Il signoraggio storico può essere definito come la differenza tra valore facciale e valore intrinseco delle monete d'oro e d'argento; in pratica la differenza tra il valore nominale della moneta e il suo costo di produzione. I sovrani coniavano monete alle quali assegnavano un valore nominale, garantendo col loro nome e con la loro effige impressa sulla moneta l'ufficialità come mezzo di pagamento e il valore indicato. Il costo di produzione è alto se le monete sono in lega preziosa, bassissimo quando è invece costituito dalla carta, dall'inchiostro e dalle operazioni di stampa per la carta moneta. Questa differenza tra valore intrinseco e valore nominale costituisce un guadagno per chi batte o stampa moneta, sia esso lo stato o un privato.

Oggi, nei paesi soggetti al Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC), Italia compresa, il signoraggio è "il reddito ottenuto dalle banche centrali nazionali nell'esercizio delle funzioni di politica monetaria del SEBC" (art. 32 dello statuto del SEBC). Le banche centrali ottengono un reddito in quanto sono soggetti distinti dagli stati, e prestano la moneta che emettono agli stati stessi. Tale prestito non è gratuito: gli stati pagano alle banche centrali un interesse, ovviamente coi soldi dei contribuenti.

L'Italia, assoggettandosi alle previsioni del Trattato CE, per ciò stesso ha aderito al Sistema Europeo delle Banche Centrali, tra i cui compiti fondamentali l'art. 105, comma 2, del Trattato espressamente annovera quello di definire ed attuare la politica monetaria della Comunità. Del SEBC, il cui statuto costituisce un protocollo allegato al Trattato (art. 107, comma 4, del Trattato stesso), insieme alle banche centrali nazionali di tutti gli Stati membri fa parte la Banca Centrale Europea (art. cit., comma 1), alla quale l'art. 105, comma 1, del Trattato assegna il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote all'interno della Comunità; emissione cui poi concretamente provvedono la stessa Banca Centrale Europea e le singole banche centrali nazionali a ciò autorizzate (art. 4 del d. lgs. 10 marzo 1998, n. 43, ed art. 16 dello statuto del SEBC). Il reddito monetario che da tale emissione consegue affluisce alla Banca Centrale Europea, che lo ridistribuisce poi alle singole banche centrali nazionali secondo i criteri definiti dall'art. 32 dello Statuto del SEBC. L'attribuzione di questo reddito monetario alla Banca d'Italia, nei limiti predetti, è in linea di continuità con la disciplina nazionale previgente.

Il problema etico sorge dal fatto che teoricamente dovrebbe essere lo stato ad avere la potestà esclusiva di battere moneta, quale attribuzione connaturata al potere sovrano statale, rispondente al bisogno collettivo essenziale di poter disporre di uno mezzo di pagamento garantito nel suo valore e nel suo corso.

Il trasferimento della potestà di battere moneta ad un ente sostanzialmente privato ha quindi il sapore di una usurpazione perpetrata ai danni della collettività. Tale usurpazione viene attuata per la prima volta nel 1694, anno in cui viene creata la prima banca centrale della storia, la Banca d'Inghilterra. L'evidente lucro parassitario che tale meccanismo comporta per i soggetti (privati) che controllano le banche centrali, ha fatto sì che il meccanismo stesso venisse poi replicato sia negli USA che in Europa.

Il trasferimento della potestà monetaria ad un privato, di fatto comporta l'abdicazione in favore dello stesso di buona parte della gestione dell'attività economica e delle risorse finanziarie della comunità. La banca centrale che stampa le banconote non opera quindi come una mera tipografia al servizio dello stato, ma in veste di proprietario titolare della cartamoneta stampata, decidendone per di più la quantità da immettere in circolazione. Lo stato non solo deve restituire alla banca centrale il capitale ricevuto in prestito, ma pagare anche gli interessi su tale prestito ad un tasso che la banca centrale stessa stabilisce.

