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    Comunista democratico
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    Partito, sinistra e federarsi: non facciamo confusione

    Vincere la tentazione di unificazioni “sommarie”
    di Claudio Grassi* e Bruno Steri**
    da Liberazione del 19/10/2007


    Ci risiamo. Tornano a squillare le trombe del “partito unico della sinistra”, sull’onda del plebiscitario consenso che ha consacrato Walter Veltroni leader del Partito democratico. Il successo della consultazione fa quasi passare in secondo piano le voci più sobrie e meno trionfali: come quella di Ida Dominijanni, la quale su il manifesto constata che «la quantità sembra fare aggio su qualsiasi interrogativo sul significato di questa massiccia corsa al seggio», espressione di una passione politica che, nonostante tutto, perdura e che è chiamata ad esprimersi per un giorno su «scelte decise dall’alto, tutte filtrate dalle grandi agenzie di costruzione dell’opinione pubblica».

    D’altra parte, non era difficile da prevedere: l’opzione bipolare, da qualche tempo inaugurata nel nostro Paese, contiene dentro di sé un’irresistibile propensione a far slittare il quadro politico verso il centro moderato e a ridurre sommariamente le cosiddette estreme, alimentando la spinta a passare dalla costituzione di macrocoalizioni tra diversi (più o meno coatte) alla semplificazione partitica: reductio ad unum della rappresentanza politica, normalizzazione degli assetti istituzionali e compressione del conflitto sociale sono aspetti di un medesima tendenza involutiva.

    Ma tutto questo è trasformato in felice opportunità dalla grancassa mediatica - che, lo ricordiamo sommessamente, è per la gran parte in mano a quelli che noi continuiamo a chiamare i “poteri forti”. Eravamo abituati a pensare che, in generale, le differenze sono il sale della democrazia: ciò vale, ovviamente, quando esse non sono mantenute in funzione della mera sopravvivenza istituzionale di apparati e gruppi di potere e, al contrario, si fondano su diverse prospettive strategico-ideali e su dirimenti questioni di linea politica. Oggi dobbiamo registrare, con la nascita del Pd, il lancio sulla scena politica del “grande è bello”: o, altrimenti detto, le dimensioni contano “a prescindere”. E’ una battuta, ma neanche tanto: le semplificazioni hanno spesso coinciso con disegni restauratori e materializzato lo spostamento a destra dell’asse politico. Noi chiamiamo tutto ciò americanizzazione.

    Altra e sacrosanta cosa è l’istanza unitaria, l’esigenza di un efficace condizionamento dell’azione di governo che noi da tempo abbiamo auspicato. Ciò ha però poco a che vedere con quella tentazione di procedere ad operazioni di unificazione sommaria, con relativa sommaria estinzione delle forze unificate, che ha contagiato anche una parte della sinistra di alternativa, fin dentro - così pare - Rifondazione Comunista. Si finisce così per voler imitare colpevolmente il processo “dall’alto”, la “fusione a freddo” che ha condotto alla costituzione del Partito democratico. Leggiamo qua e là di accelerazioni necessarie, di processi unitari a carattere federativo da considerarsi “intermedi” in vista del definitivo approdo ad un “partito unico della sinistra”. Perfino Liberazione segnala il fatto che con il fatidico 14 ottobre molte cose sarebbero cambiate e, in qualche suo articolo, enfatizza l’opinione che, a seguito di ciò, la forma federata non basterebbe più.

    Beninteso, non è qui evidentemente in questione la libertà per ciascuno di esprimere ciò che si pensa. Ma sulle scelte fondamentali del Prc non possono esservi confusioni e tanto meno precipitazioni estemporanee. A maggior ragione, a ridosso di un Congresso che dovrà assicurare una discussione limpida e decisioni inequivoche. Intanto, noi stiamo a quello che, a partire dalla Conferenza d’organizzazione di Carrara, gli organismi dirigenti del partito hanno sin qui deliberato: in estrema sintesi, la linea del rafforzamento dell’unità d’azione della sinistra di alternativa, anche a mezzo di una forma di coordinamento federativo delle forze che la compongono, essendo altresì ribaditi con nettezza il consolidamento ed il potenziamento dell’autonomia di Rifondazione Comunista. Questo ci sembra l’orientamento più efficace (e più realistico), capace di tenere insieme, attorno a pochi ma decisivi punti programmatici, forze associative e politiche che con ogni evidenza mantengono ispirazioni ideali e strategiche differenziate, diversi riferimenti internazionali, oltre che differenti attitudini riguardo all’esperienza di governo. Ciò vale per le ispirazioni ambientaliste, pacifiste e femministe, per i socialisti come per noi comunisti.


    Le non lievi divaricazioni prodottesi in occasione del recente voto in materia di previdenza e welfare hanno ancora una volta messo in risalto questa realtà di fatto. Né - sia detto per inciso - è utile torcere tale realtà nel tentativo di farla aderire ai propri convincimenti: non sarebbe ad esempio un buon servizio quello di chi tendesse a modificare il segno della giornata del 20 ottobre prossimo. Siamo certi che chi parteciperà a quella manifestazione lo farà per difendere i propri diritti, per vedere rappresentati i propri interessi di classe. E senza pasticci: poiché è chiaro che non possono essere cancellate con un colpo di spugna le responsabilità politiche di chi ha ritenuto di non aderire alla manifestazione (come quelle di chi ha ritenuto di non indire neanche un’ora di mobilitazione e di sciopero a sostegno della fondamentale vertenza su pensioni e welfare). Allo stesso modo, bisognerà pur dire con franchezza se si ravvisa qualche ragione nella politica di “risanamento” pervicacemente sostenuta dal governo ovvero se si condivide l’indicazione degli economisti di “rive gauche” i quali ritengono la suddetta politica priva di fondamento e propongono la stabilizzazione del debito, il rilancio dell’intervento pubblico e di una selettiva politica industriale, una decisa inversione nelle politiche del lavoro e nel sostegno alla domanda interna: una scelta che indubbiamente richiederebbe chiarezza di idee e coraggio politico, ossia due risorse che non ci paiono equamente distribuite nemmeno all’interno della sinistra di alternativa.


    In connessione con quanto detto sinora, riteniamo che anche il tema della presentazione di liste unitarie debba essere presentato al vaglio di un’attenta discussione congressuale. Non crediamo sia qui in questione la titolarità dei singoli territori per quel che concerne specifiche esperienze locali. Ma è nostro convincimento che, sul piano di una proposta generalizzata e ripetuta nel tempo, tale opzione non sia affatto utile. Nella misura in cui consideriamo una ricchezza – oltre che un dato obiettivo – l’articolazione delle ispirazioni che compongono l’ambito della sinistra, conseguentemente riteniamo elettoralmente più produttiva una proposta politica complessiva tesa a raccogliere consenso non annullando le articolazioni suddette ma, al contrario, facendo di queste un elemento di valorizzazione della proposta stessa. Non è un caso che l’esperienza passata deponga nettamente a favore di tale impostazione.

    *coordinatore nazionale area Essere Comunisti

    **direttore di “Essere comunisti”



    http://www.esserecomunisti.it/index....Articolo=19057
    Myrddin

  2. #2
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    Ma Essere Comunisti che farà, in caso di Partito Unico senza falci ne martelli?

 

 

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