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    Predefinito Il simbolo del «trishûla» e «Agni Vaiśvānara»

    Prendendo come punto di partenza il simbolo del trishûla (tridente), compreso comunemente nel buddhismo quale simbolo del Triratna o «triplice gioiello» (il ternario Buddha, Dharma, Sangha, cfr. R.Guénon “Il «Triratna»” in La grande Triade), ma il cui uso è più antico e non limitato a quest’ultima forma tradizionale, cerchiamo qui di mettere in evidenza alcuni aspetti della figura di Agni primordiale o Agni Vaiśvānara.
    In una rappresentazione del Buddha come “Albero della Vita” si vede il trishûla, o «nandi- pada», costituirne l’apice o la “testa”, una colonna nel mezzo che forma il tronco e in basso i paduka, i piedi, «fermamente piantati»(suprati… La triplice divisione di questa figura si può comparare a quella dell’aspetto cosmico (lokavat) di Prajāpati come viene descritta in Maitri Upanishad VI.6 ove i «Tre Mondi» che costituiscono il suo «corpo», secondo il Tribhuvana e nell’insieme degli stati della manifestazione universale, sono Swar, Bhuvas, e Bhû, vale a dire, i Cieli, la regione intermedia sottile che si designa ordinariamente come l’atmosfera, e la Terra. Allo stesso modo si può vedere nell’architettura islamica, al vertice di un minareto o di una qubbah, un insieme di tre globi sovrapposti e sormontati da una mezzaluna; «questi tre globi rappresentano anch’essi tre mondi, che sono âlam el-mulk, âlam el-malakût e âlam el-jabbarût, e la mezzaluna che li domina, simbolo della Maestà divina (El-Jalâl), corrisponde al quarto mondo, âlam el-ezzah (il quale è “extra cosmico”, quindi al di là della “porta”in questione); l’asta verticale che sostiene il tutto è evidentemente identica all’antenna di uno stûpa, come pure ai vari altri simboli assiali similari di cui abbiamo parlato in altre occasioni.» (R.Guénon, nota2 del saggio “Janua Colei” in Simboli della Scienza sacra). Nello studio di A.K.Coomaraswamy, Swayamâtrinnâ: Janua Coeli, vengono presi in considerazione i tre mattoni o pietre di forma anulare che costituiscono una delle parti essenziali della sovrastruttura dell’altare vedico e che sovrapposti corrispondono ai “tre mondi” (Terra, Atmosfera e Cielo), e che con altri tre mattoni che rappresentano le “Luci universali” (Agni, Vâyu e Aditya) formano l’Asse verticale dell’Universo. Un passo della Brihadāranyaka Upanishad (I lettura. II brāhmaņa, 3):«Egli (Virāt) si differenziò in tre mondi», viene così commentato da Ananda Giri:«dal qual testo vēdico discende che è Virāt ad esistere come fuoco, aria, e il Sole. Il Fuoco in quanto costituente questo aspetto di Virāt, è il fondamento dell’Universo». Questo carattere fondamentale di Agni Vaiśvānara viene confermato da Katha Upanishad (vallī I, 15): «La Morte gli parlò di quel Fuoco che è la sorgente del Mondo, [gli disse] del tipo e del numero di mattoni, e anche del modo di disporli per il fuoco.[…]». Dei tre mattoni sovrapposti citati precedentemente il più basso corrisponde secondo l’architettura dell’altare vedico al focolare, luogo della manifestazione di Agni nel mondo terrestre, e il più alto all’”occhio” e apertura centrale della cupola; «essi [i tre mattoni sovrapposti] formano così, come dice Coomaraswamy, sia un «camino» sia un «cammino» […] «per il quale Agni si incammina e noi stessi dobbiamo incamminarci verso il Cielo»(R. Guénon, “Janua Colei” in Simboli della Scienza sacra). Il rapporto tra Agni Vaiśvānara e il cammino verso i Cieli è specificato in questo passo della Katha Upanishad (vallī I, 10):«Quel Fuoco che è il supporto per l’ottenimento del Cielo (anantalokāptim) e che è il fondamento del mondo (pratishthām), sappi che ha la sua sede nell’intelletto (degli esseri illuminati)». Il riferimento al Fuoco che ha la propria sede nell’intelletto permette ulteriori sviluppi: secondo Katha Upanishad (vallī I, 17):«Qualcuno che, favorito dalla presenza dei tre, eriga tre volte il fuoco [chiamato] Nachikētas, e si sottoponga a tre generi di azione, va di là dalla morte. Ottenendo la conoscenza di Quell’onniscente che è nato da Brahma e realizzandoLo, ottiene questa pace integrale», dove, seguendo il relativo commento di Shrī Shankarāchārya, appare che questi tre fuochi o aspetti di Agni Vaiśvānara siano da mettere anche in relazione ai tre (tribhih) – alla madre cioè, al padre e al Maestro – interpretazione questa confermata da un altro passo vēdico:«Come direbbe qualcuno che abbia una madre, un padre, e un Maestro [spirituale] ecc.» (Brihadāranyaka Upanishad IV lettura. I brāhmaņa, 2). «Quel Fuoco Nachikētas» in Katha Upanishad (vallī III, 2) viene detto essere «ponte per i sacrificanti» e, secondo l’identità fondamentale tra il simbolismo del ponte e quello dell’“Albero della Vita”, in Maitri Upanishad VII.11 si legge:«[…] Questo splendore intimo al soffio addominale risiede nel calore che emette la luce; esso sale nel soffio addominale come il fumo nell’aria calma gira attorno all’albero, salendo di ramo in ramo[…]». È attraverso il Regno del Fuoco (Têjas), il cui reggitore è Agni chiamato Vaishwânara, che l’essere nel suo «viaggio divino» è condotto ai diversi dominî dei reggitori (dêvatâ, «deità») o distributori del giorno, della mezza lunazione chiara (periodo crescente o prima metà del mese lunare), dei sei mesi d’ascensione del sole verso il Nord e finalmente dell’anno. Colui che esegue e conosce questo triplice Fuoco chiamato Nachikētas «si libera dalle trappole della Morte anche prima [di morire] e andato di là dalle angustie si rallegra nel [regno del] Cielo.»(Katha Upanishad, vallī I, 18 e Matteo 19,16-30).

