori" nel passato, specialmente durante la rivoluzione culturale 1966-76 quando le persecuzioni religiose raggiunsero un'alto livello sia in Cina che nel Tibet. Dopo la rivolta verso la fine degli anni 50, furono migliaia i tibetani incarcerati. Durante il “grande balzo in avanti”, la collettivizzazione dell’agricoltura, la coltivazione forzata del grano furono imposte ai contadini, a volte con effetti disastrosi. Verso la fine degli anni 70, la Cina aveva ottenuto la completa pacificazione della situazione nel Tibet "ed ha provato a modificare e correggere alcuni errori commessi durante i due decenni precedenti." (40)

    Nel 1980 il governo cinese iniziava una serie di riforme destinate ad assegnare al Tibet un grado sempre più grande di autonomia e del auto amministrazione. Ai tibetani venne permesso coltivare propri appezzamenti di terra, vendere le eccedenze della raccolta, scegliere le coltivazioni più adatte al proprio sostentamento e per mantenere il bestiame e le pecore. Vennero ripristinate le comunicazione con il mondo esterno ed i controlli di frontiera furono facilitati per permettere ai tibetani di visitare i parenti in India e Nepal. (41)


    Le Elites, gli Emigrati ed il denaro della CIA

    Per i Lama dell’alta società tibetana ed i signori, l'intervento comunista fu una calamità. La maggior parte di loro fuggirono all'estero, come il Dalai Lama, che scappò in un operazione organizzata direttamente dalla CIA. Alcuni scoprirono con orrore che avrebbero dovuto lavorare per vivere. Quelle elite feudali che rimasero in Tibet e decisero di cooperare col nuovo regime, si trovarono davanti a nuove situazioni di vita non certo facili.

    Eccone alcuni esempi: nel 1959, la giornalista Anna Louise Strong visitò l'Istituto Centrale delle Minoranze Nazionali a Pechino, che addestrava le varie minoranze etniche per il servizio civile o preparava per l'entrata nelle scuole agricole e mediche. Dei 900 studenti del Tibetan presenti, la maggior parte erano il servi in fuga e ex schiavi. Ma circa 100 erano di famiglie agiate del Tibetan, inviate dai loro genitori in modo che avrebbero potuto ottenere posti favorevoli nella nuova amministrazione. Il divario di classe che divideva tra questi due gruppi di studenti era fin troppo evidente. Una nota di direttore dell'istituto diceva: “ Quelli provenienti dalle famiglie nobili ritengono che in tutte le cose essi sono superiori. Si risentono di dover portare le proprie valige, fare i propri letti, badare alla propria stanza. Questo, pensano, è un incarico da schiavi; si ritengono insultati perché pretendiamo che facciano questo. Alcuni non l'accettano e tornano a casa; altri alla fine l'accettano.

    Il servo all’inizio ha paura degli altri e non può sedere con facilità nella stessa stanza con essi. In periodi successivi prossimo cominciano ad avere meno paura ma tuttavia continuano a sentire differenze e non riescono a mescolarsi.

    Soltanto con il tempo e la discussione continua raggiungono il momento in cui si mescolano facilmente e si sentono come studenti e persone, criticandosi o aiutandosi l'un l'altro, con normalità. (42)

    Intanto un nauseante patto fu fatto dagli emigrati tibetani con l’Occidente ed il sostegno sostanzioso di agenzie americane per il mantenimento di un mondo fondato sulla disuguaglianza economica. Dall’inizio del 1960 la comunità tibetana in esilio ha intascato segretamente 1,7 milioni di dollari all'anno dalla CIA, come accertato dalla documentazione rilasciata dal Ministero degli Affari Esteri USA nel 1998. Quando questo fatto è stato pubblicizzato, l'organizzazione del Dalai Lama ha emesso un comunicato ammettendo che aveva ricevuto alcuni milioni di dollari dalla CIA durante gli anni 1960 per inviare squadre armate di esiliati in Tibet per

    contrastare la rivoluzione maoista. Il Dalai Lama riceveva per sé 186.000 dollari, rendendolo così di fatto un agente ufficiale pagato dalla CIA. Anche i servizi segreti indiani l'hanno finanziato e anche altri esiliati tibetani. (43)

    Egli si è sempre rifiutato di dire se egli o suoi fratelli hanno lavorato per la CIA. Anche l'agenzia si è rifiutata di commentare. (44)

