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  1. #11
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    Citazione Originariamente Scritto da Microcebus M. Visualizza Messaggio
    Ottima l'intervista del professor Consolato.
    Un saluto a tutti i forumisti
    ...e io mando un bel saluto al professor Consolato...

    Eliodoro

  2. #12
    apocalisse 2012
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    Citazione Originariamente Scritto da Tomás de Torquemada Visualizza Messaggio
    La moderazione non chiede di meglio, procedi pure...
    Grazie.
    Provvederò nei prossimi giorni.

    Vale.

  3. #13
    apocalisse 2012
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    Citazione Originariamente Scritto da Microcebus M. Visualizza Messaggio
    Grazie.
    Provvederò nei prossimi giorni.
    Altro a seguire...

  4. #14
    apocalisse 2012
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    AETERNITAS ROMAE

    A COLLOQUIO CON SANDRO CONSOLATO, DIRETTORE DE «LA CITTADELLA»



    D. - Prof. Consolato, che cosa è la Tradizione?


    R. - La Tradizione, in senso assolutamente "verticale", è la totalità della Sapienza Metafisica, d'origine non-umana ma pertinente alla possibilità propria agli esseri umani di "trans-umanarsi". Questa Tradizione si "legge" nei simboli e nelle dottrine della metafisica realizzativa (pensiamo a Plotino o a Ibn Arabi), una metafisica oggetto di una "trasmissione", ovvero di una "tradizione" iniziatica, che è, di fatto, un privilegio di pochi. Quando parliamo di "Mondo della Tradizione" o, meno astrattamente, di "Mondi Tradizionali", ci riferiamo a cicli di civiltà nate e cresciute in conseguenza di ed attorno ad una esperienza "originaria" della trascendenza propria a delle figure umane avvolte nell'aura del mito, i re sacri ad es., cui si attribuisce appunto l'aver donato visibilità politica e sociale a certi archetipi, rendendo alla generalità degli uomini di una collettività la possibilità di partecipare di tali principii, gerarchicamente e mediatamente.


    D. - Quali sono le idee fondanti del c. d. "Tradizionalismo Integrale" e quali le prospettive che questo contempla?


    R. - Va innanzitutto chiarito che il termine "Tradizionalismo Integrale" è usato, con riferimento alla corrente intellettuale determinata nel Novecento da René Guénon, solo da Evola e da chi, come è probabilmente sia il mio caso che il vostro, ha subito un influsso prevalentemente evoliano. Guénon rifiutava, per le dottrine da lui esposte, il sostantivo "tradizionalismo" e l'aggettivo "tradizionalista", preferendo parlare sempre di "Tradizione" e "tradizionale". Oggi gli studiosi accademici che si occupano di Guénon, Evola, Schuon ecc. tendono a parlare di "perennialismo", che è termine però più in sintonia con l'insistenza di un Coomaraswamy o un Nasr sull'espressione Philosophia o Sophia Perennis. Ad ogni modo, noi parliamo pure di Tradizionalismo Integrale, per due ragioni: 1) siamo di fronte ad un -ismo, malgrado l'avvertimento contrario di Guénon, poiché questi autori rappresentano di fatto una corrente filosofico-esoterica del Novecento; 2) sia che individualmente appartengano ad una Tradizione determinata, come ad es. l'Islam, sia che non vi appartengano, i "tradizionalisti integrali" fondano generalmente il loro insegnamento non su una Tradizione storica ma su ciò che, come notava Evola parlando matematicamente di "passaggio all'integrale", nelle singole Tradizioni si paleserebbe come "supertradizionale", ovvero riferibile alla Tradizione senza aggettivi, o Primordiale (di fatto a-storica perché propria ad un tempo e ad un uomo che non sono quelli storici). Quanto alle idee fondanti del Tradizionalismo Integrale, mi limito qui all'idea cardine, che è quella dell'"unità trascendente delle religioni", espressione questa di Schuon, da Evola corretta opportunamente sostituendo "delle tradizioni" a "delle religioni". In termini pratici le prospettive che il Tradizionalismo Integrale voleva aprire erano, nelle intenzioni di Guénon, quelle di una reciproca comprensione tra Oriente e Occidente, tramite una sorta di "ecumenismo esoterico", realizzato e garantito solo da certe élites iniziatiche, ma di cui avrebbe beneficiato tutta quella parte dell'umanità che sentiva la necessità di superare la "crisi del mondo moderno". In Evola il fine principale era quello del ritorno dell'Europa all'Impero, retto da un'élite iniziatico-guerriera.


