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    Usa-Europa, la nuova alleanza/Intervento al recente convegno tenutosi a Milano
    Offriamo all’America una più forte collaborazione

    Intervento presentato al convegno milanese "Verso la Costituente Liberaldemocratica europea", Circolo Della Stampa, 27 ottobre 2007

    di Daniele Bellasio*

    Io la butto lì così: Stati Uniti d’America e d’Europa. E’ un’idea radicale, utile come prospettiva, come cornice entro la quale far rientrare una politica estera liberale e democratica. E’ un’idea che va ripetendo da anni Marco Pannella. Serve per dare il quadro di quello che penso. Traggo insegnamento anche da uno scritto radicale. Virgolette: "La chiarezza è una delle virtù fondamentali di ogni politica estera, virtù che è totalmente mancata alla politica italiana come è stata condotta in questo ultimo periodo di governo… Abbiamo assistito a confusione di organi e di poteri, al sorgere di inopportuni e non richiesti tentativi di mediazione (vedi Iran, vedi Hamas, aggiungo io), alla formulazione di fantasiose teorie ‘neoatlantiste’, alla postulazione di una equivoca politica ‘mediterranea’ di ‘presenza’ e, addirittura, di ‘missione’ mediorientale. Interessi di parte e di fazione, pressioni esterne, incapacità e anche irresponsabile incoscienza stanno alla base di questa poco edificante confusione, ma specialmente ne è responsabile una completa mancanza di chiarezza sui compiti che ci spettano nel senso dell’alleanza occidentale liberamente scelta dal popolo italiano". Serve invece, continua Nicolò Carandini, e nonostante l’attualità delle sue parole è il maggio del 1958: serve invece, diceva, "una politica estera non furba, ma seria e rettilinea… Siamo decisi ad appoggiare l’effettiva unificazione economica dell’Europa e la sua evoluzione verso una organica comunità politica senza che ciò segni tuttavia un distacco o anche solo un allontanamento dalla grande comunità democratica dei popoli anglo-sassoni", cioè Gran Bretagna e Stati Uniti. Ecco la cornice di una politica estera liberale e democratica, di una politica estera che abbia la libertà come principio e fine, e la democrazia come mezzo. La cornice è la grande alleanza dell’Europa con le grandi democrazie anglo-sassoni. Questa cornice nasce dalla storia, ma anche dall’attualità e dal sopravvenire di minacce presenti e future alla pace, alla libertà e alla stabilità. Due sono le principali minacce che il mondo liberale e democratico si trova ad affrontare. La prima è l’11 settembre 2001, il jihad sotto forma di guerriglia terrorista e qaidista o di rivoluzione islamica atomica, vedi Iran, o strisciante, vedi progredire dell’integralismo dentro e fuori il mondo arabo-musulmano. Di fronte a questa prima minaccia l’Amministrazione Bush ha proposto una ricetta: la diffusione e la promozione della democrazia e della libertà nel mondo è l’antidoto principale, migliore e finora unico al progredire dell’integralismo e dell’oppressione e della ferocia jihadista. La rivoluzione islamica e la rete del terrore sono per loro natura espansive. Possiamo scegliere di essere passivi di fronte alla loro espansione o, da liberali e democratici, possiamo batterci per la diffusione, concorrenziale all’oppressione, della libertà e della democrazia. Con i mezzi più svariati, anche per esempio * vedi Cina, Birmania, Iran * facendo qualche affare in meno per difendere qualche diritto in più. Perché il piccolo vantaggio oggi è quasi sempre un grande danno domani, se si ha a che fare con stati canaglia o non democratici. Per affrontare al meglio questa prima minaccia, quella jihadista, l’Europa deve puntare sulla Nato, che non è affatto un’alleanza in via di perdita di utilità, ma al contrario il centro di integrazione delle democrazie, il braccio armato di difesa dell’alleanza mondiale delle democrazie. Su questo fronte l’America, anche con il progetto di scudo che ha lo scopo di riformare e ridisegnare la Nato, non arretrerà perché considera la Nato un’alleanza fondamentale. L’Europa deve comprendere il nuovo ruolo della Nato, un ruolo più politico, e non vedere questa alleanza come in concorrenza con la costruzione dell’Europa, ma come complementare. Lo ha compreso il nuovo presidente francese Sarkozy che, come ha spiegato bene John Vinocur sull’"International Herald Tribune", ha compiuto la scelta strategica di riavvicinare la Francia agli Stati Uniti, anche sul dossier iraniano. E Sarkozy compie questa scelta avanzando due proposte complementari: la Francia torna a pieno titolo nella Nato, ma gli Stati Uniti accettano un ruolo forte per la difesa europea. Ecco come si dialoga da alleati intelligenti, si dà e si chiede con un obiettivo chiaro: rafforzare l’alleanza. Appena Sarkozy ha compiuto questa scelta strategica, la Francia è uscita dall’irrilevanza arrogante in cui l’aveva condotta Chirac ed è tornata protagonista in Europa e nel mondo arabo-musulmano. Molta chiarezza, poca ambiguità, torna Carandini.