Che tale meccanismo sia quantomai penalizzante per le tasche dei contribuenti è evidente, e ciò è stato sottolineato da economisti, politici e banchieri. Già nel 1773 Amschel Rothschild dichiara: "mi si consenta di emettere e controllare la moneta di una nazione e non mi preoccuperò affatto di chi emana le leggi". Carlo Marx nel Capitale scrive: "la Banca d'Inghilterra venne autorizzata dal Parlamento a battere moneta [...] con questa moneta la banca faceva prestiti allo Stato e pagava per suo conto gli interessi del debito pubblico. Non bastava però che la banca desse con una mano per ricevere in restituzione di più con l'altra ma, proprio mentre riceveva, rimaneva creditrice perpetua della nazione fino all'ultimo centesimo che aveva dato". Un premio nobel per l'economia, insospettabile quindi di velleitarismi antisistemici, Maurice Allais, nel suo scritto "La crise mondiale aujourd'hui" afferma: "Par essence, la création monetaire ex nihilo que pratiquent les banques est semblable, je n'hésite pas à le dire pour que les gens comprennent bien ce qui est en jeu ici, à la fabrication de monnaie par des faux-monnayeurs, si justement reprimée par la loi".

La necessità etica di por fine a questa prassi è indubbia: occorrerebbe una iniziativa popolare volta a far tornare il potere di battere moneta agli stati o all'Unione Europea quale soggetto pubblico pluristatuale.

Tuttavia non posso esimermi da alcune considerazioni.

Sotto il profilo socio-politico, le famiglie che controllano le multinazionali controllano anche gli stati, oltre che le banche centrali: parliamo sempre delle stesse tasche. Il popolo, illuso da una democrazia solo formale, è disabituato a una democrazia sostanziale. I mass media, anch'essi per lo più nelle mani delle famiglie "padrone", controllano le menti del popolo dominato, deviandone l'attenzione. Le vite dei dominati sono rigidamente pianificate dai dominanti, al di là delle apparenze.

Sotto il profilo economico, è indispensabile un'autorità indipendente e apolitica che controlli l'emissione di carta moneta: una emissione eccessiva, superiore alla ricchezza reale prodotta nel periodo dal sistema paese, provoca inflazione.

Sotto il profilo della libertà di mercato, l'associare il signoraggio e altri simili meccanismi usurpativi attuati da famiglie di potentati alla speculazione finanziaria e alle Borse non ha alcun senso. Oggi tali famiglie dominanti traggono i loro profitti molto più dall'abuso di poteri pubblici che dai mercati. La globalizzazione dei mercati ha tuttavia tolto molto potere ai dominanti di un decennio fa. Dovremmo guardare con qualche preoccupazione allo spostarsi del potere economico verso Cina, India, Brasile, Messico, Emirati Arabi e quant'altri, e all'asfitticità delle nostre economie. Asfitticità procurata proprio dall'ingessamento dei mercati attuato dalle nostrane famiglie dei poteri forti utilizzando la regola più stato e meno mercato, visto che costoro lo stato sanno tenerlo nelle loro mani molto meglio di quanto sappiano avere successo combattendo sui liberi mercati. A tali famiglie di potentati nostrani non fanno certo paura i poteri pubblici, saldamente nelle loro mani, né la piazza, manovrabile, né i sindacati, né la rivoluzione. A tali poteri fa paura solo la più sfrenata libera concorrenza, quella che hanno ampiamente dimostrato di non saper affrontare. E poi tali famiglie non sono così saldamente unite e coalizzate tra di loro, nemmeno all'interno di ciascuna famiglia: si formano delle cosche che si combattono tra loro, non sul mercato, ma utilizzando per lo più questo o quell'apparato pubblico.

La globalizzazione dei mercati finanziari, delle Borse, permette invece proprio nella speculazione finanziaria un minimo di vera libera concorrenza: ad esempio, è praticamente impossibile per chiunque influire sull'andamento del future sullo Standard & Poor 500, gli ordini affluiscono da tutto il mondo, e la visione di un controllo globale sul pianeta mi sembra quantomeno paranoica, vista l'impossibilità di gestire e coagulare gli innumerevoli interessi contrastanti. E' proprio l'odio di molte delle famiglie dominanti europee verso la possibilità di libera concorrenza nelle Borse mondiali che le spinge a ordinare ai loro maggiordomi politici di tartassare i guadagni di borsa.

E poi, infine, se al potere, al posto delle becere famiglie degli odierni dominanti, avessi un Re vero, un Cromwell o un Ottaviano Augusto, che assicurasse ordine pubblico, giustizia, tutela dagli stranieri, il massimo possibile di qualità della vita ai suoi sudditi, poco mi importerebbe di quanta parte della torta si ritagliasse per se stesso, e con quali meccanismi. Chi va avanti e combatte per primo merita il meglio.

Il problema non è quanto il dominante mangia, ma la qualità del dominante.

Avv. Filippo Matteucci


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