    D. - "Lei dirige "La Cittadella", trimestrale del Movimento Tradizionale Romano. Quale la storia, quali le radici del movimento e della rivista?


    R. - Alle origini del MTR c'è l'associarsi federativamente, nei primi anni 80, di tre gruppi tradizionalisti che per vie autonome hanno fatto propri principii, orientamenti, riti riconducibili alla spiritualità pagana romano-italica. Uno era quello messinese di Salvatore Ruta che si esplicitava esteriormente nei bollettini di "Arx", un altro quello tosco-ligure di Renato Del Ponte che editava "Arthos", l'altro ancora quello, palermitano, del Centro Siciliano di Studi Tradizionali di Roberto Incardona. Seguirà l'intesa con altri gruppi o la creazione di nuovi in altre parti d'Italia, non senza la presenza di scissioni, negli anni 90. "La Cittadella" era nata a Messina nell'84 ed era diventata presto il laboratorio intellettuale di intese prima ideali e poi pratiche tra le personalità prima indicate. La nuova serie, da me diretta, parte solo col 2001.


    D. - La vostra rivista ha sempre parlato di "Via Romana al Sacro". Potrebbe prospettarci in modo chiaro tale indirizzo?

    R. - "Via Romana al Sacro" fu espressione veicolata da Salvatore Ruta. Nel suo ambiente originario esprimeva un iter realizzativo, individuale e di catena, che innestava ritualmente certe presenze numinose della Tradizione Romana entro pratiche "neutre" volte al trascendimento della condizione umana. Nel MTR designa una più fruibile pratica rituale, individuale e/o di gruppo, di culto privato legato all'antico calendario romano. Sulla legittimità di tale culto, che non è riferibile ad una via iniziatica e non richiede "trasmissioni regolari" né esoteriche né exoteriche, ma solo certe attitudini animiche e le "istruzioni" adeguate, ci siamo già espressi sulla rivista: a Roma era consentita e ampiamente praticata la libera associazione ex novo a scopi di culto.


    D. - La Via Romana al Sacro ha ispirato anche l'importante gruppo (di riferimento ancora oggi) dei Dioscuri, attivo negli anni 70 in particolar modo a Roma, Napoli e Messina. Ci sono collegamenti diretti fra quella esperienza e il MTR? Se ci sono differenze, potrebbe indicarci in cosa divergono e in cosa no le due esperienze.

    R. - Nell'attuale MTR non vi è alcuna persona che abbia fatto parte dei Dioscuri. Da quell'esperienza veniva Salvatore Ruta, morto nel 2002. Ma va precisato che i Dioscuri, come tali, a Messina ebbero una vita breve. Il gruppo messinese divenne presto un gruppo con una vita tutta sua, con un nome suo, di cui l'Arx di Ruta fu poi un ulteriore sviluppo. Nel MTR furono convogliate solo limitatamente alcune esperienze riconducibili a quel filone, anche perché vi era una volontà comune di dar luogo ad una religiosità sì "privata", ma comunitaria, esperibile forse più "exotericamente" ma anche meno "pericolosamente" di quanto non fosse accaduto, almeno a Messina, con i Dioscuri e le sue propaggini. Il nostro Movimento non si è mai presentato come un erede dei Dioscuri e di fatto non è corretto considerarlo tale. Questa mia affermazione ha semplicemente il valore di una precisazione storica, non di un giudizio di valore sulle due realtà.


    D. - La maggiore accusa mossa alla "Idea Tradizionale" è quella di essere un mito incapacitante, che paralizza e porta all'inazione chi ad essa si rivolge...

