TRA “PARITA’ FORMALE” E “DISCRIMINAZIONI DI FATTO”!
LA COSTITUZIONE E’ DONNA. LA POLITICA NO!
In Italia è oramai comune la convinzione per cui le donne abbiano conquistato molti diritti e libertà negli ultimi decenni, specie a partire dagli anni ‘70.
Sempre più uomini, addirittura, denunciano una “discriminazione alla rovescia”: la “sopraffazione” dell’uomo ad opera delle donne, sempre più intraprendenti e di successo, nella vita come nella società!
Se in questo vi è indubbiamente un fondo di verità, comunque, al di là delle apparenze la “questione femminile” resta ancora attuale e ben lontana dall’essere del tutto chiusa!
A denunciarlo è la stessa Costituzione, ove sollecita espressamente il legislatore ad intervenire per garantire un’“effettiva parità” di diritti ed opportunità tra uomini e donne.
In particolare:
I- l’art. 37 co.1 recita: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”;
II- l’art. 51 co.1 (modificato dalla l. cost. n. 1 del 2003) sancisce: “Tutti i cittadini, dell’uno o dell’altro sesso, possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”;
III- e l’art. 117 co.7 (introdotto dalla l. cost. n. 3 del 2001) afferma: “Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovo la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive” (principio introdotto anche negli statuti delle regioni speciali con la l. cost. n.2 del 2001).
Nonostante la riconosciuta “parità formale” tra i sessi, però, ancora la classe politica (non a caso quasi interamente maschile…) non ha ancora fatto quel salto in avanti richiesto dalla Costituzione: il passaggio dalle mere “enunciazioni di principio” a risposte concretate legate ai bisogni reali e quotidiani delle donne (e delle famiglie, di cui le stesse sono il perno).
E’ divenuta, così, un’esigenza improcrastinabile:
I- il miglioramento dei servizi pubblici offerti alle famiglie, necessari per riscattare più “tempo libero” in favore delle donne. Il che è conseguibile, ad esempio:
a. sostenendo il “costo” della maternità con sussidi adeguati (non interventi minimi ed “una tantum”, come gli assegni per i nuovi nati);
b. rendendo detraibili tutte le spese mediche pediatriche (sempre più elevate);
c. investendo risorse per nuovi asili nido pubblici;
d. defiscalizzando il costo dei servizi di babysitter e badanti;
e. e garantendo il tempo pieno nelle scuole.
II- la predisposizione di un’effettiva tutela legislativa del lavoro femminile. Sarebbe opportuno, ad esempio:
a- fissare delle “quote rosa” nei posti di lavoro (imponendo ai datori di lavoro, almeno nei settori in cui ciò sia possibile, l’assunzione di donne almeno per il 40% del personale);
b- e sanzionare più efficacemente i licenziamenti “giustificati”, di fatto, dallo stato di gravidanza della dipendente (anche se sempre più spesso, nel caso di lavoratrici precarie, non formalmente licenziamenti bensì “mancati rinnovi” dei contratti di lavoro).
L’ELETTORATO E’ DONNA. LA POLITICA NO!
L’insufficienza di rappresentanza femminile in politica, nonostante l’elettorato italiano sia in maggioranza femminile, si traduce inevitabilmente in una “carenza di democrazia”…
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Gaspare Serra
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