    Nonostante ha sempre presentato sé stesso come il difensore di diritti umani, e per questo vinse il Premio Nobel per la pace nel 1989, il Dalai Lama ha sempre continuato a frequentare e avuto come consiglieri l'émigrazione aristocratica ed ogni altro reazionario, durante il suo esilio. Nel 1995, il Raleigh, il N.C. News e Observer ha messo in prima pagina una fotografia a colori del Dalai Lama mentre abbracciava il famoso reazionario senatore Repubblicano Jesse Helms, sotto il titolo : "Buddista Affascina l'Eroe della Destra Religiosa." (45)

    Nel mese di aprile del 1999, con Margaret Thatcher, il papa Giovanni Paolo II ed il primo George Bush, il Dalai Lama ha fatto appello al governo britannico per liberare Augusto Pinochet, l'ex dittatore fascista del Cile e un cliente da molto tempo della CIA arrestato mentre visitava l'Inghilterra. Ha sollecitato che a Pinochet sia permesso ritornare alla sua patria e non costringerlo ad andare è in Spagna dove era ricercato dai giudici spagnoli per crimini contro umanità.

    Oggi, principalmente attraverso il “Fondo per lo sviluppo della democrazia” ed altri canali che sono rami della CIA, il Congresso degli Stati Uniti continua ad assegnare i 2 milioni di dollari annuali per i tibetani in India, con altri milioni supplementari per "le attività di democrazia" all'interno della Comunità tibetana in esilio. Il Dalai Lama inoltre ottiene i soldi dal finanziere George Soros, che sovvenziona la creatura della CIA Radio Free Europa/ Radio Liberty e altri istituti. (46)

    La questione culturale

    Ci è stato detto che quando il Dalai Lama governava il Tibet, la gente viveva in simbiosi armoniosa con i loro signori monastici e secolari, in un ordine sociale costituito da una cultura profondamente spirituale e nonviolenta. La relazione profonda del contadino al sistema di credenza sacra avrebbe loro dato una tranquilla stabilità, ispirata da insegnamenti religiosi umanitari e pacifici. Uno di questi è paragonato, nell’immagine idealizzata dell’Europa feudale, come presentato dai cattolici conservatori quali G. K. Chesterton e Hilaire Belloc. Per loro, la cristianità medioevale era un mondo di contadini contenti che vivono nel legame profondo dello spirito con la loro chiesa, sotto la protezione del loro signori. (47)

    Siamo invitati ancora ad accettare una cultura particolare relativemente alle proprie condizioni, che significa accettarla come presentata dalle classi dominanti, da coloro che da essa ne traggono i maggiori profitti.

    L'immagine della Shangri-La del Tibet non ha nessuna rassomiglianza con la realtà storica, poi trasformata in un immagine romanticizzata dell’Europa medioevale. Si potrebbe dire che come cittadini del mondo moderno non possiamo afferrare le equazioni di felicità e dolore, contentezza ed abitudini, che caratterizzano di più "lo spirituale" e le società "tradizionali". Ciò può essere comprensibile e può spiegare perchè alcuni di noi idealizzano tali società. Ma ancora, un occhio sgorbiato è un occhio sgorbiato; una fustigazione è una fustigazione; e lo sfruttamento opprimente dei servi e degli schiavi è ancora una brutale ingiustizia di classe qualunque abbellimento culturale si tenti. C’è una differenza fra un legame spirituale e la schiavitù umana, anche quando entrambi esistono parallelamente.

    Sicuramente ci sono molte cose da deplorare circa l’intervento cinese. Negli anni 90, l’etnia Han, il più grande gruppo etnico che rappresenta oltre il 95 per cento della popolazione generale della Cina, ha cominciato a muoversi in numero notevole verso il Tibet e varie province occidentali. (48)

    Questi riassestamenti demografici hanno avuto sicuramente effetti sulle culture indigene della Cina e del Tibet occidentali….Alcuni dirigenti cinesi nel Tibet hanno assunto troppo spesso un atteggiamento di superiorità verso la popolazione indigena. Alcuni osservano i loro vicini tibetani come retrogradi e pigri, necessitanti di sviluppo economico e "educazione patriottica."