    L’altra minaccia è nel campo economico, nel mercato globale, e viene dalla Cina. Mai come in questo campo l’unione fa la forza. Lo ha capito la Comunità europea prima e l’Unione europea poi, ma anche l’Asia, con i suoi progetti di integrazione economica, l’America latina, il Nord America. Per competere al meglio contro la concorrenza, spesso sleale, dell’economia cinese, è indispensabile un’integrazione sempre maggiore dei mercati europei e americani. Invece negli ultimi anni si è assistito al contrario, a continue liti protezioniste tra i due lati dell’Atlantico a vantaggio della corsa cinese e del caro-petrolio russo e mediorientale. Questa tendenza deve cambiare e sta cambiando. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, appena giunta alla guida dell’Unione europea e del G7 ha rilanciato l’idea dell’area di libero scambio tra Stati Uniti ed Europa (come si vede anche le idee visionarie hanno un forte sapore realista se uno sa coglierne il profondo significato di prospettiva). Il riavvicinamento della Francia agli Stati Uniti può provocare sviluppi positivi sul fronte economico-commerciale, come dimostra l’idea di Sarkozy di ripensare una nuova politica agricola comune. Di recente David Miliband, giovane ministro degli Esteri laburista, e sottolineo laburista, del governo britannico è stato ancora più esplicito e ha detto qualcosa di liberale e di democratico: "Noi, europei e americani, dobbiamo metterci assieme in un grande progetto". Miliband * da tenere d’occhio, anche e soprattutto visti i continui stop and go del suo principale, Brown * ha detto che nel mondo che cambia vanno ridefinite le istituzioni internazionali per renderle efficaci nell’opera di mantenimento dell’equilibrio, di costruzione della pace, di promozione e diffusione della democrazia e della libertà. E allora perché no un’alleanza della democrazie?, una prospettiva da Stati Uniti d’America e d’Europa?, una grande e nuova Nato che sappia allargarsi, come in parte sta facendo, all’est europeo e alla sponda meridionale del Mediterraneo, Israele ovviamente compreso, ma anche Egitto. Sempre naturalmente nell’ottica di accettare partner, lo dico per l’Egitto, visto che per Israele il dubbio non si pone, che vogliano condividere con noi i metodi della democrazia e i diritti della libertà.

    Una nuova Nato

    La nuova Nato, il nuovo patto forte atlantico, deve collaborare, come in parte fa già, con Giappone, Australia e India, con i paesi che muovendosi seguendo i due punti cardinali della libertà e della democrazia hanno interesse a impegnarsi per la stabilità e la pace. Il riavvicinamento tra l’Europa "Venere" e l’America "Marte" di Robert Kagan avviene ora nonostante e dopo l’Iraq, questo dimostra quanto sia naturale ed essenziale e inevitabile questo tipo di alleanza. America ed Europa sono come due fidanzati che da anni si prendono e si lasciano ma sanno che solo assieme possono stare. Forse l’America è il marito, è più maschia, l’Europa è più femmina, d’accordo, ma appunto sono complementari. Se dopo l’Iraq e nonostante l’Iraq, Francia e Germania si riavvicinano a Washington e, se prima dell’Iraq e proprio per l’Iraq, Italia, Spagna, est Europa già stavano con l’America, c’è da essere ottimisti: l’Alleanza atlantica è nelle cose e nei pensieri e perfino nei cuori. Va preservata con forza. Perché si basa sui due principi che ci stanno più a cuore: la libertà e la democrazia.

