Appellarsi al vero sovrano, di Gianfrancoo Miglio
Ho l'impressione che gli uomini dei partiti non abbiano ancora pensato a ciò che accadrà dopo l'inevitabile insuccesso della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali (proposte irrilevanti, o disaccordo totale). I meno intelligenti si immaginano che tutto continuerà come prima magari all'infinito … . Si sbagliano. Perché i sistemi politici non stanno mai fermi: si trasformano continuamente. E se cominciano a degenerare, non esiste un livello sul quale la degenerazione possa assestarsi, diventando “stato normale”: il processo continua, fino a sfociare, presto o tardi, in una crisi risolutiva, e in una più o meno radicale inversione di tendenza. Perciò -una volta provata l'incapacità, da parte della classe politica, di cambiare le regole del proprio gioco, usando il meccanismo” legale” previsto dalla Costituzione (art. 138), bisognerà attendersi che il sistema si autoprotegga con mezzi extraxcostituzionali.
Questo evento potrebbe assumere forme diverse ma ricondiucibili a due modelli essenziali. Li descrivo con freddezza e senza peli sulla lingua. Il primo modello è quello tradizionale (e abbastanza noto): un “colpo di Stato”più o meno mascherato, arresta il funzionamento degli organi costituzionali e concreta il potere nelle mani di un gruppo di persone spregiudicate e decise ad approfittare della debolezza del regime. Quando un sistema politico degenera come quello italiano viene il momento che gruppi organizzati, del genere ora descritto, si formano spontaneamente. La P2 è stata probabilmente soltanto la prima (e la meno seria) di questa “bande” possibili. I pericoli impliciti di tale modello di “cambiamento” li conoscono anche i bambini: consistono nel fatto che si produce così uno spostamento violento del pendolo: da un estremo patologico si passa all'altro.
A mio parere il rischio di una tale soluzione è sempre più alto, qui da noi, perché una percentuale elevata dell'opinione pubblica segretamente si augura l'avvento del “uomo forte”.
L'altro modello consisterebbe nello sciogliere il nodo della “Costituzione bloccata“. L'art. 138 riserva virtualmente le modifiche della Costituzione al solo parlamento: ma questo è impotente a procedere. Bisogna cambiare quell'articolo, restituendo al popolo il diritto di sanzionare- con referendum propositivo- progetti di modifica costituzionale, la cui iniziativa spetti anche a gruppi di cittadini. Si dirà che, in virtù dell'art. 71 bastano 50 mila elettori per presentare alla Camere un progetto di legge per la modifica della Costituzione. Ma l'esperienza ha insegnato che i progetti di iniziativa popolare il Parlamento non ha mai presi nemmeno in considerazione (e il suo è oggi un comportamento “legale”, anche se iniquo). Per cambiare l'articolo 138, bisogna che l'eventuale progetto di iniziativa popolare sia sottoposto direttamente a referendum, “saltando” l'ostacolo costituito oggi dall'artico stesso. Formalmente questa sarebbe un violazione della Costituzione ( meglio: dell'ingiusto privilegio riservato al parlamento). Ma, dal punto di vista sostanziale, si tratterebbe di un legittimo appello al vero sovrano che, nella costituzione vigente, non è il parlamento ma il popolo (art.1).
Nel mio libro sulla riforma costituzionale ( pubblicato quando la Commissione Bozzi non aveva ancora cominciato a funzionare, e si poteva ancora sperare che concludesse qualcosa di serio), ho avanzato l'ipotesi che a completare l'atto descritto- e necessario per trasferire il potere costituente da Parlamento al Popolo- fosse il presidente della Repubblica. Oggi qui rafforzo e miglioro tale soluzione: il presidente dovrebbe agire con l'avallo del presidente della Corte costituzionale e del presidente della Corte di Cassazione, cioè con il consenso della magistratura politica e della magistratura ordinaria, le quali si farebbero così garanti della legittimità (legalità sostanziale) dell'atto. In parole povera: attesterebbero che non si tratta di un “colpo di Stato”, ma di una misura eccezionale per un caso eccezionale. Il successivo referendum popolare ristabilirebbe, comunque, anche la legalità formale. I magistrati italiani si sono già più volte fatti carico (con buona ragione a mio parere personale) delle carenze e dell'assenza dei poteri costituiti, suscitando perplessità ed ostilità. In questo caso assumerebbero il compito (e avrebbero il merito) di tirar fuori il sistema politico (e il paese) dal diabolico vicolo cieco in cui si trova, consentendo poi, a se stessi, di rientrare in un corretto quadro istituzionale. Perché è chiaro, che – una volta “liberalizzato” l'art. 138- non sarebbe difficile costringere il Parlamento (e, prima di tutto, i partiti) a esaminare e accettare riforme sostanziali della Costituzione.
Alla luce delle considerazioni fatte fin qui, diventa facile rispondere alle obbiezioni sollevate, su questo stesso giornale, contro il ruolo che- a mio parere- dovrebbero assumere le categorie produttive nel processo di riforma.
Il Sole 24 ore
n. 288 1984 pubblicato con il titolo “Se il Quirinale sblocca la Costituzione”.