    …Durante gli anni 90 diversi tibetani secondo molte informazioni sono stati arrestati, per attività separatiste e legami con la "sovversione politica."...(49)

    …. Nel frattempo, la storia, la cultura e la religione tibetane sono trascurate nelle scuole. I materiali didattici, sono comunque ancora in tibetano, anche se molto è indirizzato verso la storia cinese e le sue culture…(50)

    Il nuovo ordine ha molti sostenitori.

    Un’articolo del Washington Post del 1999 scriveva che il Dalai Lama continua ad essere riverito nel Tibet, ma. . . pochi tibetani accoglierebbero favorevolmente un ritorno dei clan aristocratici corrotti che sono fuggiti con lui nel 1959 e che compongono la massa dei suoi consiglieri. Molti contadini tibetani, per esempio, non hanno interesse nella cessione della terra che avevano ottenuto durante la riforma fondiaria della Cina, espropriata ai clan aristocratici feudali. Gli ex schiavi del Tibet dicono anche, che non desiderano che i loro precedenti padroni tornino al potere.

    "Già ho vissuto una volta quella vita prima," ha detto Wangchuk, un ex schiavo di 67 anni con indosso i suoi vestiti migliori per il suo pellegrinaggio annuale a Shigatse, uno dei luoghi più sacri del buddismo tibetano. Ha detto che adorava il Dalai Lama, ma ha aggiunto, "non posso essere libero sotto comunismo cinese, ma la mia vita è migliore di quando ero uno schiavo."(51) Nel sostenere il rovesciamento cinese della teocrazia feudale del Dalai Lama non devo approvare ogni cosa fatta circa il ruolo cinese nel Tibet. Questo punto è capito raramente dagli odierni aderenti della Shangri-La nell'occidente.

    Il contrario è inoltre allineare. Criticare l'invasione cinese non significa che dobbiamo romanticizzare il regime feudale precedente. Una protesta comune fra i seguaci buddisti nell'ovest è che la cultura religiosa del Tibet sta per essere distrutta dalle autorità cinesi. Questo potrebbe essere.

    Ma ciò che tratto qui è la presunta natura spirituale, ammirevole e primitiva di quella cultura pre-invasione. In breve, possiamo sostenere la libertà e l'indipendenza religiose per il Tibet senza dovere abbracciare la mitologia di un paradiso perduto. Per concludere, vorreisottolineare che la critica proposta qui non è intesa come attacco personale al Dalai Lama. Egli appare sempre come un individuo abbastanza piacevole, che parla spesso di pace, di amore e di nonviolenza. Nel 1994, in un'intervista con Melvyn Goldstein, ha voluto ricordare che fin da giovane egli era sempre stato per la costruzione di scuole, "macchine" e strade nel suo paese. Sostenne che aveva pensato che gli obblighi e le tasse imposti ai contadini "siano stati estremamente difettosi." Ed ha provato antipatia per il fatto che la gente era stata strozzata con i vecchi debiti, a volte passati di generazione in generazione. (52)

    Inoltre ha creato "un governo in esilio" con una Costituzione scritta, un assemblea rappresentativa ed altri aspetti democratici. (53)

    Come molti sovrani di un tempo, il Dalai Lama dà l’impressione di essere più più preparato a parlare di potere invece che di esercitarlo. Se si tiene conto che ci ha messo quarant’anni di esilio, un ‘occupazione cinese per arrivare a proporre la democrazia per il Tibet e a criticare l’autocrazia feudale di cui lui stesso era la massima apoteosi.

    Ma la sua critica del vecchio ordine arriva troppo in ritardo per convincere i tibetani. Molti di loro desiderano che possa tornare nel paese, ma sembra che relativamente pochi desiderino un ritorno all'ordine sociale che lui ha rappresentato.

    In un libro pubblicato nel 1996, il Dalai Lama profferì una clamorosa dichiarazione che fece venire i brividi alla Comunità dell’esilio. Si legge in un capitolo: di tutte le teorie economiche moderne, il sistema economico marxista è fondato su principi morali, mentre il capitalismo è interessato soltanto al guadagno e al profitto. Il marxismo è indirizzato alla distribuzione della ricchezza su una base uguale e alla giusta utilizzazione dei mezzi di produzione. Inoltre esso è anche concepito sugli interessi della classe lavoratrice che è la maggioranza della popolazione, così come per il destino degli sfruttati e di quelli che hanno più bisogno, inoltre si preoccupa del destino di chi non è privilegiato e per le vittime dello sfruttamento imposto dalla minoranza. Per questi motivi il sistema fa appello a me e mi sembra giusto. . .. Per questo motivo penso a me come mezzo marxista e mezzo buddista. (54)

    E più recentemente nel 2001, mentre visitava la California, ha sottolineato che "il Tibet, è materialmente molto, molto indietro. Spiritualmente è abbastanza ricco. Ma la spiritualità non può riempire i nostri stomaci."