    Dunque, liberali e democratici per la zona di libero scambio dell’Atlantico per competere al meglio con la Cina, per negoziare da posizioni di forza con la Russia, per aiutarci e non per indebolirci di fronte alle minacce esterne.

    Dunque, liberali e democratici per la grande nuova Nato e la grande nuova alleanza delle democrazie. Bisogna spingere sempre per un’azione comune. Immaginate tutte le nazioni europee e gli Stati Uniti d’accordo nell’imporre sanzioni serie e intelligenti all’Iran. Immaginando questo scenario anche la sola parola "guerra" si allontanerebbe dal dibattito. Perché quando Europa e Stati Uniti agiscono assieme ottengono risultati: le sanzioni funzionerebbero, il regime degli ayatollah o sarebbe sconfitto dalla protesta popolare o sarebbe costretto ad aprirsi, a spendere i suoi soldi per investimenti per lo sviluppo economico e non per lo sviluppo atomico. La forte collaborazione tra Europa e Stati Uniti, su questo fronte, come tra Israele e palestinesi, è la migliore garanzia della pace, i distinguo dalemian-prodiani sono le migliori garanzie dell’irrilevanza italiana e dell’inefficacia della diplomazia. Come dimostrano i fatti, con l’Italia fuori dai giochi veri sul dossier iraniano.

    Russia e Israele

    Iran e conflitto arabo-israeliano: questi due dossier ci pongono davanti a due temi che in Europa creano dubbi, divisioni, incertezze. Il primo è il rapporto con la Russia, il secondo la relazione con Israele.

    Con la Russia, da liberali e da democratici, si può e si deve agire con un’ispirazione mercantile. Oggi Mosca e il suo zar incontrastato agiscono sullo scenario internazionale con un solo obiettivo: tenere alto il prezzo del petrolio. Il Cremlino, che in questi anni ha rinazionalizzato e non ha favorito lo sviluppo di economia sana, ha bisogno che il prezzo del petrolio alto continui a garantire l’arrivo di soldi in Russia e la stabilità politica, contro ogni ipotesi di rivoluzione arancione. Per questo Putin, ricreando un clima da Guerra fredda, gioca a fare il più buono dei cattivi e il più cattivo dei buoni, traccheggia sempre, in ogni crisi: lo stallo instabile è la miglior garanzia del caro-greggio. Noi, americani ed europei alleati, dovremmo adottare un atteggiamento mercantile: trattare sul serio, cioè ti do, se mi dai. Sulla Wto, sullo scudo, sull’Iran, sul rapporto con l’Europa, sui diritti umani, il soft power che tanto piace ai realisti dev’essere esercitato con modi hard con Mosca. Bisogna far capire a Putin che ogni tanto ha qualcosa da perdere, bisogna indurre il Cremlino a comprendere che un’involuzione non democratica porterà Mosca a perdere e non a guadagnare influenza sui suoi vicini, perché l’Ucraina dimostra che si può volere contemporaneamente il gas russo e la democrazia occidentale.

    L’altro tema problematico in Europa è Israele. Beh, da un punto di vista liberale e democratico, questo non è affatto un tema problematico. Lo stato d’Israele va difeso, coinvolto, aiutato come avamposto della democrazia e della libertà in medio oriente. La Nato deve avvicinarsi sempre di più a Israele. L’Unione europea deve avvicinarsi sempre di più a Israele. Partnership, adesione: gli strumenti si trovano. L’importante è l’alleanza di fondo, è considerare Israele per quello che è: parte integrante della naturale alleanza delle democrazie e parte più esposta alle minacce, dunque parte da aiutare.