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    La nota seguente, tratta dallo studio “L’albero rovesciato” di A.K.Coomaraswamy, permettere di approfondire ulteriormente il tema qui preso in esame. Vale la pena di precisare che solo nel crepuscolo di una tradizione (nei suoi “residui”, quando cioè l’aspetto “magico” assume una certa preponderanza) o in una società del tutto priva di tradizione (come la nostra), solo allora il simbolismo sessuale assume quel contenuto meramente “vitalistico” e superstizioso che la maggior parte degli orientalisti e antropologi moderni ha fatto suo e divulgato circa l’arte sacra orientale. In realtà il simbolismo sessuale, come qualsiasi altro simbolismo, traduce nel proprio ambito principi metafisici e spirituali ad esso chiaramente sovraordinati.

    «[…] D’altro canto, il porre il Palo, o la Folgore, in posizione verticale, implica una rigenerazione, e al contempo spiega bene perché, in un linga-yoni, il linga sia sostenuto dallo yoni e stia in posizione eretta, a testa insù, in quella che a rigore sarebbe una posizione innaturale. In primo luogo osserviamo che il luogo di nascita di Agni è sempre uno yoni; vīryeņa in RV, II, 11,2 è l’equivalente di vajreņa in I, 103,7; e l’equivalenza di vajra e linga come Assi stabilizzanti traspare appieno nella leggenda di Dāruvana (si vedano F.D.K. Bosch, Het Linga-heiligdom van Dinaja, in «Madjalah untuk ilmu buhasa, ilmu bumi dan kebudajaan Indonesia», LXIV, 1924, e gli ulteriori rimandi in Coomaraswamy, Yakşas II, 1931, p. 43, nota 2). Questi rapporti potrebbero esser spiegati molto più dettagliatamente, sia sulla base della tradizione indiana che sulla base di altre tradizioni (per esempio quelle a relativa al Graal e quella greca). In secondo luogo, dobbiamo tenere a mente la distinzione tra Fuoco Gārhapatya e Fuoco Āhavanīya quali rispettivamente luogo di nascita (yoni) naturale e luogo di nascita sovrannaturale in cui il Sacrificatore versa se stesso come seme (ātmānam sincati), e dai quali di conseguenza egli rinasce (JB, I, 17 e 18; si veda H. Oertel in JAOS, XIX, 1898, p. 116, un testo che non si dovrebbe omettere di consultare a questo riguardo; e cfr. AB, I, 22). In terzo luogo bisogna tenere a mente la frequente identificazione nei nostri testi del Fuoco Āhavanīya con il Cielo. Fatte queste premesse, il porre in posizione verticale il Palo, la Folgore, o il Linga, significa estrarre il linga dallo yoni inferiore e naturale e rovesciarlo in modo tale che esso punti in alto verso la Porta del Sole, la quale è appunto il luogo di nascita attraverso cui il Sacrificatore, per mezzo dell’iniziazione e del sacrificio, oppure infine al momento della morte, rinasce per l’ultima volta, ottenendo un «corpo di luce» e una «pelle solare», in conformità con l’universale dottrina secondo cui «ogni resurrezione ha luogo dalle ceneri» (A.K. Coomaraswamy, “L’albero rovesciato” in Il grande brivido, pag.353 nota 65)

 

 

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