    R. - Di "mito incapacitante", come è noto, parlò all'inizio degli anni 80 Marco Tarchi. Il suo era un giudizio politico. Le correnti giovanili del MSI e poi tutti i gruppi della destra radicale italiana erano stati profondamente influenzati dal Tradizionalismo, ma la ricaduta di questa influenza sul terreno della trasformazione politica della nostra società era nulla e gli ambienti politici di cui sopra di fatto vivevano ripiegati su se stessi. La Tradizione è un mito incapacitante, sul piano politico-sociale, se viene fatta valere come un concetto astratto. Ho già detto che in sé e per sé è una nozione esoterica e filosofica, d'élite, quindi non può essere un "mito capacitante" per un popolo o per un insieme di popoli affini. Su questo piano vale solo il riferimento a delle Tradizioni storicamente determinate, che poi sono le sole "reali": vi è "rivoluzione tradizionale" unicamente se si può additare ad una comunità quei tre elementi che ho visti valorizzati nel vostro stesso materiale propagandistico, e cioè: Fuoco, Padri, Terra. Ma devono essere: la Terra in cui si è nati, i Padri i cui volti riconosciamo nelle nostre statue e negli scheletri restituiti dalla vanga degli archeologi, il Fuoco che si accende col Sole del nostro cielo e con gli arbusti del nostro suolo. Solo così il mito può funzionare. Quando Evola dice "nostra patria è l'idea" introduce purtroppo il germe del mito incapacitante. Da filosofi possiamo essere platonici, da militanti dobbiamo essere assolutamente, legionariamente romani, e portatori di una sola idea: non vi è niente al mondo "maggior di Roma". Lo dico ad alta voce: la Tradizione Romana è la più alta delle Tradizioni apparse in Occidente, non è superiore solo alle Tradizioni semitiche ma anche a quelle indouropee come la celtica, la germanica e perfino l'ellenica. E' incontestabilmente l'unica Tradizione Imperiale.


    D. - Ma si parlava di "mito incapacitante" anche perché l'aderire all'idea del trovarsi nel Kali-Yuga, nell'età oscura, per molti sedicenti "tradizionalisti" si traduce in una sorta di apatia. Questi, pensando che il mondo moderno debba prima o poi distruggersi da solo, invitano ad una passiva attesa confortata, magari, da qualche lettura consolatrice. Potrebbe mettere un po' d'ordine su questo?

    R. - Il Kali Yuga non è un'invenzione di Evola e Guénon. E' una realtà. Ne ho parlato anche con dei Maestri tibetani, e mi hanno spiegato che le possibilità di trasformazione della realtà attuale sono veramente poche, ma non per questo bisogna essere passivi. Del resto non bisogna neanche confondere Kali Yuga e modernità. Può darsi che il c. d. mondo moderno finisca e però si resti nel Kali Yuga. Anche Roma è sorta, si è sviluppata ed è declinata nel Kali Yuga: non so quanti ci hanno riflettuto. Su questa tematica, comunque, quanto ad attitudine esistenziale, io mi regolo seguendo questo insegnamento dello Hagakure, il "manuale" di Jocho Yamamoto, il samurai poi monaco zen del XVII secolo che tanto influì su Mishima: "Il clima di una data epoca è inalterabile. Che oggidì le condizioni vadan di continuo peggiorando è prova che siamo ormai entrati nell'ultima fase della Legge. Epperò, la stagione non può essere sempre primavera o estate, né si può sempre avere la luce diurna. Quindi è inutile tentare di rendere l'età presente simile ai bei tempi andati di cent'anni fa. Quel che importa è rendere ciascuna epoca tanto buona quanto può esserlo in accordo con la propria natura. L'errore di chi ha perpetua nostalgia degli usi e costumi di una volta è dovuto alla mancata comprensione di questo dato di fatto. D'altro canto, coloro che danno valore solo a ciò che è alla moda e detestano ogni cosa vecchio-stile sono dei superficiali". Il Kali-Yuga è una necessità cosmica, paradossalmente bisogna combatterlo e accettarlo nello stesso tempo.


    D. - Restando in tema di cicli, nell'editoriale del n. 2 de "La Cittadella", nuova serie, lei sostiene che in Evola ci sarebbe un mancato sviluppo in senso propriamente romano della teoria ciclica e soprattutto del fato delle stirpi. Ci può spiegare meglio?

    R. - Di tutta questa faccenda dei cicli, cosmici e storici, spero di trattare un giorno in modo chiaro ed esteso. A Roma è presente sia la dottrina dei cicli cosmici relativa alla terra intera ed al cosmo (vedi il Somnium Scipionis di Cicerone) sia una dottrina dei cicli storici dei popoli e delle città, quindi di Roma. Su quest'ultima dottrina ha scritto in modo preciso ed acuto sempre su "Cittadella", nn. 10 e 11, trattando del tema dei saecula, un nostro collaboratore, il professore D'Uva. In Evola c'è solo una considerazione delle quattro età applicata alla storia dell'umanità di questo manvantara e un tentativo di leggere ed ortopedizzare guénonianamente lo spengleriano Tramonto dell'Occidente. In Rivolta, cap. 19 della parte I, ci sono spunti che potevano portare lontano nell'indagine sul rapporto tempo-spazio-stirpe, ma che restano sul piano della dottrina astratta delle "categorie". Avesse attinto di più alla sapienza sacerdotale romana e a quella ellenico-neoplatonica, penso a Proclo in particolare, Evola avrebbe trovato la chiave per proporre a noi, indegni successori dei Romani ma pur tuttavia loro successori legittimi, motivi assai "capacitanti" riguardo al futuro, entro lo stesso Kali-Yuga. Ma qui non vorrei dire di più.


