Una vita da mediano. Bentornate tute blu
di Loris Campetti
su Il Manifesto del 31/10/2007
Provate a pensare a un operaio metalmeccanico: mille euro al mese di stipendio, perdita continua di potere d'acquisto, aumento della pressione fiscale, mentre si allontana nel tempo il giorno in cui potrà definitivamente appendere al chiodo la tuta blu. Il suo padrone gli dice che deve lavorare di più, produrre di più, essere più flessibile, lasciarsi spremere come un limone, magari in cambio della graziosa concessione di qualche euro d'aumento in busta paga. Soldi preferibilmente legati agli utili d'azienda, cosicché, se non si accumulano profitti te lo do io l'aumento. Di conseguenza i padroni spingono per svuotare di peso e significato il contratto nazionale, rinviando gli aumenti ai contratti aziendali di secondo livello, quelli a cui accede un lavoratore su quattro. Attenzione, stiamo parlando di un operaio che ha il «privilegio» di essere titolare di un contratto a tempo indeterminato. Se invece ha la sfiga di essere precario, a termine, in affitto, in leasing, i mille euro se li sogna, così come il futuro.
Persino il Vaticano si preoccupa: niente sicurezza sociale, niente casa in proprio, niente matrimonio, niente figli da battezzare. E la Banca d'Italia lancia un grido d'allarme: il nostro amico in tuta blu guadagna troppo poco e questo fatto non è buono, perché così si riduce la sua capacità di spesa e finisce per provocare un danno all'economia, cioè all'intera collettività. Cornuto, mazziato e magari anche scomunicato. E «bamboccione».
Cosa può pensare il nostro metalmeccanico del mondo, della politica e della sinistra? O più semplicemente, di una finanziaria che lascia immutata la rendita finanziaria, tassata al 12,5%, mentre il suo salario viene spolpato di una quota che oscilla tra il 23 e il 27%, più le addizionali comunali e regionali?
Gli imprenditori che hanno tanti difetti ma non sono fessi sanno, forse persino più di tanti politici «amici», che questa situazione da loro stessi creata per interposta politica non è più sostenibile. Loro fanno affari, il mercato tira, hanno bisogno di straordinari e persino di nuovi precari per rispondere a una domanda vivace, e dunque offrono le mance, anticipano trenta danari sul rinnovo contrattuale. Mal sopporterebbero un crescendo di conflittualità e sono molti quelli interessati a una chiusura rapida delle trattative con i sindacati. Ma i padroni sono sempre padroni e pretendono di fare il prezzo e imporre le condizioni. Dalla loro hanno la persistente legge 30 ma non gli basta, vogliono disporre a piacimento degli straordinari, liberandosi delle rappresentanze sindacali di fabbrica e del contratto nazionale.
Troppa grazia. Dovranno scendere a patti e sbloccare la trattativa per il rinnovo del contratto, se vorranno evitare che le otto ore di sciopero di ieri si moltiplichino - sono già in agenda nuovi scioperi - e lo scontro si faccia più duro, con le ovvie conseguenze sulla produzione e persino sulle relazioni, dentro un quadro di fortissima instabilità politica, oltre che sociale. Ancora un volta, come in passato, la lotta dei metalmeccanici parla a tutti.
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