Salvatore Cannavò
da Liberazione del 17-10-2007
Che un ciclo politico sia finito e un altro si stia aprendo lo dimostrano efficacemente le primarie del Pd. Il partito nato dallo scioglimento del Pci, i Ds-Pds, non c'è più e non si tratta di un dato puramente quantitativo, due partiti al prezzo di uno, ma di un cambiamento qualitativo che impatta anche sulla cosiddetta sinistra radicale - ma chi gliel'ha dato questo aggettivo? - pronta anch'essa a un mutamento decisivo.
Salvatore Cannavò
Che un ciclo politico sia finito e un altro si stia aprendo lo dimostrano efficacemente le primarie del Pd. Il partito nato dallo scioglimento del Pci, i Ds-Pds, non c'è più e non si tratta di un dato puramente quantitativo, due partiti al prezzo di uno, ma di un cambiamento qualitativo che impatta anche sulla cosiddetta sinistra radicale - ma chi gliel'ha dato questo aggettivo? - pronta anch'essa a un mutamento decisivo.
Il Pd di Veltroni incarna bene il salto compiuto dalla "sinistra storica" nella propria identità e nei riferimenti strategici. Questa sinistra si colloca da una parte ben precisa dello scontro di classe, quello confindustriale di cui ha introiettato bisogni e ideologia, e forte del suo insediamento e dell'immaginazione di cui si serve, e di cui Veltroni continua a essere un maestro, esercita un'egemonia indiscussa su ampi settori popolari e del mondo del lavoro. Questa capacità di consenso e di manovra sono certamente facilitati dal supporto indiscusso che proviene da Cgil, Cisl e Uil, assi portanti di una strategia di stabilizzazione moderata e modernista spinta al punto da blindare burocraticamente qualsiasi decisione e addirittura scagliata anche contro eventuali migliorie legislative.
Apparentemente questo slancio produce una risposta alla cosiddetta antipolitica, assorbendo le spinte centrifughe alla Grillo o la disaffezione diffusa di settori popolari, la disillusione e la demoralizzazione di chi aveva riposto speranze nell'azione, rivelatasi fallimentare, del governo Prodi. In questo senso, è vero che le primarie sono anche "contro" l'esecutivo o per lo meno costituiscono uno "stimolo" verso palazzo Chigi. Ma si tratta di un riflesso momentaneo perché la strategia di Veltroni non punta a modificare, semmai a peggiorare, le coordinate liberiste fin qui seguite e che sono alla radice della disillusione. Se la vita delle persone non cambia e se i governi che si succedono, proni alla globalizzazione capitalista, applicano più o meno le stesse ricette, la "crisi della politica" non può che crescere e diffondersi. Questa crisi, anzi, è un tratto collaterale del "pensiero unico" e della assoluta debolezza di alternative efficaci e convincenti.
A questa dinamica la sinistra di alternativa è oggi incapace di rispondere adeguatamente se per adeguato si intende un progetto capace di reggere, non nell'immediato, ma nel periodo lungo disegnato dall'attuale ristrutturazione politica. La situazione può essere riassunta in questi termini: la sinistra storica si fa definitivamente "sistema", si arrocca nell'adesione al liberismo subendo l'egemonia della destra. La sinistra "radicale", pur non aderendo al progetto, si mostra incapace di sottrarsi al suo fascino, non riesce a rompere legami antichi e, tutto sommato, si attrezza per costituirsi in componente critica ma legata a quella dalla prospettiva del governo. La Federazione della Sinistra, o "Cosa rossa", è sostanzialmente un modo per prepararsi a questo scenario cercando di mediare l'opposizione sociale con le pratiche di governo, in un'impossibile quadratura del cerchio che schianterebbe corpi politici ben più solidi dell'attuale Prc. In prospettiva, la storia della sinistra di classe e anticapitalista viene diluita, e quindi cancellata, in una nuova formazione che nello "sfidare" il Partito democratico, finisce per esserne una corrente esterna, un'ancella politica senza l'impatto sociale e di massa che il nuovo partito di Veltroni mostra invece di avere.