    D. - Passiamo ad altro argomento. Nel suo ultimo libro Oriana Fallaci sostiene che gli europei debbano schierarsi apertamente con gli americani e difendere dalla "barbara tradizione islamica" i valori occidentali, che poi sarebbero quelli dell'ateismo diffuso, dello Stato laico, dell'economia di mercato ecc. Durante la frenesia la scrittrice, atea, evoca addirittura Cristo. A nostro parere una straordinaria coerenza. Lei che idea si è fatto?

    R. - La Fallaci è una intellettuale narcisista e furba, ma a suo modo coraggiosa. Intendiamoci, non mi piace e mi rifiuto di comprare i suoi libri. Però almeno una cosa vera la dice, ed è la stessa che Evola diceva con rimprovero all'Europa del dopo '45: l'Europa è vigliacca, ha bandito ogni educazione al coraggio, pensa che attraverso il mercanteggiamento si possano salvare sempre onore e ricchezza, soprattutto quest'ultima. Tutto il resto del fallace fallacismo è stomachevole americanismo e, nei confronti dei musulmani, razzismo che, fossero stati altri a veicolarlo, sarebbero stati messi al rogo dall'inquisione liberaldemocratica: altro che aver il primo posto nella classifica dei libri venduti! Peraltro va detto che questo Islam wahabita che minaccia il mondo occidentale o addirittura il mondo intero ha poco a che vedere con la migliore Tradizione Islamica, che anzi dai wahabiti, una sorta di protestanti islamici, sarà trascinata nella completa degenerazione (e non è solo un'opinione personale, questa).


    D. - Quest'anno ricorrono i trent'anni dalla morte del Barone Evola. Quale, a suo avviso, l'importanza di questo autore per la c. d. area tradizionale e, più specificamente, per la prospettiva romana seguita dal suo sodalizio?

    R. - Evola, si sa, ha contato moltissimo per chiunque abbia un orientamento tradizionale o anche tradizionalistico, come è il caso di certi ambienti cattolici. Nell'Italia del secondo dopoguerra, dominata ideologicamente dal marxismo e con una cultura cattolica del tutto inadeguata a supportare una qualsiasi vocazione superiore, sia contemplativa che attiva, solo Evola ha proposto alla gioventù orientamenti spirituali superiori e idee valevoli a rendere non meramente profana la vita activa. Che poi non tutto, nel pensiero evoliano, fosse foriero di sbocchi apprezzabili sul piano comunitario (sul piano individuale è diverso), è un altro discorso. L'ho già detto: non è possibile formare comunità o instaurare Stati tradizionali in nome, come accade ne Gli uomini e le rovine, di un generico "riferimento ad una realtà e ad un ordine trascendente", ovvero alla Tradizione senza aggettivi. Tutto sommato la critica dei cattolici tradizionalisti era giusta, nel momento in cui facevano valere una Tradizione ben riconoscibile nella storia italiana ed europea; sennonché la loro, e qui aveva ragione Evola, era ed è una Tradizione che non poteva vantare alcun primato metafisico né era autenticamente occidentale, bensì semitica e antiromana. Tornando ai Dioscuri, il fatto che con essi si sia riaffacciato il riferimento alla Roma precristiana ha rappresentato senz'altro l'inizio di una correzione importante degli orientamenti evoliani post-bellici. Quanto al MTR, il rapporto con Evola dei suoi esponenti più noti è un fatto: Ruta frequentò Evola e fu con lui in corrispondenza negli anni 50-60, Del Ponte ne rese possibile i funerali alpestri ed ha contribuito grandemente a diffonderne il pensiero, io stesso ho scritto un libro, Julius Evola e il buddhismo, che forse al Barone non sarebbe dispiaciuto. Ma io ritengo che riconoscersi nella Tradizione Romana sia superiore al riconoscersi in Evola, che non può essere considerato un interprete indiscutibile della spiritualità romana. Ad Evola, venendo al trentennale, "La Cittadella" sta per dedicare un numero doppio, il 14-15, che offrirà anche qualche sorpresa.