    Paradosso

    Il paradosso è questo. Mentre le nazioni trainanti dell’Unione europea si riavvicinano per scelta strategica agli Stati Uniti, negli Stati Uniti potrebbero vincere una corrente di pensiero e un candidato alla Casa Bianca più inclini all’isolazionismo in politica estera e al protezionismo in politica economica. Tocca a noi europei evitare questo scenario, offrendo all’America una collaborazione nella risoluzione delle controversie commerciali, pena la perdita di potere europeo, perché l’America, come economia, è più in grado di fare da sola di noi, è molto più dinamica e capace di reinventarsi. Tocca a noi europei offrire collaborazione in Afghanistan e in Iraq e in Iran e in Birmania: rendendo efficace la grande alleanza atlantica si rende più difficile agli americani allontanarsi da essa. Se un’alleanza funziona, come un matrimonio, non si rompe e non si tradisce.

    L’attuale governo italiano purtroppo non ha compreso questa realtà e si condanna all’irrilevanza, tranne quando sceglie di collaborare con l’Europa e l’America come in Libano. Ma per fortuna altri governi, in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, lo hanno compreso e possono guidare nella direzione della grande alleanza atlantica l’Europa. Lo faranno, spero, guidati da un’ispirazione ideale e reale. Questa: "Democrazia e diritti umani sono inseparabili dalla cultura della pace e quindi essenziali per uno sviluppo sostenuto". Sintesi perfetta: tutti i punti cardinali di una politica estera liberale e democratica e libertaria in tre righe: democrazia, diritti umani, cultura della pace e sviluppo economico. Potrebbero essere parole di Bush, di Blair, di Sarkozy, di Merkel, sono di Aung San Suu Kyi, leader nonviolenta e per questo agli arresti dell’opposizione birmana.

    *vicedirettore de "Il Foglio"

    tratto da http://www.pri.it/Convegno%20Milano/BellasioMilano.htm

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    La storica vocazione liberale di Milano/Un intervento al recente convegno
    Una città in grado di "riprogettare" se stessa

    Intervento al convegno milanese "Verso la Costituente liberaldemocratica".

    di Franco De Angelis

    Gli interventi che si sono susseguiti nelle giornate del convegno milanese "Valori liberali" - interventi di qualità notevole, di cui siamo tutti grati ai relatori - ci hanno consentito di fare il punto e di osservare sotto una nuova luce molti dei concetti a cui noi, repubblicani di vecchia data, siamo legati.
    Personalmente, resto convinto del fatto che ciò che caratterizza il liberalismo, al di là delle teorie economiche e delle dottrine politiche, sia la capacità di affrontare i problemi in maniera pragmatica. La vera forza del liberalismo - che alcuni, a torto, vedono come un limite - consiste nel rifiuto di offrire soluzioni facili e predeterminate. Le soluzioni, come ci ha insegnato Ugo La Malfa, vanno ricercate con realismo, reinterpretando i principi fondamentali alla luce delle situazioni concrete.

    Proprio per questo, il liberalismo è forse l'unica dottrina politica in grado di autoriformarsi e di evolvere continuamente, adattandosi alle nuove esigenze della società. Fatti salvi alcuni principi fondamentali, le risposte che cerchiamo oggi non sono le stesse che cercavamo trent'anni fa. E siamo i primi a esserne consapevoli.
    Così come siamo consapevoli degli errori che hanno prodotto alcune interpretazioni troppo settarie dei concetti base del liberismo: pensiamo ai problemi sociali e politici che un'applicazione eccessivamente rigida della dottrina economica neoliberista ha creato in molti paesi sudamericani e asiatici.
    Ma questo, secondo me, non è il vero liberalismo. Parafrasando Lenin, potremmo definirlo una malattia infantile legata alla riscoperta del pensiero liberale.

    È chiaro che i nuovi scenari che caratterizzano il Terzo Millennio propongono sfide sconosciute agli uomini del Novecento. La globalizzazione, i rapporti che si stanno creando tra il Nord e il Sud del mondo, le emergenze umanitarie, i rischi legati al degrado dell'ecosistema, il ritorno sotto altre vesti di fenomeni che pensavamo ormai archiviati, come il fanatismo religioso o l'odio etnico: sono interrogativi a cui non possiamo sottrarci. E non possiamo cavarcela con risposte preconfezionate.
    In questo panorama difficile, cosa possono offrire i repubblicani? Certamente non formule magiche o ricette buone per ogni stagione: non sono cose che appartengono alla nostra cultura, e le lasciamo volentieri ad altri.