Se è del tutto vero che a sinistra del Pd si apre un vuoto che va riempito è tuttavia sbagliato pensare di riempirlo senza un progetto rigorosamente alternativo a quello veltroniano, anche nel breve periodo, che rimetta al centro il conflitto, l'autonomia della sinistra, l'opposizione sociale.
Questa determinazione oggi non c'è e non c'è nemmeno in prospettiva. Anche il 20 ottobre si annuncia una manifestazione che soffre di questa confusione e di questa indefinitezza cercando di mediare tra l'appoggio e l'opposizione al governo, tra il Si e il No al Protocollo sul Welfare, tra l'alleanza e la conflittualità con il Pd. Se i Ds si sono liberati una volta per tutte dello "stare in mezzo al guado" di occhettiana memoria, la sindrome questa volta sembra colpire la sinistra radicale e Rifondazione in particolare.
La sindrome si scarica sulla manifestazione del 20 ottobre che non è contro l'Accordo ma certamente non lo sostiene; non è contro Prodi ma certamente non è soddisfatta di come sta andando il governo; non è contro Veltroni, ci mancherebbe, ma Veltroni un po' non lo sopporta. Una manifestazione di mezzo, transitoria e dunque, al di là della sua riuscita, poco incidente. Intendiamoci la giornata è legittima e rispettabile, e anche se non ci sarò intendo rispettarla, a condizione che non venga spacciata per quello che non è: non sarà la manifestazione contro l'Accordo, non sarà ovviamente una manifestazione contro il governo - anzi dovrebbe addirittura stimolare il governo - non sarà nemmeno una manifestazione a carattere sociale vista l'assenza di movimenti importanti come i No Tav o il movimento vicentino. Sarà invece la manifestazione che serve a dimostrare che oltre le primarie c'è un'altra ipotesi di lavoro, la Federazione della Sinistra, quindi una manifestazione tutta politica, la risposta al 14 ottobre. Anche questo è legittimo e rispettabile. Ma non credo sia la risposta adeguata, quello che oggi serve.
Quello che serve è una sinistra faccia davvero l'opposizione alle politiche di questo governo. Che la faccia, non a cuor leggero, ma con determinazione e perseguendo scelte chiare: la prima, la più stringente, è non votare, e quindi respingere, l'accordo sul Welfare che riesce non solo a integrare nel centrosinistra il programma politico delle destre, a cominciare dalle leggi 30 e Maroni, ma che in alcuni casi lo peggiora pure. Le astensioni e le riserve non sono opposizione e non aiutano la resistenza sociale né offrono una sponda adeguata a quei lavoratori che hanno votato No. E invece è proprio questa opposizione che andrebbe rafforzata e costruita. Lo sciopero generale indetto dal sindacalismo di base il 9 novembre è certamente insufficiente ma è l'unica giornata di reale mobilitazione contro l'accordo e contro la precarietà veicolata dal governo Prodi. La manifestazione di Vicenza del 15 dicembre è l'unica manifestazione davvero contro la guerra e per il bene comune, visto che impatta una questione concreta come la base. Insomma, serve una sinistra che non faccia sconti, che recuperi la centralità del conflitto sociale e che non si balocchi nel "teatrino" di palazzo. Alla sinistra del Pd non serve una variabile di sistema ma un'alternativa secca, capace di andare controcorrente, indisponibile a cimentarsi con il governo di un capitalismo come quello italiano e, soprattutto, impegnata in un progetto di ricostruzione dei legami sociali che in quindici anni di rifondazione non siamo riusciti a fare. Un progetto nuovo, dunque, non un Prc rinverdito, ma un progetto di classe e anticapitalista. Il resto sembra un film visto ormai troppe volte e che finisce male.
http://www.liberazione.it/a_giornale...ubb=17/10/2007
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