    Questo è un messaggio a cui dovrebbero fare attenzione i ricchi e benestanti proseliti occidentali del buddismo che ritengono che esso non può essere confuso con considerazioni materiali, mentre romanticizzano il Tibet feudale. Al di là del buddismo e del Dalai Lama, quello che ho provato a sfidare è il mito del Tibet, l'immagine di un paradiso perduto, un ordine sociale che era poco più di un teocrazia dispotica e retrograda, fondata sulla schiavitù e sulla povertà, danneggiando così lo spirito dell’uomo, dove le più grandi ricchezze sono state accumulate da pochi potenti che vivevano al di sopra degli altri, approfittando del lavoro, del sangue e del sudore della maggioranza.

    Per a maggior parte degli aristocratici tibetani in esilio, quello è il mondo a cui vorrebbero ardentemente ritornare.

    Esso è molto lontano dallo Shangri-La.

    M. Parenti


    Traduzione di Enrico Vigna



    Note:

    1.Melvyn C. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon: China, Tibet, and the Dalai Lama (Berkeley: University of
    California Press, 1995), 6-16.

    2.Mark Juergensmeyer, Terror in the Mind of God, (Berkeley: University of California Press, 2000), 113.
    3.Kyong-Hwa Seok, "Korean monk gangs battle for temple turf," San Francisco Examiner, December 3, 1998.
    4.Gere quoted in "Our Little Secret," CounterPunch, 1-15 November 1997.
    5.Dalai Lama quoted in Donald Lopez Jr., Prisoners of Shangri-La: Tibetan Buddhism and the West (Chicago and
    London: Chicago University Press, 1998), 205.

    6.Stuart Gelder and Roma Gelder, The Timely Rain: Travels in New Tibet (New York: Monthly Review Press, 1964), 119.
    7.Gelder and Gelder, The Timely Rain, 123.
    8.Pradyumna P. Karan, The Changing Face of Tibet: The Impact of Chinese Communist Ideology on the Landscape
    (Lexington, Kentucky: University Press of Kentucky, 1976), 64.

    9.Gelder and Gelder, The Timely Rain, 62 and 174.
    10.As skeptically noted by Lopez, Prisoners of Shangri-La, 9.
    11.See the testimony of one serf who himself had been hunted down by Tibetan soldiers and returned to his master: Anna
    Louise Strong, Tibetan Interviews (Peking: New World Press, 1929), 29-30 90.

    12.Melvyn Goldstein, William Siebenschuh, and Tashì-Tsering, The Struggle for Modern Tibet: The Autobiography of
    Tashì-Tsering (Armonk, N.Y.: M.E. Sharpe, 1997).

    13.Gelder and Gelder, The Timely Rain, 110.
    14.Strong, Tibetan Interviews, 15, 19-21, 24.
    15.Quoted in Strong, Tibetan Interviews, 25.
    16.Strong, Tibetan Interviews, 31.
    17.Melvyn C. Goldstein, A History of Modern Tibet 1913-1951 (Berkeley: University of California Press, 1989), 5.
    18.Gelder and Gelder, The Timely Rain, 175-176; and Strong, Tibetan Interviews, 25-26.
    19.Gelder and Gelder, The Timely Rain, 113.
    20.A. Tom Grunfeld, The Making of Modern Tibet rev. ed. (Armonk, N.Y. and London: 1996), 9 and 7-33 for a general
    discussion of feudal Tibet; see also Felix Greene, A Curtain of Ignorance (Garden City, N.Y.: Doubleday, 1961), 241-249;
    Goldstein, A History of Modern Tibet 1913-1951, 3-5; and Lopez, Prisoners of Shangri-La, passim.