    D. - Sono sempre più rari i centri-studio in grado di assumersi l'onere di formare "direttamente e seriamente" i giovani che si avvicinano all'Idea Tradizionale. Incomincia a notare una carenza di "formazione seria" fra i più giovani? Non le sembra che internet con la sua "cultura del tutto e subito" stia giocando un brutto ruolo, soprattutto in materie così complesse come quelle Tradizionali?

    D. - Ho conosciuto dei giovani che sono meglio di tanti "vecchi", ma in effetti è proprio la "formazione seria" che difetta. Il problema è quello dei rapporti generazionali. Io sono andato "a scuola" da uomini che avevano fatto la seconda guerra mondiale, da uomini che avevano fatto il 68 (visto da destra) e anche da miei coetanei, né ho finito di essere allievo di chi ne sa più di me. Oggi il giovane trova con più difficoltà delle persone con una storia significativa cui guardare come modelli e a cui chiedere lumi. E devo dire che presto, purtroppo, nessun giovane avrà più, per ovvie ragioni, la fortuna di conoscere persone nate almeno almeno negli anni 20: ciò non tanto per le qualità intellettuali, ma per quelle caratteriali. Il vostro riferimento a internet può sembrare "moralistico", ma non è così. Quando ho iniziato i miei studi tradizionali ho preso a ricercare con fatica libri e riviste, scrivevo a persone autorevoli, o anche presunte tali, mettevo da parte soldi per fare viaggi che mi permettessero di incontrarle e di stabilire contatti profondi. Oggi che ho un mio modesto nome negli stessi studi mi arrivano e-mail con cui mi si chiedono, magari senza alcuna indicazione su chi stia scrivendo, cose che io ci ho messo decenni per sapere e capire, o per avere il diritto di sapere da altri. Devo dire che, da questo punto di vista, ho apprezzato molto il vostro stile e la vostra cortesia, che mi confermano che soprattutto nel nostro Sud non si sono perse certe qualità.


    D. - Ma quale sarebbe il rimedio ad una inadeguata formazione? E quali letture consiglia per i primi approcci? E soprattutto, che approccio consiglia ai più giovani?


    R. - Guardate, ogni formazione puramente intellettuale, fatta attraverso la ragione dialettica, ancorché apparentemente "tradizionale" sarà sempre inadeguata. Non vi è vera vita tradizionale fuori dalla formazione del carattere, fuori dalla conquistata naturalezza di certi modi di pensare, di agire e di reagire. E per questo i libri non bastano. Poi, su questi, va detto che esiste una magia dell'incontro, spesso apparentemente casuale, con i libri veramente determinanti della nostra vita. Io potrei dare delle indicazioni, ma non le do polemicamente, perché ho trovato, per es., fastidioso il tono pedagogico e perbenistico con cui un De Turris, figura per altri versi stimabile e piena di meriti, invita a leggere i libri di Evola.


    D. - Prof. Consolato, cosa pensa dei gruppi che, come il nostro, continuano la battaglia giornaliera "sul campo" e che anzi proprio nella stessa, ancorata evidentemente a certi modi e riferimenti ideali, trovano la via per uscire dalle rovine?

    R. - Se io avessi una mentalità settaria, potrei evidenziare, nel vostro come in altri gruppi, gli aspetti con cui non mi trovo in completa sintonia. Ma vedo molte buone ragioni per apprezzare e accettare il dialogo con chi, come voi, non ha rinunciato alla vita activa, o al karma-marga se si preferisce. Che poi abbiate scelto di fare la vostra battaglia all'insegna del nome Romanitas nostra e di quell'Egemonikon che fu il cuore della vita e del pensiero di Marco Aurelio, ma anche l'intimo riferimento della vita di Evola, non può che ispirarmi una viva simpatia.


    D. - Le possiamo strappare una promessa? Prossimamente ospite-conferenziere nella nostra sede?


    R. - La vostra terra è una terra in cui la Tradizione nostra è stata più a lungo e misteriosamente viva, e se i suoi drammi e le offese che ha subito la sua nativa bellezza potrebbero far pensare il contrario, valga di contro il motto a voi caro "Più buia la notte, più luminosi i fuochi". Sarei onorato della luce e del calore della vostra fiamma.
    [Intervista apparsa su «Egemonikon», a. II, nº 2, MMDCLVII a.U.c. (2004), pp. 5-8. La pubblicazione è il Bollettino interno della Comunità Tradizionale "Nostra Romanitas" di Frattamaggiore - Na]



    http://www.lacittadella-mtr.com/noi_altrove.htm

  5. #15
    Ignis
    Ospite

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    Un saluto al professor consolato ed un avgvrio di buon ostara a tutti i fratres del forvm

 

 
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