Parlando con Antiokos ho palesato il mio interesse a porre un quesito attorno alla percezione che vi è dello gnosticismo nel mondo "gentile" (utilizzo questo termine, spero propiamente, per distinguere il politeista tradizionale, dal neopaganesimo moderno... se erro prego correggete ).
Grossolanamente possiamo distinguere lo gnosticismo in due matrici, l'una iranica (che trova in Mani la sua espressione maggiormente conosciuta), l'altra nella scuola alessandrina ( Basilide e Valentino ).
La prima si fonda su di un dualismo ontologico (due principi fra loro irriconducibili, e irriducibili. Con forti elementi zoroastriani), la seconda su di una "frattura" interna al mondo pneumatico (con forti elementi platonici ed ermetici)
Sicuramente non sfugge come lo gnosticismo sia considerato dalla Chiesa Pietrina come un'eresia, o come una resistenza sicretistica di elementi pagani; e neppure come gli ebrei ortodossi abbiano accusato i cabalisti di essere stati corrotti dallo gnosticismo.
Detto ciò rispetto alle due scuole, o rispetto al "mondo gnostico" originale (e non al neognosticismo), come si pone il gentile ?
Vede lo gnosticismo come:
1. Una degenerescenza della filosofia gentile.
2. Una ibridazione fra cristianesimo e pensiero filosofico gentile.
3. Un'interessante arca sapienziale della filosofia gentile.
4. Una delle numerose forme assunte dal monoteismo abramitico e mosaico.
Spero che mi sia permesso inoltrare le vostre considerazioni sul mio forum
Cordialmente
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