Concorrenza fiscale
In Svizzera circa un terzo delle imposte affluisce a Berna, un terzo va al cantone e un altro terzo al comune

di Carlo Lottieri


C’è da escludere che gli italiani condividano il giudizio estetico sulle tasse espresso dall’attuale ministro dell’Economia, Tomaso Padoa Schioppa, secondo cui sarebbero “bellissime”. E’ però probabilmente vero quanto afferma un recente sondaggio commissionato dall’Anci (l’associazione dei comuni italiani), da cui emerge che gli italiani mostrano una netta preferenza per i tributi locali: specie se finalizzati a servizi ben precisi. In effetti, i numerosi interpellati da questa ricerca demoscopica si sono detti disposti a pagare se necessario anche di più al fine di avere una migliore sanità e una sicurezza più affidabile. Ma dall’indagine emerge soprattutto che il comune è giudicato l’ente pubblico prediletto. Più di metà degli italiani (il 54%) pagherebbe più volentieri le tasse al comune invece che allo Stato (21%), alle regioni (19%) o alle province (8%). Oltre la metà degli intervistati sostiene per giunta di sentirsi meglio tutelato dal proprio municipio, mentre in fondo alla classifica si trovano le province e le regioni. Non è neppure sorprendente che siano moltissimi quanti vorrebbero abolire l’Ici e il canone Rai, ritenuti balzelli ingiusti e da cancellarsi immediatamente.

E’ però soprattutto sul rapporto tra imposte e comune che intendiamo qui richiamare l’attenzione. Perché è certo significativo il fatto che sempre più la gente avverta l’utilità di un avvicinamento tra i contribuenti e quanti sono chiamati a offrire al pubblico i servizi fondamentali. È insomma crescente la consapevolezza che i vantaggi di una tassazione localizzata sarebbero molti. In primo luogo, si avrebbe la possibilità di un maggiore controllo e anche una superiore responsabilizzazione. Nel sistema attuale (largamente fondato su una redistribuzione che porta tutte le risorse a Roma e da lì le fa affluire ai vari enti locali), ogni centro di spesa è spinto ad aumentare indefinitamente le uscite. Se invece ogni Sindaco dovesse richiedere direttamente agli elettori le risorse di cui ha bisogno, probabilmente molte voci degli attuali bilanci sarebbero cancellate. Un sistema fiscale quale l’attuale, per giunta, finisce fatalmente per operare una redistribuzione delle risorse: con il risultato che c’è chi paga somme esorbitanti (ciò che è ingiusto) e c’è chi finisce per ricevere finanziamenti spropositati (ciò che è, nel lungo termine, del tutto distruttivo). Una fiscalità basata sugli enti locali e addirittura sui comuni porrebbe un ostacolo insormontabile alla redistribuzione delle risorse e alle conseguenze disastrose che ne derivano.

Ma come potrebbe essere organizzato un sistema fiscale centrato sugli enti locali? Le soluzioni possono essere diverse. In Svizzera, ad esempio, vi è un sistema grazie al quale circa un terzo delle entrate affluisce a Berna, un terzo va al cantone e un altro terzo al comune. È anche interessante notare che ogni cantone, pure obbligato a finanziare la federazione, dispone di un sistema fiscale autonomo e in larga misura differente. Ma la competizione fiscale – che ha già portato uno dei ventisei cantoni, Obwalden, ad adottare la flat tax – si esprime pure a livello comunale, poiché se un cittadino del Canton Ticino deve versare, poniamo, mille franchi svizzeri al cantone, può dover versarne 800 al proprio comune se è residente a Lugano oppure 900 se sta a Locarno. In Svizzera, in effetti, ogni comune adotta un differente “moltiplicatore” e questo produce una consistete differenziazione della pressione fiscale da un comune all’altro. Questo punto è cruciale, perché spesso non ci si rende conto che il principale vantaggio di un sistema fiscale federale – che dia la massima autonomia ai Comuni, come chiedono in maggioranza gli italiani – sta nel suo stimolare una fortissima concorrenza istituzionale. Grazie a tale competizione, i capitali e le imprese (ma entro certi limiti perfino i semplici cittadini) si trasferiscono dove la pressione fiscale è inferiore e i servizi sono migliori. Il che spinge l’intero sistema a funzionare al meglio.

Non si pensi, però, che quello svizzero sia il sistema più federale, e che non sia possibile andare oltre. Alcuni anni fa un economista americano, Dwight R. Lee, ha infatti proposto una soluzione ancor più orientata verso l’autonomia fiscale e verso la concorrenza. La sua tesi è che la federazione non debba avere più alcuna capacità impositiva e che solo gli enti locali, per giunta obbligati a raggiungere il pareggio di bilancio, debbano avere la facoltà di fissare la modalità e l’entità del prelievo.
Immaginiamo inoltre che questa capacità impositiva non sia attribuita alle regioni o alle province, ma invece ai comuni. Che succederebbe nel sistema di Dwight R. Lee? Legati da un patto federale, in virtù del quale ogni città o villaggio debba versare una quota percentuale (ad esempio un terzo) delle risorse ottenute grazie alla tassazione, gli enti locali sarebbero liberi di ricercare la forma di tassazione più semplice e meno avversata da imprese e cittadini: e tutto questo proprio al fine di attirare i contribuenti.
Ciò che ne deriverebbe è una competizione fiscale fortissima. Essa non riguarderebbe – come oggi – solo quella quota marginale che è rappresentata dalle imposte locali. Passando da Bari a Taranto, oppure da Siena a Grosseto, oppure da Verona a Vicenza, muterebbe completamente il quadro fiscale.

Per giunta, se ad Ancona si chiedesse il 50% di quanto uno guadagna (e se quindi un terzo di ciò, 15% del reddito, dovesse andare a Roma), magari a Macerata verrebbe chiesto solo il 20% (e quindi finirebbe allo Stato centrale solo il 6%). Per avere i medesimi servizi federali, gli anconetani – afflitti da un alto carico fiscale – pagherebbero insomma assai più dei maceratesi. E’ facile immaginare che in tale quadro la spinta verso una riduzione della tassazione diverrebbe irresistibile. In questa maniera gli italiani sarebbero presto liberati dall’attuale oppressione tributaria, dato che in tempi stretti qualche comune inizierebbe a fissare imposte assai contenute, al fine di attirare capitali e aziende. Questo spingerebbe altri enti locali a imitare i primi, e ciò avrebbe rapidamente conseguenze assai rilevanti. In fondo la Svizzera è ciò che è – un Paese ordinato e civile, ricco e a bassa tassazione, senza disoccupazione e con un’alta qualità della vita – essenzialmente perché ripartisce i suoi sette milioni di abitanti in ben 26 distinte giurisdizionali cantonali, ognuna dotata di un proprio sistema tributario. Ma quale crescita e quale sviluppo conoscerebbe l’Italia se i suoi 56 milioni di abitanti fossero ripartiti in ben 8 mila autonomie fiscali poste in concorrenza tra loro?

tratto da: L'Opinione