Arturo Parisi è una persona seria, persino troppo se si considera una certa rocciosità sarda del suo carattere. Questo spesso lo ha indotto a dire verità sgradevoli ad amici e alleati, come quando ha recentemente rimproverato alla sinistra radicale l’incomprensione per il ruolo che esercitano le forze armate italiane.
Forse non ha mai visto i film dei fratelli Marx, il che potrebbe spiegare perché, per criticare il metodo molto spiccio utilizzato per insediare l’organigramma del Partito democratico abbia, involontariamente, fatto la parodia di una delle più famose battute dell’esilarante Groucho.
Il comico americano diceva che non avrebbe mai aderito a un club che accettasse la sua iscrizione.
Ora Parisi mette in forse la sua adesione al Partito per la cui nascita si batte da almeno tre lustri.

Le sue osservazioni, bisogna riconoscerlo, non sono infondate.
Un tratto plebiscitario e insieme pattizio che era forse inevitabile per la scelta del segretario è stato proiettato anche sulla nomina degli altri dirigenti, decisa in pochi minuti con quelli che Parisi definisce “tre colpi di sciabola”.
Probabilmente, però, la stessa “democrazia della partecipazione” cui si appella Parisi, nell’illusione di scavalcare i gruppi dirigenti esistenti, sempre liquidati in modo un po’ supponente come oligarchie, ha in sé il germe dell’esito plebiscitario.
D’altra parte la replica di Giuseppe Fioroni a Parisi è altrettanto contraddittoria.
Parla di “pluralismo rispettato” e di “equilibrio delle forze”, dando l’impressione di parlare non di un partito nuovo e unitario, ma della vecchia intesa tra Ds e Margherita. Quando poi dice che il punto decisivo sono i segretari regionali e che “noi ne abbiamo sette e loro nove” ristabilisce una logica del noi e loro che se mantenuta promette al Partito democratico un futuro di patteggiamenti di potere sui quali è assai arduo costruire una qualsiasi sintesi politica.
Naturalmente passare dalla proclamazione della discontinuità alla sua pratica concreta non è facile, e si può comprendere che Walter Veltroni abbia scelto la via dell’acclamazione per evitare di invischiare la festa di fondazione del partito in una lacerante trattativa sotto i riflettori dell’opinione pubblica.
Quella adottata dal neosegretario del Pd in questa occasione non sarà una soluzione perfetta (non sembra essere definitiva neanche nelle intenzioni di Veltroni) tuttavia non merita le catilinarie di Parisi.

Ferrara su www.ilfoglio.it del 30 ott 07

saluti