    Il nostro contributo, è la capacità di affrontare i problemi del Terzo Millennio senza pregiudizi, con l'onestà intellettuale di chi non deve rendere omaggio a nessun testo sacro e non ha l'ansia di osservare la realtà attraverso le lenti distorte di un'ideologia.
    I valori repubblicani sono attuali soprattutto perché sanno farsi portavoce delle capacità critiche dell'uomo moderno. Capacità che, peraltro, la cultura occidentale ha acquisito faticosamente nel corso di un cammino durato secoli, purtroppo segnato da tragedie e martiri.
    È un patrimonio al quale non possiamo rinunciare, e che deve continuare ad accompagnarci nella strada che ancora dobbiamo percorrere.

    Prima di concludere, vorrei dedicare un ringraziamento a Francesco Nucara per aver scelto proprio Milano come sede di questo convegno.

    È stata una decisione giusta, perché Milano merita, a mio giudizio, il titolo di capitale del liberalismo italiano: e non lo dico per spirito campanilistico, né con intento polemico.
    Milano ha iniziato ad avere un'anima liberale in epoca illuminista, e da allora non ha cessato di essere un punto di riferimento per chi immaginava uno sviluppo diverso del Paese. Pensiamo a Cattaneo, il cui pensiero mantiene una carica d'attualità sempre viva, e a tutti i grandi repubblicani che a Milano hanno trovato una seconda patria.

    Forse - e di nuovo, sia chiaro, non voglio polemizzare - il fatto di non essere mai stata una capitale politica, se non in tempi molto remoti, ha rappresentato una fortuna per Milano.

    In un certo senso, dall'epoca degli Asburgo in poi, Milano è stata una città di frontiera, un anello di congiunzione fra mondi e realtà diverse: la Francia da un lato, la Mitteleuropa dall'altro e, naturalmente, l'Italia.
    Posta al centro di un crocevia fondamentale per lo scambio di merci e di idee, Milano ha scoperto in fretta la sua vocazione. Ha imparato a rafforzare la propria identità, a dotarsi per quanto possibile di strumenti d'autogoverno efficaci (la sussidiarietà è un concetto molto antico, a Milano) e a perseguire un modello di sviluppo che non dipendesse esclusivamente dallo Stato.

    Parlavamo poco fa della capacità di evolvere. Credo che poche città abbiano saputo rinnovarsi come Milano, passando nel giro di qualche decennio dall'eccellenza nell'industria pesante all'eccellenza nella moda, per non dire del ruolo d'avanguardia che la città sta assumendo nel Terzo Settore. Con un corollario importante: l'intero processo di riconversione si è svolto senza innescare dinamiche sociali distruttive.
    Beninteso, non vorrei essere accusato di dipingere un quadro troppo roseo. Ovviamente, anche Milano ha vissuto grandi conflitti. Ovviamente, come amministratori ce ne accorgiamo ogni giorno, la città si trova a fronteggiare problemi difficili.

    Ma, contrariamente a quanto avviene altrove, se non altro cerchiamo di risolverli sperimentando progetti e metodologie d'approccio innovative. E anche questo mi pare un modo molto liberale di accostarsi alle problematiche.
    Secondo alcuni, Milano non tiene abbastanza al proprio passato e alle proprie tradizioni. Per certi versi può essere vero. Ma è un difetto, a mio modo di vedere, largamente compensato dalla capacità di reinventarsi: una qualità che mi sembra molto in linea con l'immagine di una città che porta il liberalismo nel suo DNA.

    Infine, mi piace ricordare che da sempre Milano è stata il laboratorio delle scelte politiche future. Anche per questo trovo significativo che questo convegno, sostenuto da un pubblico numeroso e interessato ai temi che abbiamo discusso, abbia avuto luogo proprio qui, e lo considero un augurio.
    Non posso quindi che dare atto a Francesco Nucara di aver compiuto una scelta di grande lungimiranza politica: riaprire il dialogo con Milano, dove le radici repubblicane sono più profonde, è una condizione fondamentale per il successo di tutte le nostre prossime iniziative.

    tratto da http://www.pri.it/Convegno%20Milano/DeAngelisMilano.htm

 

 
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