    21.Strong, Tibetan Interviews, 91-92.
    22.Strong, Tibetan Interviews, 92-96.
    23.Waddell, Landon, and O'Connor are quoted in Gelder and Gelder, The Timely Rain, 123-125.
    24.Quoted in Gelder and Gelder, The Timely Rain, 125.
    25.Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 52.
    26.Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 54.
    27.Heinrich Harrer, Return to Tibet (New York: Schocken, 1985), 29.
    28.Strong, Tibetan Interview, 73.
    29.See Kenneth Conboy and James Morrison, The CIA's Secret War in Tibet (Lawrence, Kansas: University of Kansas
    Press, 2002); and William Leary, "Secret Mission to Tibet," Air & Space, December 1997/January 1998.

    30.Leary, "Secret Mission to Tibet."
    31.Hugh Deane, "The Cold War in Tibet," CovertAction Quarterly (Winter 1987).
    32.George Ginsburg and Michael Mathos Communist China and Tibet (1964), quoted in Deane, "The Cold War in Tibet."
    Deane notes that author Bina Roy reached a similar conclusion.

    33.See Greene, A Curtain of Ignorance, 248 and passim; and Grunfeld, The Making of Modern Tibet, passim.
    34.Los Angeles Times, 18 August 1997.
    35.Harrer, Return to Tibet, 54.
    36.Karan, The Changing Face of Tibet, 36-38, 41, 57-58; London Times, 4 July 1966.
    37.Gelder and Gelder, The Timely Rain, 29 and 47-48.
    38.Tendzin Choegyal, "The Truth about Tibet," Imprimis (publication of Hillsdale College, Michigan), April 1999.
    39.Karan, The Changing Face of Tibet, 52-53.
    40.Elaine Kurtenbach, Associate Press report, San Francisco Chronicle, 12 February 1998.
    41.Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 47-48.
    42.Strong, Tibetan Interviews, 15-16.
    43.Jim Mann, "CIA Gave Aid to Tibetan Exiles in '60s, Files Show," Los Angeles Times, 15 September 1998; and New
    York Times, 1 October, 1998.

    44.Reuters report, San Francisco Chronicle, 27 January 1997.
    45.News & Observer, 6 September 1995, cited in Lopez, Prisoners of Shangri-La, 3.
    46.Heather Cottin, "George Soros, Imperial Wizard," CovertAction Quarterly no. 74 (Fall 2002).
    47.The Gelders draw this comparison, The Timely Rain, 64.
    48.The Han have also moved into Xinjiang, a large northwest province about the size of Tibet, populated by Uighurs; see Peter
    Hessler, "The Middleman," New Yorker, 14 & 21 October 2002.

    49.Report by the International Committee of Lawyers for Tibet, A Generation in Peril (Berkeley Calif.: 2001), passim.
    50.International Committee of Lawyers for Tibet, A Generation in Peril, 66-68, 98.
    51.John Pomfret, "Tibet Caught in China's Web," Washington Post, 23 July 1999.
    52.Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 51.
    53.Tendzin Choegyal, "The Truth about Tibet."
    54.The Dalai Lama in Marianne Dresser (ed.), Beyond Dogma: Dialogues and Discourses (Berkeley, Calif.: North Atlantic
    Books, 1996).


    http://www.resistenze.org/sito/te/po/ci/poci5m21.htm

  10. #20
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    Citazione Originariamente Scritto da gfieramosca Visualizza Messaggio
    Non so quanto ci sia di reale in quello che dici. Tuttavia per i Tibetani vedere la " Scellerata teocrazia oppressiva " sostituita dal conunismo di Mao non deve essere stato piacevole, E in ogni caso a casa loro avevano ed hanno il diritto di regolare le loro cose come meglio credono.
    Mah, i Tibetani hanno goduto e godono tuttora dei benefici che il goveno cinese gli garantisce. basti pensare che all'indomani della liberazione Mao cercò a tutti i costi la cooperazione con il Dalai Lama (che solo in seguitò scappo') e che vide le masse schierarsi dalla sua parte essenzialmente per la riforma agraria che previde la distribuzione delle terre gestite dal clero latifondista ed affarista affamatore dei Lama.
    Autostrade, servizi idrici, infrastutture, perfino una capillare e lungimirante promozione turistica del territorio tibetano è stata opera dei cinesi.
    Confermo: "Scellerata teocrazia opppressiva", in più aggiungo latifondista, superstiziosa e sfruttatrice.

 

 
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